Corte di Giustizia di secondo grado Piemonte, sez. II, sentenza 19/02/2024, n. 64

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Massime1

Nel caso in cui il socio effettui un versamento per un futuro aumento di capitale è necessario un atto della società in cui risulti l'impegno all'incremento de quo . In caso contrario, il relativo valore non può che essere portato ad incremento del costo di partecipazione, con la conseguenza che quanto pagato, inglobandosi nella partecipazione sociale, segue fiscalmente le sorti di questa e, dunque, l'eventuale minusvalenza, per somma non resa, è indeducibile, in base al principio della partecipation exemption (co. 5 art. 109 DPR 917).

Sul provvedimento

Citazione :
Corte di Giustizia di secondo grado Piemonte, sez. II, sentenza 19/02/2024, n. 64
Giurisdizione : Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte
Numero : 64
Data del deposito : 19 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Ag. Entrate Direzione Provinciale II di Torino elettivamente domiciliato presso dp.2torino@pce.agenziaentrate.it Avente ad oggetto l'impugnazione di:

- pronuncia sentenza n. 428/2022 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale TORINO sez. 3 e pubblicata il 30/05/2022 Atti impositivi:

- AVVISO DI ACCERTAMENTO n. T7G 88

SPESE NOTIFICA

2015 - AVVISO DI ACCERTAMENTO n. T7G 88 IRES-

ALTRO

2015 a seguito di discussione in pubblica udienza

CONCLUSIONI DI PARTE APPELLANTE

Voglia l'Onorevole Corte di giustizia tributaria di secondo grado: «in via principale in accoglimento del presente appello, richiamando anche tutte le deduzioni ed eccezioni formulate nel corso del giudizio di primo grado (quindi da intendersi integralmente riportate e trascritte), riformare la sentenza appellata, e conseguentemente che l'avviso di accertamento originariamente impugnato venga dichiarato illegittimo, con ogni consequenziale pronuncia e statuizione In ogni caso con rifusione di spese, competenze ed onorari, oltre Iva e contributi per i due gradi di giudizio».

CONCLUSIONI DI PARTE APPELLATA

Parte resistente chiede «a codesta onorevole Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado:

1) dichiarare la definitività del rilievo relativo al recupero ai fini IRES delle sopravvenienze passive per euro 22.721,20 a seguito dello storno del "c/depositi cauzionali", in quanto non più contestato in sede di appello;

2) il rigetto dell'appello e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio anche per il presente grado».

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1.- Con atto inviato a controparte con pec 25 gennaio 2023 F. R. , rappresentante legale della società: «M S.r.l.», appellò la sentenza 19 maggio 2022 n. 181/02/22 resa dalla Commissione tributaria provinciale di Torino e depositata in segreteria il 30 maggio 2022. Lo stesso giorno ne inserì copia, ai fini della costituzione in giudizio, sulla piattaforma del processo tributario telematico. Narrò che la società suddetta nel 2015 cedette un ramo di azienda e che tale operazione innesco un accertamento tributario che si concluse con la notifica, il 16 marzo 2021, dell'avviso di accertamento per l'anno d'imposta 2015, n. T7G 88..../2020 con cui l'Ufficio chiese una maggiore IRES per euro 346.253,00, interessi per euro 66.177,01, sanzioni per euro 230.402,00 e spese di notifica per euro 8,75 euro, per un totale di euro 642.840,76 euro. Quindi che ricorse avverso tale atto lamentando in via pregiudiziale la nullità dello stesso per essere emesso oltre il termine di decadenza e per non essere stato correttamente celebrato il contraddittorio nella fase dell'accertamento con adesione. In via principale per insufficiente, inadeguata, contraddittoria ed errata motivazione;
per errata e/o falsa applicazione dell' art. 53 della Cost. , per errata e/o falsa applicazione dell' art. 101 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e per aver dimostrato nel merito il corretto comportamento del contribuente e l'illegittimità dei rilievi dell'Ufficio. Infine che con sentenza n. 428/2022 cit. il giudice di primo grado respinse il ricorso. Per la riforma della appena cit. decisione propose i seguenti motivi:

a) errata e/o falsa applicazione dell' art. 43 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell' art. 157 co. 1 decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 - errata e/o insufficienza e/o apparente motivazione della sentenza. Asserì come i giudici non si fossero espressi sulla decadenza dell'azione di accertamento per l'anno d'imposta 2015, avendo la commissione così sentenziato: «L'avviso di accertamento è stato emesso ai sensi dell'art. 5 ter e 5 co 3 bis D. Lgs. 218/97 (avviso di accertamento con obbligo di contraddittorio). Nell'ambito di questo procedimento, operante dal 1/7/2020, è prevista per legge una proroga automatica di 120 gg del termine di decadenza, per la notificazione dell'atto impositivo qualora, tra la data di comparizione indicata nell'invito e quella di decadenza dell'Amministrazione Finanziaria intercorrano meno di 90 giorni, in deroga al termine ordinario previsto dall' art. 43 D.P.R. 600/73 ». In particolare denunciò la falsa interpretazione della legge non portando il suddetto co.

3-bis alcun riferimento all'art. 43 D.P.R. 600 cit.. Inoltre come dalla lettura del testo dell' art. 157 co. 1, decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 si evincesse chiaramente che: «il legislatore, nel definire la proroga, ha previsto termini differenziati per l'emissione dell'atto impositivo rispetto alla sua notifica. Un atto amministrativo "esiste" o "prende vita" solo dal momento della sua sottoscrizione, in altre parole attraverso la firma l'atto viene formalmente adottato dando certezza della volontà del suo autore a voler assumere quel documento così formato». Asserì poi essere l'art. 157 cit. norma speciale ed in quanto tale prevalente sulla norma ordinaria (art. 43 cit. ed art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 ) e come pertanto l'avviso di accertamento per l'anno 2015, che doveva improrogabilmente essere formato entro il 31 dicembre 2020, fosse nullo in quanto emesso e sottoscritto digitalmente dal Direttore provinciale E.M. il 15 marzo 2021 alle ore 16:30;

b) errata e/o contraddittoria motivazione della sentenza appellata - errata e/o falsa applicazione dell'art.

5-ter decr. n. 218 cit. - contraddittorio solo apparente e/o formale. Denunciò essere onere dell'Ufficio l'instaurazione di un contradditorio preventivo ante l'emissione dell'avviso di accertamento e stigmatizzò la decisione appellata per avere il collegio di primo grado confuso la «fase istruttoria» con la procedura prevista dall'art. 5 ter cit.. In particolare come tale vizio fosse riscontrabile dalle date prese in esame dai giudici per i quali: «replicando altresì alle osservazioni presentate dalla M a mezzo email del 11/11/2020 e con la memoria del 3/12/2020», ossia tutti fatti antecedenti al 22 dicembre 2022 (data dell'invito a comparire). In pratica asserì come, dopo il 22 dicembre 2022, l'Ufficio assunse un comportamento passivo senza mai esternare la propria posizione sulla base della memoria e dei documenti presentati e di conseguenza senza attivare un contraddittorio effettivo. Inoltre che così operando l'Amministrazione finanziaria violò l'art.

5 - ter cit., degradando questa fondamentale fase a mera formalità;

c) contraddittoria motivazione contenuta nella sentenza appellata. Denunciò la contraddizione in cui incorse il collegio di prime cure quando scrisse: «l'eccezione in punto nullità dell'accertamento perché tardivamente notificato in data 15 marzo 2021 è da respingere». Vale a dire che il ricorrente nel ricorso contestò la mancata emissione dell'atto entro il termine del 31 dicembre 2020 e non la sua tardiva notifica;

d) errata e/o falsa applicazione dell' art. 101 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dell' art. 53 della Costituzione . Rimarcò che con la sentenza impugnata la commissione provinciale stabilì l'indeducibilità della perdita su crediti nell'esercizio 2015 per i seguenti motivi: «Per ciò che concerne il "credito" v/V iscritto in bilancio come "versamento in c/futuro aumento di capitale" di euro 1.008.795: M. ha eseguito il versamento a V. di euro 1.538.000,00, evidenziandolo in bilancio alla voce "III - Immobilizzazioni finanziarie 2) crediti esigibili oltre l'esercizio successivo" ed, in nota integrativa, qualificandolo come "...versamento in conto futuri aumenti di capitale effettuato a favoredella società collegata V. SRL...". V. S.r.l. ha riportato il suddetto importo ricevuto nel passivo alla voce "A) Patrimonio Netto - Altre riserve, distintamente indicate nei Versamenti a copertura perdite" e, nella nota integrativa, ha esposto un prospetto in cui l'importo di euro 1.538.000,00 era indicato come "riserva vincolata a copertura perdite", come riportato nel prospetto del Patrimonio netto 2009 della V. . Inoltre, come risulta dal verbale di assemblea ordinaria della V. del 16.09.2010, l'assemblea dei soci - formata da M. S.r.l. (socio al 47,5%) e da R. F. (socio al 52,5% ed amministratore Unico di V. e di M.) - ha deliberato di provvedere alla copertura della perdita d'esercizio come segue: perdita d'esercizio al 31/12/09 della V. S.r.l.: - euro 1.546.953 utilizzo riserva vincolata a copertura perdite: + euro 1.538.000. Tali argomentazioni sono più che sufficienti ai fini della dimostrazione della natura del finanziamento erogato da M. a V. (equindi della manifesta indeducibilità della perdita su crediti rilevata per euro 1.008.795,00 nell'anno 2015 dalla M.)». Denunciò l'errore in cui incorse il collegio provinciale in quanto M. nel 2009 eseguì un «Versamento in conto futuro aumento di capitale» alla società V (come risultante dall'estratto conto bancario) e come tali trasferimenti non fossero definitivamente acquisiti al patrimonio aziendale fin dal momento della loro esecuzione, avendo la società l'obbligo di restituzione qualora il relativo aumento di capitale non fosse stato deliberato entro il termine convenuto o per rinuncia al rimborso. In particolare lamentò che dette somme furono utilizzate e contabilizzate impropriamente da V. e come tale errore dovesse essere imputato alla partecipata senza per questo compromettere la situazione giuridica di M . Inoltre come l'Ufficio mai avesse contestato la non veridicità del versamento in «conto futuro aumento di capitale» effettuato, limitandosi ad affermare che: «il finanziamento erogato dalla M. alla V. nell'anno 2009 era destinato a copertura delle perdite». Asserì così che nell'esercizio 2010 il credito di M. venne ridotto per euro 529.205,00, così come riportato a pag. 6 della nota integrativa al bilancio d'esercizio 2010 e che per differenza al 31 dicembre 2010 il credito residuo ammontava ad euro 1.008.795,00, importo invariato negli anni successivi, così come risultante dai bilanci regolarmente depositati nel registro imprese e confermato dallo stesso Ufficio (pag. 12 delle controdeduzioni al ricorso introduttivo). Stigmatizzò pertanto quanto riportato nell'atto di rettifica tributario (cfr. pag. 8 avviso di accertamento) così esprimendosi: «In conclusione l'Ufficio per i motivi sopra esposti conferma il recupero a tassazione di 1.008.795,45 euro, poiché il versamento effettuato nel 2009 da M. : - non rappresenta un credito, pertanto non può essere imputata una perdita su crediti;

- nessun evento riconducibile all'anno di imposta 2015 ha i requisiti di competenza ( art. 109 del TUIR ) per consentire la deduzione del componente negativo. A parere dell'ufficio esso avrebbe dovuto eventualmente essere dedotto al momento della cessione della quota (2013). La società inoltre avrebbe avuto la possibilità di chiedere in fase di adesione di compensare le conseguenti maggiori imposte pagate nel 2013, ma non ne ha fatto istanza e ha seguito un'altra linea di difesa». Cosicché lamentò come per il primo giudice la perdita fosse riconducibile all'esercizio 2010 (utilizzo a copertura perdite in V mentre per l'Ufficio all'esercizio 2013 (momento della cessione delle quote) ovvero che entrambe contestarono il periodo di imputazione ma non la relativa esistenza. Invocò poi l'applicazione dell' art. 25 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 , per l'utilizzo delle perdite fiscali del periodo d'imposta accertato, fino a concorrenza del loro importo;

e) transazione M. / V. - euro 29.226,28 (fatture da emettere) e euro 64.086,36 (saldo in dare fornitore V. . Richiamò in primo luogo il capo decisorio con cui il collegio di prime cure respinse il ricorso: «Tuttavia l'accordo transattivo a cui la ricorrente fa riferimento riguarda specifiche fatture emesse da M. per riaddebito dei canoni di leasing contraddistinte da numero, data e importo. La ricorrente ha voluto far rientrare in detto accordo un'ipotetica "rinuncia di crediti" generalizzata senza però essere in grado di fornire alcun chiarimento né documentazione circa l'origine e l'ammontare in dettaglio di ciascuna partita creditoria, limitandosi a stornare i saldi risultanti da bilancio rilevando sopravvenienze passive deducibili per euro 93.312,64». Rimarcò aver prodotto il mastro del conto «fatture da emettere» per gli anni 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015 riportanti la registrazione contabile del 31 dicembre 2021 [sic.] per un importo di euro 29.084,42 e come dall'esame dei suddetti documenti ben si potesse rilevare il rispetto del disposto del co. 4 dell'art. 101 del DPR 917 cit.. Ossia che l'eliminazione del conto «fatture da emettere», per effetto della transazione, determinasse la sopravvenienza passiva deducibile in quanto i relativi ricavi furono a suo tempo tassati. Soggiunse che con la transazione tra le due società, documento offerta in condivisione alle parti, tali componenti di redditi assumendo profili di certezza fossero divenuti definitivi e pertanto fiscalmente deducibili. Asserì poi essere il componente negativo derivante dallo storno del credito verso V per fatture da ricevere (euro 64.086,36) un costo deducibile relativo a merci acquistate ancorché correlato a fatture non ricevute e pertanto non dedotte dal conto economico;

f) w. group - ripristino debito originale ed interessi - 58,468,97 euro (30.000,00 euro ripristino debito originale + 28.468,97 euro di interessi). Censurò la suddetta decisione per non avere il giudice tenuto conto della documentazione allegata al ricorso introduttivo quando così sentenziò: «nel 2010 M. aveva contabilizzato la fattura n. 4066/2010 dell'importo di euro 62.400,00 emessa dalla società W. Group a seguito di una prestazione di servizi svolta per conto esclusivo della società V. (nella fattura n. 4066/2010 intestata a M. era infatti specificato che "l'attività specialistica è realizzata per nome e conto della partecipata V. SRL"). Anziché rifatturare il corrispettivo della fattura alla società V - in quanto realizzata in nome e per suo conto - la ricorrente si è dedotta nel 2010 il costo complessivo di euro 52.000,00 relativo alla fattura n. 4066/2010 e nel 2013 M. a seguito di accordi non ben identificati, ha stornato a carico di V una parte del costo di tale fattura (per un ammontare pari ad euro 30.000,00)». Narrò di essersi accordata a suo tempo con V. per commissionare alla W. Group una perizia in tema di produzione di alimenti confezionati e che la fattura della predetta prestazione fu inviata a M. la quale l'avrebbe poi riaddebitata pro quota a V (per euro 30.000,00). Riepilogato schematicamente lo sviluppo nel tempo dell'appena predetto rapporto asserì avere la sopravvenienza passiva in parola tutte le caratteristiche per essere deducibile e con essa i relativi interessi. g) storno «note di credito da ricevere» per euro 75.801,75. Narrò che per effetto di un esame dettagliato dei debiti dell'impresa (eseguito per non risponderne, ai sensi dell' art. 2560 c.c. , in relazione alla cessione nell'anno 2015 di ramo di azienda) si rese conto di essere in attesa di un certo numero di note di credito da parte dei fornitori, tra cui anche per premi e royalties maturati al raggiungimento di un certo fatturato. Asserì di aver pertanto, per ottenere prontamente dai fornitori la liberatoria, contabilizzato una serie di sopravvenienze passive nell'esercizio 2015 ancorché avesse, nel corso degli anni, annotando tempestivamente le predette note di credito da ricevere e dichiarato minori costi. Stigmatizzò l'impugnata decisione in cui il collegio di prime cure affermò quanto segue: «La Società ritiene che "M. nel corso degli anni, annotando tempestivamente le note di credito da ricevere, ha dichiarato minori costi rispetto agli importi addebitati". Ma l'importo di euro 75.801,75 non è la sommatoria di diverse note di credito da ricevere annotate dalla ricorrente nei vari anni ma corrisponde ad un'unica registrazione effettuata in data 31/7/2012 in cui tale importo è stato introdotto in contabilità mediante un giroconto con la seguente descrizione "giroconto - storno nota credito con fatture da ricevere": e tale saldo è stato riportato negli anni successivi fino allo storno definitivo effettuato nel 2015 con rilevazione di sopravvenienze passive deducibili». In particolare rimarcò come l'annotazione dei ricavi derivanti dalle «note di credito da ricevere» rientrasse tra le scritture di rettifica e assestamento registrate a fine esercizio per determinare correttamente il reddito o la perdita dell'anno e che ben potesse essere effettuata per un importo cumulativo. 1.2. - L'Agenzia delle entrate, Direzione Provinciale II di Torino, con atto depositato su piattaforma del processo tributario telematico il 27 febbraio 2023 si costituì in giudizio e propose le proprie controdeduzioni. Esposti i fatti di causa, nella sostanza quelli rappresentati da controparte, prese posizione sui motivi di ricorso. a) quanto all'asserita errata e/o falsa applicazione dell'art. 43 D.P.R. 600 cit. e art. 157 co. 1 decr. 34 cit. - asserita errata e/o insufficienza e/o apparente motivazione della sentenza. In particolare espose che l'avviso di accertamento n. T7G 88/2020 fu emesso ai sensi dell'art. 5 ter e 5 co 3 bis decr. 218 cit. (avviso di accertamento con obbligo di contraddittorio) e come nell'ambito di questo procedimento, operante dal 1° luglio 2020, fosse prevista per legge una proroga automatica di 120 giorni del termine di decadenza, per la notificazione dell'atto impositivo qualora, tra la data di comparizione indicata nell'invito e quella di decadenza dell'Amministrazione finanziaria intercorressero meno di 90 giorni, in deroga pertanto al termine ordinario previsto dall'art. 43 D.P.R. 600 cit.. Per meglio dire che l'invito al contraddittorio fu notificato alla contribuente il 22 dicembre 2020 (con data di comparizione indicata nell'invito: 23 dicembre 2020) e come intercorressero meno di 90 giorni allo spirare del termine decadenziale del 31 dicembre 2020. In altri termini che l'avviso di accertamento n. T7G 88../2020 fu notificato il 15 marzo 2021, ma che ben avrebbe potuto essere notificato entro il 30 aprile 2021. Asserì pertanto come non trovasse applicazione nel caso in giudizio il disposto dell'art. 157 co. 1 cit.;

b) quanto all' asserita errata e/o falsa applicazione dell'art. 5 ter decr. 218 cit. - contraddittorio solo apparente e/o formale. Affermò essere condivisibile la decisione di primo grado in cui il collegio affermò che: «Il contraddittorio si è svolto quindi sia durante l'istruttoria iniziata in data 22/7/2020 con l'invito n. 9/2020 sia a seguito dell'invito a comparire n. T7G 96/20, in cui l'Ufficio, oltre ad esplicitare la propria "posizione" in merito alle incongruenze contabili e documentali rilevate con riguardo agli oneri dedotti come sopravvenienze passive e perdite su crediti dalla ricorrente nel 2015 per un ammontare complessivo di euro 1.259.100,00, ha descritto le giustificazioni fornite da controparte, replicando puntualmente alle stesse». Rimarcò di aver più volte sollecitato la contribuente per email (con invito dell'8 febbraio 2021 e del 18 febbraio 2021) affinché producesse un elaborato in risposta alle considerazioni contenute nell'invito e che solo il 19 febbraio 2021 controparte consegnò una memoria che, tuttavia, non apportò novità sostanziali rispetto alle precedenti considerazioni già svolte durante l'istruttoria;

c) indeducibilità perdita su crediti. Rimarcò di aver sempre sostenuto che la partita, indicata dalla M come «credito per versamento in c/futuro aumento di capitale» e stornato nel 2015 come perdita su crediti, non potesse essere rilevata come credito poiché diverso da un «finanziamento infruttifero» essendo di fatto un versamento già destinato a copertura perdite di V. (cfr. verbale assemblea del 16 settembre 2010 firmato dallo stesso R). Ossia che M. avrebbe dovuto incrementare il costo fiscale della partecipazione in V , in quanto i versamenti in conto capitale dei soci non determinano in capo al socio, anche impresa, un costo deducibile, ma un incremento del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Inoltre che dalla cessione della partecipazione nel 2013 non nascesse alcun «credito per versamento in c/futuro aumento di capitale» e di conseguenza nessuna «perdita su crediti» fiscalmente rilevante per euro 1.008.795. In altri termini che tale versamento avrebbe dovuto aumentare il costo della partecipazione societaria, come disposto anche dai principi contabili OIC n. 28 (Poste di patrimonio netto) e n. 21 (Partecipazioni societarie). Per meglio dire che la M. avrebbe dovuto/potuto stornare il costo della partecipazione (comprensivo del finanziamento in conto capitale): tale storno avrebbe generato, una minusvalenza la cui deducibilità nel 2013 sarebbe stata condizionata dai requisiti «PEX» della partecipazione posseduta, ai sensi dell'art. 87 del D.P.R. 917 cit.;

d) riguardo lo storno di fatture da emettere (euro 29.226,28) e saldo in dare del fornitore V. (euro 64.086,36) - sopravvenienze passive indeducibili per un totale di euro 93.312,64. Rimarcò come controparte avesse nel 2015 dedotto sopravvenienze passive per un totale di euro 93.312,64 mediante lo storno dei saldi dei conti n. 11.5.5. «Fatture da emettere» per euro 29.226,28 e n. 27.21.32 «Fornitore V. » con saldo a credito per euro 64.086,36, eliminando dal bilancio tali generiche poste attive la cui genesi non fu né giustificata né documentata. Denunciò come non sussistessero i requisiti per la deducibilità delle sopravvenienze passive di cui all'art. 101 co. 4 DPR 917 cit. derivanti, come rimarcato da controparte, dall'accordo transattivo stipulato nel settembre 2015. Ovvero un atto che a detta della contribuente avrebbe permesso di «chiudere ogni rapporto attivo e passivo con V. » e quindi avrebbe giustificato la rilevazione di sopravvenienze passive dal momento che «M non avrebbe più potuto recuperare delle differenze non fatturate per euro 29.226,28 (fatture da emettere) e il credito verso il fornitore V. per euro 64.086,36». In particolare rimarcò come l'accordo transattivo suddetto riguardasse specifiche fatture emesse da M per riaddebito dei canoni di leasing, contraddistinte da numero, data e importo, senza quindi menzionare alcuna «rinuncia di crediti» generalizzata. Lamentò poi come nonostante la produzione dei mastrini del conto «fatture da emettere» anni 2011-2015, ancora in bilancio per l'importo di euro 29.226,28, non fosse però stato fornito un preciso dettaglio dei documenti contabili da formare (con ammontare e specifici riferimenti). Inoltre in relazione al credito verso il fornitore V per euro 64.086,36 denunciò l'assenza di documentazione idonea;

e) riguardo i rapporti con W Group - ripristino debito originale (euro 30.000,00) e interessi (euro 28.468,97) - oneri di gestione indeducibili per un totale di euro 58.468,97. Narrò che controparte nel periodo di imposta 2010 contabilizzò la fattura n. 4066/2010 dell'importo di euro 62.400,00 lordo I.V.A. (con descrizione: «l'attività specialistica è realizzata per nome e conto della partecipata V SRL») emessa dalla società W. Group. Inoltre che controparte, anziché rifatturare il corrispettivo della fattura alla società V. dedusse nel 2010 il costo complessivo di euro 52.000,00 relativo alla predetta fattura e che nel 2013, a seguito di accordi non ben identificati, stornò a carico di V. una parte del costo di tale fattura (per un ammontare pari ad euro 30.000,00). Contestò la condotta di controparte essendo la prestazione di servizi effettuata da W. Group e come il ripristino del debito originario non giustificasse la deducibilità dei costi presenti in fattura (perché costi non inerenti in quanto non riferiti alla M.) e nemmeno gli interessi di mora dovuti al mancato pagamento della fattura n. 4066/2010 . Inoltre denunciò essere l'accordo transattivo del 14 settembre 2015 riguardante specifiche fatture emesse da M per riaddebito dei canoni di leasing contraddistinte con numero, data e importo dovuto;

f) con riguardo allo storno del conto «note di credito da fornitori» per euro 75.801,75 e del conto «depositi cauzionali» per euro 22.721,20 - sopravvenienze passive indeducibili per un totale di euro 98.522,95 (oneri rilevati a seguito della cessione del ramo d'azienda avvenuta nel 2015). Denunciò in primis come l'appellante non avesse in alcun modo esposto la ragione per cui la motivazione della sentenza impugnata fosse «insufficiente, errata o inadeguata». Nel merito del rilievo espose che alla fine del 2015 controparte stornò l'importo (euro 75.801,75) iscritto in bilancio nel conto «note di credito da fornitori» poiché asseritamente mai ricevute. Censurò le affermazioni di controparte sulla scorta dell'istruttoria condotta dalla quale risultò essere l'importo in parola non sommatoria di diverse note di credito da ricevere annotate nei vari anni bensì essere un'unica registrazione effettuata il 31 luglio 2012 con la descrizione: «giroconto - storno nota credito con fatture da ricevere», per poi essere riportato negli anni successivi fino allo storno definitivo effettuato nel 2015 con rilevazione di sopravvenienze passive deducibili. Con riguardo al rilievo relativo al recupero ai fini IRES delle sopravvenienze passive per euro 22.721,20 a seguito dello storno del conto: «depositi cauzionali» rimarcò come controparte non più ripropose la contestazione e come pertanto dovessi ritenersi questo rilievo ormai definitivo in quanto non più contestato nell'appello di controparte. 1.3. - La contribuente depositò il 24 dicembre 2023 breve memoria. In particolare riferì che: «Nel procedimento penale n. 1572/21 R.G.n.r. a carico di R. F. quale amministratore unico della società M S.r.l., indagato in relazione al reato di cui all' art. 4, D. Lgs. 74/2000 , per aver, secondo l'ipotesi di accusa, indicato nella dichiarazione annuale (anno di imposta 2015) "elementi passivi inesistenti per un ammontare complessivo pari a euro 1.259.100,00, di cui euro 1.008.795,46 falsamente indicati quale perdita di credito per finanziamento fatto nel 2009 dalla M. S.r.l. alla V. S.r.l. [...] ed euro 250.306,00 per sopravvenienze passive ed oneri diversi di gestione non documentati, con evasione di IRES pari a euro 346.253,00 [...]", il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto l'archiviazione del procedimento in quanto il fatto non sussiste». Replicò poi brevemente alle tesi dell'Agenzia delle entrate proposte nella memoria di costituzione in giudizio. All'odierna pubblica udienza, udita dal relatore l'esposizione dei fatti e dei motivi del ricorso, ascoltate le parti presenti illustranti le loro posizioni processuali, la Corte decise il giudizio

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