Corte di Giustizia di secondo grado Abruzzo, sez. I, sentenza 21/11/2022, n. 701
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiMassime • 1
Il regime fiscale di vantaggio previsto dall'art. 27, c. 2, lett. a, D.L. 98/2011 non può essere optato laddove il contribuente abbia esercitato, nei tre anni precedenti l'inizio dell'attività per cui di detto regime fa richiesta, attività d'impresa, anche in forma associata o familiare. L'esercizio di una attività d'impresa costituisce quindi una condizione ostativa. Tuttavia, poiché il socio accomodante, in quanto tale, non esercita, attraverso la gestione societaria (alla quale appunto non partecipa), alcuna attività d'impresa, essendo il suo ruolo limitato alla percezione degli utili in ragione del capitale conferito all'atto della sottoscrizione della sua quota sociale, se la società presa in considerazione, quand'anche fosse ancora iscritta nel registro delle imprese, sia stata nel triennio precedente inattiva, sicché il contribuente non ha da tale sua partecipazione societaria tratto alcun utile ostativo a dare inizio ad una sua nuova attività a regime fiscale di vantaggio, può beneficiare del regime per cui è causa.
Sul provvedimento
Testo completo
Con gravame ritualmente interposto e rassegnando le conclusioni di cui in epigrafe, l'ufficio impugnava la sentenza n. 543/2021, emessa in data 01.09/12.10.21 dalla Commissione Tributaria Provinciale di L'Aquila Sez. II, con la quale, in una alla condanna alle spese di lite giusta soccombenza, veniva accolto il ricorso del contribuente avverso l'avviso di accertamento ad oggetto IRPEF ed IVA per l'anno di imposta 2015, conseguente al denegato "regime fiscale di vantaggio" per contestuale possesso, da parte di esso contribuente, di una quota di partecipazione in s.a.s.. A fronte di una sentenza che, richiamato l'art. 27, c. 2, lett. a) D.L. 98/11 (ad oggetto le condizioni per beneficiare del regime fiscale di vantaggio, optato dal contribuente per l'anno in questione) aveva pronunciato nei suddetti termini sull'affermato principio che l'essere (contestualmente) socio accomandante (e, dunque, conferente il solo capitale relativo alla sottoscritta quota) di una società in accomandita semplice non equivale all'esercizio (ostativo) di attività di impresa, anche in forma associata, l'appellante, ripercorsi i fatti sostanziali e processuali posti a base del mezzo, denunciava la contrarietà a diritto della pronuncia, a motivo del fatto che 1)- non avrebbe tenuto in conto che l'accertamento fondava sulla mancata risposta del contribuente al questionario rivoltogli (violazione artt. 32 DPR 600/73 e 51 DPR 633/72), sicché non poteva giovare in suo favore quella che si vorrebbe essere una condizione (non tempestivamente comunicata) per beneficiare dell'optato regime di vantaggio;2)- non avrebbe fatto corretta applicazione del richiamato art. 27, atteso che, debitamente letta detta norma in combinazione con quella di cui all'art. 1, c. 99, L. 244/07, prevede che dal regime in questione sono esclusi gli esercenti attività d'impresa in forma individuale che contestualmente partecipano a società di persone o associazioni, così come pure riconosciuto e disposto nel provvedimento del direttore dell'AdE del 22.12.11 ed anche nella circolare 17/E del 30.05.12 della AdE-DCN. Da parte sua l'appellato, a suffragio della gravata sentenza, non senza denunciare la novità e, dunque, l'inammissibilità del primo motivo di gravame, rimarcando che l'accertamento aveva fondato le sue ragioni esclusivamente sul fatto che il contribuente avrebbe svolto una attività d'impresa, anche in forma associata, nei tre anni precedenti (quello per cui ha nuovamente optato per il regime fiscale di vantaggio), e non già sulla attuale pretesa che il medesimo non avesse risposto al riferito questionario, con riguardo al merito, deduceva, non solo, che la partecipata società, quand'anche ancora iscritta nel registro delle imprese, era inattiva, ma anche che la indiscussa qualifica di socio accomandante del contribuente, e, come tale, di persona conferente il solo capitale nella società partecipata, doveva indurre a far ritenere che, in linea con il dettato normativo, lo stesso non esercitasse quell'attività ostativa al beneficio del regime fiscale per cui è causa. Il ricorso veniva trattenuto a decisione all'esito di discussione alla pubblica udienza del 10.11.2022. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello non è meritevole di accoglimento per gli appresso spiegato motivi. A parte la mancata risposta ad un questionario e la novità o meno del motivo di gravame, è indiscusso che il regime di favore, optato dal contribuente, a mente dell'opposto accertamento, non sia stato riconosciuto per la qualifica di socio accomandante di esso contribuente nel periodo d'imposta precedente quello per il quale si intendeva beneficiare di detto regime. E' poi ovvio soggiungere che non possono i provvedimenti o le circolari dell'Amministrazione informare di contenuto le disposizioni di legge. E' altresì di tutta evidenza, come emerge dalla sua stessa lettura, che la norma in questione (art. 27, c. 2, lett. a, D.L. 98/11) presenta una sua autosufficienza precettiva che non necessita, per la sua interpretazione, di alcuna combinata lettura con altra norma, né tantomeno, come si vorrebbe da parte dell'appellante, con norme risalenti, attesi i pricipi che regolano l'"efficiacia della legge nel tempo" e l'"abrogazione delle leggi". Ebbene, detta norma prescrive che il "regime fiscale di vantaggio" non può essere optato laddove il contribuente abbia esercitato, nei tre anni precedenti l'inizio dell'attività per cui di detto regime fa richiesta, attività d'impresa, anche in forma associata o familiare. E' evidente allora che condizione ostativa sia l'esercizio di una attività d'impresa. A mente dell'art. 2320 c.c. il socio accomandante di una società in a.s. non può compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, tanto che a mente dell'art. 2313 c.c. non risponde per le obbligazioni sociali (se non limitatamente per la sola quota conferita) e che a mente dell'art. 2318 c.c. non gli può essere appunto conferita l'amministrazione della società. Ebbene, da un tale quadro normativo consegue che il socio accomodante, in quanto tale, non esercita, attraverso la gestione societaria (alla quale appunto non partecipa), alcuna attività d'impresa, essendo il suo ruolo limitato alla percezione, se del caso, degli utili in ragione del capitale conferito all'atto della sottoscrizione della sua quota sociale. Ove poi, e diversamente, si volesse ritenere che anche il socio accomandante eserciti, per il tramite della società a cui partecipa in forza del contratto sociale, una attività economica, e ciò a mente di quanto prevede, quale norma di carattere generale, l'art. 2247 c.c. (riferibile ad ogni tipo di società), v'è da osservare che, nel caso qui scrutinato, la società presa in considerazione, giusta quanto appunto risulta dalla documentazione prodotta in atti e non contestata, quand'anche fosse ancora iscritta nel registro delle imprese, sia stata, nel triennio precedente, inattiva, sicché il contribuente non ha da tale sua partecipazione societaria tratto alcun utile, ostativo a dare inizio ad una sua nuova attività a regime fiscale di vantaggio. Per tale motivo si deve dunque concludere che il contribuente, in quanto socio accomandante di una società per di più inattiva nel triennio precedente, possa beneficiare del regime per cui è causa. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.