Corte di Giustizia di secondo grado Veneto, sez. II, sentenza 19/01/2023, n. 66

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte di Giustizia di secondo grado Veneto, sez. II, sentenza 19/01/2023, n. 66
Giurisdizione : Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto
Numero : 66
Data del deposito : 19 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Fatto e svolgimento del processo di primo grado

L'Agenzia delle Entrate, condividendo le risultanze di un pvc redatto dalla Guardia di Finanza di Verona, notificava alla società contribuente un avviso di accertamento con cui, in forza dello strumento antielusivo previsto dall'art. 10 bis legge n. 212/2000, disconosceva l'applicazione del regime speciale IVA previsto dall'art. 34 DPR n. 633/72 recuperando per l'anno d'imposta 2014 una maggior imposta di ? 1.761.924,00.

La società contribuente, che svolgeva attività di allevamento di polli condotto attraverso contratti di soccida e di tacchini, attività questa esercitata in proprio, proponeva ricorso avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Verona che lo respingeva con la compensazione delle spese di giudizio.

Svolgimento del presente grado del giudizio

Avverso la sentenza ha proposto appello la società contribuente che ha sollevato i seguenti motivi di gravame:

1)Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 34 del D.P.R. n. 633/1973 e dell'art.10 bis della L. 212/2000: qualificazione della contribuente quale produttore agricolo e assenza di vantaggi fiscali indebiti.

2)Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art.34 del D.P.R. n. 633/1973: infondatezza della tesi dell'attività "diretta" nell'accezione accolta dai giudici e del conseguente elemento dell'inerenza.

3)Illegittimità della sentenza per violazione dell'art. 36, co.2 del D.Lgs. n. 546/1992: omessa e/o insufficiente pronuncia circa l'abusività dell'operazione contestata dall'Ufficio.

4)In ogni caso, infondatezza della contestazione di tipo abusivo per la sussistenza della sostanza economica dell'operazione.

5)Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma 1, del D.Lgs n. 472 del1997: inapplicabilità per assenza di dolo o colpa.

Parte appellante ha assunto le seguenti conclusioni "In via cautelare, ritenuta la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, sospendere la riscossione della sentenza e dell'atto impugnato;
in via preliminare, dichiarare la nullità della sentenza per difetto di motivazione, per quanto argomentato al punto 3;
in via principale e nel merito, accogliere i motivi d'appello di cui ai punti 1, 2 e 4, e per l'effetto dichiarare l'illegittimità dell'atto impugnato;
in via subordinata, nella denegata ipotesi di rigetto dell'appello, disporre la disapplicazione delle sanzioni irrogate, come indicato al punto 5. Chiede inoltre che Codesta Onorevole Commissione condanni l'Ufficio alla rifusione delle spese di giudizio, secondo quanto previsto dall'art. 15 del D.Lgs n. 546/92."

Parte appellata Agenzia delle Entrate si è ritualmente costituita sottolineando in via di fatto che la società contribuente svolge l'allevamento di pollame attraverso contratti di soccida mentre quello dei tacchini viene svolto in proprio ma incide solo in misura del 2,1% sul fatturato totale con margini economici modestissimi tanto che non sussiste inerenza tra tale attività astrattamente rientrante nell'alveo dell'art. 34 e i prodotti per i quali la società contribuente pretende di applicare il regime forfettario costituiti dalla vendita di uova e polli.

In forza del contratto di soccida la società appellante - soccidante provvede all'acquisto degli animali conferiti ai soccidari e del mangime ma tali beni non transitano mai attraverso le sue strutture così come le uova prodotte che vengono interamente cedute a società terza che provvede anche a ritirarli presso gli allevamenti.

Parte appellata ritiene quindi che il regime agevolato IVA di cui all'art. 34 non può essere esteso all'attività di soccida non sussistendo i requisiti.

Parte appellata ha concluso chiedendo "il rigetto dell'appello e la condanna del ricorrente alle spese del giudizio".

Parte appellante ha depositato memoria illustrativa in data 26/09/2022 con la quale ha ribadito quanto già dedotto con l'appello e richiamato l'orientamento assunto dalla Suprema Corte relativamente al contratto di soccida e alla qualificazione della figura di imprenditore e produttore agricolo.

La causa all'udienza del 14 ottobre 2022 è stata trattenuta a decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene la Corte che la sentenza impugnata non possa essere condivisa.

La Suprema Corte, con articolate sentenze n. 987 depositata il 14/01/2022 e n. 1146 depositata il 17/01/2022 che si condividono, hanno affrontato la problematica relativa alla qualifica del soccidante non ritenuta ostativa al riconoscimento di un'attività agricola per la quale possa trovare applicazione il regime speciale di cui al DPR n. 633/72 art. 34.

In particolare è stato ribadito: "Va quindi osservato che, ai sensi degli artt. 2170 e 2178 c.c., con il contratto di soccida due soggetti (il soccidante ed il soccidario) si associano per l'allevamento e lo sfruttamento del bestiame e per l'esercizio di attività connesse, al fine di ripartirsi l'accrescimento degli animali, gli utili e gli altri prodotti che ne derivano.

L'art. 2171 c.c., poi, disciplina la c.d. soccida semplice, in cui al soccidante compete il conferimento del bestiame, nonchè la direzione dell'impresa, che deve essere svolta secondo le tecniche del buon allevatore (art. 2173 c.c.), mentre il soccidario vè obbligato a conferire il lavoro necessario per la custodia e l'allevamento del bestiame apportato nonchè alla lavorazione dei prodotti ritratti dall'allevamento secondo le direttive del soccidante.

Il contratto di soccida si configura quale contratto agrario di tipo associativo per l'esercizio dell'attività di allevamento sicchè, ai sensi dell'art. 2135 c.c., lo stesso dà luogo ad un'imprese. agricola associata, di cui sono contitolari, sebbene con obbligazioni e funzioni diverse, sia il soccidante che il soccidario: entrambi, tuttavia, concorrono allo svolgimento comune dell'impresa in funzione della medesima finalità che è quella di allevare il bestiame per la successiva ripartizione degli utili e dei prodotti.

In sostanza, la circostanza che l'attività di allevamento viene svolta mediante il contratto di soccida semplice comporta che la stessa è da considerarsi una attività agricola, come si desume sia dalla sedes materiae (essendo il contratto di soccida inserito tra i contratti tipici agrari) che dalla espressa formulazione dell'art. 2170 c.c., secondo cui nella soccida il soccidante ed il soccidario "si associano per l'allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame", che, infine, dall'interpretazione sistematica, atteso che al soccidante è riconosciuta la direzione dell'impresa, quindi partecipa del rischio di impresa, al pari del soccidario.

In questo contesto, l'attività del soccidante non può essere configurata in termini di mero commercio di prodotti agricoli, posto che la vendita degli animali costituisce l'effetto finale di una attività a monte svolta dai soggetti associati nell'esercizio di una attività agricola in cui ciascuno svolge parte delle funzioni essenziali per la produzione, senza che possa ritenersi che il soccidante si limiti ad acquistare e rivendere gli animali, posto che, in tal caso, non sussisterebbe il rischio dell'attività di impresa, ancorato, invece, sulla circostanza che l'attività del soccidante (conferimento degli animali, direzione dell'attività) è basata sulla utile produzione degli animali allevati, che ha modo di realizzarsi anche in forza dell'assolvimento da parte del soccidante degli obblighi su di esso gravanti.

Indiretta conferma della assunzione della qualità di imprenditore agricolo sia del soccidante che del soccidario è la circostanza che il D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, art. 1 bis, comma 6, ha previsto che, in mancanza di un accordo esplicito tra soccidante e soccidario, i diritti PAC, che spettano al produttore agricolo, ossia a colui che svolge attività agricola, ai sensi dell'art. 2, reg. CE 1782/2003) vanno attribuiti, in eguale misura, ad entrambi i soggetti.

Quel che rileva, invero, è il fatto che, per effetto dello svolgimento di una impresa agricola in forma associata, il soccidante ed il soccidario condividono il comune rischio di impresa assunto con la stipula del contratto, sicchè gli stessi sono contitolari dell'impresa di allevamento e, quindi, sono entrambi imprenditori agricoli: il dato normativo, invero, attribuisce ad entrambi lo status di contitolari dell'impresa posto che, come detto, per il tramite del contratto di soccida, l'impresa è svolta congiuntamente dal soccidante e dal soccidario, sia pure con obbligazioni diverse.

Ne consegue che, essendo entrambi imprenditori agricoli, sulla cessione dei prodotti di cui alla tabella A, parte I, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, derivanti dal comune esercizio dell'impresa di allevamento, sia il soccidante che il soccidario possono avvalersi del regime speciale di detrazione dell'Iva di cui all'art. 34, cit.".

Si deve inoltre osservare che la normativa comunitaria non solo valorizza la natura associativa della soccida ritenendola espressione d'impresa agricola ma riconosce al soccidante la corresponsione degli aiuti comunitari ritenendo sussistere inerenza tra l'attività complessivamente svolta e i prodotti venduti non ponendo alcuna prescrizione e/o limitazione circa le modalità di esercizio dell'impresa agricola ai fini della fruizione del regime agevolativo.

La stessa normativa agevolativa di cui all'art. 34 della legge IVA è di derivazione comunitaria posto che trova il suo riferimento nella previsione contenuta nell'art. 25, direttiva n. 77/388 CEE, di contenuto sostanzialmente analogo a quello dell'art. 296 della successiva direttiva n. 112/2006 dove in sostanza viene individuato quale destinatario della disciplina agevolativa il produttore agricolo che svolge attività di anche nell'ambito di un'azienda agricola.

Nel caso di specie i contratti di soccida non sono contestati e costituiscono un'attività organizzata alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico che connota l'attività dell'imprenditore agricolo così come prevista dal novellato art. 2135 c.c.

L'appello va pertanto accolto e riformata l'impugnata decisione.

Ritiene la Corte che, stante la particolarità della materia trattata, debbano essere interamente compensate le spese anche del presente grado di giudizio.

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