Conclusioni dell’avvocato generale N. Emiliou, presentate il 7 settembre 2023.###

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Sul provvedimento

Citazione :
Conclusioni dell’avvocato generale N. Emiliou, presentate il 7 settembre 2023.###
Giurisdizione : Corte di Giustizia dell'Unione Europea
Numero : 62022CC0128
Data del deposito : 7 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 7 settembre 2023(1)

Causa C128/22

BV NORDIC INFO

contro

Belgische Staat

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Misure nazionali adottate per controllare la diffusione della pandemia di COVID-19 – Divieto di viaggi “non essenziali” verso e da paesi considerati ad alto rischio di contagio per i viaggiatori – Obblighi di quarantena e tampone per i residenti al loro rientro da tali paesi – Direttiva 2004/38/CE – Articoli 4 e 5 – Diritti di uscita e d’ingresso – Restrizione – Articolo 27, paragrafo 1, e articolo 29, paragrafo 1 – Giustificazione – Sanità pubblica – Proporzionalità – Verifiche effettuate al fine di garantire il rispetto delle restrizioni ai viaggi – Codice frontiere Schengen – Articolo 22 e articolo 23, paragrafo 1 – Distinzione tra “verifica di frontiera” ai sensi della prima disposizione ed “esercizio delle competenze di polizia” ai sensi della seconda – Possibilità di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne – Articolo 25, paragrafo 1 – Giustificazione – Nozione di “minaccia grave per l’ordine pubblico” – Rischio di gravi agitazioni nella società causate dalla pandemia – Proporzionalità»






I.      Introduzione

1.        Tra gli «interventi non farmaceutici» (2) messi in atto dalle autorità pubbliche di tutto il mondo al fine di controllare la diffusione della pandemia di COVID-19, le limitazioni alla mobilità delle persone hanno rivestito un ruolo preminente. Se i confinamenti hanno costituito gli interventi più drastici di tali misure, anche le restrizioni alla circolazione internazionale sono state collocate in prima linea nella risposta. Infatti, in vari momenti nel corso della pandemia, gli Stati hanno imposto divieti d’ingresso e/o di uscita dal loro territorio e hanno rafforzato i controlli di frontiera per farli rispettare.

2.        Gli Stati membri dell’Unione europea non hanno fatto eccezione a questa tendenza. Nel corso della «prima ondata» della pandemia, dal mese di marzo 2020 in avanti (3), non soltanto gli Stati membri essi hanno congiuntamente vietato l’ingresso nell’Unione europea, isolando parzialmente la «fortezza Europa» dal resto del mondo (4), ma anche le varie restrizioni alla mobilità transfrontaliera introdotte tra di essi si sono tradotte in un livello senza precedenti di chiusure delle frontiere all’interno dell’Unione europea (5).

3.        Sebbene la maggior parte di tali misure sia stata revocata verso la fine del mese di giugno 2020, diversi Stati membri, temendo una (allora) potenziale «seconda ondata» di COVID-19, hanno mantenuto, quale misura precauzionale, restrizioni ai movimenti internazionali. La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, proposta dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio) verte sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di alcune di tali misure, attuate dal governo belga all’inizio del mese di luglio 2020, consistenti nel divieto dei viaggi «non essenziali», in particolare verso e da determinati paesi considerati ad alto rischio di contagio per i viaggiatori;
in obblighi di quarantena e tampone imposti ai residenti in Belgio al momento del loro rientro da tali paesi;
e in verifiche effettuate alle frontiere belghe o nelle immediate vicinanze al fine di garantire il rispetto di tali restrizioni ai viaggi.

4.        La presente causa non è la prima causa concernente la COVID-19 a giungere dinanzi alla Corte. Non è neppure la prima volta che la Corte è stata chiamata a occuparsi della legittimità delle misure adottate per controllare la diffusione di una malattia epidemica (6). Tuttavia, sino ad ora, la Corte non era mai stata invitata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di misure precauzionali che, per la loro stessa natura e gravità, hanno fatto vacillare uno dei principali fondamenti e, di fatto, una delle principali conquiste dell’Unione europea, ossia la creazione di «uno spazio (...) senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone» (7). La presente causa pone in primo piano anche l’imperitura questione dell’equilibrio che, in una società democratica, le autorità pubbliche devono realizzare tra, da un lato, l’obiettivo legittimo di lottare in modo efficace contro le minacce incombenti sulla società e, dall’altro, i diritti fondamentali delle persone colpite dalle misure adottate a tal fine. Sebbene la Corte abbia già dovuto affrontare tale questione, segnatamente in riferimento alla lotta contro i reati e il terrorismo (8), essa dovrà occuparsene, per la prima volta, nel contesto della minaccia posta da una pandemia.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Direttiva sulla cittadinanza

5.        L’articolo 4 della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (9) (in prosieguo: la «direttiva sulla cittadinanza»), intitolato «Diritto di uscita», dispone, al paragrafo 1, che, «[s]enza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro».

6.        L’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Diritto d’ingresso», enuncia, al suo primo comma, che, «[s]enza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto».

7.        Il capo VI della direttiva sulla cittadinanza è intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica». All’interno di tale capo, l’articolo 27, intitolato «Principi generali», prevede, al suo paragrafo 1, che «[f]atte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione (...) di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici».

8.        Nello stesso capo, l’articolo 29 di tale direttiva, intitolato «Sanità pubblica», enuncia, al suo paragrafo 1, che «[l]e sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’Organizzazione mondiale della sanità [OMS] (...)».

2.      Codice frontiere Schengen

9.        L’articolo 22 del regolamento (UE) 2016/399, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (10) (in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»), intitolato «Attraversamento delle frontiere interne», stabilisce che «[l]e frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità».

10.      L’articolo 25 di tale codice, intitolato «Quadro generale per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne», ai suoi paragrafi 1 e 2 dispone quanto segue:

«1.      In caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro nello spazio senza controllo alle frontiere interne, detto Stato membro può in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima di trenta giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i trenta giorni. L’estensione e la durata del ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne non eccedono quanto strettamente necessario per rispondere alla minaccia grave.

2.      Il controllo di frontiera alle frontiere interne è ripristinato solo come misura di extrema ratio e in conformità degli articoli 27, 28 e 29. Ogniqualvolta si contempli la decisione di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27, 28 o 29, sono presi in considerazione i criteri di cui agli articoli 26 e 30, rispettivamente».

B.      Diritto belga

11.      Nel contesto di «misure urgenti» per limitare la diffusione della COVID-19 sul territorio del Belgio, il governo belga ha introdotto restrizioni ai viaggi. Tuttavia, le norme applicabili a tal riguardo sono state modificate nel corso del tempo. Tali sviluppi, per quanto rileva ai fini della presente causa, possono essere sintetizzati come segue.

12.      Inizialmente, tra il 23 marzo e il 15 giugno 2020, tutti i viaggi «non essenziali» dal Belgio e verso il Belgio erano, in linea di principio, vietati (11). In seguito, tra il 15 giugno e il 12 luglio 2020, ha trovato applicazione un’eccezione a tale divieto per quanto concerne i «paesi UE+». (12) I viaggi verso e da uno dei suddetti paesi erano permessi, purché consentiti dal paese in questione (13). Infine, il governo belga ha deciso che i viaggi «non essenziali tra il Belgio e i paesi in questione sarebbero stati disciplinati sulla base della situazione epidemiologica di ciascuno Stato.

13.      A tal fine, è stato introdotto l’articolo 18 del decreto ministeriale del 30 giugno 2020, recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19, come modificato dal Ministerieel besluit van 10 juli 2020 (decreto ministeriale del 10 luglio 2020) (Moniteur belge del 10 luglio 2020, pag. 51609) (in prosieguo, congiuntamente: il «decreto controverso»). Tale disposizione prevedeva quanto segue:

«§1      I viaggi non essenziali verso il Belgio e dal Belgio sono vietati.

§2      In deroga al paragrafo 1 (...) è permesso:

1°      viaggiare dal Belgio verso tutti i paesi dell’Unione europea, i paesi dello spazio Schengen e il Regno Unito, nonché viaggiare verso il Belgio dai suddetti paesi, ad eccezione dei territori designati come zone rosse, il cui elenco è pubblicato sul sito Internet del [Ministero degli Esteri belga];

(...)».

14.      Pertanto, a partire dal 12 luglio 2020 e fino a una data non precisata nella decisione di rinvio, le autorità belghe hanno utilizzato una classificazione per colori, mediante la quale i paesi UE+ erano classificati come «rossi», «arancioni» o «verdi» a seconda della loro situazione epidemiologica. La suddetta classificazione comportava quanto segue:

–        «verde» significava che i viaggi verso il paese in questione erano permessi, senza alcuna restrizione;

–        «arancione» significava che i viaggi verso il paese in questione erano sconsigliati, e che al rientro erano richiesti quarantena e tampone, benché non a titolo obbligatorio;

–        «rosso» significava che i viaggi verso il paese in questione erano vietati, e che al rientro i viaggiatori dovevano sottoporsi a quarantena e a un tampone obbligatorio (come previsto dalle norme della regione del Belgio interessata) (14).

15.      Ai fini della classificazione per colori di cui sopra, la valutazione della situazione epidemiologica di ciascun paese o regione era effettuata sulla base di una metodologia descritta in un parere scritto emesso da un organo consultivo del governo belga (15). I criteri chiave utilizzati erano, in primo luogo, il numero complessivo di nuovi contagi («incidenza») nei 14 giorni precedenti ogni 100 000 abitanti a livello nazionale o regionale (ove disponibili dati subnazionali), in secondo luogo, l’evoluzione dei tassi di contagio e, in terzo luogo, le eventuali misure di contenimento imposte a livello nazionale o regionale. Di conseguenza, i paesi erano classificati come segue:

–        «alto rischio» (vale a dire «rossi»), quando l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era 10 volte superiore a quella del Belgio (100 casi segnalati ogni 100 000 abitanti). Lo stesso si applicava anche alle aree situate all’interno di un paese in cui erano stati imposti confinamenti o misure più restrittive di quelle applicabili nel resto del territorio;

–        «rischio moderato» (vale a dire «arancioni») quando l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era da 2 a 10 volte superiore a quella del Belgio (tra 20 e 100 casi segnalati ogni 100 000 abitanti);

–        paesi a «basso rischio» (vale a dire «verdi»), cioè i paesi in cui l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era simile a quella del Belgio (meno di 20 casi segnalati ogni 100 000 abitanti).

16.      I dati sui contagi in ogni paese o regione (ove disponibili) erano forniti dall’ECDC, che riceveva tali dati, a sua volta, dai paesi interessati. Le informazioni sulle eventuali misure di contenimento in vigore in un determinato paese o regione erano ottenute e fornite dal Ministero degli Esteri belga. Il Celeval era incaricato di trasmettere informazioni relative alla classificazione per colori dei paesi almeno una volta a settimana.

17.      L’articolo 22 del decreto controverso prevedeva altresì che violazioni delle disposizioni, in particolare, dell’articolo 18 di tale decreto avrebbero comportato l’imposizione delle sanzioni previste dall’articolo 187 della legge del 15 maggio 2007 sulla sicurezza civile (16). Questa disposizione prevede, in sostanza, che l’omesso rispetto di tali misure, intenzionale o per negligenza, sia punito, in tempo di pace, con una pena detentiva da otto giorni a tre mesi e con una pena pecuniaria da EUR 26 a EUR 500, oppure con una soltanto di tali sanzioni. Essa prevede altresì che il ministro dell’Interno o, se del caso, il sindaco o il comandante di polizia della zona in questione «può anche far eseguire d’ufficio dette misure», a spese dei trasgressori.

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

18.      La Nordic INFO BV (in prosieguo: la «Nordic Info») è un operatore turistico stabilito in Belgio che organizza e vende viaggi verso i paesi nordici, in particolare verso la Svezia.

19.      Il 12 luglio 2020 la classificazione per colori dei paesi UE+, di cui all’articolo 18, paragrafo 2, punto 1°, del decreto controverso, è stata pubblicata, per la prima volta, sul sito Internet del Ministero degli Esteri belga. La Svezia è stata classificata con il colore «rosso» sulla base della sua situazione epidemiologica. Sebbene il Belgio non avesse applicato alcuna restrizione ai viaggi per quanto concerne detto paese fino al 15 giugno 2020 (17), per effetto di tale classificazione i viaggi «non essenziali» verso la Svezia e dalla Svezia sono stati vietati ai sensi di detta disposizione. Inoltre, gli obblighi di quarantena e tampone sono diventati obbligatori per i residenti in Belgio al loro rientro da tale paese, conformemente alle normative regionali applicabili.

20.      In seguito, la Nordic Info ha annullato tutti i viaggi programmati in Svezia per la stagione estiva 2020, ha informato della situazione i viaggiatori presenti in tale paese in quel momento e ha fornito loro assistenza ai fini del rientro in Belgio.

21.      Il 15 luglio 2020, la classificazione per colori dei paesi UE+ è stata aggiornata sul sito Internet del Ministero degli Esteri belga. Il codice colore della Svezia è passato da «rosso» ad «arancione». Pertanto, i viaggi «non essenziali» verso tale paese non erano più vietati, ma semplicemente sconsigliati, e cessavano di applicarsi ai residenti gli obblighi di quarantena e tampone al momento del loro rientro.

22.      La Nordic Info ha in seguito proposto un’azione di responsabilità civile nei confronti del Belgische Staat (Stato belga) dinanzi al Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese), chiedendo il risarcimento di un importo provvisorio pari a EUR 481 431,00, maggiorato degli interessi, nonché la nomina di un perito per valutare il danno definitivo da essa subito a causa dell’annullamento dei viaggi previsti verso la Svezia (18).

23.      La Nordic Info sostiene, in sostanza, che il governo belga è incorso in un errore di diritto nell’adottare le restrizioni ai viaggi di cui trattasi. Segnatamente, la ricorrente nel procedimento principale sostiene, in primo luogo, che tali misure erano contrarie alla direttiva sulla cittadinanza, poiché limitavano il diritto alla libera circolazione ivi garantito e nessuna base giuridica permetteva una siffatta deroga. In secondo luogo, dette misure avrebbero comportato, in pratica, il ripristino dei controlli di frontiera alle frontiere che il Belgio condivide con altri Stati membri, in violazione delle condizioni previste, a tal riguardo, dal codice frontiere Schengen.

24.      È in tali circostanze che il Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 2, 4, 5, 27 e 29 della [direttiva sulla cittadinanza], che danno attuazione agli articoli 20 e 21 del TFUE, debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del [decreto controverso]), che, con provvedimento generale:

–        impone ai cittadini belgi e ai loro familiari nonché ai cittadini dell’Unione che soggiornano nel territorio belga e ai loro familiari un divieto generale di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso;

–        impone a cittadini dell’Unione non belgi e ai loro familiari (che dispongano o meno di un diritto di soggiorno nel territorio belga) restrizioni all’ingresso (come quarantena e tamponi) per viaggi non essenziali da paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen verso il Belgio, che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso.

2)      Se gli articoli 1, 3 e 22 del codice frontiere Schengen debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del [decreto controverso]), che impone un divieto di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’UE e dello spazio Schengen e un divieto di ingresso da questi paesi verso il Belgio, che non solo può dar luogo a controlli e sanzioni, ma che può anche essere attuato d’ufficio dal Ministro, dal sindaco e dal comandante di polizia».

25.      La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, datata 7 febbraio 2022, è stata depositata il 23 febbraio 2022. La Nordic Info, i governi belga, rumeno, norvegese e svizzero, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. I governi belga, rumeno e norvegese, nonché la Commissione, sono stati rappresentati all’udienza tenutasi il 10 gennaio 2023.

IV.    Analisi

26.      La presente causa verte sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di due serie di misure connesse, ma distinte, attuate dal governo belga nel luglio del 2020 (19), per controllare la diffusione della COVID-19. In primo luogo, la causa riguarda determinate restrizioni in materia di viaggi, vale a dire, da un lato, un divieto di viaggi «non essenziali», che ha impedito ai viaggiatori di lasciare il territorio belga per viaggiare verso paesi che si ritenevano presentare un «alto rischio» di contagio nonché, fatta eccezione per i cittadini belgi e i residenti in Belgio, di entrare in detto territorio in provenienza dai suddetti paesi e, dall’altro, obblighi di quarantena e di tampone imposti ai cittadini e ai residenti (20) al loro rientro dai paesi in questione. In secondo luogo, la causa verte sull’effettuazione di verifiche, sulle persone che attraversavano o tentavano di attraversare le frontiere belghe, al fine di far rispettare le summenzionate restrizioni ai viaggi.

27.      Siffatte misure, in base al diritto dell’Unione, sono disciplinate da norme differenti. Da un lato, le restrizioni ai viaggi, nei limiti in cui sono applicate nei confronti di cittadini degli Stati membri (21) che intendano viaggiare all’interno dell’Unione europea, rientrano nell’ambito di applicazione di varie disposizioni del diritto primario e derivato dell’Unione che garantiscono a detti cittadini il diritto di libera circolazione. Questo tema si colloca al centro della prima questione pregiudiziale. Dall’altro lato, le verifiche di frontiera non sono disciplinate dalle disposizioni menzionate supra (22). Per quanto riguarda gli Stati membri ai quali si applica l’acquis di Schengen, come il Belgio (23), la legittimità di tali verifiche deve essere esaminata sulla base delle disposizioni del codice frontiere Schengen. Questo tema è al centro della seconda questione proposta dal giudice del rinvio.

28.      Esaminerò entrambe le questioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.

A.      Compatibilità delle restrizioni di viaggio controverse con le norme relative alla libera circolazione delle persone (prima questione)

29.      Ai fini della valutazione delle restrizioni ai viaggi controverse e alla luce del dibattito svoltosi dinanzi alla Corte, ritengo utile affrontare una serie di questioni, segnatamente sulle norme pertinenti in materia di libera circolazione (1), sulla loro portata territoriale (2), sulla misura in cui tali restrizioni hanno ostacolato l’esercizio dei diritti garantiti da dette norme (3), sulla possibilità per gli Stati membri di derogare al diritto dell’Unione, in via «eccezionale», nelle circostanze di cui trattasi (4) e, infine, sulla legittimità di tali restrizioni alla luce di dette norme (5).

1.      Norme pertinenti in materia di libera circolazione delle persone

30.      Restrizioni ai viaggi come quelle adottate dal Belgio costituiscono misure di portata generale che hanno colpito numerose persone. Le persone in questione possedevano status giuridici diversi – ad esempio cittadini degli Stati membri, o cittadini di paesi terzi titolari di un diritto di soggiorno in Belgio. Dette persone intendevano recarsi in vari luoghi o rientrare da tali luoghi – ad esempio un altro Stato membro o un paese terzo – e per scopi diversi – lavoro, famiglia, svago, e così via. A seconda di tali variabili, le stesse restrizioni di viaggio possono essere valutate alla luce di differenti norme di diritto nazionale, di diritto dell’Unione e di diritto internazionale, che disciplinano la circolazione transfrontaliera delle persone.

31.      Tuttavia, nell’ambito della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, non spetta alla Corte effettuare un controllo olistico della legittimità di tali misure. Il suo compito è, invece, fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile al giudice del rinvio ai fini della risoluzione della controversia di cui al procedimento principale, alla luce della situazione di fatto portata alla sua attenzione.

32.      Sotto questo profilo, la presente causa è un po’ inusuale. Infatti, la legittimità delle restrizioni ai viaggi in questione non è contestata da un determinato individuo, al quale è stato impedito di recarsi in un determinato luogo o di farvi rientro. Si tratta, invece, di un’azione di responsabilità civile proposta da una società che, in qualità di operatore turistico belga che organizza, segnatamente, viaggi verso la Svezia, è stata indirettamente colpita da tali restrizioni. Ciò premesso, dinanzi al giudice del rinvio, la Nordic Info non invoca la propria libertà di fornire servizi turistici transfrontalieri, quale tutelata da diverse disposizioni del diritto dell’Unione (24). Essa invoca, invece, il diritto alla libera circolazione di cui godono, in forza del diritto dell’Unione, i suoi clienti effettivi e potenziali, che si presumono essere cittadini degli Stati membri. Pertanto, la Corte dovrebbe limitarsi, nella presente causa, a esaminare, essenzialmente, le norme connesse a tale diritto.

33.      Osservo che, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, i cittadini degli Stati membri hanno lo status di cittadini dell’Unione. Tale status conferisce loro, in particolare, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, nonché dell’articolo 45, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (25), il diritto di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri, indipendentemente dalla finalità, incluso il turismo. Tale diritto deve essere esercitato secondo le condizioni previste dagli strumenti di diritto derivato adottati ai fini della sua attuazione (26), segnatamente dalla direttiva sulla cittadinanza (27).

34.      Il diritto di libera circolazione garantito ai cittadini dell’Unione è costituito da due componenti. Esso implica, in primo luogo, un diritto di uscita, espresso all’articolo 4 della direttiva sulla cittadinanza. Si tratta del diritto di ogni cittadino dell’Unione di lasciare il territorio di uno Stato membro, compreso il proprio (28), per recarsi in un altro Stato membro (29), alla sola condizione di essere munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e, lo ribadisco, indipendentemente dalla finalità dell’uscita (30). Pertanto, la situazione dei cittadini belgi e degli altri cittadini dell’Unione che hanno tentato di lasciare il territorio belga al fine di recarsi in Svezia per una vacanza ricade in tale diritto (31).

35.      Tale diritto di libera circolazione implica, in secondo luogo, un diritto d’ingresso, anche se, a tal riguardo, il contesto normativo è leggermente più complesso. In sostanza, da un lato, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza conferisce ai cittadini di uno Stato membro il diritto di entrare nel territorio di un altro Stato membro, alla sola condizione che essi siano muniti di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e, anche in tal caso, indipendentemente dalla finalità dell’ingresso. Dall’altro lato, tale disposizione non disciplina l’ingresso dei cittadini dell’Unione nel loro Stato membro (32). Ciò premesso, in primo luogo, il diritto di una persona di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadina deriva da un principio consolidato di diritto internazionale, riaffermato, in particolare, all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU (33). In secondo luogo, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE si applica alla situazione specifica di un cittadino dell’Unione che rientri nel proprio Stato membro dopo aver esercitato il suo diritto di libera circolazione viaggiando all’estero. (34) In definitiva, nel caso di specie, i cittadini belgi e gli altri cittadini dell’Unione beneficiavano di un diritto d’ingresso nel territorio belga a seguito, ad esempio, di un viaggio turistico in Svezia, anche se in forza di basi giuridiche differenti.

2.      Se tali norme si applichino alla circolazione delle persone tra il Belgio e lIslanda o la Norvegia

36.      In questa fase delle presenti conclusioni desidero affrontare una questione che, sebbene secondaria, ha tuttavia occupato una parte importante del dibattito dinanzi alla Corte. Più precisamente, dalla decisione di rinvio risulta che la Nordic Info organizza sistematicamente viaggi non soltanto verso la Svezia, ma anche verso l’Islanda e la Norvegia. Sebbene questi paesi non facciano parte dell’Unione europea, essi fanno parte dello spazio Schengen. (35) Pertanto, le restrizioni ai viaggi controverse si applicavano, nei loro confronti, esattamente come nei confronti degli Stati membri (36). In tale contesto, il giudice del rinvio indica che, sebbene la domanda di risarcimento presentata dalla Nordic Info sia incentrata sul danno da essa subito a causa dell’annullamento di viaggi verso la Svezia, detta società «non esclude altre voci di danno». Tale giudice sembra quindi indicare che la ricorrente potrebbe, in una fase successiva del procedimento principale, rivedere o, quantomeno, precisare la sua domanda al fine di includervi l’eventuale annullamento di viaggi verso l’Islanda e/o la Norvegia. Di conseguenza, il giudice del rinvio ha fatto riferimento, nella sua prima questione, ai cittadini dell’Unione che intendevano viaggiare dal Belgio verso determinati «paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen» (e viceversa).

37.      Alla luce di quanto precede, la Corte ha chiesto agli intervenienti, in udienza, se, ed eventualmente in quale misura, le norme in materia di libera circolazione delle persone previste dalla direttiva sulla cittadinanza si applichino in riferimento all’Islanda e alla Norvegia.

38.      Al pari dei governi belga e rumeno, non sono convinto del fatto che la Corte debba affrontare tale questione nella sentenza che pronuncerà nella presente causa. Oltre al fatto che il giudice del rinvio non chiede chiarimenti a tal riguardo, dato che sembra certo della risposta (37), non è certo che fornire un chiarimento del genere d’ufficio possa essere utile a tale giudice ai fini della risoluzione della controversia di cui è investito. Infatti, la Corte formulerebbe, in sostanza, un parere consultivo su una questione che, nella fase in cui si trova il procedimento principale, è una questione fortemente ipotetica (38), al fine di tener conto dell’eventualità che, in seguito, essa possa divenire rilevante qualora la Nordic Info modifichi o precisi la sua domanda. Di norma, la Corte rifiuta, a ragione, di seguire un siffatto approccio speculativo nell’ambito di un procedimento pregiudiziale (39).

39.      Qualora la Corte decida, ciò nonostante, di pronunciarsi su tale questione, formulerò le seguenti osservazioni, in via subordinata.

40.      In generale, le norme in materia di libera circolazione delle persone previste nel Trattato FUE e gli strumenti di diritto derivato adottati ai fini della loro attuazione disciplinano, come ho già affermato, la situazione dei cittadini dell’Unione che viaggiano tra gli Stati membri, e non la circolazione delle persone tra uno Stato membro, quale il Belgio, e un paese terzo, come l’Islanda o la Norvegia. La circostanza che questi ultimi paesi facciano parte dello spazio Schengen è irrilevante a tal riguardo, poiché le norme di cui trattasi non fanno parte dell’acquis Schengen.

41.      Tuttavia, l’Islanda e la Norvegia sono parti contraenti anche dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (40) (in prosieguo: l’«accordo SEE»), unitamente a tutti gli Stati membri dell’Unione europea e all’Unione stessa. Tale accordo contiene, nei suoi allegati (41), due riferimenti espressi alla direttiva sulla cittadinanza, sin dall’entrata in vigore della decisione del Comitato misto SEE n. 158/2007 del 7 dicembre 2007 (42) (in prosieguo: la «decisione del Comitato misto»). Mediante tali riferimenti, la direttiva è stata incorporata nel diritto SEE, con alcuni adeguamenti minori (43), ed è vincolante, di conseguenza, per le parti contraenti di tale accordo (44).

42.      Ciò premesso, dato che gli allegati in questione sono dedicati, rispettivamente, alla libera circolazione dei lavoratori e al diritto di stabilimento, e che ciascuno di essi indica che la direttiva sulla cittadinanza «si applica, ove opportuno, ai settori contemplati [dall’allegato in questione]», resta da chiarire se tale direttiva sia stata integrata nell’accordo SEE solo parzialmente, unicamente per quanto concerne la circolazione dei cittadini degli Stati membri dell’Unione e degli Stati EFTA all’interno dello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE») ai fini specifici dello svolgimento di un’attività dipendente o autonoma, oppure totalmente, così da disciplinare detta circolazione a qualsiasi fine, come avviene all’interno dell’Unione europea (45). In tale contesto, la questione se persone «non economicamente attive», vale a dire persone quali studenti, pensionati, e così via, che non sono lavoratori dipendenti o autonomi, beneficino, all’interno del SEE, del diritto alla libera circolazione garantito da tale direttiva è stata particolarmente dibattuta dinanzi alla Corte.

43.      Infatti, mentre l’accordo SEE contiene, al pari del Trattato FUE, disposizioni che garantiscono la libera circolazione delle persone a fini economici (46), esso non contiene disposizioni analoghe agli articoli 20 e 21 TFUE, che disciplinano la circolazione all’interno dell’Unione europea di detti cittadini «non economicamente attivi». La stessa nozione di «cittadinanza dell’Unione», infatti, non possiede un equivalente in detto accordo (47).

44.      Mentre la Corte non si è ancora pronunciata a tal riguardo, la Corte EFTA (48) lo ha già fatto. Nella sua sentenza nella causa Gunnarsson (49), tale giudice ha stabilito che la direttiva sulla cittadinanza si applica alla circolazione delle persone «non economicamente attive» all’interno del SEE, indipendentemente dall’assenza, nell’accordo SEE, di una disposizione equivalente agli articoli 20 e 21 TFUE. In sostanza, la Corte EFTA ha ricordato che il diritto di libera circolazione delle persone non economicamente attive era già garantito nel diritto dell’Unione e nel diritto SEE prima dell’introduzione della nozione di «cittadinanza dell’Unione» e che le relative disposizioni, contenute in varie direttive (50), erano state incorporate sin dall’inizio in tale accordo. La direttiva sulla cittadinanza ha abrogato e sostituito tali direttive e la decisione del Comitato misto ha introdotto questi sviluppi nel diritto SEE. Sebbene la circolazione delle persone «non economicamente attive» sia ormai collegata, nel diritto dell’Unione, alla nozione di «cittadinanza dell’Unione», e sebbene quest’ultima non abbia un equivalente nel diritto SEE, ciò non significa, secondo la Corte EFTA, che i singoli debbano essere «privati di diritti che hanno già acquisito» in forza di tale accordo prima dell’introduzione di detta nozione e che «sono stati mantenuti» da tale direttiva (51).

45.      Evidentemente, la Corte non è vincolata alle sentenze della Corte EFTA. Ciononostante, a mio avviso, il principio di diritto internazionale generale del rispetto degli impegni contrattuali (pacta sunt servanda) (52), le «relazioni privilegiate tra l’Unione, i suoi Stati membri e gli Stati dell’[EFTA]» (53), nonché la necessità di garantire, per quanto possibile, l’applicazione uniforme dell’accordo SEE in tutte le parti contraenti, implicano che la Corte debba tener conto di tali decisioni ai fini dell’interpretazione di detto accordo (54). Suggerisco, quindi, di conformarsi a tali decisioni, salvo che sussistano motivi imperativi per procedere diversamente.

46.      A mio avviso, questa riserva non si applica nel caso di specie. Infatti, il ragionamento della Corte EFTA nella sentenza Gunnarsson è inoppugnabile. Il fatto che il diritto SEE non preveda una «cittadinanza del SEE» non giustifica una riduzione dell’ambito di applicazione sostanziale di una direttiva che è stata incorporata, in quanto tale, nell’accordo SEE. Del resto, talune disposizioni della direttiva sulla cittadinanza si rivolgono specificamente alle persone economicamente non attive (55). Se il Comitato misto avesse avuto l’intenzione di escludere tali persone dall’ambito di applicazione di detta direttiva nel diritto SEE, avrebbe potuto facilmente includere una riserva espressa in relazione a tali disposizioni. Tuttavia, nella decisione del Comitato misto non figura alcuna riserva di tal genere. Di conseguenza, soltanto i diritti che non trovano un fondamento giuridico nella direttiva stessa, e che derivano unicamente dagli articoli 20 e 21 TFUE, non sono applicabili all’interno del SEE, a causa della mancanza di disposizioni equivalenti nell’accordo SEE (56).

47.      In sintesi, le norme della direttiva sulla cittadinanza disciplinano, a mio avviso, anche la circolazione dei cittadini degli Stati membri dell’Unione e degli Stati EFTA all’interno del SEE per qualsiasi scopo. Di conseguenza, dette persone godono, alle condizioni previste in tale direttiva, di un diritto di libera circolazione, in particolare, fra il Belgio e l’Islanda o la Norvegia (57), anche per turismo.

3.      Le restrizioni ai viaggi controverse hanno ostacolato lesercizio del diritto alla libera circolazione garantito da tali norme

48.      È pacifico che restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi nel procedimento principale hanno ostacolato l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, del loro diritto di libera circolazione.

49.      In primo luogo, il divieto di viaggi «non essenziali», applicandosi ai cittadini dell’Unione che intendevano lasciare il territorio belga per recarsi in Stati membri classificati come «rossi» nell’ambito della classificazione per colori di cui trattasi, ha limitato, in modo drastico, il diritto di uscita garantito, in particolare, dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Ciò è vero a prescindere dal fatto che i viaggi verso altri Stati membri (segnatamente quelli classificati come «verdi» o «arancioni») siano rimasti, di converso, esenti da restrizioni. È sufficiente, a mio avviso, che tali persone non abbiano potuto recarsi liberamente nello Stato di loro scelta (58). Per quanto riguarda gli Stati membri «rossi», la possibilità per i cittadini dell’Unione di esercitare il diritto di uscita è stata notevolmente ostacolata. Infatti, tale diritto è stato negato riguardo a numerosi motivi di viaggio, compreso il turismo. Inoltre, nella parte in cui si applicava a cittadini dell’Unione, fatta eccezione per i cittadini belgi (59) e per i cittadini di altri Stati membri residenti in Belgio (60), che intendessero fare ingresso nel territorio del Belgio in provenienza da uno Stato membro «rosso», il divieto di viaggi controverso ha limitato, in modo altrettanto grave, il diritto d’ingresso garantito, in particolare, dall’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, per ragioni analoghe.

50.      In secondo luogo, nella misura in cui si applicavano a cittadini dell’Unione non belgi residenti in Belgio, al loro rientro da un viaggio «non essenziale» in uno Stato membro «rosso», gli obblighi di quarantena e tampone hanno limitato anche il diritto d’ingresso previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. In particolare, l’obbligo di quarantena ha limitato drasticamente la possibilità di circolare nel territorio belga, il che ha prodotto, a mio avviso, un effetto equivalente a ritardare l’ingresso in tale territorio. Nella parte in cui sono stati applicati ai cittadini belgi, nelle stesse circostanze, tali obblighi, pur esulando dall’ambito di applicazione del principio riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU (61), hanno limitato, a mio avviso, il diritto di libera circolazione, quale garantito dall’articolo 21 TFUE, per ragioni analoghe.

4.      Possibilità «eccezionale» di derogare al diritto dellUnione ai sensi dellarticolo 347 TFUE

51.      Tenuto conto di alcuni degli argomenti dedotti dagli intervenienti dinanzi alla Corte, in questa fase delle presenti conclusioni desidero svolgere una considerazione importante per quanto concerne la possibilità, per gli Stati membri, di derogare al diritto dell’Unione durante la pandemia di COVID-19.

52.      Infatti, detti intervenienti sostengono che la pandemia ha costituito, almeno durante i suoi mesi iniziali, una «crisi», che ha richiesto un intervento urgente delle autorità pubbliche. Osservo, a tal riguardo, che diversi Stati membri hanno dichiarato, in vari momenti nel corso della pandemia, uno «stato di emergenza», che ha comportato una sospensione temporanea o una deroga a norme ordinarie nei loro territori, al fine di attuare le misure urgenti ritenute necessarie per far fronte a tale crisi. Di fatto, molte di dette misure, in particolare i confinamenti generalizzati, hanno ricordato quelle applicabili in tempo di guerra.

53.      Ciò solleva la questione se, per valutare le misure controverse, debba essere applicato un quadro giuridico «eccezionale» in luogo delle norme «ordinarie» dell’Unione e delle loro eccezioni «ordinarie». A tal riguardo, ricordo che l’articolo 347 TFUE prevede una «clausola di salvaguardia», che, in sostanza, riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare le misure che ritengano necessarie, in particolare, nell’eventualità di «gravi agitazioni interne che turbino l’ordine pubblico» (62). Tale disposizione, che non è mai stata interpretata dalla Corte, potrebbe teoricamente consentire, in siffatte circostanze, una deroga generale all’insieme delle norme di tale Trattato e di quelle adottate sul suo fondamento, ivi comprese le varie disposizioni relative alla libera circolazione delle persone (63). Va da sé che la questione se e, eventualmente, in quale misura si possa ritenere che la pandemia di COVID-19 abbia causato siffatte «gravi agitazioni interne» negli Stati membri (64), così come la questione concernente eventuali ulteriori condizioni e limiti connessi alla summenzionata «clausola di salvaguardia», sono estremamente delicate.

54.      Ciò premesso, oltre al fatto che il governo belga non ha invocato l’articolo 347 TFUE (65) dinanzi alla Corte o in altre sedi, sarebbe in ogni caso necessario pronunciarsi su tale disposizione soltanto qualora misure nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale non possano essere giustificate alla luce delle norme «ordinarie» del diritto dell’Unione e delle loro eccezioni «ordinarie» (66). Tuttavia, come spiegherò nel prosieguo delle presenti conclusioni, dette norme sono sufficientemente flessibili da poter tener conto della particolarità della situazione di cui trattasi.

5.      Legittimità delle restrizioni ai viaggi controverse alla luce delle clausole derogatorie previste nella direttiva sulla cittadinanza

55.      Anche ai sensi del diritto «ordinario» dell’Unione, il diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione non è assoluto. Sono ammesse restrizioni (67). Tuttavia, per essere compatibile con il diritto dell’Unione, qualsiasi restrizione deve rispettare, segnatamente, le condizioni ivi enunciate. Nella misura in cui le restrizioni ai viaggi controverse rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sulla cittadinanza, esse devono essere valutate alla luce delle condizioni previste al capo VI di tale strumento. Inoltre, nella parte in cui tali restrizioni si applicavano ai cittadini belgi che facevano rientro in Belgio dopo aver esercitato il loro diritto di libera circolazione, ricordo che, sebbene tale situazione non ricada nell’ambito di applicazione della direttiva sulla cittadinanza, bensì dell’articolo 21 TFUE, le condizioni di deroga previste da tale direttiva si applicano in via analogica (68).

56.      In apertura del capo VI, l’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza contiene la regola generale secondo cui gli Stati membri possono limitare la «libertà di circolazione» dei cittadini dell’Unione per motivi di «ordine pubblico», di «pubblica sicurezza» o di «sanità pubblica». Detta regola generale è precisata nel resto di tale capo. In particolare, l’articolo 29, paragrafo 1, di tale direttiva disciplina la possibilità, per gli Stati membri, di limitare detta «libertà» per motivi di «sanità pubblica». Per quanto riguarda la legittimità di misure nazionali adottate sulla base di tali motivi, queste due disposizioni devono quindi essere interpretate congiuntamente. Insieme, esse impongono una serie di condizioni che saranno esposte più dettagliatamente nel prosieguo e che devono essere rispettate in tutti i casi (69).

57.      Mentre il governo belga invoca l’articoli 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, tanto dinanzi al giudice del rinvio quanto dinanzi alla Corte, la Nordic Info sostiene che, indipendentemente dalla questione se le condizioni ivi enunciate siano soddisfatte, tali disposizioni non possono riguardare restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi nel procedimento principale. Ciò richiede una discussione astratta sull’ambito di applicazione di dette disposizioni (a), prima di effettuare una valutazione specifica di tali misure alla luce delle condizioni in questione (b).

a)      Ambito di applicazione dellarticolo 27, paragrafo 1, e dellarticolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza

58.      Secondo la Nordic Info, l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza non sono, in termini generali, sufficientemente ampi da disciplinare, in tutto o anche solo in parte, restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi, poiché dette disposizioni permettono restrizioni al diritto d’ingresso, e non al diritto di uscita (1) e, in ogni caso, permettono soltanto restrizioni «individuali» alla libera circolazione, e non restrizioni «generali» (2). Esaminerò tali obiezioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.

1)      Possibilità di limitare sia il diritto d’ingresso, sia il diritto di uscita

59.      Ricordo che l’articolo 27, paragrafo 1, interpretato in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza consente agli Stati membri di limitare la «libertà di circolazione» per motivi di sanità pubblica, senza precisare il tipo di misure che possono essere adottate dalle autorità nazionali.

60.      In primo luogo, tali termini comprendono le eventuali restrizioni al diritto d’ingresso previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Ciò include, da un lato, un eventuale divieto d’ingresso nel territorio di uno Stato membro. Si applicano, tuttavia, riserve. Tale disposizione non può mai essere utilizzata da uno Stato membro per rifiutare l’ingresso nel suo territorio ai propri cittadini, per il semplice motivo che (i) detta direttiva non trova applicazione in tale situazione e (ii) vi osta il principio riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 della CEDU (70). Inoltre, dall’articolo 29, paragrafo 2, della direttiva sulla cittadinanza discende che uno Stato membro non può vietare, per motivi di «sanità pubblica», l’ingresso nel proprio territorio – ad esempio dopo un viaggio in Svezia – ai cittadini di altri Stati membri ivi residenti (71). Dall’altro lato, uno Stato membro può, in linea di principio, imporre ai cittadini dell’Unione ai quali non può essere vietato l’ingresso nel territorio nazionale altri tipi di restrizioni al loro ingresso, che non producano un effetto equivalente a un diniego. Gli obblighi di quarantena e di tampone imposti ai residenti belgi al loro rientro da paesi ad «alto rischio» rientrerebbero in questa categoria (72).

61.      In secondo luogo, ritengo che, a differenza di quanto sostiene la Nordic Info, nell’articolo 27, paragrafo 1, e nell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza possano rientrare anche eventuali restrizioni al diritto di uscita previsto all’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva, quale un divieto di uscita (73). Sebbene il titolo del capo VI possa indurre in errore il lettore a tal riguardo (74), in primo luogo, è chiaro che l’espressione «libertà di circolazione» ivi utilizzata è sufficientemente ampia da ricomprendere tale diritto. In secondo luogo, dal fatto che l’articolo 29, paragrafo 2, si occupi, in sostanza, di una misura specifica, segnatamente il diniego d’ingresso, non discende che soltanto le restrizioni al diritto d’ingresso siano ammesse per motivi di «sanità pubblica», poiché lo scopo di detta disposizione non è elencare tutte le restrizioni ammissibili alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, bensì, semplicemente, circoscrivere l’uso di tale misura. Inoltre, la suddetta interpretazione è conforme all’obiettivo perseguito dalla deroga per motivi di «sanità pubblica», prevista da tali disposizioni, obiettivo che, come risulta dalla formulazione di quest’ultima disposizione, consiste nel consentire a uno Stato membro di proteggere il suo territorio e la sua popolazione dalla diffusione di determinate malattie infettive o contagiose. È vero che i redattori dell’articolo 29, paragrafo 1, avevano (probabilmente) in mente l’esempio dello Stato membro che impedisce ai viaggiatori affetti da tali malattie di entrare nel suo territorio e di «portare con loro» la malattia. Ciò premesso, la protezione del territorio di uno Stato può anche, in talune situazioni, giustificare restrizioni all’uscita dei propri residenti, per impedire loro di «riportare con loro» dette malattie al momento del rientro (75). Infine, tale interpretazione è confermata dai lavori preparatori (76) della direttiva sulla cittadinanza (77).

2)      Possibilità di limitare la libera circolazione mediante misure generali

62.      Le misure nazionali di cui trattasi nella causa principale avevano portata generale. Infatti, il divieto di viaggi e gli obblighi di quarantena e tampone si applicavano sistematicamente a categorie astratte e ampie di persone in situazioni oggettivamente determinate, ossia a persone che viaggiavano da uno Stato membro ad «alto rischio» o verso tale Stato per uno scopo «non essenziale», persone che viaggiavano da o verso paesi non appartenenti allo spazio Schengen, e così via.

63.      Tuttavia, la Nordic Info sostiene che soltanto misure individuali restrittive del diritto alla libera circolazione possono essere giustificate sulla base dell’articolo 27, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Misure di questo genere potrebbero essere adottate soltanto caso per caso, qualora una valutazione individuale della situazione di una determinata persona riveli che quest’ultima rappresenta un pericolo per la sanità pubblica, poiché presenta sintomi di una delle malattie menzionate in tale disposizione o è stata esposta a dette malattie, e sussiste quindi il rischio effettivo che essa sia stata contagiata e possa diffondere la malattia.

64.      Al pari dei governi belga, rumeno e norvegese, nonché della Commissione, ritengo che restrizioni generali alla libera circolazione possano essere adottate, in forza dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, per motivi di «sanità pubblica», senza necessità di una siffatta valutazione caso per caso (78).

65.      In primo luogo, tali disposizioni si riferiscono, rispettivamente, alle «limita[zioni]» che gli Stati membri possono introdurre, nonché alle «misure restrittive della libertà di circolazione» che essi possono adottare per motivi di «sanità pubblica». Questi termini ampi sono in grado di includere misure sia individuali che generali.

66.      In secondo luogo, l’impianto generale del capo VI della direttiva sulla cittadinanza avvalora tale interpretazione. Infatti, mentre l’articolo 27, paragrafo 2, stabilisce, per quanto riguarda i provvedimenti adottati per motivi di «ordine pubblico» o di «pubblica sicurezza», che essi «sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati» e che «[g]iustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione», l’articolo 29 non menziona siffatto requisito per quanto concerne le misure adottate per motivi di «sanità pubblica» (79).

67.      È vero che tale differenza di formulazione non può, di per sé, essere decisiva. Il testo della direttiva sulla cittadinanza non è esente da incoerenze (80). In passato, la Corte ha esteso, a ragione, la necessità di una valutazione individuale ad altre disposizioni della direttiva sulla cittadinanza che non la menzionano espressamente. Essa lo ha fatto, in particolare, nella sentenza nella causa