CGUE, Conclusioni dell'avvocato generale della Corte, 30/01/2020

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Sul provvedimento

Citazione :
CGUE, Conclusioni dell'avvocato generale della Corte, 30/01/2020
Giurisdizione : Corte di Giustizia dell'Unione Europea
Numero : 62018CC0452
Data del deposito : 30 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 30 gennaio 2020 ( 1 )

Causa C‑452/18

XZ

contro

I Banco, SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado de Primera Instancia e Instrucción no 3 de Teruel (Giudice di primo grado e istruzione n. 3 di Teruel, Spagna)]

«Rinvio pregiudiziale – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Contratto di mutuo ipotecario – Clausola di limitazione della variabilità del tasso d’interesse (clausola di tasso minimo) – Mancanza di trasparenza – Carattere abusivo – Conclusione tra le parti di un accordo che comporta novazione della clausola di tasso minimo, conferma della validità del contratto di mutuo ipotecario e rinuncia reciproca a contestarlo in sede giurisdizionale – Compatibilità con la direttiva 93/13 – Presupposti»

I. Introduzione

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame è stata presentata dallo Juzgado de Primera Instancia e Instrucción no 3 de Teruel (Giudice di primo grado e istruzione n. 3 di Teruel, Spagna) nell’ambito di una controversia tra XZ e l’I Banco, SA (in prosieguo: l’«I»). In sostanza, le parti nel procedimento principale erano vincolate da un contratto di mutuo ipotecario a tasso d’interesse variabile. Tale contratto prevedeva una clausola «di tasso minimo» [c.d «cláusula suelo»] che limitava la variabilità di detto tasso. Una sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) ha messo in discussione la compatibilità di una simile clausola con la normativa spagnola che traspone la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori ( 2 ). In detto contesto, XZ e l’I hanno concluso un accordo, sulla cui definizione giuridica controvertono, che comporta novazione della clausola di cui trattasi, conferma della validità del contratto in parola e rinuncia reciproca a contestarlo in sede giurisdizionale.

2.

Con le sue questioni, il giudice del rinvio interpella la Corte sulla compatibilità di un siffatto accordo con la direttiva 93/13. Esse offrono alla Corte l’occasione di pronunciarsi per la prima volta sul punto se, ed eventualmente a quali condizioni, un consumatore possa rinunciare contrattualmente ad avvalersi del carattere abusivo, ai sensi della citata direttiva, di una determinata clausola. Da siffatta problematica dipende, in particolare, l’ampiezza dell’autonomia di cui dispongono un consumatore e un professionista per confermare o novare una clausola contrattuale potenzialmente abusiva, o, altresì, concludere accordi amichevoli, segnatamente transazioni, al fine di risolvere in via stragiudiziale le loro liti in materia.

3.

Nelle presenti conclusioni chiarirò che la direttiva 93/13 non vieta, in linea di principio, a un consumatore e a un professionista di concludere un accordo che comporti la rinuncia da parte del consumatore a far valere il carattere abusivo di una clausola preesistente. Accordi del genere devono, tuttavia, rispettare i requisiti posti da detta direttiva e, in particolare, l’imperativo di trasparenza previsto nella medesima. Proporrò, quindi, alla Corte di adottare un approccio che consenta, segnatamente, di preservare la validità delle «vere» transazioni amichevoli concluse con piena cognizione di causa da parte dei consumatori, condannando al contempo quelle imposte dai professionisti che solo apparentemente sono tali.

II. Contesto normativo

A.   Direttiva 93/13

4.

L’articolo 3 della direttiva 93/13 così dispone:

«1. Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.



2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.

Il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l’applicazione del presente articolo alla parte restante di un contratto, qualora una valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un contratto di adesione.

Qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova.



3. L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive».

5.

L’articolo 4 di detta direttiva prevede quanto segue:

«1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.



2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

6.

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva in parola:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

7.

L’allegato della direttiva medesima, intitolato «Clausole di cui all’articolo 3, paragrafo 3», menziona, al punto 1, lettera q), le clausole che hanno per oggetto o per effetto di «sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mezzi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra parte del contratto».

B.   Diritto spagnolo

8.

La direttiva 93/13 è stata trasposta nel diritto spagnolo, essenzialmente, dalla Ley 7/1998 sobre condiciones generales de la contratación (legge 7/1998 relativa alle condizioni generali di contratto), del 13 aprile 1998, che è stata rifusa, insieme ad altre disposizioni che trasponevano diverse direttive dell’Unione in materia di tutela dei consumatori, dal Real Decreto Legislativo 1/2007 por el que se aprueba el texto refundido de la Ley General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios y otras leyes complementarias [regio decreto legislativo 1/2007, che approva il testo consolidato della legge generale relativa alla tutela dei consumatori e degli utenti e di altre leggi complementari (in prosieguo: il «regio decreto legislativo 1/2007»)], del 16 novembre 2007.

9.

L’articolo 10 del regio decreto legislativo 1/2007 dispone quanto segue:

«La rinuncia preventiva ai diritti che la presente normativa conferisce ai consumatori e agli utenti è nulla, al pari degli atti compiuti in frode alla legge, conformemente all’articolo 6 del codice civile [spagnolo]».

10.

L’articolo 83 del regio decreto legislativo 1/2007, al paragrafo 1, prevede che «[l]e clausole abusive sono nulle ipso iure e si considerano non apposte».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

11.

Con atto autentico del 23 dicembre 2011, XZ acquistava un immobile presso un promotore. Tale immobile era gravato da ipoteca, costituita a favore della Caja de Ahorros de la Inmaculada de Aragón, a garanzia della restituzione di un mutuo concesso da quest’ultima al citato promotore, sulla base di un contratto datato 23 luglio 2010 ( 3 ). Acquistando detto immobile, XZ subentrava al suddetto promotore nel relativo contratto.

12.

Il contratto di mutuo ipotecario prevedeva che al finanziamento fosse applicato un tasso d’interesse variabile. Una clausola del contratto in parola limitava, tuttavia, tale variabilità, indicando un tasso annuo «massimo» del 9,75% e un tasso annuo «minimo» del 3,25%.

13.

Il 4 marzo 2014 l’I, essendo subentrata alla Caja de Ahorros de la Inmaculada de Aragón nel mutuo di cui trattasi ( 4 ), concludeva con XZ un accordo intitolato «contratto di novazione modificativa del mutuo». Tale accordo prevedeva, in particolare, una riduzione a 2,35% del tasso «minimo» applicabile al mutuo, effettivo, a decorrere dalla successiva mensilità e fino alla completa restituzione del finanziamento. Detto accordo prevedeva altresì una clausola del seguente tenore:

«Le parti confermano la validità e l’applicazione del contratto di mutuo, ritengono congrue le sue condizioni e, pertanto, rinunciano espressamente e reciprocamente a esercitare qualsivoglia azione nei confronti dell’altra parte per quanto attiene al contratto stipulato e alle relative clausole, nonché ai versamenti e ai pagamenti finora effettuati, di cui riconoscono la conformità».

14.

L’accordo in parola conteneva, inoltre, una menzione manoscritta e firmata da XZ, secondo un modello fornito dall’I, con cui la prima dichiarava:

«Sono consapevole e comprendo che il tasso d’interesse del mutuo da me contratto non scenderebbe in nessun caso al di sotto del 2,35% nominale annuo».

15.

Il 14 gennaio 2016 XZ rimborsava l’ultima mensilità del mutuo.

16.

Il 1o febbraio 2017 l’interessata presentava un ricorso dinanzi allo Juzgado de Primera Instancia e Instrucción no 3 de Teruel (Giudice di primo grado e istruzione n. 3 di Teruel, Spagna) chiedendo la declaratoria di nullità della clausola «di tasso minimo» stipulata nel contratto di mutuo ipotecario, in quanto avente carattere abusivo, e la condanna dell’I alla restituzione delle somme versate in applicazione della clausola medesima.

17.

Dinanzi a detto giudice, l’I contestava che la clausola in discussione fosse abusiva e si opponeva alla restituzione richiesta eccependo, segnatamente, il «contratto di novazione modificativa del mutuo» da essa stipulato con XZ. In tale contesto, quest’ultima faceva valere che la previsione secondo la quale le clausole abusive «non vincolano il consumatore», di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, doveva essere estesa a un siffatto contratto, sicché quest’ultimo, al pari della clausola medesima, doveva considerarsi nullo.

18.

In tali circostanze, lo Juzgado de Primera Instancia e Instrucción no 3 de Teruel (Giudice di primo grado e istruzione n. 3 di Teruel) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il principio di non vincolatività delle clausole nulle (articolo 6 della [direttiva 93/13]) debba estendersi anche ai contratti e negozi giuridici successivi nel tempo aventi ad oggetto tali clausole, quale il [“contratto di novazione modificativa del mutuo”].

Atteso che la nullità assoluta comporta che detta clausola non sia mai esistita nella realtà giuridico-economica del contratto, se si possa ritenere che gli atti giuridici successivi e i loro effetti sulla clausola in parola, vale a dire il [“contratto di novazione modificativa del mutuo”], scompaiano anch’essi dalla realtà giuridica, dovendo essere considerati inesistenti e privi di effetti.

2)

Se gli atti che modificano o comportano transazioni relative a clausole non negoziate che rischierebbero di non superare i controlli di abusività e di trasparenza acquisiscano la natura di condizioni generali del contratto ai fini dell’articolo 3 della [direttiva 93/13], e siano quindi viziati dalle medesime cause di nullità che inficiano gli atti originari oggetto della novazione o transazione.

3)

Se la rinuncia alle azioni giudiziarie contenuta nel [“contratto di novazione modificativa del mutuo”] debba essere parimenti nulla, in quanto i contratti sottoscritti dai clienti non informavano i medesimi del fatto che la clausola era nulla né dell’importo o del valore economico che avevano diritto a percepire a titolo di rimborso degli interessi pagati per effetto dell’imposizione iniziale delle c.d. “cláusulas suelo” (clausole di tasso minimo).

Ne risulta pertanto che il cliente sottoscrive una rinuncia alle azioni senza essere stato informato dalla banca di ciò a cui rinuncia [o] della somma di denaro alla quale rinuncia.

4)

Se, esaminando il [“contratto di novazione modificativa del mutuo”] alla luce della giurisprudenza della [Corte] e degli articoli 3, paragrafo 1, e 4, paragrafo 2, della direttiva [93/13], la nuova clausola di tasso minimo sia parimenti viziata da una mancanza di trasparenza, giacché la banca disattende nuovamente i requisiti di trasparenza stabiliti in relazione alla trasparenza stessa dalla sentenza del Tribunal supremo (Corte suprema) del 9 maggio 2013 e non informa il cliente circa l’effettivo costo economico di detta clausola del suo contratto di mutuo ipotecario, in modo che possa conoscere il tasso di interesse (e l’importo che ne risulta) che dovrebbe pagare qualora si applicasse la nuova clausola di tasso minimo nonché il tasso di interesse (e l’importo che ne risulta) che dovrebbe pagare qualora non si applicasse alcuna clausola di tasso minimo e si applicasse il tasso di interesse pattuito nel contratto di mutuo ipotecario senza limiti al ribasso.

In altri termini, se, nell’imporre l’atto definito come novazione relativa alle “clausole di tasso minimo”, l’istituto finanziario avrebbe dovuto rispettare i controlli di trasparenza indicati agli articoli 3, paragrafo 1, e 4, paragrafo 1, della direttiva [93/13] e informare il consumatore in ordine all’ammontare delle somme che aveva perduto in conseguenza dell’applicazione delle “clausole di tasso minimo” e al tasso di interesse che sarebbe stato applicato in mancanza di tali clausole e se, non avendolo fatto, gli atti di cui trattasi siano parimenti viziati da nullità.

5)

Se le clausole di rinuncia alle azioni, incluse nelle condizioni generali del [“contratto di novazione modificativa del mutuo”], possano essere considerate clausole abusive per il loro contenuto ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, in combinato disposto con l’allegato relativo alle clausole abusive e, specificamente, con [il punto 1,] lettera q) di tale allegato (…), poiché limitano il diritto dei consumatori di esercitare diritti che possono sorgere o risultare dopo la firma del contratto, come è avvenuto con la possibilità di chiedere il rimborso integrale degli interessi pagati (in forza della [sentenza G N e a. ( 5 )])».

19.

La decisione di rinvio, datata 26 giugno 2018, è pervenuta alla cancelleria della Corte l’11 luglio 2018. Hanno presentato osservazioni scritte l’I, il governo spagnolo e la Commissione europea. Le stesse parti e gli interessati, nonché XZ, sono stati rappresentati all’udienza tenutasi l’11 settembre 2019.

IV. Analisi

20.

La presente causa ha come sfondo la problematica delle clausole «di tasso minimo» utilizzate nei contratti di mutuo ( 6 ). Rammento brevemente che la prassi seguita, in particolare, dalle banche spagnole in prossimità e nel corso della crisi finanziaria che ha scosso l’economia mondiale tra il 2007 e il 2012 consisteva nel proporre mutui ipotecari a tasso d’interesse variabile che prevedevano una siffatta clausola, intesa a limitare la variabilità del citato tasso. Più specificamente, tale clausola comporta che, qualora detto tasso scenda al di sotto della soglia «di tasso minimo» ivi prevista, il mutuatario debba pagare gli interessi corrispondenti alla soglia di cui trattasi ( 7 ). In pratica, le clausole «di tasso minimo» hanno così avuto la conseguenza di impedire ai consumatori spagnoli di beneficiare del calo dei tassi d’interesse verificatosi durante la citata crisi finanziaria, tutelando al contempo gli istituti di credito dagli effetti negativi che tale calo avrebbe dovuto avere sui loro margini ( 8 ).

21.

Ciò premesso, l’impiego delle clausole «di tasso minimo» non è stato privo di conseguenze per le banche spagnole. In una sentenza del 9 maggio 2013 ( 9 ), il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha constatato il carattere abusivo, per mancanza di trasparenza, e, di conseguenza, ha dichiarato la nullità delle clausole di tasso minimo contenute nelle condizioni generali applicate da tre fra tali banche. Detto giudice ha tuttavia limitato nel tempo gli effetti della propria sentenza, la quale non doveva segnatamente riguardare le somme versate dai consumatori in applicazione delle citate clausole prima della data della sua pubblicazione ( 10 ). Per quanto le parti non concordino sulla portata della pubblicità ricevuta da tale sentenza al momento della sua pronuncia, ritengo si possa tranquillamente affermare che quest’ultima abbia, quanto meno, fatto sorgere dubbi relativamente alla questione se le clausole «di tasso minimo» di cui si sono avvalse altre banche fossero viziate dalla stessa mancanza di trasparenza.

22.

In tale contesto, nel luglio 2013, l’I ha adottato una politica interna consistente nello stipulare, con alcuni se non addirittura con tutti i suoi clienti titolari di un mutuo ipotecario contenente una clausola «di tasso minimo» ( 11 ), un accordo intitolato «contratto di novazione modificativa del mutuo». Detto accordo prevedeva, in particolare, un abbassamento della soglia «di tasso minimo» applicabile al mutuo del cliente interessato, con effetto a decorrere dalla mensilità successiva e fino alla fine del mutuo e, nonché un’esplicita e reciproca rinuncia a contestare in sede giurisdizionale le clausole del citato mutuo. Il 4 marzo 2014 l’I ha concluso un siffatto accordo con XZ.

23.

Il 21 dicembre 2016 la Corte, adita da diversi organi giurisdizionali spagnoli in quanto alle conseguenze che gli stessi dovevano trarre dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola «di tasso minimo», ha pronunciato la sentenza G N. In detta sentenza, la Corte ha dichiarato, in sostanza che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 impone, in linea di principio, al giudice nazionale, ove ne constati il carattere abusivo, di disapplicare una siffatta clausola e di disporre la restituzione al consumatore delle somme versate in applicazione della stessa ( 12 ). La Corte ha precisato,, inoltre, che la disposizione in parola osta a che tale diritto alla restituzione sia limitato nel tempo, come aveva fatto il Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sua sentenza del 9 maggio 2013 ( 13 ).

24.

Il 1o febbraio 2017, avendo probabilmente avuto notizia della suddetta sentenza della Corte, XZ ha adito il giudice del rinvio chiedendo la declaratoria di nullità della clausola «di tasso minimo», in quanto avente carattere abusivo, stipulata nel suo contratto di mutuo ipotecario e la condanna dell’I a restituirle le somme versate in applicazione di detta clausola ( 14 ).

25.

La questione centrale sollevata dinanzi a tale giudice riguarda le conseguenze giuridiche che il «contratto di novazione modificativa del mutuo», stipulato da XZ e dall’I il 4 marzo 2014, può avere su domande del genere.

26.

La banca sostiene, infatti, che il citato contratto osta a che XZ faccia valere in giudizio il carattere abusivo della clausola «di tasso minimo» originariamente stipulata nel contratto di mutuo ipotecario. La sua argomentazione al riguardo riecheggia una sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema), dell’11 aprile 2018 ( 15 ), in cui quest’ultimo si è pronunciato su identici accordi conclusi tra l’I e altri due suoi clienti. Detto giudice ha ritenuto, in sostanza, che un simile accordo costituisca una transazione ( 16 ), conclusa tra le parti al fine di risolvere in via stragiudiziale e definitiva l’incertezza, generata dalla sua sentenza del 9 maggio 2013, circa la validità della clausola «di tasso minimo» contenuta nei loro contratti di mutuo, e ciò in cambio di concessioni reciproche nella forma di una di un abbassamento della soglia prevista in detta clausola. Il giudice, pertanto, non potrebbe esaminare la questione del carattere abusivo della clausola in parola, avendo la transazione efficacia obbligatoria tra le parti. In tale contesto, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha statuito che la direttiva 93/13 non osta a che un professionista e un consumatore concludano una transazione per risolvere in via stragiudiziale le loro controversie. Detto giudice ha, inoltre, ritenuto che gli accordi in questione fossero trasparenti per i consumatori ( 17 ).

27.

XZ sostiene, dal canto suo, che il «contratto di novazione modificativa del mutuo» dovrebbe considerarsi nullo e che non possa quindi impedire al giudice del rinvio di esaminare le sue domande. La sua tesi al riguardo rispecchia, quanto ad essa, il parere dissenziente che accompagnava la sentenza del Tribunal Supremo dell’11 aprile 2018 ( 18 ), menzionata al paragrafo precedente. Vi si sostiene, in sostanza, che un siffatto accordo non costituisce una transazione, bensì un contratto di novazione ( 19 ) della clausola «di tasso minimo» contenuta nei contratti di mutuo ipotecario dei clienti interessati, non essendo una novazione del genere valida ai sensi del diritto nazionale ( 20 ). In ogni caso, da un lato, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osterebbe a che le parti modifichino o confermino una clausola abusiva, nonché al fatto che il consumatore rinunci al diritto di contestarla in sede giurisdizionale. Dall’altro, un siffatto accordo mancherebbe di trasparenza giacché non conterrebbe l’informazione che consentirebbe ai consumatori di comprendere le conseguenze economiche e giuridiche loro derivanti dalla sua conclusione. Il giudice del rinvio tende ad essere del medesimo avviso.

28.

Preciso subito che, benché dai due precedenti paragrafi risulti che la qualificazione giuridica come «contratto di novazione modificativa del mutuo» è controversa tra le parti del procedimento principale, tale questione, come fa valere la Commissione, rientra esclusivamente nell’ambito del diritto spagnolo, ragion per cui incombe non alla Corte ma al giudice del rinvio dirimerla.

29.

Spetta, invece, alla Corte esaminare alla luce della direttiva 93/13 l’ipotesi in cui (1) un consumatore e un professionista siano vincolati da un contratto, (2) siano sorti seri dubbi circa il carattere potenzialmente abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva medesima, di una clausola di tale contratto ( 21 ) e (3) le parti, con un accordo successivo, abbiano novato la clausola di cui trattasi ( 22 ), confermato la validità del contratto originario e rinunciato reciprocamente a contestarlo in sede giurisdizionale. Più specificamente, si tratta di stabilire, anzitutto, come chiede il giudice del rinvio nella sua prima questione, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva in parola osti, per principio, a che un accordo del genere abbia forza vincolante nei confronti del consumatore. In una prima parte delle seguenti conclusioni, illustrerò i motivi per cui, a parer mio, ciò non si verifica (sezione A).

A.   Sulla facoltà del consumatore di novare una clausola potenzialmente abusiva, di confermarne la validità e/o di rinunciare a contestarla in sede giurisdizionale (prima questione pregiudiziale)

30.

Rammento che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone che «le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali». In forza di tale disposizione, il giudice nazionale, laddove accerti la natura abusiva di una determinata clausola contrattuale, deve trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano da una simile constatazione affinché il consumatore non sia vincolato da detta clausola. Tale giudice è, infatti, tenuto a disapplicare la clausola in parola cosicché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore ( 23 ).

31.

Nella sentenza G N, la Corte ha ulteriormente precisato che una clausola abusiva «deve essere considerata, in linea di principio, come se non fosse mai esistita, cosicché non può sortire effetti nei confronti del consumatore». Pertanto, l’accertamento giudiziale del carattere abusivo di una clausola contrattuale, «in linea di massima, deve produrre la conseguenza di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato in mancanza di tale clausola». Allorché la clausola in discussione impone al consumatore il pagamento di somme di denaro, l’obbligo in capo al giudice di disapplicarla «implica, in linea di principio, un corrispondente effetto restitutorio per quanto riguarda tali somme» ( 24 ).

32.

Di conseguenza, qualora dovesse constatare, nel procedimento principale, che la clausola «di tasso minimo» contenuta nel contratto di mutuo ipotecario è abusiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice del rinvio sarebbe, in linea di principio, tenuto, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima, a disapplicare detta clausola e a condannare l’I a restituire a XZ le somme versate in applicazione di tale clausola.

33.

Tuttavia, il «contratto di novazione modificativa del mutuo», secondo l’interpretazione del diritto spagnolo adottata dal Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sua sentenza dell’11 aprile 2018, osterebbe a che il giudice del rinvio esamini la questione stessa del carattere abusivo di tale clausola «di tasso minimo» ( 25 ). Più precisamente, il governo spagnolo fa presente che, se è vero che XZ non potrebbe più chiedere al giudice di controllare la validità della clausola «di tasso minimo» iniziale contenuta nel contratto di mutuo ipotecario, le sarebbe invece consentito contestare la validità della nuova clausola «di tasso minimo», stipulata in tale accordo.

34.

In tali circostanze, si pone la questione se, come sostiene XZ ( 26 ), l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osti, per principio, a che consumatore e professionista concludano un accordo comportante novazione di una clausola potenzialmente abusiva, la conferma ( 27 ) della sua validità e/o la rinuncia a contestarla in sede giurisdizionale – o, più precisamente, se tale disposizione osti a che detto accordo abbia forza vincolante nei confronti del consumatore.

35.

Come ho già precisato, non sono di questo avviso. Ritengo, infatti, che a tale questione si debba fornire una risposta articolata.

36.

Se ho ben inteso, l’approccio di XZ si basa sulla giurisprudenza della Corte secondo cui tenuto conto della situazione di inferiorità in cui si trova il consumatore rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 costituisce una disposizione imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, atto a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, dovendosi oltretutto considerare tale disposizione come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico ( 28 ).

37.

Ammetto che la citata giurisprudenza, letta congiuntamente a quella richiamata ai punti 30 e 31 delle presenti conclusioni, riecheggia, in un certo qual modo, il regime della nullità assoluta, esistente nel diritto di diversi Stati membri, fra cui il Regno di Spagna ( 29 ). Si tratta d’altronde precisamente della sanzione prevista, nel diritto spagnolo, in caso di accertamento del carattere abusivo di una clausola contrattuale ( 30 ). Orbene, il regime di nullità assoluta non lascia alcuno spazio alla volontà delle parti contrattuali. Queste non possono confermare o novare un’obbligazione inficiata da una siffatta nullità. Un’obbligazione del genere non può nemmeno essere oggetto di transazione fra le parti: il giudice rileverà d’ufficio la sua nullità e l’inefficacia di tali operazioni. Secondo XZ, consumatore e professionista non potrebbero quindi novare, confermare o transare relativamente ad una clausola abusiva. Un eventuale accordo fra le parti non può impedire al giudice di esaminare il punto del carattere abusivo di una determinata clausola contrattuale ( 31 ).

38.

Tuttavia, la giurisprudenza della Corte non arriva, in realtà, fino a tal punto. Essa, infatti, statuisce in modo costante – e, a mio avviso questo aspetto è cruciale – che il consumatore può rinunciare a far valere la natura abusiva di una clausola contrattuale ( 32 ). Secondo la Corte, «la direttiva 93/13 non si spinge fino al punto di rendere obbligatorio il sistema di tutela contro l’uso di clausole abusive da parte dei professionisti da essa istituito a favore dei consumatori» ( 33 ) e «il diritto ad una tutela effettiva del consumatore comprende anche la facoltà di non far valere i propri diritti» ( 34 ).

39.

Nella sentenza Banif Plus Bank ( 35 ), la Corte ha quindi precisato che incombe al giudice nazionale «tener conto, se necessario, della volontà espressa dal consumatore quando quest’ultimo, consapevole del carattere non vincolante di una clausola abusiva, afferma tuttavia di opporsi alla sua disapplicazione, dando quindi un consenso libero e informato alla clausola di cui trattasi».

40.

Contrariamente alla Commissione, non penso che tali considerazioni siano pertinenti soltanto nella situazione in cui il giudice abbia rilevato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale e ne abbia informato il consumatore. Ne emerge, a mio avviso, una logica più generale, secondo la quale quest’ultimo può rinunciare a far valere il carattere abusivo di una determinata clausola purché tale rinuncia, come dichiarato dalla Corte nella sentenza in parola, sia frutto di un consenso libero e informato da parte sua.

41.

Siffatta logica rispecchia, a mio parere, la concezione presente nella giurisprudenza della Corte, secondo la quale la direttiva 93/13 tende in particolare a evitare che il consumatore assuma impegni di cui ignora o non coglie la reale portata ( 36 ). Quando, al contrario, il consumatore è consapevole delle conseguenze giuridiche che gli derivano da una rinuncia alla tutela conferitagli tale direttiva, una siffatta rinuncia è compatibile con la direttiva medesima.

42.

Orbene, se si ritiene che il consumatore sia consapevole delle conseguenze delle proprie azioni allorché rinuncia dinanzi al giudice, dopo essere stato informato da quest’ultimo del carattere abusivo di una clausola, a farla valere, questo non significa che non esistano altre situazioni in cui ciò sarebbe possibile. In particolare, non vedo ostacoli che impediscano, per principio, a un consumatore di esercitare la propria facoltà di rinuncia per via contrattuale, purché, ancora una volta, tale rinuncia derivi da un consenso libero e informato. Su quest’ultimo punto, ritengo che debbano nondimeno essere contrapposte due ipotesi.

43.

A mio parere, da un lato, un consumatore non può mai rinunciare a priori alla tutela conferitagli dalla direttiva 93/13 quando acquista un bene o riceve un servizio da un professionista. Una clausola di un contratto di vendita o di prestazione di servizi comportante conferma della sua validità o rinuncia al diritto di contestarlo in sede giurisdizionale non può produrre un qualsivoglia effetto vincolante nei confronti del consumatore. D’altronde, diversi strumenti del diritto dell’Unione vietano espressamente una siffatta rinuncia ( 37 ).

44.

Una simile rinuncia, infatti, non può in nessun caso considerarsi «informata». Chiunque comprende la reale importanza della protezione offerta dalle norme in materia di tutela dei consumatori solo una volta che sia sorta una difficoltà e che necessiti concretamente di suddetta tutela. È in tal senso, a mio avviso, che occorre intendere il concetto di rinuncia preventiva: una rinuncia è «preventiva» allorché interviene a monte, al momento dell’instaurarsi della relazione contrattuale tra il professionista e il consumatore, e rispetto a cui quest’ultimo non immagina o non attribuisce sufficiente importanza al fatto che la stessa potrebbe divenire problematica.

45.

Al contrario, d’altro lato, qualora in una simile relazione contrattuale si sia verificato un problema e, ad esempio, siano sorti seri dubbi circa il carattere potenzialmente abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, di una determinata clausola contrattuale e sussista, eventualmente, una lite tra le parti su tale punto, il fatto che il consumatore rinunci a far valere l’assenza di effetto vincolante della citata clausola non dev’essere giudicato con la stessa severità. In un’ipotesi del genere, il consumatore è in grado di cogliere l’importanza della tutela offertagli da detta direttiva e, quindi, di comprendere la portata di siffatta rinuncia ( 38 ). In altri termini, a mio avviso, il consumatore, a determinate condizioni, ha la facoltà di rinunciare successivamente, per via contrattuale, ai diritti conferitigli dalla direttiva in parola.

46.

Ne consegue, a mio avviso, che in questa seconda ipotesi il consumatore ha facoltà, per mezzo di un accordo con il professionista, di novare la clausola di cui trattasi, di confermarla nonché di rinunciare a far valere dinanzi a un giudice la questione del suo carattere abusivo, purché lo faccia in modo libero e informato ( 39 ).

47.

Il consumatore può segnatamente esercitare la sua facoltà di rinuncia concludendo con il professionista una transazione amichevole riguardante la citata clausola, giudiziale o stragiudiziale che sia. Una transazione del genere può peraltro presentare taluni vantaggi per il consumatore, fra cui quello di ottenere un beneficio immediato – in ciò consiste precisamente l’oggetto delle reciproche concessioni da proporre in una transazione –, senza dover contestare in sede giurisdizionale la clausola medesima, sostenere le spese del procedimento e attenderne l’esito, tanto più che, al momento della conclusione della transazione, non è certo che otterrebbe una pronuncia favorevole ( 40 ).

48.

Purché, lo ribadisco, sia stato concluso dal consumatore con piena cognizione di causa, non vedo impedimenti a che un siffatto accordo abbia forza vincolante, incluso nei suoi confronti. In particolare, una transazione deve poter offrire certezza giuridica alle parti, il che comporta che non può restare priva di efficacia vincolante nei confronti di una di esse. Come illustrerò nel prosieguo, la rinuncia ad azioni legali in cambio di reciproche concessioni costituisce, inoltre, «l’oggetto principale», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, di una transazione, ossia il fulcro dell’autonomia contrattuale che tale direttiva non intende, in linea di principio, rimettere in discussione ( 41 ).

49.

Quest’ultimo punto è, a parer mio, suffragato dalle disposizioni della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori ( 42 ). Conformemente a detta direttiva, in caso di controversia tra un consumatore e un professionista in merito a un contratto di consumo, questi ultimi possono fare ricorso a procedure di risoluzione alternativa delle controversie (ADR). Laddove, in siffatto contesto, i medesimi scelgano di avvalersi di una procedura volta a risolvere la lite proponendo una soluzione – quale, ad esempio, la mediazione – e la procedura sfoci in un compromesso reciprocamente accettabile, tale compromesso, di norma, si concreta in una transazione ( 43 ). Orbene, il legislatore dell’Unione, in un caso del genere, non ha riservato al consumatore il diritto di chiedere al giudice di esaminare la lite nonostante la conclusione del citato accordo amichevole. Detto legislatore, al contrario, ha riconosciuto che un siffatto accordo produce conseguenze giuridiche per il consumatore ( 44 ). Nondimeno, la direttiva in parola prevede garanzie affinché la conclusione di una transazione del genere risulti da un consenso libero e informato da parte del consumatore ( 45 ). Se è vero che la direttiva medesima non è applicabile agli accordi amichevoli conclusi tra professionista e consumatore al di fuori di una procedura ADR ( 46 ), tuttavia la logica che ne discende può essere, a mio avviso, generalizzata.

50.

Contrariamente alla Commissione, non ritengo che l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea induca a fornire una risposta diversa. A mio parere, da un lato, l’articolo in parola garantisce al consumatore un’effettiva facoltà di far valere in sede giurisdizionale i diritti che gli derivano dalla direttiva 93/13, assicurandogli di avere a disposizione a tal fine mezzi d’impugnazione non soggetti a condizioni processuali tali da rendere l’esercizio dei suddetti diritti eccessivamente difficile, se non impossibile ( 47 ). La summenzionata disposizione non intende tuttavia costringere il consumatore a esercitare detta facoltà qualora egli decida scientemente di rinunciarvi. D’altro lato, pur ammettendo che, considerata la fondamentale importanza del diritto a un ricorso effettivo, un privato non può rinunciare, in via generale, al proprio diritto di accesso alla giustizia, tale ipotesi dev’essere tuttavia distinta da una rinuncia mirata, specificamente incentrata su una clausola o una controversia determinata.

51.

Ciò precisato, non per questo si deve dimenticare che il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista, per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione ( 48 ). Il rischio che la rinuncia del consumatore a far valere il carattere abusivo di una clausola derivi da un abuso di potere ( 49 ) del professionista non può essere ignorato. Concludendo con quest’ultimo un accordo comportante una siffatta rinuncia, il consumatore non può quindi rinunciare a qualsiasi tutela giurisdizionale e la menzionata situazione di inferiorità deve poter essere riequilibrata da un «intervento positivo» del giudice ( 50 ).

52.

A tal proposito, osservo che un simile accordo costituisce, per definizione, un contratto che, da un lato, è soggetto alle norme generali e speciali del diritto contrattuale ad esso applicabile e, dall’altro, può rientrare, al pari di qualunque altro contratto tra un professionista e un consumatore, nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 ( 51 ). Acquisisce forza vincolante per il consumatore solo nell’ipotesi in cui detto accordo sia conforme a tali diverse norme.

53.

Di conseguenza, il citato accordo può essere assoggettato a un controllo giurisdizionale ( 52 ). Osservo d’altronde che, se le parti nel procedimento principale e gli altri interessati controvertono, nella specie, sulla questione se XZ possa chiedere al giudice di accertare il carattere abusivo della clausola «di tasso minimo» inizialmente presente nel contratto di mutuo ipotecario, tenuto conto della conclusione del «contratto di novazione modificativa del mutuo», nessuno rimette in discussione il fatto che la medesima possa contestare, dinanzi a tale giudice, la validità di quest’ultimo accordo ( 53 ).

54.

Orbene, a mio parere, è nel contesto di siffatto controllo giurisdizionale che il giudice può procedere all’«intervento positivo» necessario per tutelare il consumatore dagli abusi di potere del professionista. Il giudice deve verificare, incluso d’ufficio, laddove gli sia sottoposto un simile accordo, se la rinuncia del consumatore a far valere il carattere abusivo di una determinata clausola derivi da un consenso libero e informato da parte sua o, al contrario, da un abuso del genere. Ciò implica che occorre verificare, in particolare ( 54 ),, se le clausole di detto accordo siano state individualmente negoziate o, al contrario, imposte dal professionista e, nella seconda ipotesi, se gli imperativi di trasparenza, equilibrio e buona fede derivanti dalla direttiva 93/13 siano stati rispettati.

55.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale nel senso che, qualora un consumatore e un professionista siano vincolati da un contratto, siano sorti seri dubbi circa il carattere potenzialmente abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, di una clausola di tale contratto, e le parti, mediante un accordo successivo, abbiano modificato la clausola di cui trattasi, confermato la validità del contratto originario e rinunciato reciprocamente a contestarne in sede giurisdizionale le clausole, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima non osta a che l’accordo in parola abbia forza vincolante nei confronti del consumatore, purché detto accordo derivi da un consenso libero e informato da parte di quest’ultimo.

56.

Tenuto conto della risposta che intendo proporre, illustrerò, in una seconda parte delle presenti conclusioni, quali requisiti deve soddisfare un accordo come quello menzionato al precedente paragrafo per essere compatibile con la direttiva 93/13. A tale titolo, in conformità con quanto ho affermato al paragrafo 54 delle presenti conclusioni, ritornerò, innanzitutto, sulla nozione di «clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva medesima, nozione che costituisce l’oggetto della seconda questione pregiudiziale (sezione B). Esaminerò poi i requisiti di trasparenza, equilibrio e buona fede derivanti dalla direttiva in parola, citati nelle questioni pregiudiziali terza, quarta e quinta (sezione C).

B.   Sulla nozione di «clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale» (seconda questione pregiudiziale)

57.

Se ho ben inteso, il giudice del rinvio con la seconda questione intende ottenere chiarimenti sulla nozione di «clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale», di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, e ciò al fine di poter controllare le clausole del «contratto di novazione modificativa del mutuo» in considerazione dei requisiti di trasparenza, equilibrio e buona fede risultanti da detta direttiva. Rammento che, conformemente al citato articolo 3, paragrafo 1, la direttiva in parola si applica esclusivamente alle clausole contrattuali che non sono state oggetto di un siffatto negoziato. Tale disposizione stabilisce, quindi, una condizione preventiva al controllo del giudice. Orbene, ritengo che qualche precisazione al riguardo sia gradita ( 55 ).

58.

La direttiva 93/13 non definisce la nozione di «clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale». Al primo comma dell’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva è tuttavia specificato che si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata «redatta preventivamente» in particolare nell’ambito di un «contratto di adesione» e il consumatore «non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto».

59.

Da tale disposizione possono essere dedotti a mio avviso diversi insegnamenti. Anzitutto, una clausola è «negoziata individualmente», nella comune accezione di tale espressione, quando è stata specificamente discussa tra le parti. Siffatta ipotesi non ricorre, poi, segnatamente, allorché la clausola di cui trattasi è redatta da un professionista «preventivamente» rispetto a qualsivoglia discussione sul contenuto su cui verta. Infine, come fa valere la Commissione, il criterio decisivo consiste nell’accertare se il consumatore abbia potuto o meno esercitare un’influenza sul contenuto di suddetta clausola ( 56 ).

60.

Se ne deduce, inoltre, che le clausole sul cui contenuto i consumatori non possono esercitare alcuna influenza comprendono, in particolare, quelle presenti nei cosiddetti contratti «di adesione», vale a dire i contratti che i consumatori possono soltanto accettare o rifiutare nel loro complesso, cosicché l’unico margine di manovra di cui essi dispongono consiste nel sottoscriverli o meno con il professionista. La nozione di «contratto di adesione» è, peraltro, strettamente connessa a quella di «condizioni generali», vale a dire le clausole standardizzate preventivamente redatte e sistematicamente utilizzate dal professionista nei propri rapporti d’affari con i consumatori allo scopo di razionalizzare i propri costi.

61.

Se è vero che le condizioni generali e i contratti di adesione costituiscono l’«obiettivo privilegiato» della direttiva 93/13, rilevo, tuttavia, che la medesima si applica al complesso delle clausole non negoziate. Nell’ipotesi di una clausola standardizzata redatta preventivamente, l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva in parola stabilisce semplicemente una presunzione di mancanza di negoziato, che può essere confutata con la prova contraria il cui onere incombe al professionista ( 57 ). Nell’ipotesi opposta, tale presunzione non opera e spetta quindi al consumatore dimostrare l’assenza di negoziato.

62.

Nel procedimento principale, spetterà al giudice del rinvio stabilire se le clausole del «contratto di novazione modificativa del mutuo» siano state o meno oggetto di negoziato individuale, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 ( 58 ). Il punto di partenza della sua analisi dovrà consistere nel verificare se si tratta di clausole standardizzate redatte preventivamente – ipotesi che sembra ricorrere nel caso di specie ( 59 ). Qualora ciò effettivamente avvenisse, la mancanza di un siffatto negoziato sarà presunta, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della citata direttiva, e incomberà all’I fornire la prova contraria.

63.

Su quest’ultimo punto, preciso che stabilire se un negoziato abbia avuto luogo comporta la necessità di fare riferimento, come correttamente sostenuto dalla Commissione, alle circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto. Il consumatore ha avuto la possibilità di esercitare un’influenza sul contenuto di una determinata clausola allorché la sua stipulazione sia stata preceduta da discussioni tra le parti che gli abbiano offerto una reale opportunità di procedervi. Il professionista deve quindi produrre elementi atti a dimostrare non solo che siano state tenute discussioni del genere, ma anche che il consumatore vi abbia svolto un ruolo attivo nel determinare il contenuto della clausola ( 60 ).

64.

Nella specie, osservo che l’I si limita, essenzialmente, a sostenere che, in base alle informazioni contenute nel documento interno che definisce la politica da essa adottata in materia di rinegoziazione delle clausole «di tasso minimo» contenute nei contratti di credito dei propri clienti ( 61 ), la soglia più bassa che i suoi dipendenti potevano proporre in tale contesto era del 2,75%. Il fatto che il«contratto di novazione modificativa del mutuo» stipulato con XZ preveda una soglia «di tasso minimo» del 2,35% dimostrerebbe quindi che vi è stato un negoziato tra le parti. Spetterà al giudice del rinvio stabilire il valore probatorio di tali informazioni – le quali, a mio avviso, difficilmente basteranno a dimostrare gli elementi menzionati al precedente paragrafo ( 62 ).

65.

Tenuto conto delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale nel senso che una clausola contrattuale non è stata oggetto di negoziato individuale, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, quando il consumatore non ha avuto un’effettiva possibilità di esercitare alcuna influenza sul suo contenuto. Tale aspetto va valutato alla luce delle circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto e, in special modo, dell’ampiezza delle discussioni intervenute tra le parti relativamente all’oggetto su cui verte detta clausola. Qualora si tratti di una clausola standardizzata preventivamente redatta, incombe al professionista fornire la prova che la stessa è stata oggetto di un siffatto negoziato, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva medesima.

C.   Sul controllo dei requisiti di trasparenza, di equilibrio e di buona fede risultanti dalla direttiva 93/13 (questioni pregiudiziali terza, quarta e quinta)

66.

Anche supponendo che le clausole del «contratto di novazione modificativa del mutuo» non siano state oggetto di negoziato individuale, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice del rinvio, con le sue questioni pregiudiziali terza, quarta e quinta, sottopone alla Corte interrogativi sulla compatibilità con i requisiti di trasparenza, di equilibrio e di buona fede risultanti da detta direttiva delle due clausole principali dell’accordo in parola: da un lato, la clausola comportante rinuncia reciproca alle azioni giudiziarie;
dall’altro, la nuova clausola «di tasso minimo», che modifica la soglia prevista nel contratto di mutuo ipotecario concluso tra XZ e la I. Esaminerò queste due clausole una per volta.

1. Controllo della clausola che comporta rinuncia reciproca alle azioni legali

67.

Le questioni terza e quinta del giudice del rinvio vertono, sostanzialmente, sul punto se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto in combinato disposto con il punto 1, lettera q), dell’allegato di quest’ultima, debba essere interpretato nel senso che una clausola comportante rinuncia reciproca alle azioni legali, che non è stata oggetto di negoziato individuale, sia abusiva, ai sensi del suddetto articolo 3, paragrafo 1, in quanto, da un lato, impedisce al consumatore di esercitare diritti che si sono delineati successivamente alla conclusione di detto accordo, tra i quali la possibilità di chiedere la restituzione delle somme versate in applicazione della clausola «di tasso minimo» ( 63 ) e, dall’altro, non informava il consumatore della potenziale natura abusiva di quest’ultima clausola o dell’importo alla cui restituzione egli aveva potenzialmente diritto.

68.

Al proposito, occorre rammentare che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva allorché, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Peraltro, l’articolo 5 della direttiva medesima dispone che, nel caso di clausole proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile, essendo quest’ultimo requisito generalmente inteso nel senso di porre un imperativo di trasparenza. Inoltre, il punto 1, lettera q), dell’allegato della direttiva in parola riguarda, in quanto clausole potenzialmente idonee ad essere abusive, le clausole che hanno per oggetto o per effetto di «sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore».

69.

In tale contesto, la Commissione sostiene che una clausola che comporta rinuncia reciproca ad azioni legali, che non è stata oggetto di negoziato individuale, ai sensi del citato articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 – come verosimilmente avviene nel caso della clausola inclusa nel «contratto di novazione modificativa del mutuo» – è di per sé abusiva, senza che sia necessario un ulteriore esame al riguardo ( 64 ).

70.

Per quanto mi riguarda, e conformemente alle spiegazioni fornite nella sezione A delle presenti conclusioni, ritengo che la risposta debba essere più articolata. Effettivamente, al di là del fatto che l’elenco contenuto nell’allegato della direttiva 93/13, a norma del suo articolo 3, paragrafo 3, è soltanto indicativo e che, di conseguenza, non si può considerare abusiva una clausola contrattuale in base all’unico rilievo che vi figura ( 65 ), occorre, a mio avviso, tenere a mente la distinzione tra rinuncia preventiva e rinuncia successiva.

71.

Da un lato, una clausola che comporta rinuncia alle azioni legali contenuta in un contratto di vendita o di fornitura di servizi deve effettivamente considerarsi di per sé abusiva. Come ho infatti precisato ai paragrafi 43 e 44 delle presenti conclusioni, un consumatore non può mai rinunciare preventivamente alla tutela giurisdizionale e ai diritti che gli derivano dalla direttiva 93/13. Poco rileva, sotto tale profilo, che detta rinuncia sia reciproca.

72.

Per contr, d’altro lato, ritengo che la direttiva 93/13 non osti, in linea di principio, alle clausole contrattuali che prevedono una rinuncia reciproca alle azioni legali laddove siano stipulate in accordi, quali la transazione, il cui oggetto stesso consista nella definizione di una lite sussistente fra un professionista e un consumatore.

73.

In un contesto del genere, infatti, come ho indicato al paragrafo 47 delle presenti conclusioni, si può considerare che la clausola di rinuncia alle azioni legali rientri nell’«oggetto principale» di un simile accordo, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Rammento che, secondo la Corte, le clausole contrattuali che rientrano nella nozione in parola sono quelle che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano ( 66 ). A detto riguardo, attiene alla stessa essenza, in particolare, di una transazione contenere una clausola comportante rinuncia a qualsivoglia diritto, azione e pretesa relativi alla lite che vi ha dato luogo, e ostare alla proposizione o all’esercizio di un’azione legale tra le parti avente il medesimo oggetto ( 67 ).

74.

Orbene, in applicazione di detto articolo 4, paragrafo 2, le clausole che rientrano nell’«oggetto principale del contratto» esulano, in linea di principio, da una valutazione del loro eventuale carattere abusivo ( 68 ). Purché s’inserisca nel peculiare contesto illustrato ai due precedenti paragrafi, una clausola che comporta rinuncia alle azioni legali non può quindi essere considerata di per sé abusiva.

75.

In detto peculiare contesto, una simile clausola, a mio avviso, non è nemmeno abusiva per il solo fatto di essere idonea ad impedire al consumatore di esercitare diritti che si sono delineati successivamente alla conclusione dell’accordo che la contiene. Siffatta ipotesi ricorre nella fattispecie, come sottolinea il giudice del rinvio nella sua quinta questione, relativamente al diritto alla restituzione derivante per XZ dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13. A tal proposito, rammento che, nella sentenza del 9 maggio 2013 vertente sulle clausole «di tasso minimo», il Tribunal Supremo (Corte suprema) aveva limitato gli effetti nel tempo della propria sentenza, la quale non doveva riguardare i pagamenti effettuati prima della data della sua pubblicazione. Orbene, tale accordo è stato concluso il 4 marzo 2014, ossia successivamente a detta sentenza, ma due anni prima della sentenza G N, pronunciata il 21 dicembre 2016, in cui la Corte ha statuito che il citato articolo 6, paragrafo 1, osta a una siffatta limitazione ( 69 ). Ciò nondimeno, il carattere abusivo di una clausola dev’essere valutato con riferimento al momento della conclusione del contratto di cui trattasi, tenendo conto del complesso delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull’ulteriore esecuzione del contratto in medesimo ( 70 ).

76.

Spetterà al giudice del rinvio verificare, nel procedimento principale, se la clausola di rinuncia reciproca ad azioni legali contenuta nel «contratto di novazione modificativa del mutuo» rientri effettivamente nell’«oggetto principale del contratto», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Ciò dipenderà segnatamente dalla questione se, come sostiene l’I, si tratti effettivamente di una transazione ( 71 ).

77.

Ciò posto, in ogni caso, l’analisi non dovrà fermarsi a tal punto. Rammento, infatti, che, in conformità dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, le clausole che rientrano nell’«oggetto principale del contratto» esulano da una valutazione circa il loro eventuale carattere abusivo purché siano formulate in modo chiaro e comprensibile. L’imperativo di trasparenza di cui all’articolo 5 della direttiva menzionata deve quindi essere rispettato anche per quanto attiene a tali clausole.

78.

Al riguardo, secondo costante giurisprudenza della Corte, detto imperativo di trasparenza non può essere limitato unicamente al carattere comprensibile sul piano formale e su quello grammaticale delle clausole contrattuali ( 72 ). L’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 5 della direttiva 93/13 impongono un controllo della trasparenza sostanziale delle clausole in parola ( 73 ). Una clausola contrattuale è trasparente, sotto il profilo sostanziale, quando un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, può comprendere le conseguenze (tanto giuridiche quanto economiche) che gliene derivano. Occorre verificare, in particolare, che il contratto di cui trattasi esponga in modo trasparente le motivazioni e le peculiarità del meccanismo previsto dalla clausola di cui trattasi. In tale contesto, sono parimenti pertinenti la pubblicità e l’informazione precontrattuale fornite dal professionista, sulle condizioni contrattuali e le loro conseguenze per il consumatore ( 74 ).

79.

Relativamente ad una clausola contrattuale che comporta rinuncia reciproca a contestare in sede giurisdizionale la validità di una clausola preesistente inserita in un accordo come la transazione, sono del parere che un consumatore medio possa comprendere le conseguenze giuridiche ed economiche che gliene derivano se, al momento della conclusione di tale accordo, egli è consapevole del vizio che può potenzialmente inficiare quest’ultima clausola, dei diritti che gli sarebbero derivati dalla direttiva 93/13 al riguardo, del fatto che era libero di concludere detto accordo o di rifiutarlo e di adire il giudice nonché del fatto che non potrebbe più farlo dopo la sua conclusione ( 75 ). Spetterà al giudice del rinvio verificarlo nell’ambito del procedimento principale, in considerazione delle clausole del «contratto di novazione modificativa del mutuo» e dell’informazione precontrattuale fornita dall’I a XZ.

80.

In siffatto contesto, detto giudice dovrà verificare, da un lato, se XZ fosse effettivamente consapevole, prima della conclusione del «contratto di novazione modificativa del mutuo», del vizio che poteva potenzialmente inficiare la clausola «di tasso minimo» presente nel contratto di mutuo ipotecario e dei diritti che poteva, eventualmente, invocare in forza della direttiva 93/13. Sotto tale profilo, mi limiterò a osservare che non è certo che XZ abbia senz’altro presentato un reclamo all’I chiedendo l’eliminazione di detta clausola e che l’accordo in parola sia stato presentato dalla suddetta banca non come una transazione che rifletteva l’esistenza di una controversia tra le parti su tale punto ( 76 ), bensì come un «contratto di novazione» volto ad adattare il contratto di mutuo ipotecario ai cambiamenti dovuti alla congiuntura economica. La clausola di rinuncia reciproca stipulata nell’accordo summenzionato è, di per sé, ambigua giacché particolarmente ampia: essa non è mirata specificamente alla questione della validità della clausola «di tasso minimo», ma riguarda il complesso delle clausole del contratto di mutuo ipotecario.

81.

Detto giudice d’altro lato dovrà verificare se XZ fosse stata informata dall’I del fatto che era libera di concludere tale accordo o di rifiutarlo e di adire il giudice nonché del fatto che non avrebbe potuto più farlo successivamente alla sua conclusione ( 77 ). In tale contesto, è altresì pertinente l’aspetto se XZ abbia disposto di un periodo di riflessione ragionevole prima di indicare la sua decisione. Su questo punto, mi limiterò ad affermare che è pacifico che il progetto di accordo non le era stato sottoposto in anticipo ( 78 ) e che la stessa non ha nemmeno avuto la possibilità di portarselo a casa, essendo obbligata a prendere una decisione in loco.

82.

È ben vero che, nella sua sentenza dell’11 aprile 2018, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha statuito che un accordo come quello concluso da XZ soddisfaceva l’imperativo di trasparenza, sulla base del rilievi che la sua sentenza del 9 maggio 2013 in materia di clausole «di tasso minimo» era nota al grande pubblico e che tale accordo contemplava una clausola manoscritta in cui il consumatore riconosceva di aver compreso la portata della nuova soglia «di tasso minimo». Tuttavia, nutro dubbi riguardo a tale ragionamento. A mio avviso, infatti, l’eventuale notorietà di una decisione non è sufficiente a esentare un professionista dall’obbligo che gli incombe di redigere clausole trasparenti e di agire con modalità altrettanto trasparenti nella fase precontrattuale. D’altro canto, non sono certo che una clausola manoscritta, il cui modello è imposto dalla banca e riferita al fatto che il consumatore ha compreso che il suo tasso d’interesse non scenderà sotto una determinata soglia, sia idonea a dimostrare la comprensione da parte del medesimo della portata della rinuncia che ha appena sottoscritto.

83.

Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio confermasse la mancanza di trasparenza della clausola che comporta rinuncia reciproca alle azioni legali stipulata nel «contratto di novazione modificativa del mutuo», ne conseguirebbe che lo stesso potrebbe controllare il carattere abusivo di tale clausola quand’anche quest’ultima rientrasse nell’«oggetto principale del contratto», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Ciò considerato, una siffatta mancanza di trasparenza sarebbe sufficiente, a mio parere, nel peculiare contesto di un accordo come quello di cui trattasi, a dimostrare l’incompatibilità della suddetta clausola con la direttiva in parola, senza che sia nemmeno necessario pendere in esame i criteri del significativo squilibrio e della buona fede di cui all’articolo 3, paragrafo 1 della medesima. In effetti, stante il fatto di tale mancanza di trasparenza la rinuncia prevista alla citata clausola non può essere considerata come derivante dal «consenso informato» del consumatore ( 79 ). Del resto, a mio avviso, la menzionata mancanza di trasparenza e l’asimmetria che essa comporta consentirebbero di presumere siffatto significativo squilibrio e tenderebbero parimenti a dimostrare l’inadempimento dell’obbligo di buona fede da parte dell’I ( 80 ).

84.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali terza e quinta che una clausola comportante rinuncia reciproca alle azioni legali, che non è stata oggetto di un negoziato individuale, è di per sé abusiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, eccetto nell’ipotesi in cui detta clausola sia stipulata nell’ambito di un accordo il cui oggetto stesso consiste nella definizione di una lite in essere tra un consumatore e un professionista. Ciò nondimeno, anche in una simile ipotesi, una clausola del genere deve essere conforme all’imperativo di trasparenza risultante dall’articolo 4, paragrafo 2, e dall’articolo 5 della direttiva medesima. Relativamente ad una clausola di un siffatto accordo, che comporti rinuncia reciproca a contestare in sede giurisdizionale la validità di una clausola contrattuale preesistente, si reputa che un consumatore medio comprenda le conseguenze giuridiche ed economiche che gliene derivano se, al momento della conclusione di tale accordo, è consapevole del vizio che inficia potenzialmente quest’ultima clausola, dei diritti derivanti dalla direttiva medesima che poteva invocare al riguardo, del fatto che era libero di concludere l’accordo in parola o rifiutarlo e di adire il giudice, nonché del fatto che non potrebbe più farlo dopo la sua conclusione.

2. Controllo della nuova clausola «di tasso minimo»

85.

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede se una clausola, quale la nuova clausola «di tasso minimo» stipulata nel «contratto di novazione modificativa del mutuo», sia viziata da un difetto di trasparenza, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’articolo 5 della direttiva 93/13, per il motivo che la banca non ha informato il consumatore, nell’ambito di tale accordo, circa l’effettivo costo economico di detta clausola, cosicché egli possa conoscere il tasso d’interesse che sarebbe applicabile e le mensilità che dovrebbe pagare in assenza della clausola medesima.

86.

Nel procedimento principale, è probabile che la nuova clausola «di tasso minimo» rientri nell’«oggetto principale», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, del «contratto di novazione modificativa del mutuo», e ciò a prescindere dalla qualificazione che in forza del diritto nazionale deve attribuirsi all’accordo in parola. Se, infatti, lo scopo di detto accordo risiede, come sostiene XZ, nel novare la clausola «di tasso minimo» iniziale che figurava nel contratto di mutuo ipotecario, allora tale nuova clausola non può che costituirne l’oggetto principale. Se, come sostengono l’I e il governo spagnolo, la finalità dell’accordo medesimo consiste nel risolvere definitivamente una lite in cambio di reciproche concessioni, allora la clausola in parola rientra parimenti in siffatto oggetto principale, in quanto in essa trovano concretizzazione le summenzionate concessioni.

87.

Tuttavia, come ho precisato in precedenza, anche una clausola che rientra nell’«oggetto principale del contratto», ai sensi del citato articolo 4, paragrafo 2, deve soddisfare l’imperativo di trasparenza. Come è stato rammentato nelle presenti conclusioni, una clausola contrattuale è trasparente quando un consumatore medio è in grado di comprendere le conseguenze economiche che gliene derivano. Per quanto concerne la clausola «di tasso minimo», il contratto che la contiene deve esporre in modo trasparente le motivazioni e le peculiarità del meccanismo previsto da suddetta clausola ( 81 ). A tale riguardo, il Tribunal Supremo (Corte suprema), nella sua sentenza del 9 maggio 2013, ha stabilito requisiti precisi relativamente all’impiego di questo tipo di clausole nei contratti di credito ( 82 ), i quali costituiscono, a mio avviso, una realizzazione concreta dell’imperativo di trasparenza sancito in termini generali dalla Corte. Tali requisiti devono essere rispettati, nel caso di specie, indipendentemente dal fatto che il «contratto di novazione modificativo del mutuo» non costituisca di per sé un contratto di credito. Spetterebbe al giudice del rinvio verificarlo.

88.

Occorre tuttavia toccare due specifici punti. Da un lato, non sono certo che si possa richiedere a un istituto di credito di illustrare, in una prospettiva futura, quali mensilità il consumatore dovrebbe pagare in assenza della clausola «di tasso minimo». Poiché, infatti, il tasso d’interesse dipende da variazioni economiche raramente prevedibili, un obbligo del genere non mi sembra ragionevole ( 83 ). Tutt’al più, il professionista deve indicare, come rilevato dal Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sua giurisprudenza, contesti quanto al comportamento ragionevolmente prevedibile del tasso d’interesse nel giorno della conclusione del contratto. D’altro lato, per quanto riguarda la clausola manoscritta redatta dal consumatore ( 84 ), e alla quale il Tribunal Supremo (Corte suprema), nella sua sentenza dell’11 aprile 2018, ha attribuito un peso determinante nella dimostrazione del rispetto dell’imperativo di trasparenza, ritengo che, pur costituendo innegabilmente un indizio rilevante, una siffatta clausola non possa essere, di per sé, decisiva. Detta clausola manoscritta prova senz’altro che è stata attirata l’attenzione del consumatore sugli effetti di una clausola «di tasso minimo». Tuttavia, suddetta clausola non basta a dimostrare il rispetto dei rigorosi requisiti di trasparenza posti dalla Corte e dal Tribunal Supremo (Corte suprema). L’indizio costituito dalla clausola manoscritta in parola deve quindi, a mio avviso, essere completato da altri elementi concordanti.

89.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla quarta questione pregiudiziale dichiarando che una clausola «di tasso minimo», che non è stata oggetto di negoziato individuale, dev’essere considerata trasparente, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’articolo 5, della direttiva 93/13, quando il consumatore è in grado di comprendere le conseguenze economiche che gliene derivano. In particolare, il contratto che la contiene deve esporre in modo trasparente le motivazioni e le peculiarità del meccanismo previsto dalla clausola di cui trattasi. Per contro, non si può richiedere al professionista di illustrare, in una prospettiva futura, le mensilità che il cliente dovrebbe pagare in mancanza di detta clausola.

V. Conclusione

90.

Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dallo Juzgado de Primera Instancia e Instrucción no 3 de Teruel (Giudice di primo grado e istruzione n. 3 di Teruel, Spagna) nel seguente modo:

1)

Qualora un consumatore e un professionista siano vincolati da un contratto, siano sorti seri dubbi circa il carattere potenzialmente abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di una clausola di tale contratto, e le parti, mediante un accordo successivo, abbiano modificato la clausola di cui trattasi, confermato la validità del contratto originario e rinunciato reciprocamente a contestarne in sede giurisdizionale le clausole, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva summenzionata non osta a che all’accordo in parola sia riconosciuta forza vincolante nei confronti del consumatore, purché detto accordo derivi da un consenso libero e informato da parte di quest’ultimo.

2)

Una clausola contrattuale non è stata oggetto di negoziato individuale, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, quando il consumatore non ha avuto un’effettiva possibilità di esercitare alcuna influenza sul suo contenuto. Tale aspetto va valutato alla luce delle circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto e, in special modo, dell’ampiezza delle discussioni intervenute tra le parti relativamente all’oggetto su cui verte detta clausola. Qualora si tratti di una clausola standardizzata preventivamente redatta, incombe al professionista fornire la prova che la stessa è stata oggetto di un siffatto negoziato, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva in parola.

3)

Una clausola che comporta rinuncia reciproca alle azioni legali, che non è stata oggetto di negoziato individuale, è abusiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, eccetto nell’ipotesi in cui detta clausola sia stipulata nell’ambito di un accordo il cui oggetto stesso consiste nella definizione di una lite sussistente tra consumatore e professionista. Ciò nondimeno, anche in una simile ipotesi, una clausola del genere deve essere conforme all’imperativo di trasparenza risultante dall’articolo 4, paragrafo 2, e dall’articolo 5 di detta direttiva. Relativamente ad una clausola di un siffatto accordo che comporti rinuncia reciproca a contestare in sede giurisdizionale la validità di una clausola contrattuale preesistente, si reputa che un consumatore medio comprenda le conseguenze giuridiche ed economiche che gliene derivano se, al momento della conclusione di tale accordo, è consapevole del vizio che inficia potenzialmente quest’ultima clausola, dei diritti derivanti dalla direttiva medesima che poteva invocare al riguardo, del fatto che era libero di concludere l’accordo in parola o rifiutarlo e di adire il giudice, nonché del fatto che non potrebbe più farlo dopo la sua conclusione.

4)

Una clausola «di tasso minimo», che non è stata oggetto di negoziato individuale, dev’essere considerata trasparente, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’articolo 5, della direttiva 93/13, quando il consumatore è in grado di comprendere le conseguenze economiche che gliene derivano. In particolare, il contratto che la contiene deve esporre in modo trasparente le motivazioni e le peculiarità del meccanismo previsto dalla clausola di cui trattasi. Per contro, non si può richiedere al professionista di illustrare, in una prospettiva futura, le mensilità che il cliente dovrebbe pagare in mancanza di detta clausola.

( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Consiglio del 5 aprile 1993 (GU 1993, L 95, pag. 29).

( 3 ) In prosieguo: il «contratto di mutuo ipotecario».

( 4 ) Dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni dell’I risulta che, in data non comunicata, la Caja de Ahorros de la Inmaculada de Aragón è entrata nel Banco Grupo Cajatrés S.A. In seguito, il 23 maggio 2013, anche tale istituto è entrato nell’I, prima di essere definitivamente assorbito da quest’ultima il 1o ottobre 2014.

( 5 ) Sentenza del 21 dicembre 2016 (C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15;
in prosieguo: la «sentenza G N, EU:C:2016:980).

( 6 ) Tale problematica è già stata portata all’attenzione della Corte. V., inter alia, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252), sentenza G N nonché ordinanza del 14 novembre 2013, Banco Popular Español e Banco de Valencia (C‑537/12 e C‑116/13, EU:C:2013:759).

( 7 ) V. sentenza G N, punto 18.

( 8 ) L’ampiezza del fenomeno fu considerevole: a titolo di esempio, non meno di un terzo dei mutui ipotecari commercializzati in Spagna nel corso del 2010 includeva una clausola del genere (v. Z, F., «Mortgage Credit – Mis-selling of Financial Products – Study requested by the ECON committee», European Parliament, Policy Department for Economic, Scientific and Quality of Life Policies, Directorate-General for Internal Policies, giugno 2018, pagg. da 23 a 32 e riferimenti citati).

( 9 ) Sentenza n. 241/2013 (in prosieguo: la «sentenza del Tribunal Supremo del 9 maggio 2013» o la «sentenza del 9 maggio 2013», ES:TS:2013:1916).

( 10 ) Il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha in seguito confermato tale soluzione [v. segnatamente sentenze del 25 marzo 2015, n. 139/2015 (ES:TS:2015:1280), e del 29 aprile 2015, n. 222/2015 (ES:TS:2015:2207)]. V. sentenza G N, punti da 18 a 21 e 67.

( 11 ) Secondo l’I, i suoi dipendenti dovevano proporre la conclusione di un «contratto di novazione modificativa del mutuo» ai soli clienti che, in seguito alla sentenza del Tribunal Supremo del 9 maggio 2013, avevano presentato un reclamo riguardante la clausola «di tasso minimo» stipulata nel loro contratto. Al contrario, secondo XZ, la conclusione di siffatti accordi s’inseriva nell’ambito di una campagna rivolta alla totalità dei clienti il cui contratto prevedeva una simile clausola «di tasso minimo», che avessero o meno presentato un reclamo al riguardo. Preciso che il punto se la stessa XZ avesse presentato un reclamo del genere è oggetto di discussione tra le parti del procedimento principale dinanzi al giudice del rinvio (v. paragrafo 80 delle presenti conclusioni).

( 12 ) Ossia, in pratica, la differenza tra le somme pagate in base alla soglia «di tasso minimo» e quelle che sarebbero state versate se tale soglia non fosse esistita e fosse stato applicato il tasso di interesse variabile.

( 13 ) V. sentenza G N, punti da 61 a 75, nonché paragrafo 21 delle presenti conclusioni.

( 14 ) Il caso di XZ è tutt’altro che isolato. Dinanzi ai giudici spagnoli sono state presentate più di un milione di domande di restituzione di somme versate in applicazione di una clausola «di tasso minimo» (v. Z, F., op. cit., pag. 27). V., sulla questione dell’impatto della sentenza del Tribunal Supremo del 9 maggio 2013 e della sentenza G N sull’economia spagnola, International Monetary Fund, IMF Country Report N. 17/345, Spain: Financial Sector Assessment Program – Technical Note on Supervision of Spanish Banks – Select[ed] issues, 13 novembre 2017, pagg. 8, 10, 23 e 53, che eleva la commercializzazione di mutui ipotecari contenenti una clausola «di tasso minimo» al rango di rischio sistemico per tale economia.

( 15 ) Sentenza n. 205/2018 (in prosieguo: la «sentenza del Tribunal Supremo dell’11 aprile 2018» o la «sentenza dell’11 aprile 2018», ES:TS:2018:1238).

( 16 ) A norma dell’articolo 1809 del codice civile spagnolo, la transazione è un contratto con cui le parti, dando, promettendo o rinunciando ciascuna a qualcosa, evitano il sorgere di una lite o pongono fine a una lite già sorta.

( 17 ) V. per maggiori dettagli, il paragrafo 82 delle presenti conclusioni.

( 18 ) In prosieguo: il «parere dissenziente del giudice O M».

( 19 ) La novazione è un contratto, segnatamente previsto all’articolo 1203 del codice civile spagnolo, con cui due parti, vincolate da una precedente obbligazione, modificano tale obbligazione o la sostituiscono con un’altra.

( 20 ) V. nota a piè di pagina 31 delle presenti conclusioni.

( 21 ) L’I e il governo spagnolo hanno sottolineato che, nella sentenza del 9 maggio 2013, il Tribunal Supremo (Corte suprema) non ha annullato tutte le clausole «di tasso minimo», ma soltanto quelle utilizzate dalle tre banche interessate dall’azione inibitoria di cui era stato investito. Conformemente a detta sentenza, peraltro, le clausole «di tasso minimo» sono abusive solo nei limiti in cui manchino di trasparenza, il che dev’essere accertato caso per caso dal giudice. Orbene, nel momento in cui le parti nel procedimento principale hanno concluso il «contratto di novazione modificativa del mutuo», la clausola «di tasso minimo» stipulata nel contratto di mutuo ipotecario non era stata contestata dinanzi al giudice. XZ e la Commissione sostengono tuttavia che le condizioni di trasparenza stabilite in tale sentenza sono molto restrittive, di modo che sussiste, quanto meno, un’elevata possibilità che la clausola «di tasso minimo» controversa sia abusiva. A loro avviso, in circa il 97% dei casi, i procedimenti giudiziari per clausole abusive, comprese le clausole di tasso minimo, sono stati vinti dai consumatori. Rammento che, nella sentenza G N, la Corte non si è pronunciata sul carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo». Essa è partita dal presupposto che le medesime fossero abusive. Del pari, nella presente causa non spetta alla Corte dirimere tale questione.

( 22 ) A rigor di termini, non è la clausola ad essere novata, bensì l’obbligazione che ne deriva. Nelle presenti conclusioni farò nondimeno riferimento a «novazione di una clausola» per motivi di opportunità.

( 23 ) V., segnatamente, sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 58);
del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 30);
del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 65), nonché del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 41).

( 24 ) Sentenza G N, punti 61 e 62.

( 25 ) V. paragrafo 26 delle presenti conclusioni.

( 26 ) V. paragrafo 27 delle presenti conclusioni.

( 27 ) Con tale termine intendo l’atto con cui un contraente rinuncia a far valere una causa di nullità, di cui, segnatamente agli articoli da 1309 a 1313 del codice civile spagnolo.

( 28 ) V. segnatamente sentenze del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punti 25, 36 e 37);
del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 30, 51 e 52), nonché del 17 maggio 2018, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen (C‑147/16, EU:C:2018:320, punti 26, 27, 34 e 35).

( 29 ) Rammento che il diritto di diversi Stati, tra cui il Regno del Belgio, la Repubblica francese e il Regno di Spagna, distingue tra nullità «assoluta» e nullità «relativa» dei contratti. La nullità assoluta opera di pieno diritto e dev’essere rilevata d’ufficio dal giudice. Al contrario, la nullità relativa può essere fatta valere in giudizio unicamente dalla parte che la legge intende tutelare ed essere, eventualmente, pronunciata dal giudice. È generalmente ammesso che il criterio distintivo tra tali due sanzioni si basi sul fondamento della norma violata, a seconda che la stessa sia intesa a preservare l’interesse generale o a tutelare interessi privati. La nullità è assoluta nel primo caso e relativa nel secondo. V. conclusioni dell’avvocato generale T nella causa M M (C‑227/08, EU:C:2009:295, paragrafo 51 e riferimenti citati).

( 30 ) V. articolo 83, paragrafo 1, del regio decreto legislativo 1/2007.

( 31 ) V. segnatamente sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema) del 16 ottobre 2017, n. 558/2017. Nella sentenza richiamata, detto organo giurisdizionale ha ritenuto che un «contratto di novazione» concluso tra una banca e un consumatore, in cui questi ultimi avevano novato la clausola «di tasso minimo» inclusa nel loro contratto di mutuo, fosse nullo poiché tale clausola era abusiva e, pertanto, viziata da nullità assoluta. V. anche sentenza del 26 febbraio 2015, M (C‑143/13, EU:C:2015:127, punti da 37 a 42). Nella causa che ha dato luogo alla sentenza in parola, due consumatori avevano contestato in sede giurisdizionale diverse clausole del loro contratto di credito. Il giudice nazionale aveva investito la Corte di numerose questioni riguardanti l’interpretazione della direttiva 93/13. Detti consumatori e la banca convenuta avevano, in seguito, concluso una transazione intesa a risolvere in via stragiudiziale la controversia. La banca di cui trattasi l’aveva fatta valere dinanzi alla Corte per giustificare l’irricevibilità delle questioni pregiudiziali. Il giudice nazionale aveva tuttavia precisato alla Corte di non aver preso atto della citata transazione in base al rilevo che la questione del carattere asseritamente abusivo delle clausole contrattuali in discussione è una questione di ordine pubblico sulla quale le parti non possono transigere. Sottolineo che la Corte, nella propria sentenza, non si è pronunciata su tale punto, limitandosi a constatare che una lite continuava ad essere pendente dinanzi al giudice del rinvio e, quindi, a respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dinanzi ad essa.

( 32 ) V. sentenza del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350, punti 33 e 35).

( 33 ) Sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 54).

( 34 ) Sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 25). V., per l’origine di tale formulazione, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Duarte Hueros (C‑32/12, EU:C:2013:128, paragrafo 53).

( 35 ) Sentenza del 21 febbraio 2013 (C‑472/11, EU:C:2013:88, punto 35).

( 36 ) V., in particolare, la giurisprudenza della Corte riguardante l’imperativo di trasparenza delle clausole contrattuali derivante dall’articolo 4, paragrafo 2, e dall’articolo 5, della direttiva 93/13 (v. sezione C delle presenti conclusioni). Faccio qui riferimento all’idea di un consenso «informato» del consumatore. In linea generale, l’aspetto del carattere «libero» del consenso fornito dal consumatore ad un contratto rientra nell’ambito delle norme nazionali in materia di vizi del consenso (v. nota a piè di pagina 54 delle presenti conclusioni).

( 37 ) V. segnatamente articolo 41, lettera a), della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU 2014, L 60, pag. 34) e articolo 25 della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2011, L 304, pag. 64). V. altresì, nel diritto spagnolo, articolo 10 del regio decreto legislativo 1/2007.

( 38 ) V., per analogia, la soluzione prevista nel regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2012, L 351, pag. 1), in materia di clausole attributive di competenza nei procedimenti giudiziari transfrontalieri relativi a contratti di consumo. Rammento che la sezione 4 del capo II di detto regolamento prevede norme sulla competenza a tutela del consumatore. In tale contesto, l’articolo 19 del regolamento in parola stabilisce che le norme di cui trattasi possono essere derogate solo da una convenzione attributiva di competenza che, segnatamente, sia posteriore al sorgere della controversia esistente tra le parti. La spiegazione accettata in dottrina della norma succitata è che il consumatore è in grado di comprendere pienamente le conseguenze di un accordo del genere e, quindi, di acconsentirvi in modo informato, solo una volta che sia a conoscenza dell’oggetto della controversia. V. Nielsen, P.A., «Article 19», in M, U., e M, P., Brussels Ibis Regulation – Commentary, European Commentaries on Private International Law, Schmidt, Otto, Dr., KG, Verlag, 2016, pag. 519.

( 39 ) L’affermazione della Corte secondo cui una clausola abusiva dev’essere considerata «come se non fosse mai esistita» è quindi una finzione giuridica che va relativizzata – la stessa Corte ha d’altronde sottolineato che ciò vale solo «in linea di principio» (v. sentenza G N, punto 61). Il consumatore ha facoltà di mantenere in vigore la clausola in questione. Per proseguire nell’analogia con i regimi di nullità esistenti in nel diritto di taluni Stati membri (v. paragrafo 37 delle presenti conclusioni), il regime delle clausole abusive, sotto tale profilo, è, a mio avviso, simile a quello delle nullità relative, suscettibili di dare luogo a novazione o conferma.

( 40 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Gavrilescu (C‑627/15, EU:C:2017:690, paragrafi da 46 a 52).

( 41 ) V. conclusioni dell’avvocato generale T nella causa Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, EU:C:2009:682, paragrafo 40 e riferimenti citati). V. paragrafo 73 delle presenti conclusioni.

( 42 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull’ADR per i consumatori) (GU 2013, L 165, pag. 63).

( 43 ) Vero è che la direttiva 2013/11 non disciplina la problematica della natura o degli effetti giuridici dello strumento di cui ci si deve avvalere per formalizzare il consenso delle parti sulla soluzione proposta, ragion per cui tale questione rientra nell’ambito del diritto di ciascuno Stato membro. Tuttavia, la transazione è lo strumento più utilizzato per tradurre in concreto un accordo amichevole risultante da una mediazione (v. C, R., «“Just Settlement” or “Just About Settlement”? Mediated Agreements: A Comparative Overview of the Basics», RabelsZ, n. 79, 2015, pagg. da 117 a 141).

( 44 ) V. articolo 9, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2013/11.

( 45 ) V. articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2013/11, riprodotto alla nota 75 delle presenti conclusioni.

( 46 ) A norma del suo articolo 2, paragrafo 2, lettera e), la direttiva 2013/11 non si applica «alla negoziazione diretta tra consumatore e professionista». Rilevo, del resto, che, con tale disposizione, il legislatore dell’Unione si è limitato a escludere dall’ambito di applicazione di detta direttiva le transazioni direttamente negoziate tra professionista e consumatore, senza per questo vietarle, mentre avrebbe potuto benissimo farlo se questa fosse stata la sua volontà.

( 47 ) V., in tal senso, sentenze del 1o ottobre 2015,

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