Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-08-21, n. 202307835
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Pubblicato il 21/08/2023
N. 07835/2023REG.PROV.COLL.
N. 06123/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6123 del 2019, proposto da
G C, rappresentata e difesa dagli avvocati D D C e V C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
Comune di San Giovanni Teatino, in persona del Sindaco legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato A D S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A P in Roma, viale Liegi, 32
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) n. 125/2019
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giovanni Teatino;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 5 luglio 2023 il Pres. C C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’odierna appellante impugna la sentenza indicata in epigrafe che ha respinto il ricorso da lei proposto dinanzi al TAR Abruzzo-Sezione staccata di Pescara per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione prot. n. 956, n. 1/2019 dell’11 gennaio 2019, con cui il Comune di San Giovanni Teatino ha ingiunto la demolizione di opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi.
Il provvedimento impugnato in primo grado contestando la realizzazione senza titolo abilitativo delle seguenti opere: “ 1) Porzione di tettoia, avente dimensioni planimetriche interne di mt 3,48x4,90 circa, chiusa su tre lati con murature in uno delle quali è aperta una finestra. Tale struttura, utilizzata principalmente come legnaia e deposito attrezzature per giardinaggio;2) Trasformazione del locale autorizzato come garage, in ripostiglio di attrezzature per uso domestico. Lo stesso presenta un angolo attrezzato probabilmente destinato alla preparazione degli alimenti dotato di lavandino, lavatrice, caminetto e frigorifero. All’interno del locale sono presenti gli impianti elettrico, citofonico, idrico e di raffrescamento, nonché una stufa a legna;3) Realizzazione di porzione di pensilina a sbalzo in legno posta sul fronte sud-est del locale garage di cui al punto 2), avente profondità di mt 3,00 circa e lunghezza di mt 5.45 circa ”. Con tale provvedimento il Comune ingiungeva alla ricorrente la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi, in qualità di proprietaria dei manufatti e dell’area di sedime interessata.
Avverso tale provvedimento, l’odierna appellante proponeva il ricorso di primo grado e lamentava l’illegittimità della sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, in luogo della sanzione pecuniaria di cui all’articolo 37 del medesimo decreto, invocando il carattere “pertinenziale” delle opere realizzate. Inoltre, sul contestato mutamento di destinazione d’uso censurava l’illegittimità del provvedimento perché fondato su “ mere presunzioni inidonee a comprovare il passaggio fra categorie funzionali ”, evidenziando altresì l’assentibilità mediante S.C.I.A. dell’intervento medesimo.
Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso sull’assunto, in riferimento alla tettoia, di una prestata acquiescenza all’abusività per effetto della presentazione di un’istanza in sanatoria riscontrata dalla P.A. con diniego rimasto inoppugnato, preclusiva dell’introduzione in giudizio di motivi estranei a vizi propri dell’ordine di demolizione;nonché argomentando, in relazione al mutamento di destinazione d’uso del garage e relativa pensilina, sul carattere innovativo degli interventi realizzati.
Il giudice di prime cure qualifica, infatti, quanto eseguito nel locale (apertura del tipo finestra, installazione di impianti, dotazione di attrezzature come un caminetto e una stufa a legna) in termini di elementi indicativi della trasformazione d’uso da garage a locale residenziale, determinanti una ristrutturazione rilevante ai sensi dell’art. 3 del d.PR. n. 380 del 2001, coerentemente con quanto contestato dall’amministrazione comunale nel provvedimento impugnato in primo grado.
Ne deriva, ad avviso del TAR, il rigetto anche delle doglianze inerenti alla stessa pensilina, in quanto elemento aggiuntivo che concorre alla trasformazione d’uso e che per dimensioni e ampiezza appare altresì idoneo ad assumere un effetto impattante sul territorio.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla signora Ciccarelli la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) Error in iudicando della sentenza gravata nella parte in cui il TAR Pescara afferma il principio della non contestabilità del tipo di sanzione comminata (demolizione in luogo della sanzione pecuniaria) per l'omessa impugnazione del diniego di sanatoria. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10, 22, 23, 31 e 36 dpr 380/2001;Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti;
2) Error in iudicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10, 22, comma 7, 23, 31 e 36 dpr 380/2001;Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti. Sviamento;
3) Error in iudicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10, 22, comma 7, 23, 31 e 36 dpr 380/2001;di ogni altra norma e principio in materia di distanza dagli edifici;Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti. Sviamento;
4) Error in iudicando. sulla sanzione del "ripristino dello stato dei luoghi". Erronea motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (consistenza e tipologia degli interventi e destinazione funzionale del manufatto);Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti;Eccesso di potere per carenza di istruttoria.
La parte appellante, inoltre, ha riproposto e sviluppato le censure disattese del TAR mediante specifiche critiche alla decisione di prime cure.
Preliminarmente, afferma l’esigenza di sintetizzare le domanda e i motivi in diritto del ricorso di primo grado. A tal proposito, ribadisce come oggetto di contestazione sia la legittimità del tipo di sanzione, demolitoria e di rispristino dei luoghi, comminata dall’amministrazione, deducendo da ciò l’erroneità della sentenza impugnata.
Sul punto, la parte appellante evidenzia che, in relazione alla legnaia, oggetto di doglianza fosse l’illegittimità dell’ordine di demolizione in luogo della sanzione pecuniaria, per la realizzazione di un’opera asseritamente pertinenziale. Evidenzia poi che pensilina e tettoia oltre ad avere il carattere delle opere pertinenziali rientrerebbero nell’attività di edilizia libera. Osserva infine che il cambio d’uso contestato dall’amministrazione comunale fosse da garage a “ripostiglio per attrezzature domestiche e non ad uso domestico”.
L’atto di appello, si sofferma poi, sempre in via preliminare, sul contenuto dell’atto impugnato e dell’atto “presupposto”, lamentando come il TAR abbia erroneamente il nesso di presupposizione tra questi intercorrente.
Nello specifico, si osserva che il diniego di sanatoria avesse ad oggetto solo la legnaia, mentre l’ordine di demolizione era rivolto anche alla trasformazione d’uso del locale garage e alla realizzazione della pensilina.
Poi, con il primo motivo di appello, si lamenta l’erroneità della sentenza del TAR nella parte in cui erroneamente avrebbe ritenuto inconferente la censura sulla natura pertinenziale dell’opera e sull’illegittimità della sanzione demolitoria, rilevando una prestata acquiescenza per effetto della presentazione di istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 36, d.P.R. n. 380 del 2001.
Nello specifico, si contesta la decisione di prime cure laddove afferma altresì che il provvedimento di demolizione sarebbe conseguenza diretta del diniego di sanatoria, la cui mancata impugnazione determinerebbe l’ulteriore effetto di precludere censure che non integrino vizi propri dell’ordine di demolizione.
L’appellante con il presente gravame ribadisce come oggetto di contestazione sia il regime sanzionatorio applicato e non il carattere abusivo delle opere realizzate. Peraltro, osserva come oggetto di censura sia la proporzionalità, l’adeguatezza e la legittimità della sanzione irrogata. Invoca a sostegno delle proprie tesi difensive quanto previsto dall’art. 22, comma 7, d.P.R. n. 380 del 2001, deducendo l’erroneità delle statuizioni del TAR che sembrerebbero ammettere che il privato possa incidere sul regime sostanziale e sanzionatorio dell’intervento abusivo.
In sintesi, la parte appellante evidenzia come l’acquiescenza non assuma rilevanza nella vicenda in esame, in quanto potrebbe al massimo riguardare l’abusività mentre oggetto del contendere nella presente vicenda processuale sarebbe l’inadeguatezza della sanzione demolitoria comminata dall’amministrazione, rispetto al regime applicabile all’intervento realizzato.
Con il secondo mezzo, dopo aver preliminarmente eccepito la circostanza che la pensilina e gli ulteriori interventi contestati in quanto integranti mutamento della destinazione d’uso non fossero oggetto dell’istanza di sanatoria, si contesta la sentenza del TAR ribadendo, in primo luogo, il carattere pertinenziale della pensilina dal quale deriverebbe l’illegittimità della sanzione demolitoria.
Parte appellante, in particolare, deduce il carattere “servente” dell’opera rispetto al manufatto principale, evidenziando altresì come l’assenza di uno stabile ancoraggio al suolo e di tamponature laterale escludano la creazione di “nuove volumetrie”.
Ciò premesso, sono riproposte le doglianze inerenti alla natura pertinenziale della legnaia e della pensilina, in quanto erroneamente disattese dal TAR.
Nello specifico, si deduce trattarsi di interventi che per struttura e per funzione sarebbero assoggettabili ai sensi della normativa di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 alla mera sanzione pecuniaria, senza che possa sostenersi che sia il privato mediante le sue istanze a disporre del precetto normativo.
Con il terzo motivo di appello, si deduce l’irrilevanza della pretesa violazione dei vincoli di distanza minima attesa la pertinenzialità della tettoia realizzata, lamentando l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui, eccependo che tale censura avrebbe dovuto essere rivolta nei confronti del diniego di sanatoria, non si avvede come oggetto di contestazione non sia la questione della violazione delle distanze quanto l’illegittimità dell’ordine di demolizione.
Il quarto motivo di appello, infine, sul ripristino dello stato dei luoghi per trasformazione d’uso del locale contesta l’accertamento dell’amministrazione comunale e l’erroneità della sentenza nella parte in cui individuerebbe anche elementi ultronei, asseritamente contrastanti con evidente documentazione fotografica.
Si deduce, peraltro, una discrasia tra ordine di demolizione e statuizioni del TAR anche in relazione al mutamento realizzato nella misura in cui l’amministrazione fa riferimento alla trasformazione da garage a “ripostiglio di attrezzature per uso domestico”, che sarebbe diverso dall’uso abitabile rilevato dal TAR.
L’appellante, quindi, contesta al TAR di aver evidenziato profili di abuso non sollevati dalla p.a. e alla p.a. di aver fondato il provvedimento su affermazioni presuntive, tali da rendere apodittico il mutamento di destinazione d’uso contestato.
Eccepisce, inoltre, come potrebbe al più configurarsi nella fattispecie in esame un mutamento irrilevante ai fini urbanistici, assentibile tramite S.C.I.A. e perciò sanzionabile in via pecuniaria e non con misura reale di rispristino.
La parte appellante ripropone, infine, i motivi di ricorso di primo grado riportandoli nell’atto di appello.
Il Comune di San Giovanni Teatino si è costituito formalmente in giudizio concludendo per il rigetto dell’appello e argomentando, in vista dell’udienza di trattazione, le proprie difese con memoria con cui contesta puntualmente quanto ex adverso dedotto.
In particolare, sul primo motivo di appello, la difesa del Comune appellato eccepisce innanzitutto un profilo di inammissibilità nella parte in cui introdurrebbe censure nuove richiamando previsioni normative diverse rispetto alle difese svolte in primo grado. Nel merito, si contesta la pretesa illegittimità della sanzione comminata evidenziando come la necessità del permesso di costruire per la realizzazione delle opere contestate fosse nota a parte ricorrente. Nello specifico, si censurano le argomentazioni di parte appellante fondate sul preteso carattere pertinenziale delle opere realizzate.
Si deduce, inoltre, la correttezza delle statuizioni del TAR in ordine alla prestata acquiescenza e al carattere confessorio dell’istanza di sanatoria.
Sul secondo e quarto motivo di appello, si rileva in primo luogo il carattere dirimente delle dimensioni della pensilina e della mancata impugnazione del diniego di sanatoria. In particolare, l’amministrazione richiama quanto desumibile dalla documentazione in atti al fine di confutare le argomentazioni di controparte. Trattandosi, dunque, di mutamento da autorizzare con permesso di costruire, rileva come sarebbe altresì legittima la sanzione di ripristino dello stato dei luoghi. Parimenti, ritiene sia da escludersi la natura pertinenziale della tettoia e della legnaia con conferma della legittimità della sanzione demolitoria.
Sul terzo motivo di appello, si deduce il carattere preclusivo del diniego di sanatoria anche rispetto alla sanzione comminata, nonché l’infondatezza delle difese avversarie stante il carattere delle opere realizzate, le cui dimensioni non potrebbero ritenersi “trascurabili”.
Il Comune appellato evidenzia, infine, il carattere meramente ripetitivo della riproposizione dei motivi di primo grado.
All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 5 luglio 2023, svoltasi da remoto, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla signora G C avverso la sentenza del TAR Abruzzo– Sezione staccata di Pescara con cui è stato respinto il ricorso da lei proposto avverso l’ordinanza con la quale il Comune di San Giovanni Teatino ha contestato l’abusiva realizzazione di opere ordinandone la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi.
2. Con il primo motivo di appello (più analiticamente descritto in narrativa) l’appellante lamenta che il TAR abbia omesso di considerare che il ricorso di primo grado non fosse finalizzato a contestare il carattere abusivo degli interventi all’origine dei fatti di causa (con particolare riguardo alla tettoia), bensì a contestare la legittimità della misura sanzionatoria reale imposta dal Comune, in luogo di quella – alternativa – di carattere pecuniario.
Il TAR avrebbe inoltre erroneamente omesso di considerare che il regìme sanzionatorio applicabile quale conseguenza di un’iniziativa edilizia sine titulo non deriva dalla qualificazione offerta dallo stesso privato interessato (il quale, nel caso in esame, aveva presentato un’istanza ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. 380 del 2001, tipica degli interventi ordinariamente assoggettati al permesso di costruire), bensì dalla natura oggettiva dell’iniziativa in parola.
Ebbene – nella tesi dell’appellante - i manufatti per cui è causa (con particolare riguardo alla tettoia) non erano affatto qualificabili quali ‘nuove costruzioni’ ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. 380, cit., ma erano piuttosto qualificabili quali ‘pertinenze’ dell’edificio principale, restando così assoggettati alle previsioni in materia di SCIA (e non rilevando in senso contrario la qualificazione offerta dalla stessa parte richiedente).
Del resto – prosegue l’appellante – ai sensi dell’articolo 22, comma 7 del d.P.R. 380 del 2001, l’interessato può richiedere il rilascio di un permesso di costruire anche a fronte di attività edilizie assoggettate al regime della SCIA. Tuttavia, in tali casi, l’eventuale violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 44 del medesimo decreto, risultando piuttosto assoggettata al regìme delle sanzioni – non demolitorie – di cui all’articolo 37.
Con il secondo motivo di appello la signora Ciccarelli lamenta che erroneamente il TAR avrebbe messo di riconoscere che sia la tettoia adibita a legnaia, sia la pensilina a sbalzo rappresenterebbero mere opere pertinenziali ( rectius : pertinenze minori) non qualificabili come ‘nuove costruzioni’ e quindi non assoggettate alla sanzione demolitoria nel caso di realizzazione abusiva.
Sotto tale aspetto il TAR avrebbe omesso di considerare:
- che i richiamati interventi erano, appunto, qualificabili quali pertinenze sia dal punto di vista funzionale che da quello strutturale;
- che tali interventi pertinenziali non eccederebbero il 20 per cento del volume dell’edificio principale e non richiederebbero il regìme abilitativo del permesso di costruire (in tal senso, l’articolo 3 del d.P.R. 380 del 2001 e la Tabella A, pt. 17 del decreto legislativo n. 222 del 2016);
- che, anzi, gli interventi in questione fossero inquadrabili fra quelli assoggettati al regìme di edilizia libera ai sensi del d.m. 2 marzo 2018 (‘ Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 ’);
- che gli interventi in questione erano assoggettati al regìme dell’edilizia libera (articolo 6 del d.P.R. 380 del 2001), ovvero a quello della C.I.L.A. (articolo 6- bis del d.P.R. 380, cit.), ovvero ancora – a tutto concedere - al regìme della S.C.I.A. (ai sensi dell’articolo 22 del medesimo decreto). In nessun caso, comunque, tali interventi avrebbero potuto essere considerati soggetti al regìme del premesso di costruire (e, di conseguenza, al regìme sanzionatorio di carattere ripristinatorio di cui agli articoli 31 e 44 del d.P.R. 380, cit, in caso di interventi abusivi).
Con il terzo motivo (anch’esso più analiticamente descritto in narrativa) l’appellante lamenta che il TAR abbia erroneamente ritenuto che la tettoia fosse illegittimamente collocata a una distanza inadeguata dal confine ( i.e .: a una distanza inferiore ai 5 metri). In tal modo decidendo il primo Giudice avrebbe erroneamente omesso di considerare che il regìme legale delle distanze minime non può trovare applicazione nel caso di opere pertinenziali di dimensioni trascurabili (quali la tettoia per cui è causa, che sarebbe, anzi, qualificabile come mera ‘pertinenza edilizia’).
Con il quarto motivo l’appellante lamenta che il TAR abbia sostanzialmente travisato il contenuto dell’ordinanza n. 1 del 2019 fino a ritenere che il Comune appellato avrebbe contestato il cambio di destinazione d’uso del garage in abitazione. Ma il punto è – osserva l’appellante – che il provvedimento in questione si era limitato a contestare il cambio di destinazione dall’uso garage a quello di “ ripostiglio di attrezzature per uso domestico ” ( i.e . fra due tipologie d’uso sostanzialmente omogenee fra loro).
Laddove il TAR avesse correttamente inteso il contenuto e la portata del provvedimento comunale avrebbe dovuto necessariamente concludere nel senso dell’illegittimità della disposta misura ripristinatoria la quale – come anticipato – non avrebbe avuto alcuna ragion d’essere a fronte di tipologie d’uso comunque fra loro compatibili.
2.1. I quattro motivi appena descritti - che possono essere esaminati in modo congiunto – sono infondati (salvo quanto in seguito si dirà in ordine alla pensilina a sbalzo in legno posta sul fronte sud-est del locale garage).
2.1.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che può essere in via di principio condivisa la tesi dell’appellante secondo cui il regìme abilitativo applicabile a un determinato intervento edilizio consegue in modo oggettivo alla sua natura e alle sue caratteristiche (non essendo a tal fine rilevanti le qualificazioni proposte dallo stesso proprietario).
Ma il punto è che le caratteristiche oggettive della tettoia all’origine dei fatti di causa, nonché l’altrettanto oggettiva variazione della destinazione d’uso del garage giustificavano la disposta misura ripristinatoria.
2.1.2. Per quanto riguarda la tettoia addossata al manufatto principale (indicata sub A) nell’ambito del provvedimento comunale impugnato in primo grado) va in primo luogo confermato che l’ordine di demolizione conseguiva in modo sostanzialmente automatico al rigetto dell’istanza di accertamento di conformità presentata dall’appellante nel novembre del 2013 (rigetto che – è bene ricordarlo – l’appellante non aveva impugnato in giudizio, in tal modo determinandone la definitività).
2.1.3. Tale conseguenza non derivava dalla qualificazione che dell’intervento aveva offerto l’appellante in sede di istanza di accertamento ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. 380, bensì dalle caratteristiche oggettive del manufatto il quale era qualificabile come ‘nuova costruzione’ ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. 380 del 2001, con la conseguenza per cui in caso di assenza (ovvero di totale difformità) dal necessario permesso di costruire, si rendeva necessaria l’adozione del provvedimento ripristinatorio ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001.
Ed infatti, l’intervento in questione rappresenta un manufatto edilizio fuori terra, realizzato con rilevanti componenti in muratura e comunque determinante l'ampliamento di quello esistente, “ all'esterno della sagoma esistente ”, in tal modo concretando appieno la nozione di ‘nuova costruzione’ ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e1) del d.P.R. 380, cit.
2.1.4. Non è poi condivisibile la tesi dell’appellante secondo cui il manufatto in questione avrebbe dovuto essere qualificato come ‘pertinenza edilizia’.
Secondo un condiviso orientamento, il concetto di pertinenza urbanistica è diverso e più ristretto rispetto alla corrispondente nozione civilistica di pertinenza e si identifica con il manufatto di modeste dimensioni, con funzioni soltanto accessorie dell'edificio principale, coessenziale quindi ad esso e privo di autonomo valore di mercato. La pertinenza urbanistico-edilizia deve essere preordinata a un'esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui servizio deve essere posta in via funzionale e oggettiva. Il manufatto, non deve altresì possedere un autonomo valore di mercato, nel senso che il suo volume non deve consentire una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (sul punto – ex multis -: Cons. Stato, VII, sent. 2023, n. 3422).
Ma il punto è che, nel caso in esame, non è possibile affermare che la tettoia in questione presenti le caratteristiche tipiche di una pertinenza ai fini edilizi.
Ciò, in quanto:
- non si tratta di un manufatto “ di modeste dimensioni ”, bensì di una costruzione di complessivi (10,77 x 3,75=) 40,38 mq, chiusa su tre lati con murature
- la pluralità di funzioni cui è destinata la rende funzionale ad un uso assai eterogeneo (legnaia, deposito di attrezzature, rimessa, ripostiglio) e non necessariamente riferito al solo edificio principale.
Per tali ragioni neppure può essere condivisa la tesi secondo cui l’intervento in questione sarebbe qualificabile come ‘pertinenza’ ai sensi dell’Allegato I – Sezione II – pt. 17 del decreto legislativo n. 222 del 2016 (‘ Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ’).
2.1.5. Neppure è fondata la tesi secondo cui l’articolo 3, comma 1, pt. e6) del d.P.R. 380 del 2001 sarebbe da intendere nel senso di escludere sempre la qualificazione come ‘nuova costruzione’ dei manufatti afferenti ad altro manufatto e che presentino un volume inferiore al 20 per cento del volume dell'edificio principale.
Al contrario, stante il carattere eccezionale della nozione di ‘pertinenza edilizia’, la richiamata disposizione deve piuttosto essere intesa nel senso che
- il superamento del richiamato limite del 20 per cento determina sempre e comunque la qualificabilità dell’intervento come ‘nuova costruzione’ ma
- anche nel caso in cui il singolo manufatto si collochi al di sotto di tale limite dimensionale, ciò non consente di escludere la qualificazione come ‘nuova costruzione’ laddove – come nel caso in esame – sussistano gli ulteriori presupposti richiamati dall’articolo 3, comma 1, lettera e), cit.
2.1.6. Non è poi fondata la tesi dell’appellante secondo cui la più volte richiamata tettoia sarebbe sottoposta al regìme della c.d. C.I.L.A. ai sensi dell’articolo 6-bis del T.U. Edilizia n, 380 del 2001.
È sufficiente osservare al contrario che, ai sensi del medesimo articolo 6-bis, il regìme della C.I.L.A. non può trovare applicazione nelle ipotesi – quale quella che qui ricorre – di interventi assoggettati al regìme del permesso di costruire in quanto configurabili come di ‘nuova costruzione’ ai sensi del successivo articolo 10 (e tale assoggettamento è necessariamente riferito agli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire”, quale quello che qui ricorre).
2.1.7. Per ragioni connesse a quelle appena esposte neppure può ritenersi che il più volte richiamato intervento potesse restare assoggettato al regìme della S.C.I.A., non ricorrendo alcuna delle ipotesi legittimanti ai sensi dell’articolo 22 del T.U. Edilizia.
2.2. Concludendo sul punto, le caratteristiche oggettive della tettoia per cui è causa comportavano che la stessa fosse certamente qualificabile come intervento di ‘nuova costruzione’ (in quanto tale, assoggettata al regìme abilitativo del permesso di costruire) e con ‘ulteriore conseguenza per cui, in caso di manufatto realizzato in carenza di tale – necessario – titolo, la conseguenza inevitabile fosse quella della demolizione ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001.
2.3. L’infondatezza dell’ordine di demolizione per le ragioni dinanzi esaminate sub 2.1. e 2.2. risulta di per sé idonea a confermare la legittimità del provvedimento ripristinatorio per quanto riguarda la tettoia addossata al manufatto principale ed esime il Collegio dall’esame dei motivi di ricorso incentrati sull’ulteriore ragione ostativa connessa al mancato rispetto del regìme delle distanze.
Al riguardo il Collegio si limita a richiamare il consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui a fronte di provvedimenti di segno negativo di carattere plurimotivato (fondati su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare il provvedimento di diniego), è sufficiente che una sola di tali ragioni resista alle censure, perché il provvedimento nel suo complesso non sia suscettibile di annullamento (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VII, 11 aprile 2023, n. 3643).
3. A conclusioni diverse da quelle appena evidenziate deve giungersi con riferimento alla pensilina a sbalzo il legno indicata sub 3) nell’ambito dell’impugnato provvedimento comunale n, 1 del 2019.
Al riguardo si ritiene che il Comune appellato non abbia adeguatamente considerato
- l’impatto minore del manufatto in questione e le sue dimensioni complessivamente limitate (circa 15 mq);
- le sue modalità costruttive (pensilina in legno a sbalzo priva di ancoraggio al suolo e realizzata in assenza di opere in muratura);
- la facile amovibilità del manufatto e la sua inidoneità a determinare un concreto un incremento della superficie utile.
In relazione a tale intervento, dunque, deve ritenersi – in riforma della sentenza appellata – che il provvedimento comunale abbia illegittimamente ravvisato la sussistenza per imporre il permesso di costruire e, di conseguenza, per ritenere applicabili le conseguenze ripristinatorie di cui all’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001.
Sotto tale aspetto l’appello in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, deve essere disposto l’annullamento del provvedimento comunale impugnato in primo grado per la parte in cui ha disposto la demolizione anche della pensilina in legno ivi richiamata sub 3).
4. È invece infondato il quarto motivo di appello (anch’esso più analiticamente descritto in precedenza), relativo al cambio di destinazione d’uso del locale in precedenza assentito quale garage.
Sotto tale aspetto l’appellante lamenta in primo luogo che il TAR avrebbe in qualche misura rimodulato le contestazioni mosse con il provvedimento comunale impugnato in primo grado (il quale si limitava a rilevare che il locale - autorizzato come garage – fosse invece adibito a “ ripostiglio di attrezzature per uso domestico ”). Il primo Giudice, al contrario, avrebbe rilevato una sostanziale destinazione ad uso abitativo che neppure il Comune avrebbe contestato, in tal modo sostituendo di fatto le proprie valutazioni a quelle del Comune.
Ma una volta ricondotta la vicenda alla sua oggettività – prosegue l’appellante – non sussisteva nel caso in esame alcun abuso edilizio dal momento che l’utilizzo di un immobile quale “garage” e l’utilizzo quale “ ripostiglio di attrezzature per uso domestico ” risultano fra loro compatibili e non determinano alcun mutamento fra categorie funzionalmente disomogenee (in quanto tale, rilevante ai sensi dell’articolo 23-bis del T.U. Edilizia)
4.1. Il motivo è infondato.
È vero che il provvedimento comunale impugnato in primo grado non menzionava – almeno, in modo espresso – la destinazione abitativa dei locali in questione, ma è anche vero che dalla lettura complessiva del provvedimento emerge che, in via sostanziale, tale contestazione fosse stata chiaramente mossa all’odierna appellante attraverso la puntuale indicazione dei numerosi elementi i quali deponevano nel senso della – illegittima – destinazione abitativa del locale originariamente assentito ad uso garage.
Si legge infatti nel provvedimento impugnato che il locale in questione “ presenta un angolo attrezzato probabilmente destinato alla preparazione degli alimenti dotato di lavandino, lavatrice, caminetto e frigorifero. All’interno del locale sono presenti gli impianti elettrico, citofonico, idrico e di raffrescamento, nonché una stufa a legna ”. Si tratta evidentemente di una serie di rilievi volti a contestare l’utilizzo abitativo del locale in parola e non già la sua sola destinazione a “ ripostiglio di attrezzature per uso domestico ”.
Sotto tale aspetto il provvedimento comunale impugnato presenta probabilmente una formulazione non perspicua ma – nella logica dell’effetto utile – non presenta affatto margini di ambiguità o contraddittorietà tali da palesarne l’illegittimità: ciò che in concreto si contestava era l’aver impresso una destinazione sostanzialmente abitativa (ovvero una strettamente strumentale a quella abitativa) a un locale inizialmente destinato ad uso diverso da quello abitativo.
Del resto, in base a un condiviso orientamento, il cambio di destinazione d'uso da cantina o garage a civile abitazione, in quanto comporta il passaggio da una categoria urbanistica ad un'altra, rientra tra gli interventi edilizi per i quali è necessario il rilascio del permesso di costruire (in tal senso: Cons. Stato, VI, 26 gennaio 2018, n. 551).
In ogni caso – e fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena osservato - non risultano pertinenti le osservazioni svolte dall’appellante in ordine alla portata dell’articolo 23-ter del T.U. Edilizia (‘ Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante ’): la modifica della destinazione d’uso contestata dal Comune non rilevava in quanto operata fra categorie funzionali fra loro eterogenee – del resto, la violazione dell’articolo 23- ter , cit. neppure veniva espressamente richiamata nel provvedimento o contestata all’appellante -. Al contrario, la contestazione riguardava in via sostanziale l’aver destinato ad uso abitativo un locale ab initio destinato a diversi utilizzi, in tal modo determinando un indebito incremento del relativo carico urbanistico.
5. Le osservazioni e le considerazioni sin qui svolte palesano la complessiva infondatezza dell’appello e consentono altresì di respingere i motivi di impugnativa qui riproposti ai sensi dell’articolo 101, comma 2 del cod. proc. amm.
In particolare:
- è infondato il motivo riproposto alle pagine 21-26 dell’atto di appello, con il quale si lamenta in sostanza che il primo Giudice avrebbe erroneamente omesso di rilevare il carattere soltanto pertinenziale dei manufatti per cui è causa. Al riguardo ci si limita qui a rinviare a quanto diffusamente esposto retro , sub 2.1.4 e 2.1.5;
- è infondato il motivo riproposto alla pag. 26 dell’appello, relativo alla presunta violazione della distanza minima dal confine di proprietà. Al riguardo ci si limita qui a rinviare a quanto esposto retro , sub 2.3;
- è da ultimo infondato il motivo riproposto alle pagine 26-29 dell’atto di appello, relativo alla misura ripristinatoria inerente la trasformazione del locale autorizzato come garage. Al riguardo ci si limita qui a rinviare a quanto esposto retro , sub 4.1.
6. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello in epigrafe deve accolto limitatamente al capo relativo alla pensilina in legno a sbalzo e deve essere respinto per il resto.
Sussistono giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti