Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-12-12, n. 201106486
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N. 06486/2011REG.PROV.COLL.
N. 02573/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2573 del 2009, proposto da
M S e P M, rappresentate e difese dagli avvocati G N e A G, con domicilio eletto presso A G in Roma, via Carlo Mirabello, 23;
contro
CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avv. G C, con domicilio eletto presso G C in Roma, piazza Mancini, 4;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO :Sezione VI n. 1044/2008, resa tra le parti, concernente ACCERTAMENTO DELLA SUSSISTENZA DI UN RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2011 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti gli avvocati Gioia e Cecinelli;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La presente vicenda processuale ha inizio con un ricorso al Tribunale amministrativo regionale della della Toscana volto a conseguire l’accertamento della natura di pubblico impiego a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intrattenuto tra le parti ricorrenti (assunte formalmente come contratto di collaborazione coordinata e continuativa) e il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), in posizione corrispondente alla VI qualifica professionale, e, per l’effetto, il pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito effettivamente e quanto sarebbe spettato come dipendente con qualifica VI del comparto enti pubblici non economici.
2. Il giudice adito con la sentenza n. 226/2007 riteneva che vi era stato un rapporto di lavoro nullo, agli effetti dell’art. 2126 Cod. civ., ossia la spettanza del trattamento economico e previdenziale per il periodo di esecuzione del rapporto, e condannava l’amministrazione al pagamento delle differenze retributive e alla regolarizzazione previdenziale e assicurativa.
3. Su appello del CONI, il Consiglio di Stato, sez. VI, con decisione 11 marzo 2008, n. 1044 ha statuito che:
- tra le parti è effettivamente intercorso un rapporto di lavoro di natura subordinata, in via di mero fatto;
- tuttavia in capo al CONI non vi è alcun debito residuo per differenze stipendiali, in quanto in presenza di un rapporto di lavoro di fatto non è scontato che al lavoratore spetti per intero la retribuzione corrispondente a quella del livello assimilabile alle mansioni che gli sono state affidate;è piuttosto onere dell’interessato provare che il rapporto di fatto si è svolto in termini tali da comportare l’integrale equiparazione retributiva;
- nel caso di specie, vi era solo la prova della equiparabilità del rapporto di fatto a quello di diritto sotto il profilo qualitativo, ma non anche sotto il profilo quantitativo;non vi è la prova che la retribuzione percepita sia sproporzionata per difetto rispetto alle mansioni svolte, prova che era onere di parte ricorrente fornire.
4. Contro tale decisione l’interessata ha proposto ricorso per revocazione, lamentando che essa sarebbe affetta da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc, civ..
Si assume che la decisione abbia negletto le risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale di Livorno, da cui si desumerebbe l’ammontare delle differenze retributive spettanti a parte ricorrente.
Tale c.t.u. risulta prodotta anche nel giudizio davanti al giudice amministrativo.
5. Il ricorso è inammissibile.
5.1. Ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc, civ.il vizio revocatorio sussiste se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
L’errore di fatto quale vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc, civ., è il c.d. abbaglio dei sensi , cioè il travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, e non è ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o un’anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, o qualora una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, né quando con il ricorso per revocazione si lamenta che nel caso dell’istruttoria sia stato fornito un dato inattendibile qualora la decisione sia scaturita da una scelta tra contraddittorie e opposte risultanze [Cons. Stato, Sd. plen., 11 giugno 2001, n. 3].
Il fatto oggetto di svista non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata [Cons. St., IV, 19 luglio 2007, n. 4092].
5.2. Nel caso di specie, la questione della sussistenza o meno di un rapporto subordinato di fatto e della spettanza o meno di differenze retributive era la materia principale del contendere, e la sentenza ha valutato le risultanze processuali, ritenendole inidonee a fornire la prova della spettanza delle differenze retributive.
5.3. La sentenza ha valutato se fosse o meno stato assolto l’onere di provare il profilo quantitativo delle mansioni svolte, al fine della loro riconduzione alla VI qualifica professionale, e, sulla base delle risultanze probatorie in atti, ha ritenuto non raggiunta la prova.
Ciò che ora parte ricorrente pretende, è che si dia una diversa rilevanza probatoria ad una c.t.u. di ufficio disposta in un altro giudizio, e prodotta nel giudizio amministrativo.
Ma non si verte in tema di omesso esame di documento, ma di valutazione del documento in termini diversi da quelli attesi da parte ricorrente.
Ancorché in modo sintetico e implicito, la decisione revocanda ha ritenuto che la c.t.u. fosse inidonea come mezzo di prova, e si tratta di corretta valutazione ove si consideri che:
a) la c.t.u. è stata disposta in un diverso giudizio, per cui il giudice amministrativo non era tenuto a valutarla;
b) la c.t.u. non è mezzo di prova ma di valutazione delle prove;
c) la c.t.u. nella specie non fornisce affatto la prova che le mansioni svolte in concreto siano corrispondenti alle mansioni della VI qualifica professionale, ma si limita a quantificare le differenze retributive tra la retribuzione effettivamente percepita e quella in astratto dovuta per la VI qualifica professionale;e, invero, il quesito rivolto dal Tribunale del lavoro di Livorno al c.t.u. non era di accertare le mansioni svolte in concreto e la loro riconducibilità alla VI qualifica professionale, bensì di quantificare “ le spettanze retributive eventualmente dovute (…) sulla base del raffronto tra quanto percepito in corso di rapporto e quanto previsto per i contratti del comparto degli enti pubblici non economici per la VI qualifica funzionale …”.
E’ allora chiaro che la c.t.u. fornisce al giudice, nella specie, un mero calcolo matematico di differenze retributive, restando riservato al giudice l’accertamento se le mansioni in concreto svolte fossero o meno corrispondenti a quelle di VI qualifica funzionale.
6. Da quanto esposto consegue l’insussistenza del lamentato vizio revocatorio e dunque l’inammissibilità del ricorso.
Le spese di lite possono tuttavia essere compensate.