Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-07-08, n. 201904770
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Testo completo
Pubblicato il 08/07/2019
N. 04770/2019REG.PROV.COLL.
N. 06627/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6627 del 2016, proposto dalla:
Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM, in persona del legale rappresentante
pro
tempore
, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
la Compagnia Aerea Italiana - CAI , già Alitalia-Compagnia Aerea Italiana S.p.a, non costituita in giudizio;
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione I, 26 aprile 2016 n.4762, che ha accolto il ricorso n.13167/2015 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM:
a) dell’atto 17 giugno 2015, conosciuto il giorno 29 luglio 2015, di invito alla Compagnia Aerea Italiana - CAI S.p.a. a versare la somma di € 197.223,89 a titolo di contributo per il funzionamento dell’Autorità ai sensi dell’art. 10 commi 7 ter e quater della l. 10 ottobre 1990 n.287;
b) della nota 25 settembre 2015, conosciuta in data imprecisata, di sollecito del pagamento del contributo di cui sopra;
e di ogni atto preordinato, conseguente ovvero connesso;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte intimata appellante l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’art. 10 commi 7 ter e 7 quater della l. 10 ottobre 1990 n.287 prevede l’attuale disciplina del finanziamento dell’Autorità intimata appellante, disciplina che è stata introdotta con l’art. 5 bis comma 1 del d.l. 24 gennaio 2012 n.1 convertito nella l. 24 marzo 2012 n.27, ha sostituito il sistema precedente, in cui il finanziamento era principalmente a carico della fiscalità generale, e quindi di tutti i cittadini, ed ha spostato quindi l’onere relativo sulle imprese medio grandi, che maggiormente impegnano l’attività dell’Autorità stessa, con scelta che la Corte costituzionale, nella sentenza 14 dicembre 2017 n.269, ha giudicato non in contrasto con la Costituzione. In particolare, l’art. 10 comma 7 ter prevede che “ All'onere derivante dal funzionamento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato si provvede mediante un contributo di importo pari allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall'ultimo bilancio approvato dalle società di capitale, con ricavi totali superiori a 50 milioni di euro, fermi restando i criteri stabiliti dal comma 2 dell’articolo 16 della presente legge. La soglia massima di contribuzione a carico di ciascuna impresa non può essere superiore a cento volte la misura minima .” A sua volta, per quanto qui interessa, l’art. 10 comma 7 quater prevede che “…a decorrere dall'anno 2014, il contributo è versato, entro il 31 luglio di ogni anno, direttamente all'Autorità con le modalità determinate dall'Autorità medesima con propria deliberazione. Eventuali variazioni della misura e delle modalità di contribuzione possono essere adottate dall'Autorità medesima con propria deliberazione, nel limite massimo dello 0,5 per mille del fatturato risultante dal bilancio approvato precedentemente all'adozione della delibera, ferma restando la soglia massima di contribuzione di cui al comma 7- ter.”
2. Facendo dichiarata applicazione di questa norma di legge e delle successive sue delibere con le quali ha fissato l’aliquota da applicare per l’anno di riferimento, l’Autorità intimata appellante ha quindi indirizzato alla società ricorrente appellata l’atto 17 giugno 2015, nel quale, ritenendola a ciò obbligata in base al fatturato realizzato nel 2014, le ha richiesto di versare la somma di € 197.223,89 appunto a titolo del contributo in questione (doc. 4 in I grado Autorità, atto citato).
3. Si riassumono i passaggi essenziali dello scambio di corrispondenza che ne è seguito.
3.1 All’atto di cui sopra, la ricorrente appellata ha risposto in particolare con una lettera del giorno 3 agosto 2015, nella quale ha fatto presente di avere ceduto tutte le sue attività e i suoi beni immobili e mobili ad altra società con effetto dal 1 gennaio 2015, come da atto notarile di conferimento che allegava;ha poi dichiarato di non svolgere più alcuna attività, né nel settore del trasporto aereo, né in alcun altro mercato, e di occuparsi soltanto della gestione dei procedimenti pendenti di cui è parte;di conseguenza, ha ritenuto di non essere tenuta a pagare il contributo, indicando come obbligata invece la società cessionaria, citando a proprio favore le istruzioni fornite dall’Autorità stessa per il caso di fusione o cessione, in cui obbligato si ritiene il soggetto che subentra nei diritti e negli obblighi del soggetto originario (doc. 5 in I grado Autorità, ove la lettera citata;doc. 3 in I grado ricorrente appellata, atto di “conferimento di ramo di azienda” con il quale l’operazione citata è stata compiuta, atto 22 dicembre 2014 rep. n.11676 racc. n.6024 Notaro Marchetti di Milano).
3.2 L’Autorità ha replicato con una lettera del giorno 6 agosto 2015, in cui ha fatto presente che in base all’atto di conferimento di cui si è detto, e in particolare dall’art. 7 di esso, l’obbligazione di pagare il contributo per cui è causa a suo avviso non si poteva ritener trasferita alla società cessionaria dei beni (doc. 5 in I grado Autorità, ove la risposta citata).
4. Successivamente, con l’atto 25 settembre 2015 di cui pure in epigrafe, l’Autorità ha sollecitato il pagamento (doc. 6 in I grado Autorità).
5. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso proposto dalla società richiesta del pagamento contro i due atti suindicati, con i quali esso era stato appunto richiesto, ovvero contro gli atti 17 giugno e 25 settembre 2015 di cui si è detto. In motivazione, ha respinto anzitutto un’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso stesso, fondata sulla presunta impossibilità di qualificare come provvedimenti gli atti impugnati, i quali, a dire dell’Autorità, si sarebbero limitati a ricordare l’esistenza di un obbligo derivante direttamente dalla legge. Nel merito, ha però in sintesi ritenuto che la ricorrente, pur in astratto obbligata a pagare il contributo in base al fatturato realizzato nel 2014, non lo fosse più in concreto, perché ormai inattiva sul mercato.
6. L’Autorità ha impugnato questa sentenza con appello che contiene due motivi:
- con il primo di essi, ha riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di I grado. In proposito, ha sostenuto che nessuno dei due atti impugnati si sarebbe potuto qualificare come provvedimento, trattandosi, a suo dire, di atti semplicemente dichiarativi di un obbligo contenuto nella legge e, al più, nella propria delibera che in termini generali aveva fissato l’aliquota applicabile per il 2014, ed ha quindi criticato la sentenza impugnata per avere ritenuto il contrario, ossia che l’obbligo fosse sorto proprio con gli atti impugnati;
- con il secondo motivo, ha dedotto propriamente violazione, da parte della sentenza di I grado, del citato art. 10 commi 7 ter e 7 quater della l. 287/1990. Nell’ordine, ha in primo luogo sostenuto che unico presupposto per dover pagare il contributo sarebbe il dato, nella specie pacifico, di avere realizzato un certo fatturato nell’anno di riferimento. Ha poi contestato che la ricorrente appellata si possa dire uscita dal mercato, dato che continuerebbe la propria attività tramite la controllata conferitaria dei beni, e che comunque un atto di cessione come quello di cui si è detto possa trasferire senza il consenso del creditore l’obbligazione di pagare il contributo con liberazione del debitore originario. Ha infine evidenziato che le richiamate fattispecie di fusione e di cessione sarebbero intrinsecamente diverse.
7. Con successiva memoria 18 giugno 2019, l’Autorità ha rinunciato al primo motivo di appello, prendendo atto di un orientamento consolidatosi in senso contrario all’interpretazione da lei sostenuta;ha però insistito per l’accoglimento del secondo motivo.
8. All’udienza del giorno 4 luglio 2019, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
9. L’appello è fondato e va accolto, per le ragioni di seguito precisate.
10. In primo luogo, è necessario dare atto della rinuncia al primo motivo di appello da parte dell’appellante, nei termini appena spiegati.
11. Il secondo motivo di appello per cui, ferma per quanto si è detto l’ammissibilità del ricorso, il contributo per cui è causa sarebbe dovuto, è invece fondato.
11.1 La normativa speciale sopra ricordata che il contributo prevede, come esattamente rilevato dalla parte appellante, lo configura come dovuto in presenza di un solo dato: l’aver realizzato nell’anno considerato ricavi totali superiori alla soglia indicata. In altre parole, si tratta dal punto di vista giuridico di un’obbligazione legale di pagamento che ha questo solo presupposto, e dal punto di vista contabile di un costo di competenza del bilancio dell’anno in questione, al pari dell’obbligazione di pagare le imposte che a quell’anno si riferiscono. Nel caso in esame, il contributo era dovuto per l’anno 2014, in cui si è realizzato il fatturato rilevante, e costituisce quindi un costo di competenza di quell’esercizio, perché di esso il suo presupposto fa parte, esattamente come avverrebbe per l’imposta sui redditi conseguiti in quell’anno sulla base di quel fatturato.
11.2 Nel silenzio della normativa speciale, il contributo quindi potrà essere considerato non dovuto, o dovuto da parte di un altro soggetto, diverso da quello che ne ha realizzato il presupposto, come vorrebbe la ricorrente appellata, solo se tale risultato discenda da norme di carattere generale, ovvero dalle norme generali in materia di obbligazioni. In tal senso, anche le FAQ, acronimo anglosassone che come è noto sta per “domande frequenti”, predisposte dall’Autorità: si veda (doc. 3 in I grado Autorità, domande in questione) la risposta alla domanda B7, scritta per il caso di “fusione/cessione”, di cui subito si dirà, in cui si esordisce “come per qualsiasi altro tipo di obbligazione…”. E’ però ben noto che in materia di obbligazioni il principio generale è che non si può mutare la persona del debitore, sul cui patrimonio il creditore conta per soddisfarsi, con liberazione del precedente obbligato, senza il consenso del creditore medesimo. I casi in cui ciò avviene rappresentano quindi l’eccezione e non la regola.
11.3 Nessuna di queste eccezioni, ovvero nessuna norma che preveda una causa di estinzione ovvero di trasferimento dell’obbligazione in esame su un nuovo obbligato con liberazione del precedente, è però applicabile al caso di specie. La ricorrente ha fatto riferimento anzitutto al caso della fusione di società, in cui ai sensi della FAQ B7 cui si è accennato, “le obbligazioni relative al pagamento sono trasferite al soggetto che subentra nei diritti e negli obblighi esistenti in capo alla società oggetto di fusione” (doc. 3 in I grado Autorità, cit.), Va detto per chiarezza che le FAQ in esame rappresentano in sostanza un’opinione di parte, e quindi valgono se e in quanto ciò che esse prevedono sia conforme a diritto: è quanto accade nel caso in esame, in cui ai sensi dell’art. 2504 bis comma 1 c.c. la società che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione stessa, che più non esistono. Si tratta come si è detto di un risultato eccezionale, temperato dalla possibilità accordata ai creditori di fare opposizione ai sensi dell’art. 2503 c.c. e certo non estensibile a casi non considerati.
11.4 La ricorrente ha fatto poi riferimento al caso di “cessione di società”, oggetto sempre della FAQ B7, e da essa risolto nel senso che anche in questo caso le obbligazioni relative al pagamento sono trasferite al soggetto che subentra nei diritti e negli obblighi esistenti in capo alla società oggetto” della cessione stessa. Va qui precisato che “cessione di società” è espressione atecnica, comunemente utilizzata per indicare la cessione di azienda ai sensi degli artt. 2558 e ss. c.c., nella quale però la regola non è la liberazione dell’alienante, che ai sensi dell’art. 2560 c.c. “non è liberato dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito ”. Il contributo per cui è causa, come si è visto, è di competenza dell’esercizio cui si riferisce il fatturato, e quindi sarà a carico dell’alienante dell’azienda per tutte le cessioni successive a quell’esercizio.
11.5 Per completezza, si considera anche il caso di estinzione della società, risolto dalla FAQ B8 nel senso che “le società estinte e quindi cancellate dal registro delle imprese entro l’anno precedente a quello di competenza delle somme versate a titolo di contribuzione non sono obbligate al versamento del contributo, fatto salvo quanto previsto in caso di fusione/cessione alla FAQ B7” (sempre doc. 3 in I grado Autorità). In questo caso, la risposta offerta dalle FAQ è imprecisa, e va chiarita. In primo luogo, nel caso cui la FAQ fa riferimento, manca a rigore lo stesso presupposto dell’obbligazione, perché una società cancellata dal registro nell’anno “precedente” a quello di “competenza” del contributo, ovvero a quello di realizzazione del fatturato rilevante, non è obbligata a pagare nulla perché non ha, per definizione, più realizzato alcun fatturato. Nel caso di estinzione, poi, vale il rilievo assorbente per cui la cancellazione dal registro elimina l’ente dal mondo del diritto ed estingue tutte le sue obbligazioni, ai sensi dell’art. 2495 c.c.
12. Applicando i principi appena delineati al caso di specie, non ricorre alcuna fattispecie che faccia estinguere l’obbligo di pagamento in capo alla ricorrente appellata. L’obbligo stesso deve ritenersi sorto, come si è detto per il solo fatto che nell’esercizio rilevante sia stato realizzato il fatturato richiesto. L’operazione di cessione che la ricorrente appellante ha posto in essere, nei termini sopra indicati, non è evidentemente qualificabile come atto di fusione;se anche si trattasse, come hanno affermato le parti nel relativo atto, di una cessione di ramo di azienda, varrebbe a maggior ragione l’art. 2560 c.c. e non vi sarebbe liberazione dell’alienante, in mancanza di un consenso del creditore, ovvero della stessa Autorità, che non consta. Infine, anche a ritenere che l’operazione descritta integri una sostanziale uscita della società dal mercato, non è certo possibile equipararla ad un’estinzione, se non altro per completa assenza del dato formale della necessaria cancellazione dal registro delle imprese.
13. In conclusione, la sentenza di I grado va riformata, nel senso della reiezione del ricorso.
14. La particolarità della questione decisa, sulla quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese.