Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-04-27, n. 201002365
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N. 02365/2010 REG.DEC.
N. 01130/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 1130 del 2005, proposto da D L S, rappresentato e difeso dall'avv. F F, con domicilio eletto presso l’ avv.to Vincenzo Sepe in Roma, viale Regina Margherita, n. 37;
contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, rappresentato e difeso dagli avv. E L, V M, P T, con domicilio eletto presso l’ Ufficio Legale dell’ I.N.P.S. in Roma, via della Frezza, n.17;
per la riforma
della sentenza del TAR CAMPANIA - NAPOLI: Sezione IV n. 16765/2004, resa tra le parti;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le note difensive dell’ Istituto intimato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2010 il Cons. B R P e uditi per le parti gli avvocati nessuno è presente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1). Con ricorso proposto avanti al T.A.R. della Campania il dott. D L Severino, già funzionario dell’ I.N.P.S. in servizio presso la sede di Nola con la qualifica di ispettore generale, formulava domande intese al riconoscimento:
- delle differenze retributive per le mansioni superiodi svolte dal 01.10.1992 al 31.03.1997, quale dirigente del reparto liquidazione e gestione pensioni in sostituzione di altro dirigente trasferito ad altra sede, conferite con atto del direttore generale in sede di approvazione dell’ organigramma funzionale degli uffici;
- dell’ ulteriore somma dovuta a titolo di indennità di fine rapporto per l’ inclusione nella base di calcolo anche dell’ indennità di funzione prevista dall’ art. 15, comma secondo, della legge n. 88/1989.
Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.A.R. adito respingeva entrambi i capi di domanda.
Il T.A.R. in particolare:
- negava il diritto a percepire il trattamento differenziale per l’ espletamento di mansioni superiori in assenza di specifica disposizione nel comparto di impiego che preveda l’erogazione di siffatto compenso;
- escludeva l’ inclusione dell’ indennità di funzione prevista dall’ art. 15, comma secondo, della legge n. 88/1989 nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, trattandosi di emolumento non assistito dal “ carattere fisso e continuativo ” prescritto dall’ art. 5 del regolamento per il trattamento di quiescenza e previdenza del personale dell’ I.N.P.S.
Avverso detta sentenza il dott. D L ha proposto atto di appello ed ha diffusamente confutato le conclusioni del T.A.R. insistendo per l’ accoglimento di tutte le domanda articolate in primo grado
L’ I.N.P.S., costituitosi in resistenza, ha contrastato le pretese azionate con richiamo anche a plurimi arresti della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione sulle questioni di cui e controversia e ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
All’ udienza del 09 marzo 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2). La sentenza merita conferma..
2.1). Come correttamente posto in rilievo dal T.A.R., in assenza di espresse previsioni normative che consentano l’ utilizzo del dipendente in posizione di impiego diversa da quella formalmente rivestita nel settore del pubblico impiego vige il principio di irrilevanza delle mansioni superiori svolte in via di fatto, agli effetti sia dell’ inquadramento, che della corresponsione della retribuzione.
2.2). Quanto al personale degli enti pubblici di cui alla legge n. 70/1975 l’ art. 14 del d.P.R. n. 509/1979 - diversamente da quanto prospettato dall’ appellante - non codifica il principio dell’ erogazione di trattamenti economici aggiuntivi per l’ esercizio di mansioni superiori.
L’ art. 14, invero, recepisce in primo luogo un criterio non rigido della mansioni ascrivibili a ciascuna qualifica, che comprendono “ oltre a quelle specificate nella relativa declaratoria, anche gli adempimenti riferibili a qualifiche corrispondenti di altro ruolo ovvero immediatamente inferiori o superiori, dello stesso o di diverso ruolo ”. La disposizione in esame, inoltre, nel momento in cui si dà carico di limitare entro il ridotto arco temporale di non più di 90 giorni la possibilità di formale utilizzo in mansioni diverse dalla qualifica rivestita, ribadisce che da ciò non scaturisce il “ diritto a maggiorazioni del trattamento economico ”.
2.3). Restano validi, pertanto, i ripetuti arresti della giurisprudenza amministrativo con i quali è stata chiarita la ragion d’ essere dell’ indirizzo contrario alla remunerazione di mansioni ritenute non riconducibili alla qualifica rivestita, che si collega: al carattere rigido delle dotazioni di organico degli enti pubblici e dei relativi flussi di spesa;all’ assenza di un potere del soggetto preposto al vertice dell’ ufficio di gestire in via autonoma la posizione di “ status ” dei dipendenti e il relativo trattamento economico;alla garanzia della parità di trattamento di tutti i soggetti che operino nella struttura organizzativa dell’ ente e che aspirino ad accedere all’ esercizio di mansioni di qualifica superiore, ove ne sussistano i presupposti, in condizioni di parità, trasparenza e non discriminazione.
Ciò posto, con riguardo alla posizione di impiego rivestita dall’ appellante, la rilevanza agli effetti economici dell’ esercizio di mansioni non riconducibili alla qualifica formalmente rivestita trova disciplina in disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 29/1993 ed oggetto di successive modifiche ed adattamenti che - come ribadito dalla giurisprudenza della Sezione in fattispecie analoghe relative a dipendenti appartenenti ai ruoli dell’ I.N.P.S. - non consentono la corresponsione di una remunerazione difforme da quella prevista in via tabellare per la qualifica rivestita (cfr. Cons. St., Sez. VI^, n. 532 del 05.02.2010;n. 4345 dell’ 11.09.2008;n. 4346 dell’ 11.09.2008;n. 6496 del 27.10.2006;n. 1595 del 17.03.2003).
Con le su riferite decisioni, in linea con l’ indirizzo segnato dalle Adunanze Plenarie n. 22/1999, n. 11/2000 e n. 3/2006, sono stati enunciati i seguenti principi validi per il periodo di svolgimento del rapporto di lavoro dell’ istante su cui è intervenuta la pronunzia del T.A.R.:
- la retribuzione corrispondente all’ esercizio delle mansioni superiori può aver luogo non in virtù del mero richiamo all’art. 36 della Costituzione, ma solo ove una norma speciale consenta tale assegnazione e la maggiorazione retributiva (A.P. n. 22/1999 cit.);
- l’ art. 57 del d.lgs. 29, recante una nuova e completa disciplina dell’attribuzione temporanea di mansioni superiori, è stato abrogato dall’art. 43 del d.lgs. 80/1988 senza avere mai avuto applicazione, essendo stata la sua operatività più volte differita “ ope legis ” prima dell’abrogazione e da ultimo fino al 31.12.1998;
- la materia è restata disciplinata dall’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, nel testo sostituito con l’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998 che, nel confermare sostanzialmente l’indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa, ha previsto la retribuzione dello svolgimento delle mansioni superiori, rinviandone l’applicazione in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questa stabilita, disponendo altresì che “ fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore ” (art. 56 cit., comma 6);
- le parole “ a differenze retributive ” sono state poi abrogate dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, ma “con effetto dalla sua entrata in vigore” (A.P. n. 22/1999), con la conseguenza che l’innovazione legislativa in tal modo posta in essere spiega effetto a partire dall’entrata in vigore del cennato d.lgs. n. 387/1998, e cioè dal 22.11.1998;
- il diritto al trattamento economico per l’ esercizio di mansioni superiori trova, quindi, la sua fonte in una norma (art. 15 del d.lgs. n. 387/1998) che ha carattere innovativo, e non meramente interpretativo della disciplina previgente, con la conseguenza che il riconoscimento legislativo “ non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse ” (A.P. n. 11/2000 e da ultimo A.P. n. 3/2006;
- il carattere non interpretativo della modifica introdotta dal richiamato art. 15 trova conferma nel chiaro valore precettivo della disposizione da esso modificata, inidoneo a dar luogo a dubbi ermeneutici cui ovviare attraverso un’ interpretazione autentica del Legislatore.
Per il periodo 01.10.1992 - 31.03.1997, in assenza di specifiche disposizioni per il relativo comparto di impiego che consentano la retribuzione delle mansioni superiori, non può quindi avere ingresso la pretesa a tal fine azionata dal D L.
2.4). Sotto ulteriore profilo va considerato che il dott. D L rivestiva l’ elevata qualifica di ispettore generale r.e. - cui è peculiare l’ esercizio di compiti di direzione e reggenza di uffici. L’ esercizio in via interinale di detti compiti in uffici cui l’ organigramma dell’ ente prevede, sul piano organizzativo, la preposizione di una figura di livello dirigenziale, non determina l’ omologazione in fatto alla posizione di “ status ” di livello dirigenziale, in cui conferimento resta condizionato al previo superamento di specifiche procedure idoneative indirizzate alla verifica del possesso dei requisiti culturali e professionale a tal fine richiesti.
Va quindi ribadita la massima che nel settore del pubblico impiego grado e qualifica – segnatamente per le qualifiche a livello dirigenziale - derivano dagli atti che li conferiscono, che hanno carattere costitutivo e muovono dal riscontro del possesso dei requisiti di idoneità culturale e professionale, e non dal dato organizzativo dell’ ufficio di preposizione del dipendente che ha carattere oggettivo e non rifluisce sulle qualità soggettive di chi vi è preposto.
Per quanto su esposto per il periodo 01.10.1992 - 31.03.1997, in assenza di specifiche disposizioni per il relativo comparto di impiego che consentano al retribuzione delle mansioni superiori, va respinta la domanda a tal fine avanzata dal sig. D L.
3). La sentenza del T.A.R. va, altresì, confermata, anche se con diversa motivazione, nella parte in cui ha respinto la pretesa di inclusione nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto dell’ indennità di funzione prevista dall’ art. 15, comma secondo, della legge n. 88/1989.
Il convenuto I.N.P.S. ha correttamente fatto richiamo all’ art. 13 della legge n. 70/1995 ove, con disciplina volta a razionalizzare ed omogeneizzare il trattamento economico e normativo del cosiddetto parastato, è stabilito che l’ indennità di anzianità spettante all’ atto della cessazione del servizio è “ pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento, qualunque sia il numero di mensilità in cui esso è ripartito, quanti sono gli anni di servizio prestato ”.
Va al riguardo condiviso l’ orientamento della Corte di Cassazione che – muovendo dal carattere innovativo della disciplina introdotta dalla diposizione su richiamata sul trattamento di fine rapporto, rispetto alla previgente disciplina risalente al regolamento dell’ I.N.P.S. - ha chiarito che la locuzione “ stipendio annuo complessivo in godimento ” è da intendersi quale paga tabellare, non comprensiva, quindi, di tutti gli altri emolumenti accessori erogati con continuità e a scadenza fissa, ed in particolare dell’indennità di funzione di cui all'art. 15, comma 2, della legge 9 marzo 1989 n. 88, oltreché del salario di professionalità (o assegno di garanzia della retribuzione) (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Lav.;09 maggio 2008 , n. 11604
Per le considerazioni che precedono l’ appello va respinto.
In relazioni ai profili della controversia spese e onorari di giudizio possono essere compensati fra le parti.