Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-08-12, n. 201905684

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-08-12, n. 201905684
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905684
Data del deposito : 12 agosto 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/08/2019

N. 05684/2019REG.PROV.COLL.

N. 10070/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10070 del 2014, proposto da -OMISSIS- in proprio e nella qualità di Amministratrice di Sostegno di -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati A T, I R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. I R in Roma, via Livio Andronico, 24;

contro

Comune di Salo', in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato D B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P R in Roma, via Appia Nuova 96;
Assemblea dei Sindaci del Distretto Sociosanitario 11 Garda, non costituita in giudizio;

nei confronti

dell’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Brescia, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Salo';

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 luglio 2019 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati A T e P R su delega dell’avv. D B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il gravame in epigrafe, le appellanti agiscono, in proprio, nella qualità di sorella e madre (per conto di quest’ultima, quale amministratrice di sostegno, sempre -OMISSIS-) di -OMISSIS-, persona con disabilità grave ex art. 3 co. 3 L. 104/1992, per la riforma della sentenza n. -OMISSIS- con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, ha respinto il ricorso dalle predette proposto avverso la misura, definita con nota del 8 settembre 2011, n. -OMISSIS- e ritenuta incongrua, del contributo fissato dal Comune di Salò in ragione del ricovero del predetto soggetto disabile presso la Comunità Socio Sanitaria “-OMISSIS-” di -OMISSIS-.

2. Espongono a sostegno del proprio costrutto che le condizioni del proprio congiunto si sono nel corso del tempo progressivamente aggravate, tanto che la competente commissione, nella seduta del 23.6.2005, ne certificava l’invalidità con totale e permanente inabilità lavorativa al 100%, ed anche la necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

3. In ragione delle gravi condizioni di salute in cui il predetto versava, la famiglia di -OMISSIS- – su concorde valutazione dell’Equipe Operativa Handicap del Distretto Socio Sanitario 11 del 22.1.2008 dell’ASL di Brescia – ne favoriva l’inserimento in una Comunità Socio Sanitaria (“-OMISSIS-” di -OMISSIS-), abilitata ad erogare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria ed, in data 29.8.2008, chiedeva al Comune di Salò di contribuire alle spese di mantenimento di -OMISSIS- presso detta struttura. Ed, invero, nella ricostruzione qui offerta dalle appellanti, la retta ammontava a circa 24.000 euro annui mentre l’ISEE personale dell’assistito era pari a 4.752,37 Euro (derivante da un trattamento pensionistico di 6.866,00 Euro).

3.1. A seguito di ripetute interlocuzioni, il Comune di Salò, con la nota dell’8.9.2011 n. -OMISSIS-, comunicava che, "preso atto che la retta giornaliera del servizio fornito dalla Residenza -OMISSIS- ammonta a euro 65 giornaliere e valutato il reddito personale del sig. -OMISSIS-" l'Amministrazione era "disponibile ad erogare un contributo annuale di euro 2.400 a sostegno del costo del servizio suddetto, così come sempre garantito durante la frequenza dello stesso al servizio SFA della cooperativa -OMISSIS-".

4. Avverso tale determinazione, nonché gli atti presupposti (delibera e regolamenti che disciplinavano la compartecipazione dei costi), gli odierni appellanti proponevano ricorso al TAR per la Lombardia, sede di Brescia, che disponeva un’articolata e reiterata istruttoria, cui faceva seguito la proposizione di motivi aggiunti. Il giudice di primo grado, con la decisione qui appellata, respingeva il ricorso, assegnando rilievo dirimente alla circostanza dell’assunzione dell’obbligo di contribuzione assunto da parte della sig. -OMISSIS-, sorella del beneficiario. Tanto, secondo il decisum qui appellato, aveva determinato l’insorgere, in capo alla stessa, di un’obbligazione cui la medesima non poteva più sottrarsi invocando la normativa sulla tutela dei disabili.

5. Avverso la suddetta decisione, con il gravame in epigrafe, gli appellanti deducono che:

a) sarebbe, anzitutto, erroneo il capo della decisione appellata che ha confuso il patto di accreditamento, che riguarda l’operatore e l’ASL, con il contratto stipulato con l'ente gestore (cd. contratto d'ingresso) dall’utente medesimo ovvero dai suoi familiari. Senza contare che tale contratto di ingresso, inizialmente sottoscritto dalla sorella dell'assistito, a seguito dell'approvazione delle nuove delibere regionali, era stato sostituito (dall’1.8.2013) con un nuovo contratto sottoscritto questa volta direttamente dal solo -OMISSIS-;

b) la sentenza sarebbe, inoltre, erronea nella stima tanto dell’importo della pensione di -OMISSIS-, quanto della retta allo stesso accollata. Ed, invero, l’indennità di accompagnamento, concessa ex art. 1 della L. 18/1980 al predetto, non avrebbe natura pensionistica, bensì indennitaria e come tale risulterebbe corrisposta in 12 anziché 13 mensilità. Quanto, poi, alla retta posta a carico dell’assistito -OMISSIS- - -residente in distretto diverso da quello Bassa Bresciana Orientale — questa sarebbe pari ad € 65, a far data dal mese di gennaio 2009, per un totale di € 23.725 anziché € 22.265,00 come indicato in sentenza;

c) nemmeno andrebbe condiviso il principio applicato dall’Azienda intimata, e sul quale il primo giudice non si è pronunciato, di utilizzo di tutte le risorse della persona con disabilità per il pagamento della retta, tanto più che questa non esaurirebbe tutti gli oneri che gravano sul disabile, che si deve far carico di farmaci e prodotti farmaceutici in genere, barbiere, trasporto, acquisto di indumenti personali, acquisti per fabbisogni personali, mentre restano a carico della famiglia anche i rientri ed i relativi viaggi. Tale mancanza di proporzionalità inficerebbe in via generale anche lo stesso regolamento impugnato che prevede per le spese personali da garantire al ricoverato la somma di £ 100.000;

d) graverebbe sul Comune l’onere di definire gli assetti più idonei a garantire l'esercizio del diritto soggettivo a fruire delle prestazioni sociosanitarie secondo le direttive del D.P.C.M. 14.2.2001 e del DPCM del 29.11.2001, che fissano la misura dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie (LEA), disposizioni confermate anche dall’art. 54 della legge 289/2002. Lo stesso Comune di Salò nelle proprie difese avrebbe affermato di aver valutato come la contribuzione sanitaria non fosse rispettosa della normativa, senza però dare conto di essersi attivato al fine di recuperare le dovute contribuzioni;

e) sarebbe, altresì, erronea la sentenza nella parte in cui utilizza un criterio di ripartizione delle quote sanitaria e sociale nella misura rispettivamente del 40 e del 60%, in luogo del diverso criterio, fissato dai suindicati DPCM, che prevede una contribuzione a carico del SSN di almeno il 70% degli oneri dei servizi residenziali per disabili gravi;

f) la sentenza non compirebbe alcuna verifica della compatibilità dell’atto impugnato con la normativa statale (art. 25 L. 328/2000, artt. 1,2 e 3 D.Lgs. 109/1998, art. 6

DPCM

14.2.2001) e regionale (art. 8 L.R. 3/2008 ) all’epoca vigente, poggiando esclusivamente sul regolamento comunale di cui era, peraltro, richiesto un vaglio di legittimità;

g) la sentenza di primo grado non si sarebbe pronunciata – ritenendola assorbita – sulla censura con cui le appellanti lamentavano la mancanza di proporzionalità della contribuzione richiesta – oltre che rispetto alla situazione di -OMISSIS- – in relazione alla posizione della madre, a sua volta anziana, disabile e con importanti esigenze assistenziali. Tanto più che il criterio in concreto utilizzato risulta stimato su basi del tutto diverse da quelle previste dalla normativa e liquidato molto tempo addietro in funzione della frequenza da parte di -OMISSIS- di un servizio completamente diverso quale è il Servizio di Formazione all'Autonomia a carattere diurno. Nella liquidazione comunale prodotta in giudizio i redditi della madre verrebbero azzerati ad eccezione di € 580 mensili;

h) la sentenza appellata dichiaratamente prescinderebbe dall'individuazione del corretto significato da attribuire al concetto di "nucleo famigliare". Di contro, avrebbe dovuto rilevare la strutturale incompatibilità delle pretese del Comune di Salò nei confronti della madre dell’assistito con la normativa ISEE di cui al D.Lgs 109/1998 e con le previsioni di cui agli 25 e 8 L. 328/2000 e 6 D.P.C.M. 14.2.2001, tanto più che il soggetto che si trovi in convivenza anagrafica ai sensi dell'art. 5 del D.P.R. 223/1989, è considerato nucleo familiare a sè stante. Il Comune continua a ritenere applicabile la normativa relativa alla rivalsa nei confronti dei parenti c.d. tenuti agli alimenti ex art. 433 c.c., prevista dalla L. 1580/1931, superata dall'entrata in vigore del D.Lgs 109/1998 - che, ex art. 2 co. 6, espressamente vieta agli enti erogatori ogni forma di rivalsa;

i) la sentenza parimenti non si sarebbe pronunciata sulla censura con cui l’odierna appellante si doleva del fatto che l'impugnata nota del 8.9.2011 (n. -OMISSIS- assunta dal Dirigente Servizi Sociali) risultava adottata senza alcun previo provvedimento della Giunta in violazione degli artt. 48 e 107 Cost., oltre che in palese contraddizione con il proprio regolamento;

5.1. Resiste in giudizio il Comune di Salò, che ha concluso per la conferma della sentenza appellata.

5.2. Il Comune, nella propria produzione difensiva, insiste nell’opporre che l’istituzionalizzazione di -OMISSIS- sia stata frutto di una scelta unilaterale della famiglia, nonostante i continui sforzi del Comune per sostenerne, dapprima l’inserimento lavorativo in un’azienda locale (dal 1981 al 2000), e poi la frequentazione di un Servizio per la Formazione dell’Autonomia.

5.3. Eccepisce, inoltre che, in occasione della presentazione della domanda, la sorella di -OMISSIS- ha sottoscritto l’apposito modulo, dichiarando di essere a conoscenza del fatto che la retta del servizio ammontava a complessivi euro 81,50, assumendo a proprio carico il pagamento della relativa quota di 50 euro al giorno. Denuncia, altresì, il predetto Ente l’inadeguata partecipazione del servizio sanitario ai costi di mantenimento di -OMISSIS-, che andrebbe stimata nella misura del 70 %, così come, invece, previsto dalla legge. Ciò comporta che in nessun caso al Comune potrebbe essere richiesta una contribuzione superiore al 30 %.

5.4. All’udienza del 18.7.2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5.5. L’appello è fondato nei limiti di seguito indicati.

Preliminarmente, occorre perimetrare l’ambito cognitivo del presente giudizio, da intendersi riferito esclusivamente agli atti qui espressamente impugnati, dovendo, viceversa, ritenersi evidentemente estranei alla res iudicanda gli ulteriori e successivi atti che hanno governato, fino ad oggi, il suddetto rapporto e che risultano contestati in distinti giudizi, di cui le parti hanno dato conto nelle rispettive memorie.

6. Il Collegio ritiene, invero, non condivisibile la statuizione che regge la pronuncia di rigetto qui appellata, incentrata sull’unico rilievo della stipula del cd. contratto di ingresso, al momento della istituzionalizzazione di -OMISSIS-, da parte di -OMISSIS-, sorella del beneficiario ed odierna appellante, con conseguente emersione, a suo esclusivo carico, dell’obbligo di contribuzione, ritenuto incompatibile con l’attivazione della normativa sulla tutela dei disabili.

Sul punto è sufficiente notare che l’originario impegno assunto dalla sig.ra -OMISSIS- (al quale si è sovrapposto quello assunto direttamente da -OMISSIS-), siccome riferito esclusivamente al rapporto contratto con la struttura residenziale, non costituiva di certo una abdicazione, definitiva ed incondizionata, all’esercizio dei diritti rinvenienti dalla disciplina di settore e che involgono, questa volta, i rapporti tra assistito e Pubblica Amministrazione, ogni qualvolta ricorrano i prescritti requisiti reddituali ed assistenziali ed il trattamento sia erogato da una struttura in regime di accreditamento.

7. Rileva, poi, il Collegio come, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, non possa essere revocata in dubbio al ricorrenza delle condizioni assistenziali per l’accesso al trattamento residenziale erogato al sig. -OMISSIS-, in ragione delle sue condizioni di salute, all’interno di una Comunità socio assistenziale.

Sul punto, è sufficiente notare, anzitutto, che, con la stessa nota impugnata in prime cure, il Comune appellato ha implicitamente riconosciuto – e non contestato – i presupposti dell’inserimento di -OMISSIS- in Comunità, provvedendo finanche a quantificare, ancorchè in misura ritenuta inidonea dall’appellante, la misura di compartecipazione alla relativa retta, non avendo altrimenti ragion d’essere la relativa elargizione, definita dal Comune appellato mero contributo.

7.1. Di contro, nessuno concreto elemento risulta versato in atti dal Comune resistente che valga a sconfessare le ragioni ed i presupposti della sua istituzionalizzazione, avvenuta con l’avallo dell’ASL e con la formale presa d’atto dello stesso Comune di Salò, dovendo, per converso, qui ribadirsi, ferme le condizioni che giustificano il trattamento assistenziale, ivi inclusi i profili dell’appropriatezza, il principio della piena libertà di scelta da parte dell’assistito della struttura orbitante nel circuito del servizio sanitario ai sensi dell’art. 6, comma 4, della l. n. 328 del 2000 (che prevede la sola previa informazione del Comune), ma anche, a livello di legislazione regionale lombarda, degli artt. 2 e 7 della L.R. n. 3 del 2008. L’appropriatezza del ricovero, che compete all’autorità sanitaria, non può, invero, essere messa in discussione dal Comune chiamato ex lege all’integrazione della retta ove sussistano, in aggiunta, i requisiti reddituali richiesti dalla normativa di settore (cfr. CdS, Sezione III, n. 46 del 10.1.2017).

8. Tanto premesso, giova preliminarmente ricostruire il quadro normativo di riferimento onde evincere le coordinate cui riferirsi nello scrutinio delle censure attoree, non delibate dal giudice di prime cure.

Tanto nella consapevolezza di dover fornire una lettura armonica con i principi regolatori mutuabili dal combinato disposto degli artt. 32, 38 e 53 della Costituzione, secondo i quali “ la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti ” ed “ ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale ”, nell’ambito del più generale principio solidaristico per il quale “ tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva ”.

8.1. Ai fini in questione, occorre prendere abbrivio dalla legge n. 328/2000 (Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che, in base al combinato disposto degli artt. 25, 8, comma 3, lett. l), e 18, comma 3, lett. g), riserva al Governo il compito di predisporre un piano nazionale dei servizi sociali in cui indicare i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti, tenuto conto – quanto alla verifica della condizione economica del richiedente - dei principi stabiliti per l'ISEE, mentre spetta alle Regioni la definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, sulla base dei criteri determinati dal Piano nazionale servizi (cfr. Cons. Stato Sez. III, 23-07-2015, n. 3640;
4742/2015;
).

Segnatamente, l’articolo 25 richiama, ai fini in questione, espressamente le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130 (successivamente abrogato dal comma 1 dell'art. 5, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 - come modificato dall'art. 23, comma 12-bis, D.L. 6 luglio 2012, n. 95, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135 - e dal comma 1 dell'art. 15, D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, a far data dai trenta giorni dall'entrata in vigore del D.Dirett. 7 novembre 2014).

La Regione Lombardia, con propria legge regionale (n. 3 del 2008), ha recepito il parametro ISEE quale criterio fondamentale per la determinazione della situazione economica di ciascun soggetto che chiede di accedere ai servizi in vista della sua partecipazione ai relativi costi.

Il criterio generale di selezione mutuabile dalla disciplina di settore, applicabile ratione temporis , è, come sopra riportato, dato dall’indicatore della situazione economica equivalente, ossia un parametro basato su fattori reddituali e patrimoniali riferibili all’interessato e al suo nucleo familiare, come definito dall’art. 2, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 109, salvo che per i casi di cui alla previsione di cui all’articolo 3 comma 2 ter in cui viene in rilievo la situazione economica del solo assistito.

8.2. A tal riguardo, ritiene il Collegio utile anticipare che, nel caso di specie, ed in base alla disciplina all’epoca vigente, fosse necessario valorizzare le informazioni relative al nucleo familiare di appartenenza e non quella individuale.

Pur nelle oscillazioni registratesi in giurisprudenza appare, invero, preferibile l’opzione ermeneutica a mente della quale si è, anche di recente, ritenuto che la portata derogatoria dell'art. 3, comma 2-ter, d.lgs. n.130 del 2000, aggiunto all’art. 3 d.lgs. n. 109 del 1998, non potesse trovare attuazione in mancanza del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che ne avrebbe dovuto perimetrare le relative condizioni applicative (cfr. CdS 546/2016 e, più di recente, CdS 2195/2019).

In particolare, si è di recente rilevato che “il menzionato comma 2-ter presenta in realtà tutti i caratteri della norma di mero indirizzo, laddove rimette espressamente al decreto governativo di attuazione non solo l’individuazione dei limiti di applicabilità del d.lgs. n. 109 del 1998 alle prestazioni di natura assistenziale integrata, ma anche il perseguimento del duplice obiettivo di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, obiettivo che lo stesso legislatore mostra dunque di non aver voluto realizzare direttamente.

D’altro canto, il riferimento della norma alla situazione economica del solo assistito si accompagna al contestuale richiamo alla necessità di favorire la permanenza dell’assistito medesimo presso il nucleo familiare di origine, di modo che la realizzazione del primo risultato non può prescindere da quella del secondo, e viceversa, in una più ampia prospettiva di residualità della prestazione resa in ambiente residenziale assistito.

Detta prospettiva non può che trovare il suo assetto nella disciplina secondaria dei limiti applicativi del d.lgs. n. 109 del 1998, in mancanza della quale annettere immediata efficacia precettiva alla previsione che valorizza la situazione economica del solo assistito ai fini del concorso ai costi delle prestazioni significherebbe dare vita ad una disciplina incompleta ed incoerente: basti pensare che, in via di eccezione rispetto alla regola generale ricavabile dall’art. 3, l’apporto reddituale e patrimoniale proveniente dai congiunti dell’assistito verrebbe escluso ai fini della valutazione dei requisiti patrimoniali occorrenti per fruire di determinate prestazioni, senza che al contempo il nucleo familiare recuperi quella centralità, sotto il profilo dell’accoglienza dell’anziano presso di sé, che costituisce l’altro fulcro della logica di redistribuzione degli oneri assistenziali introdotta dalla legge n. 130 del 2000”. Inoltre, l’art. 3,comma 2-ter, richiede che il decreto attuativo del Governo sia adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni unificata con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, ex art. 8 d.lgs. n. 281 del 1997;
anche tale previsione è sintomatica della non immediata precettività della disposizione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 564), che, ove fosse interpretata come auto-esecutiva, pur in mancanza del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e, soprattutto, dell’intesa ad esso accessiva, finirebbe per ledere le prerogative costituzionalmente riconosciute a Regioni ed autonomie locali, tanto più dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e del nuovo complessivo assetto dei rapporti fra i diversi livelli di governo, improntato al principio della leale collaborazione (di cui l’intesa costituisce espressione, operando quale condizione di efficacia del decreto attuativo nei confronti degli enti riuniti nella Conferenza unificata (tra le altre, Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 222 e 1° ottobre 2003, n. 303).

8.3. Né è possibile, per i profili qui in rilievo, fare applicazione dei principi affermati da questa Sezione nella sentenza n. 46 del 10.1.2017, che valorizza la situazione economica del solo assistito e non quella della famiglia in applicazione della previsione normativa di cui all’art. 8, comma 2, lettera (h) della L.R. n. 3 del 2008, siccome in vigore solo a decorrere dal 14.3.2012 e, dunque, in epoca successiva al provvedimento impugnato. Resta, in ogni caso, esclusa, ai sensi dell'art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 109 del 1998, la rivalsa in forza del disposto di cui all'art. 438 c.c., da parte dell'ente erogatore, a carico dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata (C. St. 5355/2013 e 6674/2012).

8.4. In definitiva, l’ISEE, nei termini sopra ricostruiti, serve, dunque, per valutare la situazione economica (calcolata non solo su base reddituale ma anche del patrimonio valorizzato in percentuale) al fine di regolarne l’accesso a varie prestazioni pubbliche, tra le quali, in particolare, spiccano quelle sociali e sociosanitarie.

E’, dunque, nel solco delle divisate, vincolanti coordinate normative che il Comune di Salò avrebbe dovuto stimare le condizioni di partecipazione dei privati utenti alle prestazioni in argomento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. III, sentt. 27.11.2018 n. 6708 e 13.11.2018 n. 6371), mantenendosi, peraltro, aderente alle voci che compongono la situazione economica quale definita dalla richiamata disciplina di settore, applicabile ratione temporis , e che indica in dettaglio 1) il reddito, nelle articolazioni ivi previste, 2) il patrimonio, immobiliare e mobiliare, quest’ultimo corretto da una franchigia predeterminata.

9. E’, infatti, necessario evidenziare, in apice, come non sia possibile accreditare in subiecta materia spazi di autonomia regolamentare in capo ai Comuni in distonia con i vincoli rinvenienti dalla sopra richiamata cornice normativa di riferimento al punto da consentire – come qui avvenuto - la introduzione di criteri derogatori rispetto a quelli che il legislatore riserva, dopo aver accordato preferenza all’indicatore ISEE, in prima battuta, allo Stato e, in via integrativa, alla Regione (cfr. CDS, III Sez., n. 6371 del 13.11.2018;
6708 del 27.11.2018).

9.1. Nel caso di specie, ed in mancanza di allegazioni di ulteriori ed integrativi criteri approvati dalla Regione Lombardia, l’ISEE resta, dunque, l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati e deve scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate, non essendo consentita la pretesa del Comune di creare criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria ovvero finanche sostitutiva.

E ciò vieppiù in considerazione della strumentalità del servizio de quo rispetto alla salvaguardia di diritti a nucleo incomprimibile secondo i principi più volte affermati dalla Consulta (cfr. fra le altre, le sentenze C. Cost. nn. 80/2010 e n. 275/2016 ) e che trovano diretta copertura negli artt. 32, 38 e 53 della Costituzione e dell’art. 3 e 28 della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità (ratificata con legge n. 18 del 3.3.2009) che assicurano la tutela assistenziale ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere.

10. Di contro, è di tutta evidenza come si ponga in contrasto con la disciplina di riferimento sopra richiamata, statale e regionale, l’opzione – impropriamente privilegiata dal Comune appellato - di una contribuzione totalmente svincolata dal parametro vincolante dell’indicatore ISEE, come sopra ricostruito.

10.1. E tanto, viceversa, è quanto avvenuto nel caso qui in rilievo, avendo il Comune appellato, con la nota dell’08/09/2011 n. -OMISSIS-, impugnata in primo grado, determinato un contributo forfettario di € 2.400,00 a sostegno del nuovo servizio residenziale rapportandolo a quello precedentemente erogato al tempo della frequentazione del servizio diurno.

10.2. Nelle stesse articolate difese il Comune rappresenta – pur muovendo dalla premessa di dover semmai erogare un contributo addirittura minore – che l’importo suddetto è stato liberamente deciso in continuità con quello precedentemente riconosciuto.

D’altro canto, nella relazione depositata in atti al fascicolo di primo grado, in data 21.8.2012, il Comune evidenziava espressamente, quanto ai criteri seguiti, che “.. non si sono applicate né fasce né quote di regolamento, perché inteso come contributo straordinario su una scelta diversa rispetto al consolidato storico effettuata dalla famiglia unilateralmente. Si specifica che la stessa ha chiesto un contributo e non la compartecipazione alla retta della struttura ..”

11. Quanto appena evidenziato, in ordine al fatto che l’atto gravato si riveli manifestamente disancorato dalla disciplina di settore, è sufficiente a gustificarne l’annullamento con assorbimento degli ulteriori motivi di gravame siccome funzionali alla produzione del medesimo effetto demolitorio (come ad esempio nel caso della contestata incompetenza).

11.1. Ciò nondimeno ai fini di una puntuale conformazione del potere/dovere di riedizione dell’atto occorre svolgere le seguenti ulteriori puntualizzazioni, scrutinando i motivi di gravame che valgono ad orientare il corretto esercizio del potere delibativo del Comune appellato.

12. Nella suddetta prospettiva deve rilevarsi che la misura della compartecipazione dell’assistito alla stregua dei parametri suindicati avrebbe dovuto essere calcolata, anzitutto, sulla quota sociale della retta nella misura forfetariamente stabilita dalla disciplina di settore, gravando la quota residua sul servizio sanitario.

12.1. Meritevole di accoglimento è, infatti, il motivo di gravame che fa carico al Comune di Salò di non aver verificato, ai sensi e per gli effetti dei criteri enucleati dai

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