Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-08-06, n. 201304141

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-08-06, n. 201304141
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304141
Data del deposito : 6 agosto 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05371/2012 REG.RIC.

N. 04141/2013REG.PROV.COLL.

N. 05371/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5371 del 2012, proposto da:
A M, M P M, rappresentati e difesi dall'avv. G L L, con domicilio eletto presso Giovanni Battista Santangelo in Roma, via G.Battista De Rossi, 30;

contro

Comune di Sant'Antimo, Dirigente Ufficio Urbanistica del Comune di S.Antimo, Dott.ssa P C in Qualità di Commissario Ad Acta non costituiti in giudizio;

per la revocazione

della sentenza breve del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV - n. 03460/2012, resa tra le parti, concernente esecuzione del giudicato conseguente alla sentenza n. 10427 del 28 luglio 2005 su domanda di riqualificazione urbanistica di aree di proprietà di parte impugnante.


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2013 il Consigliere F T e udito per parte ricorrente l’avvocato Lamberti, per delega dell'Avv. L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la decisione impugnata per revocazione n. 3460/2012 la Sezione ha respinto l’appello proposto dalla odierna parte ricorrente in revocazione avverso la sentenza del T.A.R. per la Campania, Napoli, Sez. I, n. 5134 del 4 novembre 2011, resa tra le parti, e concernente la ottemperanza al giudicato formatosi con la sentenza n. 10427, resa il 28.7.05, dal

TAR

Campania Napoli, sez. I, nel procedimento Rg. n. 2525/05, passata in giudicato a seguito della sentenza n. 3171, resa il 5.12.06 dal C.d.S. sez. IV, nel procedimento Rg. n. 8940/05, nonché per l'esatta esecuzione del giudicato accertato dalla Sezione I del Tar con sentenza n.14962 resa il 23.11.07 nel proc.to Rg.679/07 per l'ottemperanza delle sentenze n.13585/04 e n. 10427/05 e per il silenzio formatosi sul procedimento sfociato nella delibera del commissario ad acta n.1 del 21/01/2010.

Giova immediatamente precisare che la intestazione della sentenza della Sezione n. 3460/2012 gravata in revocazione così prevedeva: “per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Napoli, Sez. I, n. 5134 dd. 4 novembre 2011, resa tra le parti e concernente revocazione della sentenza n. 2224 dd. 29 aprile 2010 emanata dallo stesso giudice di primo grado in tema di esecuzione del giudicato conseguente alla sentenza n. 10427 dd. 28 luglio 2005, resa dallo stesso giudice, su domanda di riqualificazione urbanistica di aree di proprietà degli attuali appellanti.”

La Sezione, nella motivazione della predetta decisione ha richiamato la circostanza che, in esito alle acquisizioni istruttorie conseguenti all’ordinanza collegiale n. 952 del 21 febbraio 2012, testualmente constava dal verbale dell’udienza camerale tenuta in data 24 marzo 2010 presso il giudice di primo grado relativamente ai ricorsi ivi già pendenti sub R.G. 679 del 2007 e sub R.G. 1739 del 2007 e chiamati rispettivamente ai nn. 50 e 51 di ruolo, che “per le parti sono presenti gli avv.t L e C B, per delega di Barone. L’avv. L dichiara a verbale la sopravvenuta carenza d’interesse, poiché il commissario ad acta ha emanato un provvedimento ritenuto satisfattivo degli interessi del ricorrente. L’avv. B deposita in giudizio il provvedimento del commissario ad acta. Tutti gli avvocati concordi chiedono che la causa venga introitata per essere decisa. La causa è assunta in decisione”.

Detta circostanza non era stata contestata da parte appellante con querela di falso ai sensi degli artt. 77 e 78 cod. proc. amm. (ovvero, ratione temporis , ai sensi dell’art. 41 e ss. del R.D. 17 agosto 1907 n. 642).

Ne discendeva – ad avviso della Sezione - che doveva essere respinta ogni deduzione intesa a ottenere la riforma della sentenza del Tar impugnata, con la quale sotto questo identico profilo era stato dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto avverso la sentenza n. 2224 del 29 aprile 2010 (recante a sua volta la statuizione di improcedibilità dei predetti ricorsi già pendenti sub R.G. 679 del 2007 e sub R.G. 1739 del 2007 innanzi allo stesso giudice).

Invero l’esito processuale – secondo l’avviso espresso dalla Sezione nella sentenza oggetto della odierna impugnazione revocatoria- era scaturito da una dichiarazione resa in primo grado dal patrocinio della parte appellante che sostanziava la volontaria dismissione dell’interesse di quest’ultima alla decisione della causa ivi già radicata.

Detta dismissione necessariamente vincolava lo stesso giudice, stante il carattere assolutamente dispositivo del processo amministrativo.

La Sezione ha peraltro rilevato che l’esito del giudizio di ottemperanza, non precludeva alla parte appellante ogni ulteriore iniziativa non solo procedimentale ma anche processuale idonea comunque ad ottenere, dopo l’adozione della variante al vigente strumento urbanistico da parte del Commissario ad acta ma comunque entro il termine di prescrizione decennale dell’ actio iudicati di cui all’art. 114, comma 1, cod. proc. amm., anche l’adozione da parte delle amministrazioni istituzionalmente competenti (ovvero, nell’ipotesi di ulteriori inadempimenti di queste ultime, da parte degli organi commissariali al caso insediabili) degli ulteriori provvedimenti intesi a disciplinare in via definitiva la destinazione dell’area di proprietà di parte appellante.

Con la ulteriore impugnativa che viene all’esame del Collegio, le parti originarie ricorrenti – rimaste soccombenti anche in appello – hanno chiesto la revocazione della predetta sentenza n. 3460/2012 pronunciata dalla Sezione in quanto asseritamente affetta da errore di fatto incidente su un punto decisivo della controversia.

Ad avviso di parte impugnante, infatti, la gravata sentenza conterrebbe un errore di fatto in quanto la Sezione (come era dato leggere nella parte in fatto della gravata sentenza) aveva ritenuto che la sentenza del Tar n. 05134/2011 gravata in appello si fosse pronunciata su una impugnazione in “revocazione della sentenza n. 2224 del 29 aprile 2010 emanata dallo stesso giudice di primo grado in tema di esecuzione del giudicato conseguente alla sentenza n. 10427 del 28 luglio 2005, resa dallo stesso giudice, su domanda di riqualificazione urbanistica di aree di proprietà degli attuali appellanti”.

Invece, al contrario di quanto affermato dalla Sezione, con il ricorso deciso dal Tar con la sentenza n. 05134/2011 poi gravata in appello non si era affatto proposta alcuna revocazione, ma semplicemente una nuova domanda di ottemperanza introdotta appunto il 8.6.2011.

Da ciò discendeva l’errore contenuto nella gravata decisione della Sezione che, pur avendo nella parte motiva della gravata sentenza n. 3460/2012 sostanzialmente accolto l’appello (ivi affermando che “il sopradescritto esito del giudizio di ottemperanza, definitivamente cristallizzato per effetto della presente sentenza, non preclude alla parte appellante ogni ulteriore iniziativa non solo procedimentale ma anche processuale idonea comunque ad ottenere, dopo l’adozione della variante al vigente strumento urbanistico da parte del Commissario ad acta ma comunque entro il termine di prescrizione decennale dell’ actio iudicati di cui all’art. 114, comma 1, cod. proc. amm., anche l’adozione da parte delle amministrazioni istituzionalmente competenti -ovvero, nell’ipotesi di ulteriori inadempimenti di queste ultime, da parte degli organi commissariali al caso insediabili- degli ulteriori provvedimenti intesi a disciplinare in via definitiva la destinazione dell’area di proprietà degli appellanti”) aveva, poi, invece, nel dispositivo, respinto il gravame, ritenendo che l’appellante in primo grado avesse introdotto una impugnazione revocatoria.

Al contrario, l’appellante aveva introdotto in primo grado una domanda di (nuova ottemperanza) ed erroneamente il Tar l’aveva dichiarata inammissibile attribuendo carattere “dirimente al comportamento tenuto dalla parte nel corso del primo giudizio di ottemperanza, concluso con una sentenza in rito che ha acclarato il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente alla decisione.”.

L’appello era proprio diretto a contestare la detta declaratoria di inammissibilità, e tendeva all’affermazione positiva di un principio identico a quello affermato nella parte motiva della decisione gravata in revocazione: soltanto per errore di fatto in ordine alla domanda introdotta in primo grado il Consiglio di Stato era pervenuto ad una statuizione reiettiva.

Comunque doveva essere fatta salva la portata conformativa della pronuncia stessa gravata in revocazione.

Con ulteriore memoria parte ricorrente in revocazione ha ribadito le ragioni poste a sostegno dell’accoglimento dell’impugnazione.

Alla odierna pubblica udienza del 7 maggio 2013 la causa è stata posta in decisione.


DIRITTO


1. Il ricorso per revocazione è inammissibile nei termini di cui alla motivazione che segue.

2. Ritiene in primo luogo necessario il Collegio –al fine di chiarire il fondamento del proprio convincimento- riepilogare la complessa sequenza processuale.

Con sentenza del Tar Campania n. 10427 del 28 luglio 2005 è stato annullato il silenzio serbato dal Comune di Sant’Antimo sulla diffida con cui gli odierni ricorrenti avevano chiesto di riqualificare sotto il profilo urbanistico i fondi di loro proprietà distinti in catasto al fol. 6, p.lle 830 e 174, ed è stato ordinato al Comune di provvedere in merito, nel termine di giorni sessanta.

Detta sentenza è passata in giudicato a seguito della sentenza n. 3171, resa il 5.12.06 dal C.d.S. sez. IV, nel procedimento Rg. n. 8940/05.

Successivamente al passaggio in giudicato della detta decisione, l’odierna parte ricorrente in revocazione aveva proposto actio iudicati (ricorso n. 679/07) accolta con sentenza del Tar n. 14962 del 23 novembre 2007 (con cui è stato ordinato al Comune di Sant’Antimo di provvedere all’esecuzione nel termine di giorni novanta, con riserva di nomina di commissario ad acta nel caso di persistente inottemperanza.).

Assumendo che gli atti medio tempore adottati dal Comune fossero elusivi, e che per altro verso ci si trovasse al cospetto di una ingiustificabile inerzia gli odierni impugnanti avevano proposto ulteriori azioni di ottemperanza.

Con deliberazione n. 1 del 21 gennaio 2010, il commissario ad acta ha predisposto una proposta di variante urbanistica, con annessi elaborati e norme tecniche di attuazione, per la riqualificazione dei suoli siti in Sant’Antimo, individuati in catasto al foglio n. 6, p.lla n. 174, e al foglio n. 7, p.lla 830, con la classificazione “aree destinate ad attrezzature collettive di uso pubblico”.

Con sentenza n. 2224 del 29 aprile 2010 il Tar ha dichiarato detti riuniti ricorsi improcedibili, (sulla base della circostanza che all’udienza del 24 marzo 2010 il difensore dei ricorrenti aveva dichiarato essere venuto meno l’interesse alla decisione dei ricorsi).

Detta ultima sentenza è stata gravata in revocazione: l’impugnazione è stata respinta dal Tar con sentenza n. 1967 del 2011.

Dato questo punto fermo, rappresentato dalla sentenza del Tar, ormai regiudicata n. 2224 del 29 aprile 2010 che ha dichiarato detti riuniti ricorsi in ottemperanza improcedibili, l’odierna parte impugnante ha nuovamente proposto una ulteriore actio iudicati .

Questa è stata decisa con la sentenza del Tar n. 5134 del 4 novembre 2011: ivi il Tar ha sostanzialmente affermato che, avendo l’impugnante prestato acquiescenza alla determinazione del Commissario ad acta n. 1 del 21 gennaio 2010, con la quale era stata predisposta una proposta di variante urbanistica (tanto da rinunciare ai giudizi pendenti) non potesse nuovamente proporre una ulteriore domanda di ottemperanza.

Esclusivamente per tale ragione il Tar ha dichiarato inammissibile il ricorso.

La sentenza è stata gravata in appello, e la Sezione, con la sentenza oggi impugnata n. 3460/2012 ha respinto l’appello.

Sia nella intestazione che nella motivazione della predetta decisione n. 3460/2012 emerge che la Sezione ha deciso la causa muovendo dal presupposto – in realtà errato - che la appellata sentenza del Tar n. 5134 del 4 novembre 2011 fosse stata resa su una impugnazione per revocazione di precedente sentenza, e non già su una nuova domanda di esecuzione del giudicato successiva ad una sentenza di improcedibilità (la n. 2224 del 29 aprile 2010 vanamente gravata per revocazione, laddove il gravame revocatorio venne respinto con sentenza n. 1967 del 2011).

2.1. Sotto questo profilo l’errore segnalato dalla odierna parte impugnante sussisterebbe, ed è testuale (il Consiglio di Stato ha in passato affermato che “ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., sono soggette a revocazione per errore di fatto le sentenze pronunciate in grado di appello, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” -Consiglio Stato , sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3721, Consiglio Stato , sez. VI, 05 giugno 2006, n. 3343, Consiglio Stato , sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2278-).

2.2. Senonchè, da un canto, esso è del tutto irrilevante (“l'errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione delle cose, ma deve avere anche carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione. Il giudizio sulla decisività dell'errore costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione, non inficiata da vizi logici e da errori di diritto.”-Cassazione civile sez. I, 29 novembre 2006 , n. 25376-) e, per altro verso, è di palmare evidenza che l’odierna parte impugnante non ha alcun interesse a sollevarlo.

Tanto ciò è vero che essa stessa - all’evidenza soddisfatta della portata confermativa della sentenza della Sezione, pur gravata in revocazione - ha chiesto che della impugnata revocanda sentenza “venga fatto salvo l’effetto conformativo”.

2.3. Nel caso di specie il petitum che è stato espresso nell’atto di revocazione (accoglimento della nuova domanda di ottemperanza dichiarata inammissibile con la sentenza del Tar n. 5134 del 4 novembre 2011) mira ad ottenere un risultato identico a quello conformativo positivamente affermato nella seconda parte della revocanda decisione, di talchè l’impugnazione è assolutamente inutile.

3. Come rammentato nella parte in fatto, la Sezione ha espressamente affermato nella revocanda sentenza che “l’esito del giudizio di ottemperanza, definitivamente cristallizzato per effetto della presente sentenza, non preclude alla parte appellante ogni ulteriore iniziativa non solo procedimentale ma anche processuale idonea comunque ad ottenere, dopo l’adozione della variante al vigente strumento urbanistico da parte del Commissario ad acta ma comunque entro il termine di prescrizione decennale dell’ actio iudicati di cui all’art. 114, comma 1, cod. proc. amm., anche l’adozione da parte delle amministrazioni istituzionalmente competenti (ovvero, nell’ipotesi di ulteriori inadempimenti di queste ultime, da parte degli organi commissariali al caso insediabili) degli ulteriori provvedimenti intesi a disciplinare in via definitiva la destinazione dell’area di proprietà degli appellanti.”

3.1. Null’altro avrebbe potuto pretendere l’odierno impugnante, laddove si consideri che - valutando le domande già contenute nel mezzo di primo grado – erano certamente inammissibili tutte le doglianze ivi contenute volte a surrettiziamente riproporre la tesi secondo cui la sentenza n. 2224 del 29 aprile 2010 che aveva dichiarato tutti i riuniti ricorsi in ottemperanza improcedibili fosse errata.

Tale sentenza in ultimo citata era stata infatti gravata in revocazione: l’impugnazione era stata respinta dal Tar con sentenza n. 1967 del 2011 e detta sentenza non era stata gravata. Ne consegue che erano inammissibili (e tali correttamente quindi sono state ritenute) le censure già contenute nel mezzo di primo grado e riproposte in appello volte a stigmatizzare la detta statuizione di improcedibilità.

3.1.1. Nessuna pretesa ulteriore potrebbe essere vantata dall’odierna parte impugnante rispetto alla esecuzione della deliberazione n. 1 del 21 gennaio 2010 con la quale il commissario ad acta ha predisposto una proposta di variante urbanistica, con annessi elaborati e norme tecniche di attuazione, per la riqualificazione dei suoli siti in Sant’Antimo, individuati in catasto al foglio n. 6, p.lla n. 174, e al foglio n. 7, p.lla 830, con la classificazione “aree destinate ad attrezzature collettive di uso pubblico”.

3.2. Quanto invece alle ulteriori circostanze che la originaria parte ricorrente lamentava riposanti nella evidenza che il procedimento adempitivo non era stato completato e che la diffida avanzata nei confronti del commissario ad acta e del Comune a completare il procedimento avviato con la proposta di cui alle delibere commissariali n. 1 del 10.2.2009 e n. 1 del 21.1.2010 non era stata riscontrata, rileva il Collegio che, con riguardo a tale porzione del petitum veicolato in primo grado, la statuizione conformativa contenuta nella sentenza censurata per revocazione e prima riportata per esteso sia pienamente satisfattoria.

3.2.1. Essa è armonica rispetto al principio per cui con il ricorso per l’ottemperanza si può agire anche per ottenere che una iniziativa - ritenuta comunque in via di principio satisfattoria dal ricorrente - sia portata ad attuazione (Cons. Stato Sez. III, 13-09-2012, n. 4887: “qualora l'Amministrazione non si conformi puntualmente ai principi contenuti nella sentenza, oppure non constati le conseguenze giuridiche che da essa discendono, o nel caso di inerzia, l'interessato può instaurare il giudizio di ottemperanza, nel quale il giudice amministrativo, nell'esercizio della sua giurisdizione di merito, ben può sindacare in modo pieno, completo e satisfattivo per il ricorrente l'attività posta in essere dall'amministrazione od il suo comportamento omissivo, adottando tutte le misure -direttamente o per il tramite di un commissario- necessarie ed opportune per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo).

Né la precedente statuizione di improcedibilità, confermata in sede di revocazione, potrebbe precludere un ulteriore ricorso in ottemperanza proprio teso ad ottenere che il procedimento venga portato a compimento con l’approvazione della variante (è ben ovvio che la mera proposta di adozione di una delibera non costituisca, sin tanto che il procedimento non siasi completato “attuazione del giudicato” ma soltanto primo passo per la esatta conformazione al medesimo).

Tali principi sono stati esattamente affermati nella decisione censurata in revocazione, laddove è stata chiarita la possibilità per l’appellante di agire in ottemperanza per ottenere che il procedimento venga portato a definizione dal che discende la insussistenza in capo all’impugnante di qualsivoglia interesse a gravare la decisione della Sezione.

4. Dalle superiori considerazioni discende la inammissibilità del proposto gravame revocatorio per carenza di interesse ed in quanto il prospettato errore di fatto non soltanto non è “decisivo”, ma neppure ha condotto la Sezione ad emettere alcuna statuizione sostanzialmente pregiudizievole per la posizione dell’odierna parte ricorrente.

5. Nessuna statuizione è dovuta sulle spese a cagione della mancata costituzione in giudizio delle parti intimate.

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