Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-09-22, n. 201404774

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-09-22, n. 201404774
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404774
Data del deposito : 22 settembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07774/2012 REG.RIC.

N. 04774/2014REG.PROV.COLL.

N. 07774/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7774 del 2012, proposto da:
V M, rappresentata e difesa dagli avvocati G P e E V P, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Corso del Rinascimento, 11;

contro

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore , Università degli Studi di Bari, in persona del Rettore pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso in cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, hanno eletto domicilio;

nei confronti di

Luigi Macchia e Gabriele Di Lorenzo, non costituiti in giudizio;

per la revocazione

della sentenza 12 marzo 2012, n. 1386, del Consiglio di Stato, Sezione Sesta.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e dell’Università degli Studi di Bari;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Pellegrino, Poli e l’avvocato dello Stato Ajello.


FATTO

1.– La Prof.ssa V Annamaria ha chiesto, con il ricorso indicato in epigrafe, la revocazione della sentenza 12 marzo 2012, n. 1386 della Sesta Sezione del Consiglio di Stato.

2.– La Prof.ssa V ha partecipato alla procedura di valutazione comparativa, indetta dall’Università «Aldo Moro» con decreto rettorale del 6 maggio 2005, n. 4734, per la copertura, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, di un posto di professore universitario di ruolo di seconda fascia per il settore scientifico-disciplinare «MED/09 – Medicina interna».

L’interessata, non essendo stata ritenuta idonea, ha impugnato gli atti della procedura innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia.

3.– Il Tribunale, con sentenza 5 aprile 2007, n. 1008, ha rigettato il ricorso.

4.– Il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 1386 del 2012, ha rigettato l’appello.

In particolare, sono state esaminate e ritenute infondate le seguenti censure: i ) la limitazione a venti del numero delle pubblicazioni scientifiche ammesse a valutazione, in quanto «il numero prescelto non è in sé irragionevole, apparendo congruo per dare al candidato l’opportunità di offrire una rappresentazione sufficiente del proprio profilo scientifico e di ricerca»; ii ) la discontinuità della produzione scientifica e la non organicità dell’approfondimetno, in quanto la discontinuità è riscontrabile e la non organicità è la condizione perché un lavoro scientifico sia originale e innovativo; iii ) la disparità di trattamento rispetto al giudizio di monotematicità della produzione scientifica della ricorrente, in quanto, tra l’altro, «quello della interdisciplinarietà è il primo tra i criteri di valutazione delle pubblicazioni indicati nel bando»; iv ) le specifiche modalità tecniche di valutazione della produzione scientifica di uno dei due candidati idonei, in quanto il giudizio espresso non presenta le carenze dedotte.

4.1.– Nella stessa sentenza, al punto 2 del diritto, si afferma quanto segue.

«Nella memoria e motivi aggiunti, depositati il 24 novembre 2010» l’appellante rileva che, «nell’ambito di un procedimento penale in corso (allo stato dell’avvenuto rinvio a giudizio) per fatti concernenti la procedura valutativa di cui è causa, ha avuto accesso a documentazione atta a dimostrare l’orientamento pregiudiziale della Commissione giudicatrice a favore dei due candidati dichiarati idonei». L’appellante «deduce, di conseguenza, la violazione dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in relazione all’art. 97 della Costituzione, la nullità dei verbali della procedura concorsuale, con riferimento all’art. 479 Cod. pen. quanto alla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, ed eccesso di potere per sviamento, essendosi svolta la procedura di valutazione comparativa in violazione dei principi di imparzialità dell’azione amministrativa, essendo nulli e illegittimi i verbali delle operazioni concorsuali per la loro provata falsità ideologica ai sensi dell’art. 479 Cod. pen. e risultando illegittimo, perciò, l’impugnato decreto del Rettore n. 5030 del 17 maggio 2006». Nella stessa sentenza si dà atto che «tra i documenti depositati successivamente, il 27 dicembre 2011, è allegata copia del decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari del 21 gennaio 2011 con cui si dispone il rinvio a giudizio dei componenti la commissione giudicatrice della procedura di valutazione comparativa di cui è causa in quanto imputati di reati per comportamenti da cui si evince – secondo il decreto - “che l’intera procedura è stata intenzionalmente preordinata alla dichiarazione di idoneità del candidati M L e D L G […]”».

5.– La Prof.ssa V ha proposto ricorso per revocazione rilevando, in relazione alla fase rescindente, che il Collegio: i ) avrebbe omesso ogni pronuncia di merito sui motivi aggiunti proposti ex art. 104, terzo comma, cod. proc. amm. con la memoria del 24 novembre 2010 e sulla domanda di nullità dei verbali della commissione per falsità ideologica; ii ) non avrebbe esaminato il contenuto dei documenti depositati in data 27 dicembre 2011 e quindi sarebbe mancata «ogni valutazione sulla loro idoneità ad attestare la fondatezza e dei motivi aggiunti e dei motivi dell’appello originario».

In relazione alla fase rescissoria, si chiede l’accoglimento dell’appello in quanto: i ) le intercettazioni ambientali dimostrerebbero la falsità ideologica dei verbali del 13, 14 e 15 marzo 2006 della commissione, nonché la circostanza che la procedura fosse preordinata a fare vincere il concorso al dott. Macchia; ii ) i fatti di rilevanza penale costituirebbe «un filtro che agevolmente consente di riesaminare in una luce nuova i motivi dell’originaria impugnazione per pervenire ad un giudizio diverso ed opposto da quello sugli stessi formulato dal Tar».

5.1.– Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

6.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica dell’8 luglio 2014.

DIRITTO

1.– La questione posta all’esame del Collegio attiene alla sussistenza dell’errore di fatto, rilevante ai fini del giudizio di revocazione, contenuto nella sentenza 12 marzo 2012, n. 1386 della Sesta sezione del Consiglio di Stato.

La sentenza, confermando la decisione 5 aprile 2007, n. 1008, del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ha ritenuto infondato il ricorso proposto dalla Prof.ssa V avverso la procedura di valutazione comparativa, indetta dall’Università «Aldo Moro» con decreto rettorale del 6 maggio 2005, n. 4734, per la copertura, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, di un posto di professore universitario di ruolo di seconda fascia per il settore scientifico-disciplinare «MED/09 – Medicina interna».

In particolare, secondo la ricorrente, l’errore sarebbe consistito nella omessa pronuncia sui motivi aggiunti contenuti in una apposita memoria depositata e sulla omessa valutazione della documentazione prodotta a supporto della fondatezza dell’appello originario e dei motivi aggiunti stessi.

2.– Il ricorso è inammissibile.

3.– L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che «le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile». In particolare, avendo riguardo a quanto rileva in questa sede, l’art. 395, comma 1, numero 4, cod. proc. civ. dispone che la revocazione è ammissibile «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa», specificando che «vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte affermato che: «l’omissione di pronuncia su domande o eccezioni delle parti, sebbene costituisca, di per sé, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c., o comunque difetto di motivazione, non elimina la rilevanza del processo causale che ha determinato l’evento omissivo e non esclude che l’omissione di pronuncia possa essere fatta valere non ex se , ma come risultato di un vizio della formazione del giudizio e, quindi, errore di fatto revocatorio, atteso che nel caso di omessa pronuncia errore revocatorio e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non sono in relazione di alternatività, ma il primo è possibile fonte della seconda» (si veda Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5187 e le sentenze ivi citate).

La stessa giurisprudenza ha, però, puntualizzato che: «l’omessa pronuncia su un vizio deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile» (Cons. Stato, sez. IV, n. 5187 del 2013).

4.– Nella fattispecie in esame risulta che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il Collegio ha esaminato i motivi aggiunti e la relativa documentazione nonché ha valutato come tale documentazione potesse incidere sui motivi proposti con l’appello.

4.1.– Il fulcro della decisione ha riguardato proprio l’influenza che i fatti oggetto di accertamento in sede penale possano avere nel giudizio amministrativo.

In particolare, la Sezione, dopo avere affermato che la regola generale è quella dell’autonomia dei due processi, ha chiarito che tale regola può essere derogata soltanto nei casi in cui: i ) «in assenza della definizione di quei fatti con un giudicato penale, il giudizio amministrativo non potrebbe avere oggetto autonomo a causa dell’impossibilità di procedere ad alcun accertamento sulla legittimità medesima»; ii ) «emerga con oggettiva evidenza logica che, in assenza di quei fatti (e dunque del loro accertamento in sede penale), la scelta amministrativa espressa dal provvedimento impugnato sarebbe stata diversa da quella che storicamente è stata (cioè che senza quei comportamenti non si sarebbero avuti questi risultati, ma risultati opposti)» (punto 3.1. del Considerato in diritto).

Nell’applicare questi principi alla fattispecie concreta la sentenza contiene una motivazione esplicita e una motivazione implicita.

La motivazione esplicita è che i fatti di rilevanza penale, rappresentati con i motivi aggiunti, risultanti dalla documentazione depositata ed espressamente richiamati nella motivazione (punto 2), non sono tali da fare emergere una oggettiva dipendenza con i fatti oggetto del processo amministrativo. L’esame dei motivi principali ha, infatti, condotto la Sezione a ritenere che «pur in assenza ( recte : presenza) dei comportamenti e fatti materiali alla base dell’imputazione più sopra richiamata, la procedura valutativa presenta comunque elementi oggettivi di per sé idonei e autonomamente sufficienti ad escludere le illegittimità lamentate» (punto 5). In altri termini, secondo la Sezione la sospensione non sarebbe necessaria in quanto, anche qualora quei fatti venissero accertati in via definitiva in sede penale, tale esito non potrebbero condizionare il giudizio amministrativo e, in particolare, condurre ad un accoglimento degli specifici motivi dedotti. La sospensione sarebbe stata necessaria, invece, nel caso in cui i vizi prospettati presupponevano un accertamento in fatto da svolgersi in sede penale.

La motivazione implicita ricavabile dalla lettura complessiva della sentenza e dalla «affermazione decisoria» sopra riportata è che i predetti fatti così come non possono giustificare la sospensione del processo amministrativo a fortiori non possono di per sé condurre a ritenere fondati gli specifici vizi formulati e ad annullare gli atti impugnati previa eventuale dichiarazione di nullità dei verbali per falsità ideologica. La Sezione, con la sentenza impugnata, ha pertanto ritenuto che i motivi aggiunti non costituiscono, allo stato, causa “autonoma” di illegittimità degli atti impugnati ovvero causa “integrativa” dei motivi già enunciati che dovrebbero essere analizzati nella nuova prospettiva risultante dal processo penale. Del resto, il giudice amministrativo non potrebbe neanche in via incidentale accertare la falsità di atti pubblici (Corte cost. 11 novembre 2011, 304).

La mancanza di una esplicitazione in questo senso non costituisce un errore rilevante ai fini del giudizio di revocazione ma si giustifica in quanto la Sezione, escludendo che vi possa essere influenza “futura” dei fatti accertati con un giudicato penale sulle specifiche questioni dedotte nel processo amministrativo, ha escluso che vi possa essere influenza “immediata”dei medesimi fatti risultanti da un processo penale non ancora definito.

5.– Quanto sin qui esposto non significa che se i gravi fatti di falsificazione dei verbali e degli atti della procedura finalizzati a predeterminare il vincitore del concorso, che hanno condotto al rinvio a giudizio dei commissari, dovessero trovare, all’esito di una istruttoria diversa da quella propria del giudizio amministrativo, conferma nel giudizio penale con statuizione definitiva, ciò non possa comportare l’invalidità della procedura amministrativa.

Ma in questo caso si tratterrà di vizi autonomi e diversi da quelli posti a fondamento dei ricorsi proposti nel presente giudizio amministrativo.

La commissione di reati da parte dei commissari determina, infatti, la interruzione del nesso di imputazione organica degli atti all’amministrazione che l’ha nominata. I relativi atti, non essendo più imputabili all’ente, dovrebbero considerarsi nulli (Cons. Stato, sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5266 ritiene, invece, che, essendo tassative le cause di nullità, il vizio dell’atto sarebbe sanzionabile con il rimedio dell’annullabilità).

Tale eventuale invalidità potrà essere fatta valere con un autonomo giudizio successivo al passaggio in giudicato della sentenza penale.

6.– La particolarità della controversia risultante dall’accertamento effettuato giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi