Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-16, n. 202208059

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-16, n. 202208059
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208059
Data del deposito : 16 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/09/2022

N. 08059/2022REG.PROV.COLL.

N. 08594/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8594 del 2017, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato R L, con domicilio eletto presso lo studio Pietro Adami in Roma, corso D'Italia 97;

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tar Piemonte, -OMISSIS- concernente il provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’ingresso nella Casa circondariale di Torino.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2022 il Cons. G F e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’appellante, in qualità di -OMISSIS- presso le case circondariali, svolgeva la sua attività -OMISSIS- in favore dei detenuti -OMISSIS- presenti nel -OMISSIS- della Casa Circondariale -OMISSIS- di Torino.

A seguito di specifica segnalazione del personale di polizia penitenziaria in servizio presso detto Istituto di pena circa il comportamento tenuto dalla predetta e ritenuto non “consono” al suo ruolo -OMISSIS-, il Direttore della Casa Circondariale con provvedimento -OMISSIS- ha disposto la revoca del permesso d’ ingresso in precedenza rilasciato all’appellante.

A questo provvedimento faceva seguito, su proposta del medesimo direttore, il provvedimento del Giudice di Sorveglianza di Torino -OMISSIS- di revoca dell’autorizzazione all’ingresso al carcere.

2. L’interessata ha impugnato innanzi al Tar Piemonte i suddetti provvedimenti deducendo con un unico articolato motivo la illegittimità degli stessi per eccesso di potere e violazione di legge.

3. Con sentenza -OMISSIS- il Tar Piemonte ha rigettato il ricorso.

4. Con appello notificato -OMISSIS- e depositato il successivo -OMISSIS- la signora -OMISSIS- ha impugnato la predetta sentenza.

5. Il Ministero della giustizia non si è costituita in giudizio.

6. All’udienza pubblica del 14 luglio 2022 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’atto di appello è infondato.

I due motivi di impugnazione proposti dall’appellante possono essere trattati congiuntamente, avendo rilevato l’insussistenza degli addebiti mossi dall’Amministrazione competente a suo carico e la erroneità delle osservazioni e conclusioni con cui il primo giudice ha avallato la legittimità dei provvedimenti per cui è causa.

A dire dell’appellante, il giudice del primo grado di giudizio non avrebbe colto la grave carenza motivazionale del provvedimento impugnato, resa per relationem in violazione delle disposizioni di legge che sanciscono l’obbligo motivazionale.

In punto di fatto, poi, secondo l’appellante il Tar non si sarebbe accorto che l’Amministrazione avrebbe dato una lettura “distorta” delle circostanze concrete a supporto del provvedimento impugnato – dai quali emergerebbe -OMISSIS- – deducendo erroneamente la pericolosità dell’appellante.

Tali considerazioni non sono suscettibili di positiva considerazione ad avviso del collegio dal momento che la documentazione posta a sostegno dell’apparato motivazionale dei provvedimenti impugnati – e specificatamente la relazione di servizio del personale della polizia penitenziaria di vigilanza esterna del carcere -OMISSIS-, si rivela idonea a supportare gli addebiti mossi -OMISSIS- – -OMISSIS- – e quindi a giustificare una valutazione negativa della condotta tenuta del tutto incompatibile con l’incarico -OMISSIS- svolto dalla predetta all’interno del carcere.

Invero, non sono smentiti i seguenti fatti e circostanze e cioè che: a) -OMISSIS-;
b) -OMISSIS-.

A ciò si aggiunga come opportunamente pure messo in evidenza nei documenti depositati in giudizio che l’interessata ha postato sul suo profilo Facebook, unitamente alla sua immagine, foto -OMISSIS-;
aggiungasi che la stessa -OMISSIS-.

Da tali elementi, dunque, di cui l’appellante non fornisce un’adeguata smentita, deve necessariamente dedursi -OMISSIS-.

Per l’effetto, non appare destituita di fondamento la valutazione negativa compiuta dall’Amministrazione di detti fatti, specie con riferimento alla incompatibilità di tali circostanze con i compiti di estrema delicatezza svolti dall’appellante nell’ambito della sua attività presso la casa circondariale, -OMISSIS-.

Ne discende che correttamente l’Amministrazione procedente ha rilevato la frattura del rapporto fiduciario -OMISSIS- e altrettanto correttamente ha posto questa frattura a fondamento del provvedimento di inibizione dalla struttura carceraria, anche per evidenti – e condivisibili – ragioni di carattere prudenziale e di prevenzione, a tutela dell’attività di recupero e riabilitazione compiuta nei luoghi di reclusione.

Alla luce di tali considerazioni e con particolare riferimento al primo ordine di censure sull’omesso rilievo, da parte del giudice di primo grado, dell’assenza di motivazione del provvedimento impugnato, deve rilevarsi che al contrario il Tar ha correttamente approfondito i presupposti di fatto e di diritto posti a base dello stesso.

2. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

3. Ne discende, in conclusione, che la sentenza impugnata merita conferma e l’atto di appello deve essere respinto.

Le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensate tra le parti in causa.

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