Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-08-30, n. 201805110
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Pubblicato il 30/08/2018
N. 05110/2018REG.PROV.COLL.
N. 02851/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2851 del 2015, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Crescenzio, n.19;
contro
il Ministero della Giustizia in persona del Ministro in carica e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, in persona del Presidente p.t., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 12110/2014, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione di equo indennizzo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018 il Consigliere C S e uditi per le parti gli avvocati Pamphili e Fedeli dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il sig. -OMISSIS-, in servizio presso il Corpo di Polizia Penitenziaria dal 14 maggio 1977 sino al 5 novembre 1999, presentava in data 20 gennaio 1998 istanza per ottenere il riconoscimento della causa di servizio per l'infermità Gravi esiti di gastrectomia per carcinoma del cardias al III stadio con persistente sindrome dispeptico dolorosa , contratta per le condizioni socio-ambientali in cui si sarebbe svolto il suo lavoro, che lo ha esposto a fattori patogeni di varia natura ed a rilevanti stress psicologici.
In data 10 giugno 1998, in sede di visita medica, il sanitario della Casa Circondariale di Viterbo giudicava il sig. -OMISSIS- affetto dalla patologia Processo discariocinetico dello stomaco e riteneva tale patologia essere dipendente da causa di servizio.
La Commissione medica ospedaliera (di seguito C.M.O.) del Centro Militare di medicina legale di Roma, con verbali n. AB/4624/98 del 28.5.1999 e n. 6406/99 del 5.11.1999, dichiarava il sig. -OMISSIS- non idoneo permanentemente al servizio e riconosceva l'infermità dipendente da causa di servizio e ascrivibile, ai fini della corresponsione dell'equo indennizzo, ascrivendola alla tabella A-2^ categoria, misura massima.
Il sig. -OMISSIS-, in data 22 dicembre 1999, presentava la domanda per la liquidazione dell'equo indennizzo e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia, in data 29 settembre 2000 esprimeva parere favorevole all’accoglimento della istanza e trasmetteva la relativa documentazione al Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie (oggi Comitato di Verifica per le Cause di Servizio di seguito C.V.C.S.).
Nella seduta del 23 ottobre 2003, il C.V.C.S., con parere n. 8514/2001 riteneva, tuttavia, che la patologia del sig. -OMISSIS- non fosse dipendente da cause di servizio, per cui la Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia, con decreto del 5 aprile 2004, annullava il precedente riconoscimento della causa di servizio per l'infermità Gravi esiti di gastrectomia per carcinoma del cardias al III stadio con persistente sindrome dispeptico dolorosa e rigettava l'istanza di concessione dell'equo indennizzo per la menomazione denunciata.
1.2. Avverso tale provvedimento il sig. -OMISSIS- proponeva ricorso al T.A.R. per il Lazio.
Il sig. -OMISSIS- lamentava la violazione dell’art. 5 bis del D.L. n. 387/1987 e degli artt. 10, 14 e 18 del D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, e sosteneva che il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità operato dalle Commissioni Mediche Ospedaliere – seppure non vincolante ai fini della concessione dell’equo indennizzo e del trattamento pensionistico privilegiato – era definitivo e che, comunque, non erano esplicitate le ragioni della determinazione contraria adottata a seguito del parere reso dal C.V.C.S.
Con ulteriori censure il sig. -OMISSIS- lamentava l'illegittimità del provvedimento impugnato per violazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 della legge n. 241/1990, per violazione delle norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo.
Il T.A.R., con sentenza n. 12110 dell'1.12.2014, ha rigettato il ricorso.
Avverso la sentenza il sig. -OMISSIS- ha proposto appello.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia che ha chiesto di rigettare l'appello.
All'udienza pubblica del 19 luglio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
2. Con il primo ed il sesto motivo di censura l'appellante lamenta, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito, atteso che la domanda proposta, trattandosi di materia pensionistica, rientrerebbe nella giurisdizione della Corte dei Conti e chiede, conseguentemente, la declaratoria del difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore della Corte dei Conti.
L'appellante sollecita, comunque, la nomina di un C.T.U., ai sensi dell'art. 67 del cod. proc. amm., perché si esprima ai fini della concessione dell'equo indennizzo, prospettando, in caso di dichiarata inammissibilità di tale richiesta, questione di costituzionalità per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
2.2. Le suddette censure sono prive di fondamento.
Come l’appellato Ministero della Giustizia evidenzia, né la questione relativa al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, né la questione di legittimità costituzionale, sono state sollevate dall'appellante nel ricorso originario e ciò in contrasto con i principi regolatori del processo amministrativo, secondo cui non è ammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione se sollevata per la prima volta in grado di appello e ciò rileva ancor più nel caso di specie, in cui è stata la stessa parte ricorrente che ha adito la giurisdizione amministrativa con l'atto introduttivo di primo grado, abusando così del diritto per ragioni meramente opportunistiche (Cons. Stato Sez. V 27 marzo 2015 n. 1605).
3. Con il secondo motivo l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza laddove il Tribunale ha ritenuto che nel caso de quo andava applicata la disciplina introdotta dal D.P.R. n. 461/2001 e non quella precedente di cui all’art. 5 bis del D.L. n. 387/1987 e agli artt. 10, 14 e 18 del D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461), stante la contraddittorietà di giudizio tra Comitato di verifica e Commissione medica ospedaliera.
Il sig. -OMISSIS- sostiene che l'art. 5 bis del D.L. n. 387/1987 prevede che, ai fini dell'attribuzione dell'equo indennizzo o della liquidazione della pensione privilegiata, il parere della C.M.O. debba essere integrato con quello del C.P.P.O., e, in caso di discordanza, debbano essere motivate le diverse conclusioni di quest'ultimo, fermo restando che l'Amministrazione avrebbe potuto disattendere il parere della C.M.O. solo previa acquisizione del parere di altro Collegio medico-legale ai sensi dell'art. 179 del D.P.R. n. 1092/1973.
3.2. Anche le suddette censure sono infondate.
Al riguardo non può che convenirsi, infatti, con il T.A.R. per il Lazio, che nella sentenza appellata, ha chiarito che secondo il disposto di cui all’art. 18, comma 1, D.P.R. n. 461/2001 i procedimenti relativi a domande di riconoscimento di causa di servizio e concessione dell'equo indennizzo, nonché di riconoscimento di trattamento di pensione privilegiata e accertamento di idoneità al servizio, già presentate all'Amministrazione alla data di entrata in vigore del presente regolamento, sono definiti secondo i previgenti termini procedurali, fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, comma 1, e dall'articolo 11, comma 1, sulla natura dei pareri delle Commissioni mediche e del Comitato.
Non v’è dubbio, dunque, che anche con riguardo ai procedimenti iniziati nel vigore delle precedenti disposizioni, la valenza da attribuire ai pareri della C.M.O. e del nuovo Comitato di Verifica appare identica.
3.3. Con riguardo al procedimento di concessione dell'equo indennizzo, compete al C.P.P.O (ora Comitato di Verifica) il compito di esprimere il giudizio conclusivo in materia e il parere del C.P.P.O., in quanto momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi, ivi compresa la C.M.O., diviene la base delle determinazioni dell'Amministrazione.
Secondo un orientamento che si è affermato a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 5 bis, d.l. n. 387 del 1987, convertito con modificazioni dalla legge n. 472 del 1987, si è consentito all'Amministrazione, per tale via, di conformarsi al giudizio del C.P.P.O. e di giungere a determinazioni contrastanti con altre precedentemente espresse, le quali non hanno carattere di irretrattabilità né di definitività nell'ambito della sequenza procedimentale volta alla concessione dell'equo indennizzo ( ex multis Cons. di Stato, Sez. VI, 23 settembre 2009, n. 5664).
In tema di equo indennizzo l'Amministrazione è tenuta, quindi, a recepire e far proprio il parere del C.P.P.O., unico organo consultivo al quale, nel procedimento preordinato alla verifica dei presupposti per la sua liquidazione, spetta il compito di esprimere il giudizio finale sul nesso eziologico (professionale o non) dell'infermità sofferta dal pubblico dipendente. Conseguenza della particolare efficacia del parere - obbligatorio - espresso da tale organo è la sua idoneità, ove non vi siano elementi comprovanti la sua inattendibilità, a fungere da unica motivazione per il provvedimento finale, mentre solo nel caso in cui l'Amministrazione ritenga di non potervi aderire sorge un obbligo specifico di motivazione in capo alla stessa (Cons. di Stato, Sez. IV, 18 gennaio 2018, n. 305).
3.4. Il parere del Comitato è un atto fondato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza tecnico discrezionale, con la conseguenza che esso è insindacabile anche in sede giurisdizionale, salvo le ipotesi di irragionevolezza manifesta, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale o non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito.
Il provvedimento ministeriale conclusivo del procedimento, poi, è da considerare adeguatamente motivato attraverso il richiamo al parere del Comitato di verifica per le cause di servizio che, sulla base delle patologie riscontrate, si è espresso sulla sussistenza o meno del nesso di causalità o di concausalità determinante di esse, e se l'attività lavorativa svolta abbia costituito un rischio specifico ai fini dell'insorgenza delle patologie stesse.
4. Con il terzo e quarto motivo di censura l'appellante lamenta la violazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 della legge n. 241/1990 assumendo che l'Amministrazione, non avendo notificato il preavviso di rigetto, gli avrebbe impedito di partecipare al procedimento amministrativo, contestando la decisione del T.A.R. laddove il Tribunale ha ritenuto che il procedimento stesso si sarebbe svolto nel rispetto delle regole e che l'eventuale partecipazione dell'interessato non avrebbe potuto modificare l'esito della valutazione del C.V.C.S., mentre il parere reso dal C.V.C.S. non indicherebbe quali precedenti di servizio siano stati esaminati né gli atti dai quali siano stati ricavati, né si sarebbero tenute nel dovuto conto le diverse conclusioni cui era pervenuta la C.M.O. e le condizioni disagiate in cui egli ha svolto il proprio lavoro.
4.2. Le censure sono infondate.
Come si è già avuto modo di evidenziare, il parere del Comitato di Verifica - ex D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461 - è stato reso nel pieno rispetto delle regole procedurali e, oltre ad essere obbligatorio, è vincolante per l'Amministrazione ai fini dell'adozione del provvedimento finale, sicché essa non è obbligata alla comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell'art. 10 bis, legge 7 agosto 1990 n. 241, stante la non utilità per l'interessato, in quanto l'eventuale sua partecipazione al procedimento non sarebbe suscettibile di produrre effetti sul contenuto dispositivo del provvedimento impugnato, essendo l'Amministrazione pubblica procedente tenuta a conformarsi, appunto, al predetto parere.
Conclusivamente l'appello va respinto.
5. La materia del contendere, con i suoi complessi risvolti interpretativi, giustifica la compensazione tra le parti delle spese anche del presente grado del giudizio.