Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-08, n. 202302402
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 08/03/2023
N. 02402/2023REG.PROV.COLL.
N. 02039/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2039 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Parioli, n. 2;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P L P e F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P L P in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
la Asl Roma 1, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Seconda, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2023 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Veniva esposto con il ricorso introduttivo del giudizio che la ricorrente -OMISSIS- era affetta da disabilità grave con accertata invalidità del 100% e percepiva una pensione per un importo mensile pari a circa € 800.
Si aggiungeva che la medesima aveva richiesto la prestazione sociale agevolata consistente nel ricovero a carattere assistenziale sociosanitario e a ciclo continuativo presso la Residenza Sanitaria Assistenziale -OMISSIS-con degenza a far data dal 29 dicembre 2010 e livello di assistenza assegnato dalla ASL corrispondente a “ Mantenimento Alto ”.
Si rappresentava altresì che, con riguardo al ricovero per il periodo 1° gennaio 2016 – 15 gennaio 2017, a seguito di presentazione della dichiarazione sostitutiva unica per il calcolo dell’ISEE, funzionale alla richiesta di accesso alla valutazione economica finalizzata alla compartecipazione alla spesa relativa alla prestazione, Roma Capitale, attraverso gli atti impugnati, ed in particolare mediante la nota prot. -OMISSIS-, aveva rideterminato la retta e posto direttamente ed interamente a carico della suddetta ricorrente la quota sociale alberghiera pari a circa € 1.800 mensili (rispetto agli € 260 originariamente corrisposti), considerando, ai fini del calcolo dell’ISEE del beneficiario, anche la componente aggiuntiva del reddito relativa al figlio non convivente, -OMISSIS- anch’egli proponente il ricorso.
2. L’adito T.A.R. per il Lazio, con la sentenza appellata (Sez. II, n. -OMISSIS-), nel respingere il ricorso evidenziava principalmente che:
- la giurisprudenza amministrativa aveva già avuto modo di chiarire, in primo luogo, che “ nell’ambito delle prestazioni sociosanitarie, tra le quali rientra il ricovero in una residenza sanitaria assistenziale, non è possibile distinguere tra “prestazioni sociali” e “prestazioni sanitarie”, riconducendo le une e le altre a diversi ambiti di disciplina e a diversi parametri costituzionali (cfr. Cons. Stato, Terza, 14 gennaio 2014, n. 99) ”;
- doveva considerarsi legittima “ l’individuazione dell’insieme dei soggetti, costituito dagli obbligati agli alimenti, cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte Costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19 dicembre 2012, la previsione di una compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti ”.
Da tale punto di vista, ha aggiunto il T.A.R. che:
- “ nella stessa direzione, da ultimo, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 2 del 14 gennaio 2016 - nel pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Provincia Autonoma di Trento 27 luglio 2007, n. 13, nella parte in cui prevede che i soggetti che fruiscono di prestazioni assistenziali consistenti nella erogazione di un servizio siano chiamati a compartecipare alla spesa in relazione alla condizione economico-patrimoniale del nucleo familiare di appartenenza, anziché in riferimento al reddito esclusivo dello stesso interessato – ha sottolineato come la tendenza non irragionevole della normativa provinciale e della normativa statale di settore mira a far sì che sia proprio la famiglia la sede privilegiata del più partecipe soddisfacimento delle esigenze connesse ai disagi del relativo componente, così da mantenere intra moenia il relativo rapporto affettivo e di opportuna e necessaria assistenza, configurando solo come sussidiaria, e comunque secondaria e complementare, la scelta verso soluzioni assistenziali esterne ”;
- “ in definitiva, la Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di sostegno a persone disabili, vi è la tendenza a prevedere l’intervento dei pubblici poteri, con l’onere per l’intera collettività, in funzione prevalentemente sussidiaria e in presenza di condizioni di difficoltà economiche anche delle relative famiglie, richiedendosi primariamente a queste ultime, in relazione alle proprie capacità, l’adempimento di un naturale e diretto dovere di solidarietà, oltre che dei correlativi obblighi giuridici ”;
- “ la garanzia costituzionale del “diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”, infatti, presuppone che la persona disabile sia “sprovvista dei mezzi necessari per vivere” e che l’accertamento di questa condizione di effettiva indigenza possa richiedere anche una valutazione delle condizioni economiche dei soggetti tenuti all’obbligo alimentare ”;
- “ la scelta di considerare, ai fini del calcolo dell’ISEE del beneficiario, anche la componente aggiuntiva del reddito relativa al figlio non convivente, quindi, si rivela pienamente legittima e, d’altra parte, il riferimento al reddito del nucleo familiare e al dovere di solidarietà dei congiunti può ritenersi principio immanente dell’ordinamento a cominciare dall’art. 433 del codice civile in tema di persone obbligare alla prestazione di alimenti ”.
4. Mediante i motivi di appello, gli originari ricorrenti lamentano, in sintesi, l’omesso esame da parte del giudice di primo grado delle argomentazioni poste a fondamento del primo motivo del ricorso introduttivo oltre che la radicale obliterazione del secondo motivo di ricorso.
Si oppone all’accoglimento dell’appello l’appellata Roma Capitale.
5. Come accennato, la parte appellante ripropone in primo luogo i profili di censura asseritamente non esaminati dal T.A.R., iniziando da quelli intesi a lamentare il carattere irragionevole, discriminatorio e sproporzionato della determinazione impugnata in primo grado, quale corollario della illegittimità della disposizione, ovvero l’art. 6, comma 3, lett. b) d.P.C.M. n. 159/2013, sulla quale si fonda.
Premesso invero che l’art. 10, comma 5, del d.P.C.M. cit. ha previsto che “ ai soli fini dell’accesso alle prestazioni agevolate di natura socio sanitaria, il dichiarante può compilare la DSU riferita al nucleo familiare ristretto definito secondo le regole di cui all’articolo 6, comma 2 ” e che tale comma stabilisce che esclusivamente ai fini delle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria rivolte a persone di maggiore età “ il nucleo familiare del beneficiario è composto dal coniuge, dai figli minori di anni 18, nonché dai figli maggiorenni, secondo le regole di cui ai commi da 2 a 6 dell’articolo 3 ”, la parte appellante si duole, in particolare, della illegittimità del citato art. 6, comma 3, lett. b), ai sensi del quale “ per le sole prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo (…) in caso di presenza di figli del beneficiario non inclusi nel nucleo familiare ai sensi del comma 2, l’ISEE è integrato di una componente aggiuntiva per ciascun figlio, calcolata sulla base della situazione economica dei figli medesimi, avuto riguardo alle necessità del nucleo familiare di appartenenza, secondo le modalità di cui all’allegato 2, comma 1, che costituisce parte integrante del presente decreto ”, con la precisazione che “ la componente non è calcolata: (…) 2) quando risulti accertata in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici ”.
Deduce invero la parte appellante che la disposizione suindicata, prevedendo che “ in caso di presenza di figli del beneficiario non inclusi nel nucleo familiare ai sensi del comma 2, l’ISEE è integrato di una componente aggiuntiva per ciascun figlio ”, penalizza inaccettabilmente le sole prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo, vale a dire proprio le situazioni caratterizzate da più grave disabilità e da un maggiore bisogno curativo e necessità assistenziale.
Sostiene inoltre la parte appellante che la censurata previsione costringe il soggetto onerato a promuovere condotte tese a recidere i rapporti affettivi ed economici con il genitore.
Aggiunge che le affermazioni di principio formulate dalla Corte costituzionale con la sentenza