Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-02-06, n. 201900901

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-02-06, n. 201900901
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900901
Data del deposito : 6 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/02/2019

N. 00901/2019REG.PROV.COLL.

N. 03264/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3264 del 2017, proposto da
F s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato M P, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

Comune di Desio, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato D G D, domiciliato presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro , n. 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano (Sezione Seconda) n. 00795/2017, resa tra le parti, concernente un diniego di sanatoria con conseguente ordine di demolizione e rimessione in pristino.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Desio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2019 il Cons. A M e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Corbyons, in dichiarata delega di M P, e Giovanni Daniel Danilo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La F s.r.l. ha chiesto al Comune di Desio la sanatoria di alcuni manufatti abusivi realizzati in funzione dell’attività produttiva dalla medesima esercitata.

Esaminata l’istanza, l’amministrazione comunale ha emanato il preavviso di rigetto (nota 8/5/2014), dopodiché, acquisite le osservazioni della richiedente, ha definitivamente respinto la domanda con provvedimento in data 17/6/2014.

Ritenendo il diniego di sanatoria illegittimo la Ferraccio lo ha impugnato con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano.

Nelle more del giudizio il Comune ha adottato l’ordinanza 7/9/2015 n. 227, con la quale ha ingiunto la demolizione delle opere abusive.

Con motivi aggiunti la F ha, quindi, esteso l’impugnazione alla detta ordinanza.

Il Tribunale con sentenza 5/4/2017, n. 795 il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo e ha respinto i motivi aggiunti.

Per resistere all’impugnazione si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale intimata.

Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 24/1/2019 la causa è passata in decisione.

Col primo mezzo di gravame si censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio sul presupposto della mancata contestazione di tutti i motivi posti a fondamento del provvedimento impugnato.

Contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure sarebbe, infatti, da escludere che i motivi esplicitati nel preavviso di rigetto ma non espressamente riprodotti nel provvedimento finale possano integrare la motivazione di quest’ultimo, dovendosi invece ritenere i detti motivi superati alla luce delle osservazioni prodotte dall’interessata in fase procedimentale.

Conseguentemente non vi sarebbe stato alcun onere di proporre specifiche censure avverso i motivi non riprodotti.

La doglianza è infondata.

Ed invero, come si ricava chiaramente dalla determinazione gravata in primo grado, la domanda di permesso di costruire è stata respinta “ per i motivi in premessa illustrati, nonché per quelli di cui alla comunicazione dell’8 maggio 2014 ” (preavviso di rigetto).

Come esattamente rilevato dal Tribunale “ Non può quindi dubitarsi che il diniego si sorretto sia dalle ragioni esplicitate nelle premesse del provvedimento conclusivo, sia da quelle comunque indicate nel preavviso ”.

A prescindere da ciò il giudice di prime cure ha ulteriormente rilevato che “ le motivazioni del rigetto dell’accertamento di conformità sono in parte di carattere generale, in parte specificamente riferite ai singoli manufatti oggetto della domanda di sanatoria ” e che “ la ricorrente nulla ha allegato nel ricorso contro la motivazione di carattere generale di cui al punto iii, relativa al mancato rispetto dell’utilizzazione fondiaria minima prescritta dal PRG, e di cui al punto i, per ciò che attiene al divieto, posto dallo stesso PRG, di realizzare depositi di superficie maggiore di 500 mq ”.

Pertanto, correttamente ha concluso per l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio stante il pacifico orientamento giurisprudenziale per cui quando, come nella fattispecie, la determinazione amministrativa gravata si basa su una pluralità di motivi indipendenti ed autonomi gli uni dagli altri l’omessa contestazione di uno di essi rende inammissibile l’impugnazione (Cons. Stato, Sez. IV, 18/10/2016, n. 4321;
Sez. V, 29/8/1994, n. 926).

Alla luce delle esposte considerazioni diviene superfluo affrontare i motivi d’appello diretti contro i capi di sentenza con cui sono state comunque esaminate nel merito alcune delle censure rivolte contro il diniego di sanatoria.

Col secondo motivo si deduce che l’impugnata ordinanza di demolizione sarebbe in ogni caso viziata anche laddove la sanatoria fosse stata correttamente denegata.

Difatti, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale:

a) il locale adibito ad uso ufficio avrebbe avuto altezze interne adeguate;

b) il trituratore, il generatore e la pesa autoveicoli non rientrerebbero fra le opere soggette a permesso di costruire, trattandosi di macchinari amovibili che non creano nuova cubatura;

c) rientrerebbe nell’attività edilizia libera, ex art. 6, comma 2, del D.P.R. 6/6/2001 n. 380, anche la pavimentazione del sito;

d) le strutture adibite a riparo di strumenti di lavoro e materiali, peraltro parzialmente rimosse, sarebbero da considerare di natura precaria e quindi non soggette a permesso di costruire.

La doglianza è infondata sotto tutti i profili in cui si articola.

Quanto al manufatto adibito ad uso ufficio occorre rilevare che la F in primo grado si è limitata a dedurre che a suo avviso il medesimo sarebbe stato suscettibile di sanatoria, pertanto stante il divieto di nova in appello (art. 104, comma 1, c.p.a.) la censura sub a) deve ritenersi inammissibile.

Relativamente a trituratore, generatore e pesa autoveicoli, correttamente il giudice di prime cure ha affermato che, stante le loro notevoli dimensioni, non potessero ritersi irrilevanti dal punto di vista urbanistico-edilizio.

Ed invero, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001 costituiscono “ interventi di nuova costruzione ”, soggetti a permesso di costruire “… quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti ”.

In particolare ai sensi della lett. e7 del citato comma sono comunque da considerarsi interventi di nuova costruzione: “ la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato ”.

Gli impianti di che trattasi hanno comportato una “ trasformazione permanente del suolo inedificato ”, per cui ai fini della loro realizzazione occorreva munirsi di permesso di costruire.

Contrariamente a quanto l’appellante mostra di ritenere il fatto gli stessi fossero amovibili non consente di classificarli tra le opere precarie realizzabili in regime di attività edilizia libera ex art. 6, comma, del citato D.P.R. n. 380/2001.

Per opera di carattere precario deve intendersi quella, agevolmente rimuovibile, funzionale a soddisfare un’esigenza fisiologicamente e oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione ecc.) destinata a cessare dopo il tempo, normalmente breve, entro cui si realizza l'interesse finale che la medesima era destinata a soddisfare (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11/1/2018, n. 150;
Sez. V, 25/5/2017, n. 2464).

E’ stato, inoltre, chiarito che il suddetto carattere deve essere escluso allorquando vi sia un'oggettiva idoneità del manufatto a incidere stabilmente sullo stato dei luoghi, essendo l'opera destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine, in relazione all'obiettiva ed intrinseca natura della costruzione (Cons. Stato, Sez. IV, 7/12/2017, n. 5762).

Da ciò discende, pure, che la natura precaria di un’opera non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando piuttosto la sua oggettiva idoneità a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass. Pen., Sez. III, 8/2/2007 n. n. 5350).

Alla luce del chiaro disposto del trascritto art. 3, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001 deve, infine, negarsi ogni rilevanza alla circostanza che i suddetti macchinari non creino nuova volumetria.

Con riguardo alla pavimentazione esterna dell’area è sufficiente rilevare che la stessa, realizzata in cemento armato con un massetto medio di 10/15 cm (si veda la relazione tecnica illustrativa allegata alla richiesta di accertamento di conformità), comporta una “ trasformazione permanente del suolo inedificato ”, per cui era soggetta a permesso di costruire (Cass. Pen., Sez. III, 28/6/2018, n. 50129).

Alla luce dei principi più sopra enunciati in ordine al significato che la nozione di precarietà assume in campo edilizio, va, infine, negato il carattere di opere precarie alle strutture adibite a riparo di strumenti di lavoro e materiali.

L’appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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