Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-23, n. 202301823

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-23, n. 202301823
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301823
Data del deposito : 23 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/02/2023

N. 01823/2023REG.PROV.COLL.

N. 04926/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4926 del 2016, proposto da
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A A, F M F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato N L in Roma, via Francesco Denza, n. 50/A;

contro

Ministero della Cultura-Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici Napoli e Provincia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui è uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta), n. 5853 del 2015;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 19 dicembre 2022 il Cons. D S;

Nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma Microsoft Teams;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, sono così riassumibili:

- con decreto n. 171 del 23 settembre 2005, il Direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Campania impartiva, ai sensi dell’art. 45 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, particolari prescrizioni di tutela indiretta per la fascia dell’area marina compresa nel territorio comunale di Napoli, dal Largo Sermoneta al ‘Molosiglio’, per una profondità di metri 100, al fine di evitare qualsivoglia danneggiamento della prospettiva o della luce del Castel dell’Ovo e del muro frangiflutti del lungomare di Napoli, ovvero impedire l’alterazione delle condizioni di ambiente e decoro;

- in particolare, l’art. 2, per l’area B, punto 3 del citato decreto prescriveva il divieto di realizzare a mare ormeggi ed altre opere stagionali, con conseguente difficoltà per l’Amministrazione statale «di poter assentire manufatti connessi allo svolgimento di manifestazioni di carattere temporaneo»;

- l’Ufficio legislativo del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (oggi denominato ‘Ministero della Cultura’), con parere di cui alla nota prot. n. 1301 del 24 gennaio 2012 ‒ relativo alle opere temporanee per lo svolgimento delle regate della competizione ‘America’s Cup World Series’ ‒ asseriva che, nella predetta area del Comune di Napoli, «i progetti potranno essere assentiti sulla base di idonea valutazione che tenga conto, da un lato, dell’impatto visivo delle opere sul paesaggio marino e, dall’altro, del tempo più o meno lungo di permanenza della modificazione dello stato dei luoghi, anche in considerazione dei tempi stimati di installazione e di rimessione in pristino»;

- con nota prot. n. 14475 del 10 giugno 2014, la Soprintendenza per i Beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e Provincia (di seguito: ‘la Soprintendenza’) trasmetteva la proposta di modifica ed integrazione del decreto n. 171 del 2005, ravvisando la necessità di integrarne la relativa disciplina ‒ dettata per le sole opere stagionali ‒ con puntuali prescrizioni anche per le installazioni a carattere temporaneo, propedeutiche allo svolgimento di eventi e manifestazioni, ed a tal fine richiamando il summenzionato parere;

- con nota prot. n. 778018 del 9 ottobre 2014, l’assessore alle Politiche urbane del Comune di Napoli presentava osservazioni sulla proposta di modifica presentata dalla Soprintendenza, chiedendo un incremento del periodo di permanenza delle opere temporanee (da dieci a venti giorni), nonché la riduzione dell’intervallo temporale tra una manifestazione e l’altra (da quindici a sette giorni);

- seguiva la nota prot. n. 27429 del 7 novembre 2014, con cui la Soprintendenza comunicava al sindaco del Comune di Napoli la determinazione negativa assunta nella riunione del 27 ottobre 2014 dal Comitato regionale di coordinamento presso la Direzione regionale sui rilievi formulati dall’Ente, atteso che: «le modifiche formulate da codesta Amministrazione comunale, se accolte, andrebbero a confliggere con quanto raccomandato con il parere, consentendo tempi di permanenza più lunghi per le installazioni e riducendo gli intervalli tra le predette manifestazioni, con il risultato certo di una modificazione dello stato dei luoghi non auspicabile, inficiando, tra l’altro, il concetto stesso di “temporaneo”»;

- successivamente, con nota prot. n. 27707 del 12 novembre 2014, la Soprintendenza notificava all’Amministrazione comunale il decreto del Direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Campania n. 2174 dell’11 novembre 2014 che, a modifica e integrazione del precedente decreto n. 171 del 2005, statuiva che:

i) all’art. 2 per l’area B «tra gli interventi consentiti è inserito il seguente periodo: a) è consentita l’installazione di ormeggi, passerelle, pontili, boe in occasione di manifestazioni di carattere temporaneo;
b) ogni manifestazione e/o evento non potrà comportare una installazione per un periodo di tempo superiore a 10 giorni consecutivi, compresi i giorni necessari ai montaggi, allestimenti e smontaggi;
c) tra una manifestazione e/o evento successivo dovrà prevedersi un intervallo temporale non inferiore ai 15 giorni»;

ii) all’art. 2 per l’area B) «tra gli interventi vietati, dopo le parole “ormeggi stagionali” è inserita la parola “opere”»;

iii) all’art. 2, al paragrafo ‘prescrizioni per tutte le zone’, «dopo il penultimo capoverso, è inserito il seguente periodo: - “nello spirito di leale e fattiva collaborazione la programmazione degli eventi e manifestazioni previste nell’area in questione sarà concordata tra l’amministrazione comunale e la competente Soprintendenza”;
- l’ultimo capoverso del paragrafo ‘prescrizioni per tutte le zone’ è eliminato e sostituito dal seguente: “tutte le prescrizioni contenute nel decreto n. 171/2005, così come modificato ed integrato dal presente decreto, adottate e notificate ai sensi degli artt. 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici territoriali recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edili e negli strumenti urbanistici”»;

- ritenendo tuttavia illegittimi il decreto del Direttore regionale n. 2174 del 2014 e tutti gli atti ad esso preordinati e connessi (ivi comprese la nota prot. n. 27429 del 7 novembre 2014 della Soprintendenza e le controdeduzioni formulate nella riunione del 27 ottobre 2014 dal Comitato regionale di coordinamento), il Comune di Napoli proponeva ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, ponendo a fondamento dell’impugnativa le seguenti censure:

i) violazione di legge in relazione all’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, per illegittimità delle modalità di tutela indiretta individuate dal Ministero;
violazione di legge in relazione all’art. 6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per inosservanza del termine di permanenza delle opere temporanee ivi stabilito;
violazione del principio di leale collaborazione tra Amministrazioni pubbliche;

ii) difetto di istruttoria e carenza ed erroneità della motivazione, per mancata valutazione e comparazione di tutti gli interessi pubblici sottesi all’esercizio del potere, ivi compreso quello rappresentato dal Comune e parimenti degno di tutela, costituito dalla promozione dell’immagine della città e dall’implementazione dei flussi turistici;

iii) difetto assoluto di attribuzione, eccesso di potere per sviamento, violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 97 Cost. e del principio del giusto procedimento, con riferimento alle ulteriori prescrizioni dettate dal decreto gravato, in aggiunta alla disciplina delle opere temporanee.

2.– Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, con sentenza n. 5853 del 2015, respingeva integralmente il ricorso.

3.– Avverso la predetta sentenza ha dunque proposto appello il Comune di Napoli, riproponendo nella sostanza i motivi di impugnazione sollevati in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza gravata, e segnatamente:

a) con il primo motivo di ricorso, l’appellante censura la carenza e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine al presunto pregiudizio che le opere temporanee di cui si controverte arrecherebbero all’integrità del Castel dell’Ovo e del muro frangiflutti del lungomare di Napoli, all’ambiente e al decoro, ovvero circa l’asserito danneggiamento della prospettiva e della luce che ne deriverebbe;
il Tribunale avrebbe errato nel non dichiarare l’illegittimità delle prescrizioni impartite con il decreto n. 2174 del 2014, dal contenuto così restrittivo da porsi in diretto contrasto con la ratio stessa sottesa al Codice dei Beni culturali – volta alla fruizione e valorizzazione dei beni culturali –, finendo finanche per impedire la realizzazione di manifestazioni di rilievo nazionale o internazionale;
parimenti sia l’Amministrazione statale che il primo giudice avrebbero dovuto rilevare l’impossibilità di installare e rimuovere le opere entro il brevissimo termine di dieci giorni, oltre all’evenienza di installare opere diverse da quelle ricomprese nel limitato novero di cui all’art. 2, per l’area B;

b) con il secondo motivo, l’Amministrazione interessata deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ad opera del giudice di prime cure, non avendo attinenza alcuna la motivazione dallo stesso addotta al fine di rigettare la censura sull’incoerenza, erroneità ed illogicità delle ragioni comunicate dalla Soprintendenza, con nota prot. n. 27429 del 7 novembre 2014, a sostegno della decisione del Comitato regionale di coordinamento di respingere le osservazioni formulate dal Comune di Napoli nel corso del procedimento;
in particolare, il giudice di primo grado avrebbe erroneamente omesso di accertare la conformità delle modifiche proposte dal Comune alle raccomandazioni rese dall’Ufficio legislativo del Ministero, in base alle quali sarebbe sufficiente procedere ad una valutazione caso per caso delle opere temporanee da realizzare, tenendo conto dell’impatto visivo sul paesaggio e del tempo di permanenza, con ciò rivelandosi tra l’altro assolutamente superflua la disciplina dettata sul punto dal decreto gravato;
peraltro, l’Amministrazione statale, nell’esercizio del potere di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 avrebbe illegittimamente ridotto (da novanta a dieci giorni) il termine di permanenza delle opere rispetto a quello ex lege fissato dall’art. 6, comma 2, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001;

c) con l’ultimo motivo, l’Ente lamenta l’omessa pronuncia del Tribunale sul terzo motivo del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, le cui censure (relative alla proposizione contenuta nel decreto impugnato, secondo cui: «nello spirito di leale e fattiva collaborazione, la programmazione degli eventi e manifestazioni previste nell’area in questione sarà concordata tra l’Amministrazione comunale e la Soprintendenza») sono così sintetizzabili: i) alla Soprintendenza non sarebbe stata legislativamente attribuita alcuna competenza in tema di programmazione di eventi e manifestazioni, né detta competenza potrebbe in alcun modo esserle attribuita dalla Direzione regionale del Ministero nell’esercizio del potere di tutela indiretta, ai sensi dell’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004;
ii) non si comprenderebbe in che modo l’accordo tra Amministrazione comunale e competente Soprintendenza sulla programmazione di manifestazioni ed eventi consentirebbe il perseguimento dell’interesse pubblico dichiarato nel decreto impugnato nel presente giudizio;
iii) oltretutto detta previsione riguarderebbe iniziative organizzate nella zona disciplinata dal decreto n. 171 del 2005, a prescindere dalla necessità o meno di realizzare opere temporanee;
iv) dall’ambito di applicazione della prescrizione in questione sarebbero inoltre esclusi eventi ad iniziativa di soggetti diversi dall’Amministrazione comunale, con evidenti profili di disparità di trattamento;
v) il decreto gravato si porrebbe comunque in pieno disaccordo con la dichiarata finalità di “semplificazione del rilascio dell’autorizzazione di competenza”, aggiungendo anzi un passaggio procedurale non contemplato da alcuna disposizione normativa, in spregio del divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241;
vi) per di più, la previsione in esame non sarebbe stata frutto del necessario confronto partecipativo, in palmare violazione del principio del giusto procedimento.

4.– Si è costituito in giudizio il Ministero della Cultura, insistendo per il rigetto del gravame, sulla base delle seguenti argomentazioni:

- come è stato correttamente rilevato dal giudice di prime cure, il Comune di Napoli sarebbe stato ampiamente coinvolto nel procedimento conclusosi con l’adozione del decreto impugnato, e le stesse osservazioni presentate dall’Amministrazione comunale sarebbero state oggetto di motivate controdeduzioni da parte dell’Amministrazione statale;
viceversa il Comune non sarebbe in alcun modo legittimato a far valere l’asserito mancato coinvolgimento nel predetto procedimento di tutti i soggetti, pubblici e privati, convocati in occasione dell’adozione del decreto n. 171 del 2005, non avendone la rappresentanza dei rispettivi interessi;

- contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, il potere di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 sarebbe stato esercitato dall’Amministrazione statale in coerenza e congruità con la funzione, avendo essa contemperato le esigenze di tutela del bene culturale Castel dell’Ovo – rappresentate dalla necessità di evitare la prolungata modifica della prospettiva e della luce – con quelle relative alla destinazione pubblica della fascia marina che si estende dal Largo Sermoneta al Molosiglio;
nello specifico, il vincolo indiretto sarebbe stato infatti modulato sia con la previsione di alcune tipologie di opere temporanee realizzabili (ormeggi, passerelle, pontili e boe), sia mediante la limitazione temporale del periodo di permanenza delle installazioni (dieci giorni consecutivi), sia infine fissando un intervallo temporale minimo tra una manifestazione e l’altra (quindici giorni), al fine di contemperare l’impatto visivo delle opere sul paesaggio marino con l’esigenza della fruizione dell’area in esame, per la promozione dell’immagine della città e per l’aumento dei flussi turistici mediante manifestazioni ed eventi;

- in ogni caso, la determinazione delle concrete modalità di tutela indiretta apparterrebbe alla discrezionalità tecnica dell’Amministrazione a ciò preposta, con la conseguenza che, una volta accertata la congruenza del vincolo con le finalità della funzione, ben avrebbe fatto il primo giudice ad arrestarsi in assenza di dimostrazione alcuna, ad opera della controparte, di irragionevolezza o non proporzionalità;

- non vi sarebbe stato comunque alcuno sconfinamento da parte della Amministrazione preposta alla tutela del vincolo indiretto nelle competenze del Comune sull’organizzazione di manifestazioni ed eventi, semplicemente fondandosi la gestione concreta di tale vincolo sulla leale collaborazione tra le parti, in considerazione della natura pubblica dei soggetti coinvolti e della rispettiva titolarità degli interessi della collettività cui essi sono preposti;

- da ultimo, il richiamo al disposto di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, ed in particolare al termine non superiore a novanta giorni ivi previsto per la permanenza delle opere temporanee, sarebbe del tutto inconferente al caso di specie, trattandosi di norma che correttamente non avrebbe formato oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione statale, inerendo gli aspetti edilizi (e non paesaggistici) delle installazioni temporanee, ovvero aspetti che esulerebbero pertanto dalla competenza della stessa.

5.– All’odierna udienza del 19 dicembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.– L’appello è fondato in relazione ai seguenti profili.

2.– I beni culturali sono radicati nello specifico luogo in cui, nelle epoche passate, furono ideati e realizzati. Influendo la ‘cornice’ ambientale sull’aspetto esteriore e sulla capacità di tramandare il «valore tipico» di cui è portatrice ogni testimonianza materiale avente valore di civiltà, l’intervento pubblico contempla uno specifico regime di salvaguardia territoriale delle zone circostanti e limitrofe.

Le «prescrizioni di tutela indiretta» ‒ previste dall’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel quale è rifluita, con espressioni letterali largamente coincidenti, la fattispecie sostanziale disciplinata dapprima all’art. 21 della legge n. 1089 del 1939 e poi all’art. 49 del decreto legislativo n. 490 del 1999 ‒ hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale (gravato da vincolo “diretto”).

L’amministrazione, in particolare, «ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro» (così il già citato art. 45 del d.lgs. 42 del 2004).

La soggezione di determinati beni a previsioni di tutela indiretta può fare insorgere, in capo ai loro titolari, vincoli e oneri conservativi della res, nella sua integrità e originalità, sia pure di intensità attenuata rispetto ai più gravosi obblighi “positivi” (come definiti agli artt. 30, 32, 33 e 34 del d.lgs. n. 42 del 2004) che ricadono sul proprietario del bene di “diretto” interesse culturale.

2.1.‒ Questa Sezione del Consiglio di Stato (con sentenza n. 8167 del 2022), in un caso in cui si dibatteva l’eccessiva latitudine dei vincoli di tutela indiretta, ha rimarcato come, negli ordinamenti democratici e pluralisti, si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. Così come per i ‘diritti’ (sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013), anche per gli ‘interessi’ di rango costituzionale (vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi) va ribadito che a nessuno di essi la Carta garantisce una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela deve essere «sistemica» e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca.

La primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione ‘totalizzante’ come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto.

Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza.

Le esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio devono poi essere ‘integrate’ nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche. Il principio di integrazione nei rapporti tra ambiente e attività produttive è stato espressamente ribadito dalla legge di riforma costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1, che, nell’accostare dialetticamente la tutela dell’ambiente con il valore dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), segna il superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva.

La piena integrazione tra le varie discipline incidenti sull’uso del territorio, richiede di abbandonare il modello delle «tutele parallele» degli interessi differenziati, che radicalizzano il conflitto tra i diversi soggetti chiamati ad intervenire nei processi decisionali.

2.2.– Su queste basi, l’atto impugnato nel presente giudizio è pervenuto ad un corretto bilanciamento tra l’interesse pubblico alla conservazione e quello alla fruizione dei beni culturali.

L’ultimo gradino del test di proporzionalità, come è noto, implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto (che può avere anch’esso natura pubblica), così da risultargli un peso intollerabile.

Nella specie, le prescrizioni di tutela indiretta apposte dall’Amministrazione dei beni culturali appaiono eccessivamente restrittive: la limitazione delle opere temporanee realizzabili alle sole elencate nel decreto impugnato, così come la previsione di un termine di permanenza di soli 10 giorni (comprensivi dei tempi di realizzazione e rimozione), è suscettibile di impedire, nello specchio d’acqua per cui è causa, l’organizzazione di importanti manifestazioni di rilievo nazionale ed internazionale, le quali contribuiscono a valorizzare l’immagine della città e a favorirne lo sviluppo economico.

La ponderazione operata dall’Amministrazione competente alla tutela del vincolo appare inadeguata, in quanto è ben possibile ipotizzare opere temporanee che – pur essendo funzionali allo svolgimento di competizioni di alto livello – siano, nel contempo, insuscettibili di arrecare un pregiudizio all’integrità dei beni culturali tutelati (segnatamente: Castel dell’Ovo e del muro frangiflutto del lungomare di Napoli), né di alterare irrimediabilmente l’ambiente, il decoro, la prospettiva e la luce del sito.

Appare di per sé insoddisfacente anche la scelta di dettare un quado regolatorio rigido e valevole per ogni tipologia di manifestazione: la valenza ‘procedimentale’ del principio di integrazione implica invece che il procedimento sia la sedes materiae in cui devono contestualmente e dialetticamente avvenire le operazioni di comparazione, bilanciamento e gestione dei diversi interessi configgenti (l’impatto visivo, il tempo di permanenza, la rinomanza della manifestazione, e così via).

2.3.– Con riguardo a quanto censurato nel terzo motivo di appello, resta fermo che il principio di leale collaborazione – al quale devono uniformarsi i diversi livelli di governo nella materie in cui le relative funzioni e potestà vengano ad interferire – non potrebbe mai implicare l’obbligo per il Comune di concordare con la Soprintendenza la programmazione di eventi e manifestazioni previste nell’area in questione.

2.4.– Possono assorbirsi gli altri profili di censura, il cui accoglimento non garantirebbe un incremento della tutela già accordata.

3.– Le spese di lite del doppio grado di giudizio vanno compensate, in considerazione della particolarità della vicenda (che vede contrapposti enti pubblici) e della natura degli interessi coinvolti.

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