Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-01-27, n. 202100807

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-01-27, n. 202100807
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100807
Data del deposito : 27 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/01/2021

N. 00807/2021REG.PROV.COLL.

N. 07912/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 7912 del 2019, proposto dall’Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale Trento, in persona del Direttore Provinciale pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

La società semplice Mobili &
Immobili, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F M B, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Cosseria n. 5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, n. 54 del 26 marzo 2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Mobili &
Immobili;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° ottobre 2020 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti l’avvocato F M B e l'avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società semplice Mobili &
Immobili ha impugnato (con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento) il provvedimento prot. n. 26560/2018 del 29.3.2018, con cui il Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 85, d.P.R. n. 602/1973, ha reiterato (dopo un primo annullamento giurisdizionale) la decisione di acquisire direttamente al patrimonio dello Stato il compendio immobiliare di proprietà della medesima società esecutata, anziché tentare la vendita al terzo incanto del compendio in questione, attraverso il rilascio dell’apposita autorizzazione al concessionario della riscossione nell’ambito della procedura esecutiva a cui la società era stata assoggettata.

2. Più in particolare, era accaduto che negli anni Novanta del secolo scorso la società Mobili &
Immobili (già Mobili &
Immobili s.a.s. di Zanetti Remo &
C.) era stata sottoposta a procedura

esecutiva per un debito erariale inizialmente accertato in lire 2.779.861.084 e poi definitivamente rideterminato in euro 993.472,19.

L’esecuzione aveva avuto ad oggetto il lotto I (composto dalla p.ed 961/1, p.m. 1, in P.T. 56 C.C Trento, con prezzo a base d’asta determinato in lire 1.517.000.000) e il lotto II (formato dalle p.ed. 4806 e 5184 sub 1, 2, 3 in P.T. 4960 C.C. Trento, con prezzo a base d’asta determinato in lire 3.395.000.000).

Con riferimento al lotto I, l’avviso di vendita immobiliare specificava che si sarebbero svolti due incanti e che il secondo avrebbe trovato luogo con il prezzo base d’asta ribassato di un terzo rispetto al prezzo stabilito (lire 1.011.333.333).

In caso di mancata vendita al secondo incanto, e solo se espressamente autorizzato a norma dell’art. 85, d.P.R. n. 602/73 dall’Amministrazione finanziaria, sarebbe stato effettuato il terzo incanto con il prezzo base d’asta ribassato di due terzi rispetto al prezzo stabilito (lire 506.000.000).

Con il provvedimento n. 374/94 del 24 aprile 1997, la Direzione delle Entrate per la Provincia autonoma di Trento aveva disposto l’acquisizione diretta al patrimonio dello Stato del lotto I, per la somma di lire 506.000.000.

Questo provvedimento veniva impugnato dalla società Mobili &
Immobili e il T.R.G.A. di Trento (con la sentenza n. 46/2006) respingeva il ricorso.

La pronuncia veniva però riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4479/2017, che così motivava: “la determinazione che ha escluso l’esperimento del terzo incanto con conseguente devoluzione dell’immobile allo Stato, doveva essere sorretta da specifica e congrua motivazione che desse conto delle ragioni che giustificavano l’esclusione del terzo incanto in base a una ponderata valutazione di costi e benefici, anche in rapporto all’interesse del debitore esecutato alla massimizzazione del ricavato della vendita, onde conseguire, la restituzione del maggior valore monetario eccedente il debito tributario”.

Nel frattempo si concludeva la procedura esecutiva, con la restituzione alla società esecutata della somma di euro 1.259.365,62, eccedente rispetto al debito fiscale.

A seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 4479/2017, l’Amministrazione finanziaria emanava il provvedimento impugnato, autorizzando espressamente il terzo incanto soltanto relativamente al lotto II, così indirettamente reiterando l’assegnazione diretta del lotto I al patrimonio dello Stato.

Sulla base di questo provvedimento, l’Agenzia delle Entrate ha domandato l’intavolazione in proprio favore del diritto di proprietà sui beni.

3. La società ricorrente ha impugnato il provvedimento, articolando le seguenti censure:

3.1. “Eccesso di potere per difetto di istruttoria, conseguente travisamento della realtà, carenza di potere, sviamento del medesimo, ingiustizia manifesta, palese illogicità, perplessità della motivazione e violazione del principio di proporzionalità, omessa comparazione dell’interesse della società ricorrente e violazione di legge (art. 86 del D.P.R. n. 602/1973) - Violazione del principio del tempus regit actum in rapporto al principio di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 1 del C.P.A. ed ancora violazione del principio generale di buona fede nella riedizione del potere amministrativo”.

3.2. “Violazione di legge (art. 8 della L. n. 241/1990)”.

4. Il T.R.G.A. di Trento, con la sentenza di cui in epigrafe impugnata, ha:

a) respinto la preliminare eccezione, sollevata dall’Amministrazione intimata, di inammissibilità dell’azione proposta quale giudizio ordinario di cognizione, anziché di ottemperanza al giudicato, ritenendo che il provvedimento fosse stato emanato dall’Agenzia delle Entrate in esito ad una rinnovata istruttoria nell’esercizio di un potere discrezionale, relativamente ad un segmento di attività non coperto dai limiti del giudicato di annullamento formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 4479/2017;

b) accolto il primo motivo di ricorso, ritenendo fondate le censure relative al difetto di istruttoria e all’eccesso di potere. Più in particolare, il Tar ha ritenuto che l’Agenzia delle Entrate non abbia tenuto conto della mutata situazione giuridica e fattuale al momento della riedizione del potere e che non abbia considerato che, nel frattempo, la situazione debitoria della società era mutata in senso favorevole alla debitrice: non vi erano più procedure esecutive esattoriali in corso e parte della somma ricavata dalle vendite era stata anche restituita al debitore. Inoltre, l’Amministrazione non ha spiegato le ragioni per le quali aveva ritenuto, nell’esercizio della sua discrezionalità, di non autorizzare il terzo incanto, né motivato in ordine alla perdurante sussistenza dell’interesse pubblico generale all’acquisizione del bene, trattandosi di bene abbandonato e ormai in stato di avanzato degrado.

c) Il Tar ha assorbito invece il secondo motivo e ha compensato tra le parti le spese di lite.

5. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza, articolando le seguenti censure:

5.1. INAMMISSIBILITA’ DEL RICORSO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 112 E SS. C.P.A. – NATURA NON PROVVEDIMENTALE DELLA NOTA IMPUGNATA – DIFETTO DI GIURISDIZIONE.

L’appellante ripropone l’eccezione di inammissibilità dell’azione, respinta dal primo giudice.

5.2. INAMMISSIBILITA’ E COMUNQUE INFONDATEZZA DEL RICORSO – NATURA NON PROVVEDIMENTALE DELLA NOTA IMPUGNATA – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 87 DPR 602/73 NEL TESTO OPERANTE RATIONE TEMPORIS - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 2919 e 2925 C.C. - DIFETTO DI GIURISDIZIONE.

L’appellante sostiene che il provvedimento impugnato non ha natura provvedimentale, ma che al contrario di tratta di una mera nota che “conferma” e “certifica” gli effetti dell’art. 87, d.P.R. n. 802/1973, nel testo ratione temporis applicabile, per effetto del quale, in mancanza dell’esperimento del terzo incanto, si produce automaticamente ed irreversibilmente la diretta devoluzione del bene di proprietà dell’esecutato in favore dello Stato. Ciò comporterebbe, secondo la tesi dell’appellante, che lo Stato fa salvo il proprio acquisto ai sensi degli artt. 2919 e 2925 c.c. e che la giurisdizione in materia appartiene al giudice ordinario.

6. La società si è costituita per resistere al gravame.

7. All’udienza pubblica del 1° ottobre 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.

8. L’appello non è fondato e va, pertanto, respinto.

9. La riproposta eccezione di inammissibilità dell’azione non è fondata.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4479/2017, ha riformato la sentenza del T.R.G.A. di Trento n. 46/2006 e, per l’effetto, ha annullato gli atti impugnati ‘salvi gli ulteriori provvedimenti’.

Il potere amministrativo previsto dall’art. 87 del d.P.R. n. 602/1973 ha natura discrezionale e l’Amministrazione, nei limiti astretti dal giudicato amministrativo e nel segmento di attività non coperto dall’effetto conformativo, esercita il potere in modo pieno.

Il provvedimento impugnato è stato emanato all’esito di un nuovo procedimento amministrativo, con una rinnovata istruttoria, e con un contenuto provvedimentale in senso stretto, perché ha manifestato all’esterno la volontà dell’Ente di acquisire il bene in maniera diretta al patrimonio dello Stato, e senza cioè passare attraverso l’autorizzazione del terzo incanto.

Tali elementi escludono la pretesa natura non provvedimentale dell’atto impugnato, perché l’Amministrazione si è discrezionalmente rideterminata nel senso di acquisire nuovamente il bene, e cioè dopo che il precedente atto acquisitivo era stato annullato in sede giurisdizionale dal Consiglio di Stato.

Inoltre, i vizi dell’atto sono autonomi rispetto ai vincoli conformativi nascenti dal giudicato rappresentato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4479/2017, sicché la naturale sede in cui impugnare l’atto è quella dell’ordinario giudizio di cognizione, e non quella dell’ottemperanza per violazione o elusione del giudicato.

10. Anche il secondo motivo di appello non è fondato.

10.1. La sussistenza della giurisdizione amministrativa in materia è stata già affermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3522/2005 (che aveva annullato la sentenza del T.R.G.A. n. 298/1998, il cui giudizio di rinvio è stato deciso con la sentenza del T.R.G.A. n. 46/2006) e con quella n. 4479/2017.

Più in particolare, è coperta dal giudicato la statuizione secondo cui “l’autorizzazione al terzo incanto individua un subprocedimento amministrativo che si innesta nella procedura esecutiva ma ne rimane distinto, e rispetto al quale non possono non operare le formalità partecipative, laddove l’avviso di vendita ex art. 81 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 è invece comunicazione propria della procedura di esecuzione che esaurisce i suoi effetti nella medesima”.

10.2. Inoltre, il Consiglio di Stato, con la menzionata sentenza n. 4479/2017, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “se è indubitabile che la procedura esecutiva, e lo stesso subprocedimento di autorizzazione e/o esclusione del terzo incanto, con le connesse valutazioni discrezionali, siano orientate principaliter alla realizzazione nel modo più rapido e satisfattivo dell’interesse fiscale, nondimeno non può obliterarsi del tutto la posizione del debitore esecutato a conseguire a sua volta il maggior ricavo possibile dalla vendita al fine di recuperare il maggior valore monetario residuo differenziale, ciò che invece è escluso in radice in ipotesi di devoluzione dell’immobile”.

10.3. Da queste premesse, la Sezione ha tratto il convincimento (cfr. il punto 7 della motivazione della sentenza n. 4479/2017, che è condiviso anche da questo Collegio), secondo cui:

a) occorre osservare le modalità partecipative generali come delineate dall’art. 7 e ss. della legge n. 241/1990 e s.m.i.;

b) la determinazione che ha escluso l’esperimento del terzo incanto, con la conseguente devoluzione

dell’immobile allo Stato, deve essere sorretta da specifica e congrua motivazione, che dia conto delle ragioni che giustificano l’esclusione del terzo incanto, in base a una ponderata valutazione di costi e benefici, anche in rapporto all’interesse del debitore esecutato alla massimizzazione del ricavato della vendita, onde conseguire, la restituzione del maggior valore monetario eccedente il debito tributario.

10.4. Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche, il Collegio ritiene che l’Amministrazione, nel riesercitare il suo potere discrezionale, malgrado il nuovo procedimento sia stato caratterizzato da una rinnovata e autonoma istruttoria, sia nuovamente incorsa, benché sotto autonomo e diverso profilo, nel difetto di istruttoria.

Più in particolare, l’Amministrazione non ha considerato la mutata situazione giuridica e fattuale al momento della riedizione del potere e cioè che, nel frattempo, la situazione debitoria della società era mutata in senso favorevole alla debitrice: non vi erano più procedure esecutive esattoriali in corso e parte della somma ricavata dalle vendite era stata anche restituita al debitore.

Inoltre, il Consiglio di Stato ha assodato (con statuizione anch’essa passata in giudicato) che il potere previsto dall’art. 87 d.P.R. n. 602/1973 ha natura discrezionale in ordine alla scelta – alternativa – tra l’acquisire direttamente il benne ovvero autorizzare il concessionario della riscossione a procedere ad un ulteriore terzo incanto. Di conseguenza, l’Amministrazione avrebbe dovuto spiegare – cosa che, invece, non ha fatto - le ragioni per le quali riteneva non opportuno autorizzare il terzo incanto e, al contrario, più utile per l’interesse pubblico generale, l’acquisizione del bene, nonostante lo stesso fosse di fatto abbandonato e in stato di avanzato degrado.

11. In definitiva, l’appello va respinto, con la conseguenza che l’Amministrazione potrà riesercitare il potere entro i limiti ascritti dal presente giudicato, e cioè previa ponderazione della attuale consistenza della posizione debitoria della società interessata e dell’interesse pubblico generale all’acquisizione del bene al patrimonio dello Stato.

12. Le spese del presente grado sono compensate, mentre il pagamento del contributo unificato resta a carico dell’Amministrazione appellante.

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