Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-06-04, n. 201803356
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Pubblicato il 04/06/2018
N. 03356/2018REG.PROV.COLL.
N. 01279/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1279 del 2016, proposto dal signor P A, rappresentato e difeso dall'avvocato E S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
contro
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
La Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, non costituita in giudizio;
Il Comune di Pompei, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Messina, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gennaro Terracciano in Roma, piazza S. Bernardo, n. 101;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo per la Campania – Napoli – Sezione III, n. 4695/2015, resa tra le parti, concernente parere negativo della Soprintendenza su istanza di condono edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo nonché del Comune di Pompei;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2018 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per l’appellante, l’avvocato Luigi Imperlino, su delega dell'avvocato E S, per il Comune di Pompei, l’avvocato Emma Galiero, su delega dell'avvocato Antonio Messina e, per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, l'Avvocato dello Stato Andrea Fedeli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’odierno appellante, signor P A, ha acquistato nel 1990 l’appezzamento di terreno sito alla via Villa dei Misteri (in catasto foglio 8, particella 33, sub. 101), con il corpo di fabbrica costruito senza concessione edilizia, per il quale era stata presentata dal dante causa, in data 11 agosto 1986, istanza di condono ex L. n. 47/1985, prot. n. 15019.
L’area è inclusa in zona agricola di valore paesaggistico (PRG approvato con DPGRC n. 14069 del 29 dicembre 1980), nella quale l’edificazione è consentita subordinatamente al parere favorevole espresso dalla competente Soprintendenza ai Monumenti (art. 32).
Inoltre, la particella 33 del foglio 8 del Comune di Pompei risulta vincolata ai sensi della L. n. 1089/1939, giusta D.M. 9 agosto 1951.
Al fine di concludere il procedimento relativo alla domanda di condono, in data 14 febbraio 2013, l’odierno appellante richiedeva il prescritto nulla-osta alla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei.
Con atto prot. n. 17806 del 31 maggio 2013, il Soprintendente per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei esprimeva parere negativo in relazione alla pratica di condono, considerato che:
“- la particella 33 del foglio 8 del Comune di Pompei risulta vincolata ai sensi della L. n. 1089/1939 giusta D.M. 9 agosto 1951 regolarmente notificato all’allora proprietario … e regolarmente trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Napoli ai nn. 3703/2774 del 14 febbraio 1952;
- l’area fa parte integrante della zona archeologica della Villa dei Misteri;
- i lavori realizzati da sanare sono stati condotti in assenza della necessaria autorizzazione ai sensi dell’art. 21 del D.L.vo n. 42/2004” .
Tale parere negativo è stato impugnato dal signor P A dinanzi al T.A.R. per la Campania, con la formulazione di tre motivi di ricorso, deducendo la violazione delle leggi richiamate e l’eccesso di potere sotto plurimi profili e sostenendo che:
1) mancherebbe una adeguata motivazione, limitata all’affermazione che i lavori necessitavano dell’autorizzazione ex art. 21 del d.lgs. n. 42/2004, la cui assenza è il presupposto della richiesta di condono e di nulla-osta ex art. 32 della legge n. 47/85, ma non può costituire la causa del rigetto della relativa istanza;
2) la dichiarazione richiamata attiene all’ipotesi di nuove costruzioni sul bene assoggettato a vincolo, per cui la preventiva autorizzazione non è richiesta nel caso di condono edilizio, essendo esclusivamente richiesto il parere della Soprintendenza;
3) occorreva formulare l’avviso di avvio del procedimento e comunicare il preavviso di rigetto.
Si sono costituiti in giudizio l’Amministrazione statale ed il Comune di Pompei, per resistere al ricorso.
Il T.A.R. ha respinto il ricorso, rilevando che il parere negativo espresso si fonda non già sulla mancanza della preventiva autorizzazione per le opere eseguite, bensì sulla preclusione derivante dalla speciale protezione dettata dal vincolo, di cui alla legge n. 1089/39, imposto con D.M. 9 agosto 1951 regolarmente trascritto.
Anche per il condono ex art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (con cui le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 sono state applicate alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993), si applica l’art. 33 della legge n. 47/1985 ( “Opere non suscettibili di sanatoria” ), il cui secondo comma espressamente dispone che: <<Sono altresì escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e che non siano compatibili con la tutela medesima>> .
A fronte di ciò, il ricorso si paleserebbe infondato, non potendosi assolutamente revocare in dubbio l’inconciliabilità della permanenza delle opere abusive nell’area archeologica della Villa dei Misteri.
Quanto alle censure di ordine formale, sarebbero insussistenti gli obblighi di comunicazione dell’avvio del procedimento e del preavviso di rigetto, essendo il procedimento ad istanza di parte e comunque non rilevando la pretesa mancanza ex art. 21- octies della L. n. 241/1990, non sussistendo elementi da cui desumere l’incidenza dell’apporto partecipativo sulla determinazione finale.
Avverso tale sentenza ha interposto gravame il signor A, formulando due motivi di appello.
Si sono costituiti in giudizio l’Amministrazione statale ed il Comune di Pompei, per resistere al gravame.
Nell’udienza del 31 maggio 2018, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di gravame, intitolato “error in iudicando con riferimento al primo motivo di ricorso al T.A.R.” , l’appellante deduce che l’intimata Amministrazione, nell’atto impugnato in primo grado, si limiterebbe, genericamente, ad affermare che l’area su cui insiste il fabbricato, sarebbe vincolata ai sensi della L. n. 1089/1939, facendo parte di Villa dei Misteri, e che “i lavori realizzati da sanare sono stati condotti in assenza della necessaria autorizzazione ai sensi dell’art. 21 del D.L.vo n. 42/2004” .
L’unica circostanza addotta dalla Soprintendenza sarebbe irrilevante, perché risulterebbe evidente che l’incontestata assenza dell’autorizzazione prevista dall’art. 21 citato costituiva la ragione dell’abusività della costruzione e, quindi, il presupposto della domanda di sanatoria e che, pertanto, la medesima circostanza non potrebbe giustificare il rigetto. Ne conseguirebbe la palese apparenza-mancanza della motivazione, con la palese illegittimità del parere della Soprintendenza.
Il T.A.R., andando ultra petita , avrebbe affermato erroneamente che il provvedimento si baserebbe non già sulla mancanza dell’autorizzazione ex art. 21, bensì sulla preclusione derivante dalla speciale protezione dettata dal vincolo di cui alla L. n. 1039/1989, imposto con D.M. 9 agosto 1951, regolarmente trascritto, con riferimento all’art. 33 della L. n. 47/1985. La Soprintendenza, invece, avrebbe espresso il parere negativo proprio in considerazione della assenza della necessaria autorizzazione ex art. 21 del D.L.vo n. 42/2004, senza compiere alcun riferimento – che, comunque, sarebbe stato fuori luogo - alle preclusioni al rilascio del condono previsto, all’art. 33 citato.
Invero, proprio l’assenza della autorizzazione avrebbe reso necessario pronunciarsi in concreto sull’istanza il condono che, ovviamente, per poter essere conseguito, avrebbe abbisognato di una valutazione ulteriore che sarebbe mancata del tutto, valutazione che si sarebbe dovuta compiere ex art. 32, L. n. 47/1985, in considerazione della sua sottoposizione al vincolo archeologico, ovvero al regime speciale previsto, per l’appunto per i procedimenti di condono e disciplinato dall’articolo di legge citato.
L’art. 33, per contro, non sarebbe stato mai neppure genericamente richiamato dalla Soprintendenza, trattandosi di norma riguardante la preclusione del rilascio del condono per gli immobili sottoposti a vincolo di inedificabilità assoluta, laddove l’immobile oggetto di causa è sottoposto ad un generico vincolo di tutela archeologica non avente natura assolutamente preclusiva, limitandosi a subordinare l’esecuzione all’autorizzazione ex art. 21, D.L.vo n. 42/2004 ed il rilascio del condono, in assenza di autorizzazione, al rilascio del parere ex art. 32, L. n. 47/1985.
E, comunque, quand’anche l’Amministrazione avesse inteso rigettare la richiesta in applicazione dell’art. 33, comma 2, L. n. 47/1985, il solo richiamo alla detta disposizione normativa non sarebbe stato per sé idoneo a legittimare la decisione assunta. Il legislatore, infatti, avrebbe escluso la sanabilità delle opere realizzate assoggettate alla tutela della L. 1089/1939 che non siano compatibili con la tutela medesima. Pertanto, laddove l’Amministrazione avesse inteso applicare l’art. 33, avrebbe comunque dovuto motivare puntualmente perché l’opera per cui veniva richiesta la sanatoria non sarebbe stata compatibile con le esigenze della tutela medesima.
Rileverebbe, oltretutto, il fatto che la destinazione urbanistica dell’immobile risulta essere “zona agricola di valore paesistico” , per cui in tale zona, ai sensi dell’art. 32 della normativa di piano, “l’edificazione è consentita subordinatamente al parere favorevole espresso dalla competente Soprintendenza di Monumenti” .
2. Ritiene il Collegio che l’articolato motivo di gravame è infondato.
Per quanto riguarda il dedotto difetto di motivazione, ritiene il Collegio che, come sottolineato dal primo giudice, il parere negativo sia idoneamente sorretto dal richiamo dell’esistenza del vincolo ai sensi della L. n. 1089/1939, giusta D.M. 9 agosto 1951, con la conseguente applicabilità del relativo regime di tutela, e non tanto dal fatto che l’opera sia stata eseguita in assenza dell’autorizzazione ex art. 21 del D.L.vo n. 42/2004, inciso che, rispetto alla esposta sottoposizione del bene alla tutela ex L. 1089/1939, può ritenersi un mero obiter dictum , non influente in sé e per sé sulla scelta dell’Amministrazione di esprimere parere negativo.
Il provvedimento impugnato deve quindi ritenersi sostenuto da un’adeguata motivazione, dalla quale è possibile trarre i presupposti di fatto e trarre, attraverso una lettura accurata dell’atto, le ragioni giuridiche della decisione di respingere la domanda di sanatoria.
In particolare, si deve ritenere che – per le esigenze di tutela del vincolo archeologico riguardante l’area di Villa dei Misteri di Pompei – risulta adeguata e del tutto ragionevole la motivazione della Soprintendenza, basata sulle esigenze di tutela poste a base del decreto del 1951, impositivo del vincolo.
Si tratta di un’area unica al mondo.
Come ha sinteticamente, ma chiaramente, evidenziato il parere negativo della Soprintendenza, la realizzazione di opere abusive sulle aree vincolate con tale decreto non può che essere considerata incompatibile con le esigenze di tutela dell’area archeologica.
Le opere abusive su aree di eccezionale pregio archeologico alterano di per sé il pregio dei luoghi ed incidono in modo enormemente invasivo sulla esigenza che siano realizzate le relative campagne di scavo su terreni incolumi dalle manomissioni.
Tali ovvie considerazioni a maggior ragione rilevano con riferimento alla Villa dei Misteri.
Pur se il parere poteva essere anche più discorsivo sulla necessità di rimuovere le opere di per sé incompatibili con le esigenze di protezione dell’area, la sinteticità delle espressioni contenute nel parere non ne determina affatto l’illegittimità.
Parimenti privo di fondamento è la tesi dell’appellante, per cui, nella specie, il T.A.R. avrebbe pronunciato ultra petita , ritenendo applicabile il disposto dell’art. 33, comma 2 della L. 47/1985 (opere non suscettibile di sanatoria).
In primo luogo, come si è osservato, la legittimità del parere negativo va riaffermata anche nella logica della applicazione dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e della sussistenza di un vincolo non assoluto, poiché vi è stata in concreto una motivata e ragionevole valutazione sulla incondinabilità del manufatto abusivamente realizzato su un’area unica al mondo.
In secondo luogo, pur ragionando nella logica della sussistenza del vincolo assoluto, rilevante ai sensi dell’art. 33, si deve affermare che il vincolo di cui D.M. 9 agosto 1951 non può che essere interpretato nel senso che ha precluso ogni facoltà edificatoria, di per sé negativa anche per la prosecuzione delle campagne di scavo.
Nella specie, quindi, oltre a risultare la motivazione più che adeguata in concreto per la valutazione negativa in sede di parere, deve trovare applicazione l’art. 33 della L. n. 47/1985 e non l’art. 32 della legge medesima, il quale contempla, invece, il regime di sanabilità delle opere insistenti su aree sottoposta a vincolo, ove è tuttavia possibile l’edificazione, anche in sanatoria, previo ottenimento del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, ipotesi neppure sussistente nel caso di specie.
In altri termini, l’applicazione dell’art. 33, L. n. 47/1985 non comportava la necessità di una valutazione in concreto sulla inconciliabilità della permanenza delle opere abusive nell’area archeologica della Villa dei Misteri, ma, in concreto, vi è stata anche la motivata valutazione negativa.
Le argomentazioni esposte escludono vieppiù la tesi dell’appellante di integrazione postuma del provvedimento impugnato, essendo le ragioni preclusive dell’accoglimento dell’istanza oggettivamente desumibili dal provvedimento reso dalla Soprintendenza.
3. Con il secondo motivo di gravame, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che “sono insussistenti gli obblighi di comunicazione dell’avvio del procedimento e del preavviso di rigetto, essendo il procedimento ad istanza di parte e comunque non rilevando la pretesa omissione ex art. 21-octies della L. n. 241/1990, mancando in tutta evidenza elementi da cui desumere l’incidenza dell’apporto partecipativo sulla determinazione finale” .
Secondo l’appellante, il parere della Soprintendenza sarebbe atto tipicamente discrezionale che, avendo natura di parere vincolante, assumerebbe di per sé la capacità di ledere la sfera giuridica del destinatario.
Quindi, sarebbe fuori dubbio l’operatività dell’articolo 7 della L. n. 241/1990, che prevede la comunicazione dell’avvio del procedimento, e, comunque, l’applicabilità dell’art. 10- bis della legge medesima, ispirato dagli stessi presupposti partecipativi.
Occorrerebbe, secondo l’appellante, sottolineare che la Soprintendenza – anche se avesse adottato il provvedimento ex art. 33, comma 2, L. n. 47/1985 - sarebbe stata comunque obbligata al rispetto degli articoli 7 e 10- bis , L. n. 241/1990, trattandosi di provvedimento che non ha natura vincolata, visto che per l’espresso disposto normativo sono “escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della L. n. 1089/1939 che non siano compatibili con la tutela medesima” .
Nel caso di specie, poi, trattandosi di un procedimento finalizzato all’adozione di un provvedimento caratterizzato da valutazioni discrezionali e visto che, ai sensi dell’art. 32 del P.R.G. l’edificazione nelle aree dove ricade l’immobile dell’appellante è consentita subordinatamente al parere favorevole espresso dalla competente Soprintendenza ai Monumenti, il mancato rispetto dell’onere procedimentale avrebbe certamente privato il ricorrente della facoltà di esprimere le osservazioni o presentare documenti da lui ritenuti idonei ad indirizzare l’iter decisionale verso un esito favorevole alle proprie aspettative.
4. Ritiene il Collegio che il motivo di gravame è infondato.
Nella specie, non sussiste alcuna violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento o dell’invio del preavviso di rigetto, stante il carattere vincolato del parere espresso dalla Soprintendenza in relazione alla richiesta di nulla-osta, essendo l’area su cui ricade l’abuso parte integrante della zona archeologica della Villa dei Misteri, vincolata ai sensi della L. n. 1089/1939 col divieto di modifica dello stato dei luoghi, per cui l’apporto partecipativo dell’appellante non avrebbe potuto modificare la scelta dell’Amministrazione: res ipsa loquitur .
Pertanto, nel caso in esame, rileva l’articolo 21-octies, L. n. 241/1990, nella parte in cui dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento … qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” .
5. Conclusivamente, l’appello va respinto e, per l’effetto, la sentenza impugnata va confermata.
6. La condanna al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.
7. Rimane definitivamente a carico dell’appellante il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello.