Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-08-12, n. 202407105

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-08-12, n. 202407105
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202407105
Data del deposito : 12 agosto 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/08/2024

N. 07105/2024REG.PROV.COLL.

N. 00839/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 839 del 2018, proposto da
Provincia Religiosa San Pietro Ordine Ospedaliero San Giovanni di Dio - Fatebenefratelli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato S B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Regina Margherita 1;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marcantonio Colonna 27;
Commissario ad acta alla Sanità per la Regione Lazio, Ministero della Salute, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Azienda Usl Roma 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Rosaria Russo Valentini, Angelo Tuzza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Maria Rosaria Russo Valentini in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio 5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 7490/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio, del Commissario ad acta alla Sanità per la Regione Lazio, del Ministero della Salute, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, dell’Azienda Usl Roma 1 e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. R S e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La Provincia Religiosa di San Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, Fatebenefratelli Villa San Pietro, ha impugnato, dinanzi al T.a.r. per il Lazio, Roma, il decreto del Commissario ad acta nr. 594 del 16.12.2015, con il quale la Regione Lazio ha applicato alle strutture accreditate con il SSR che alla data del 31 ottobre 2014 non avevano ancora concluso il procedimento per la conferma dell’autorizzazione o accreditamento, la decurtazione del 5% della remunerazione prevista per il saldo 2014.

Con ricorso per motivi aggiunti, la Provincia Religiosa ha poi impugnato le note della Regione Lazio – Direzione Regionale Salute e Politiche sociali prot. n. 93093 e 94228 del 22 febbraio 2016, con le quali è stata data attuazione alla disposta decurtazione.

2. Il T.a.r. per il Lazio, con l’impugnata sentenza n. 7490/2017, ha dichiarato il ricorso di primo grado ed i motivi aggiunti in parte inammissibili ed in parte infondati.

La declaratoria di inammissibilità si fonda sulla mancata impugnazione:

- del DCA n. 413 del 26 novembre 2014, che individuava le strutture che avevano ancora in corso il procedimento di accreditamento e nel cui elenco allegato, sotto il punto B), era ricompresa la struttura ricorrente;
tale provvedimento è stato infatti ritenuto lesivo della posizione della ricorrente, perché determinante la sospensione dell’accreditamento;

- del DCA n. 359 del 30 ottobre 2014, nel quale risultava introdotta la decurtazione del 5% nel caso di mancato completamento dell’iter per l’autorizzazione o l’accreditamento, anch’essa immediatamente lesiva.

La sentenza ha poi ritenuto il gravame infondato, rilevando che la riduzione tariffaria non ha natura sanzionatorio/punitiva, ma è giustificata da un inadempimento - relativo all’assenza di alcuni requisiti organizzativi richiesti alla struttura - che viola il principio di corrispettività nell’ambito contrattuale, precisando che le motivazioni della decurtazione erano state adeguatamente e congruamente rappresentate dall’Amministrazione nella nota a prot. n. 93093 del 2016 (impugnata con ricorso per motivi aggiunti) e che la medesima decurtazione doveva ritenersi correlata alla comprovata assenza del certificato di prevenzione incendi per l’intera struttura e del certificato di agibilità, secondo quanto esplicitato nella nota della Regione del 22.11.2015.

3. L’appellante ha censurato la declaratoria di inammissibilità, deducendo che i decreti commissariali non espressamente impugnati hanno natura di atti generali non direttamente lesivi e non autonomamente impugnabili, precisando che al momento della loro adozione non poteva ritenersi ancora certa l’applicazione della decurtazione.

Nel merito, l’appellante ha insistito sulla natura sanzionatorio/punitiva del potere esercitato dall’Amministrazione, deducendo la violazione dei principi previsti dalla legge n. 689 del 1981, in assenza di una condotta qualificabile come colposa, lamentando anche la sproporzione e l’abnormità della decurtazione applicata.

Quanto alla riscontrata assenza del certificato di prevenzione incendi e del certificato di agibilità, l’appellante ha dedotto che il ritardo nell’ottenimento delle suddette certificazioni era stato causato da lungaggini burocratiche, non addebitabili a propria responsabilità, come peraltro riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata e confermato dal sopravvenuto DCA n. 585 del 16.12.2015, pubblicato sul BURL del 24.12.2015. Questo documento avrebbe confermato che i ritardi relativi al completo adeguamento alle normative antincendio rappresentano un problema oggettivo, a cui è estranea ogni responsabilità delle strutture sanitarie, abrogando la precedente disciplina applicata dall’Amministrazione e consentendo alle strutture di non produrre il certificato di agibilità, purché esse si impegnino a farne richiesta all’esito della procedura relativa al certificato prevenzione incendi.

Infine, l’appellante ha contestato il mancato esame, da parte del primo giudice, dell’ulteriore motivo del ricorso per motivi aggiunti con il quale era stata censurata la nota n. 94228 del 22.2.2016, che aveva esteso la decurtazione tariffaria del 5% anche alla remunerazione delle funzioni assistenziali di cui all’art. 8 sexies del d.lgs. n. 502 del 1992. Secondo la tesi sostenuta dall’appellante, la decurtazione di cui si discute risulterebbe applicabile solo alla tariffa, ma non all’importo che l’ospedale aveva ricevuto a titolo di remunerazione delle funzioni assistenziali ex art. 8 sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, che non era stato assegnato sulla base di una tariffa per ogni singola prestazione, ma sulla base di un costo standard.

4. Si sono costituiti, per resistere all’appello, la Regione Lazio, il Commissario ad acta alla Sanità per la Regione Lazio e l’Azienda USL Roma 1.

La Regione ha preso posizione sulle deduzioni e censure formulate dall’appellante, eccependo l’inammissibilità/improcedibilità del gravame e chiedendone altresì la reiezione nel merito, richiesta anche dall’Azienda USL Roma 1 con apposita memoria.

Si sono altresì costituiti la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze, chiedendo la propria estromissione dal giudizio, eccependo in subordine il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alle pretese della struttura appellante.

5. All’udienza pubblica del 9 maggio 2024 l’appello è stato introitato per la decisione.

6. Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’Amministrazione regionale, in relazione alla intervenuta sottoscrizione, da parte dell’odierna appellante, del contratto relativo all’anno 2015 corredato di “clausola di salvaguardia”, che comporterebbe acquiescenza alle determinazioni impugnate.

Al riguardo, rileva il Collegio che la clausola de qua prevede l’espressa rinuncia solo ai ricorsi avverso la misura della remunerazione, ma non si estende anche alle decurtazioni del tipo di quella per cui è causa, che non afferiscono al rapporto contrattuale, ma discendono da autonome determinazioni organizzative dell’Amministrazione.

7. Nel merito l’appello non è fondato, potendosi pertanto prescindere dalle ulteriori eccezioni preliminari formulate dalle parti resistenti.

8. La declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado si fonda sulla riscontrata omessa impugnazione del DCA n. 413 del 26 novembre 2014 e del DCA n. 359 del 30 ottobre 2014, mediante i quali erano state individuate le strutture con le quali risultava ancora in corso il procedimento di accreditamento alla data del 31.10.2014, tra cui anche l’odierna ricorrente.

In particolare, il decreto del commissario ad acta 359/14, all’art. 3 dell’allegato, dispone la decurtazione del 5% in maniera diretta ed immediata, mentre con il successivo decreto commissariale n.413/2014 l’appellante è stata inserita nell’elenco delle strutture passibili di decurtazione.

Sul punto, la Sezione si è già espressa con la sentenza n. 2147/18, alla quale è sufficiente rinviare, ritenendo censurabile la mancata impugnazione degli atti presupposti, in quanto immediatamente lesivi (in specie il decreto commissariale n. 413/2014, del quale è stata chiaramente disconosciuta la natura di mero e generico atto ricognitivo, in quanto contraddistinto da autonoma, diretta ed immediata lesività).

9. Anche gli ulteriori motivi di appello risultano infondati.

9.1. La contestata decurtazione è stata causata dalla comprovata assenza del certificato di prevenzione incendi per l’intera struttura e del certificato di agibilità, che non è stata contestata.

Non si tratta, all’evidenza, di una misura sanzionatorio/punitiva, ma di una misura di riduzione della remunerazione delle strutture accreditate conseguente al mancato aggiornamento degli standard tecnici ed al mancato raggiungimento dei requisiti minimi per l’accreditamento, che si inquadra in un rapporto sinallagmatico tra Regione e struttura.

A queste conclusioni la Sezione è già giunta con le sentenze nn. 2147/18 e 5216/19, che riguardavano fattispecie analoghe, alle quali si rinvia.

In quelle sentenze, è stato chiarito che è proprio la natura dell’accreditamento a giustificare, nei casi di inadempimento, l’assoggettamento delle strutture private accreditate a peculiari meccanismi para-sanzionatori, diretti a garantire il rispetto delle rilevanti finalità pubbliche affidate ai soggetti privati e normativamente connessi con l’esercizio dei poteri di supremazia tipici del concessionario.

Tuttavia, tale tipologia di meccanismi para-sanzionatori non può essere ricondotta tout court nell’ambito della legge n. 689 del 1981, in quanto afferisce direttamente al rapporto di natura sostanzialmente concessoria di cui all'art. 8, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, che abilita la Regioni a controlli di verifica tecnica e finanziaria.

Esclusa la natura sanzionatoria della decurtazione, cadono anche le censure relative alla dedotta abnormità e sproporzionalità della misura adottata e legalmente prevista, che si inquadra in un sistema di concorso delle strutture private con le strutture pubbliche nelle prestazioni di assistenza, il quale implica una ricaduta sulle risorse pubbliche e soggiace alla potestà di verifica tecnica e finanziaria della Regione.

Sono pertanto inconferenti le deduzioni mediante le quali l’appellante ha insistito sullo scorretto esercizio del potere sanzionatorio da parte della Regione, che avrebbe inteso “punire” la struttura per fatti ad essa non imputabili, dovendosi al contrario ribadire che la decurtazione ha rappresentato la conseguenza del riscontro di specifici inadempimenti relativi alla qualità della prestazione erogata dalla struttura accreditata, che trova adeguata copertura normativa nell’art. 8 quater d.lgs. n. 502/1992.

9.2. Quanto ai motivi di appello inerenti alla non imputabilità alla ricorrente della mancanza del certificato di prevenzione incendi e del certificato di agibilità, l’appellante ha dedotto di aver presentato la domanda per il certificato antincendio in data 19.11.2012 e di aver ottenuto il parere favorevole del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco in data 12.12.2012, ponendo in essere tutti gli adempimenti di propria competenza per adeguarsi alla normativa di settore. Peraltro, l’appellante ha evidenziato che con il sopravvenuto DCA n. 585 del 16.12.2015 l’Amministrazione aveva riconosciuto le difficoltà delle strutture sanitarie ad effettuare il completo adeguamento alle normative antincendio, consentendo loro di optare per le nuove disposizioni e prescrizioni introdotte in materia di prevenzione incendi (di cui al Decreto Ministeriale 19/3/2015) mediante attestazione dell’avvenuta presentazione ai Vigili del Fuoco della documentazione di cui agli articoli 2 e 3 del medesimo D.M. 19/3/2015, abilitando le Regioni a rilasciare un provvedimento di autorizzazione e accreditamento condizionato risolutivamente alla conclusione positiva del procedimento per il conseguimento del certificato prevenzione incendi.

Sulla base di tale sopravvenienza, l’appellante ha ritenuto di non rientrare più nel novero delle strutture che alla data del 31.10.2014 non avevano concluso la procedura di accreditamento, avendo presentato domanda per ottenere il certificato di prevenzione antincendi in data 19.11.2012 ed avendo il DCA 585 del 2015 abrogato implicitamente l’art. 2 del DCA n. 359 del 2014.

La tesi non è fondata, non potendo la disciplina successiva (DCA 585/2015) comportare l’effetto di escludere la ricorrente dal novero delle strutture che alla data del 31.10.2014 non avevano concluso la procedura di accreditamento e non potendosi nemmeno attribuire al citato DCA 585/2015 effetti abrogativi impliciti del precedente DCA 359 del 2014, essendosi invero questo imitato ad introdurre una procedura aggiuntiva, atta a consentire alle strutture l’ottenimento di un provvedimento di autorizzazione e accreditamento risolutivamente condizionato alla conclusione positiva del procedimento per il conseguimento del certificato di prevenzione incendi.

Nel caso di specie, alla data del 31 ottobre 2014 – stabilita dal DCA n. 359/2014 per l’adeguamento delle strutture onde concludere l’iter autorizzativo e di accreditamento – l’ospedale San Pietro Fatebenefratelli non era ancora in possesso del Certificato Prevenzione Incendi, che ha acquisito solo in data 23 novembre 2015 e, pertanto, la predetta carenza ha consentito al presidio di fruire, in luogo di una chiusura tout court della struttura alla data del 31.10.2014, dei benefici di cui all'art. 2 dell'allegato 1 al DCA n. 359/2014 con l'applicazione, ai sensi del successivo art. 3, della decurtazione del 5%, con conseguente riduzione proporzionale del budget complessivo.

9.3. Con ulteriore motivo, l’appellante ha censurato l’illegittima estensione della decurtazione tariffaria del 5% anche alla remunerazione delle funzioni assistenziali di cui all’art. 8 sexies del dlgs.vo n. 502 del 1992, non riconosciute sulla base di una tariffa per ogni singola prestazione, ma sulla base di un costo standard.

Sulla base di tale premessa, l’appellante ha reiterato l’istanza istruttoria già formulata in primo grado e volta ad acquisire una relazione da parte dell’Amministrazione per accertare con quale modalità di calcolo la stessa sia addivenuta alla decisione di bloccare la fattura a saldo 2014 per un importo di 10.531.152,80 euro e ad individuare la somma di euro 489.965,17.

In punto di diritto, la questione è già stata risolta dalla sentenza di questa sezione n. 6437 del 23 ottobre 2020, con la quale è stato chiarito che “ ai sensi dell’art. 8 sexies, comma 1, d.lvo n. 502/1992, anche le “funzioni assistenziali” afferiscono agli accordi contrattuali di cui all’art. 8 quinquies, interessati dal meccanismo riduttivo contemplato dall’art. 15, comma 15, d.l. n. 95/2012 (“le strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell'ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento”) .”

Quanto alle contestazioni relative al calcolo effettuato dall’Amministrazione, pur a voler prescindere dagli evidenti profili di difetto di giurisdizione relativi alla domanda concernente la quantificazione del quantum debeatur (che appaiono riferibili alla giurisdizione del giudice ordinario), deve rilevarsi che l’appellante ha chiesto al giudice di disporre apposita richiesta finalizzata ad ordinare all’Amministrazione di chiarire le modalità del calcolo, ma non ha indicato indici sintomatici di un errori o incongruenze nella determinazione degli importi richiesti, risultando la richiesta evidentemente sfornita di un principio di prova, oltre che infondata in relazione alla necessaria ricomprensione delle funzioni assistenziali nel meccanismo riduttivo.

10. In definitiva, l’appello deve essere respinto, con conferma della decisione impugnata.

11. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate, in ragione della peculiare natura delle questioni trattate.

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