Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-04-15, n. 202403409
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Pubblicato il 15/04/2024
N. 03409/2024REG.PROV.COLL.
N. 10328/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10328 del 2021, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dagli avvocati A P e S S, con domicilio fisico eletto presso il loro studio in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 103 e con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
contro
il Comune di Ercolano, in persona del sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato N M, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione terza, n. -OMISSIS- resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ercolano;
visti tutti gli atti della causa;
relatore, nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2024, il consigliere Francesco Frigida e udito l’avvocato S S per parte ricorrente;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor -OMISSIS- ha proposto il ricorso n. 1707 del 2017 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, per l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Ercolano n.-OMISSIS- adottata in data 9 febbraio 2017 e notificatagli in data 17 febbraio 2017, con cui gli è stato ordinata, in qualità di proprietario ed esecutore, la demolizione di opere edilizie realizzate in assenza di titolo abilitativo in via Roma n. 49.
1.1. Il Comune di Ercolano si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.
2. Con l’impugnata sentenza n.-OMISSIS- il T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, sezione terza, ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 3.000, oltre agli accessori di legge.
2.1. In particolare, il collegio di primo grado ha così sintetizzato la fattispecie concreta oggetto di giudizio: « Con ricorso, notificato il 13.04.2017 e depositato il 04.05.2017, -OMISSIS- - nella dedotta qualità di proprietario dell’immobile sito in Ercolano (NA) alla Via Roma n. 49, identificato al Catasto al foglio 14 particelle n. 249 e 421, giusto atto di compravendita del 27 giugno 2007 - ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, l’ordinanza n. --OMISSIS---in epigrafe con cui il Dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica rilevato che, dal sopralluogo effettuato in data 03.02.2017 si rilevava che il ricorrente, in qualità di proprietario ed esecutore, aveva realizzato, in assenza di titolo abilitativo, su suolo di proprietà le opere ivi descritte, richiamato l’art. 27, comma 1, D.P.R.6.6.2001, m. 380, ai sensi dell’art. 31, commi 2, 3, 4, 4 bis, 5 del d.P.R. 380 del 2001, ingiungeva la demolizione delle opere ed il ripristino dello stato dei luoghi, unitamente all’applicazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 4-bis ».
2.2. Tale ricostruzione in fatto non risulta specificamente contestata dalle parti costituite, sicché, in ossequio al principio di non contestazione recato all’art. 64, comma 2, del codice del processo amministrativo, deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
2.3. Il T.a.r. ha poi richiamato e respinto i due motivi del ricorso introduttivo inerenti all’« Eccesso di potere come difetto di istruttoria e di motivazione, violazione di legge come violazione degli artt. 1 e 3 della l.n. 241/1990;essendo l’amministrazione pervenuta ad una erronea ricostruzione dell’effettivo stato preesistente » e alla « Violazione dell’art.7 della legge n.241/90 per aver l’amministrazione omesso la comunicazione di avvio del procedimento che ha portato al provvedimento gravato. - Eccesso di potere come illogicità, ingiustizia manifesta e sproporzione nell’applicazione del dpr n. 380/01 ».
3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 24 novembre 2021 e in data 9 dicembre 2021 – la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando due motivi.
4. Il Comune di Ercolano si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.
5. In vista dell’udienza di discussione l’appellante ha depositato memoria e l’amministrazione comunale memoria di replica, con cui le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi e insistito sulle rispettive posizioni.
6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 20 febbraio 2024.
7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.
8. Tramite il primo motivo d’impugnazione l’appellante ha lamentato « Error in procedendo et in iudicando – Violazione degli artt. 10 e ss. del DPR n. 380/2001 smi – Violazione degli artt. 2, 3 e 7 l. 241/90 smi – Difetto di istruttoria e di motivazione – Eccesso di potere per violazione del principio di giusto procedimento – Erroneità dei presupposti – Irragionevolezza e contraddittorietà manifesta – Ingiustizia manifesta – Violazione del principio di proporzionalità e del principio di tutela dell’affidamento – Travisamento dei fatti – Omessa comparazione di interessi – Violazione del buon andamento artt. 3 e 97 Cost. – Erronea ricostruzione dell’effettivo stato preesistente ad opera dell’amministrazione, erroneità dei presupposti ».
Siffatta censura è infondata.
Al riguardo va premesso che le opere edilizie sono state oggettivamente realizzate in assenza di titolo edilizio e, ricadendo il manufatto in un’area vincolata (l’intero territorio del Comune di Ercolano, infatti, è sottoposto a vincoli paesaggistico-ambientali di cui ai decreti ministeriali del 17 agosto 1961 e del 28 marzo 1985, nonché alle prescrizioni recate dal pianto territoriale paesistico dei comuni vesuviani approvato con decreto dell’allora Ministero per i beni e le attività culturali in data 4 luglio 2002), anche in difetto della obbligatoria e preventiva autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio).
Ciò posto, non è stata dimostrata la dedotta sostanziale mancata alterazione di un preesistente fabbricato rurale sull’area d’interesse, la cui prova era a carico del privato, in quanto la pubblica amministrazione non ha l’obbligo di effettuare indagini sulla data di realizzazione delle opere abusive, siccome prive di titolo, e sullo stato dei luoghi preesistente.
Segnatamente l’interessato ha rappresentato che le opere realizzate consisterebbero in semplici e ridotti ampliamenti rispetto alle sagome originarie di comodi rurali realizzati antecedentemente al 1939 (il cui primo nucleo risale al 1925) e riportati nella scheda di accatastamento n. 10304079 del 10 febbraio 1940, conseguenti al fatto che intorno alla prima metà del mese di gennaio 2017, a causa del loro stato di degrado e di avversi fenomeni metereologici, i relativi solai sono collassati, determinando il crollo di gran parte delle murature perimetrali, cosicché egli è intervenuto (peraltro in acclarata assenza di titolo abilitativo) per rimuovere le residue parti pericolanti e ricostruire il compendio immobiliare.
Tuttavia per verificare la sussistenza di una ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001 nelle forme della demolizione e successiva ricostruzione occorre l’esatta rappresentazione della consistenza edilizia iniziale sia a livello di localizzazione spaziale sia a livello geometrico, il che difetta nel caso in esame, dove non sono emersi sicuri elementi verificabili circa l’estensione planovolumetrica complessiva dell’edificio crollato e la sua sagoma.
Anzi dagli elementi in atti l’intervento effettuato dall’interessato va ricondotto alla fattispecie di nuova e difforme costruzione rispetto alla precedente, stante il differente profilo strutturale caratterizzato da calcestruzzo armato (chiaramente non predicabile per un manufatto rurale la cui edificazione risale agli anni venti e trenta del XX secolo) e di dimensioni significative (non compatibili con la consueta volumetria dei comodi rurali), come accertato da atto fidefaciente della tenenza dei carabinieri di Ercolano, ovverosia il verbale del 3 febbraio 2017, richiamato anche dall’ordinanza di demolizione e in cui si descrive la presenza in loco , di « una struttura grezza in cemento armato “telaio” realizzato da solaio di calpestio, travi e pilastri in cemento armato », di una « fondazione realizzata con getto di cemento armato » e si rappresenta che « l’opera risultava parzialmente coperta con solaio in ferro e tavelle in laterizio e soletta in calcestruzzo avente forma rettangolare delle dimensioni di circa 140 mq ed altezza di circa 3,5 mt ». Quanto riportato è desumibile con evidenza anche dalle foto allegate al predetto verbale e versate in atti, dove si notano tra l’altro travi di con armatura (tondini di ferro), tubi metallici, e putrelle metalliche a doppia “T”.
Inoltre vi è stato anche un non consentito cambio di destinazione d’uso, come accertato dal già citato verbale dei carabinieri, da precedente immobile destinato a fabbricato rurale ad opera « suddivisa in cinque ambienti in fase di realizzazione (…) completa di tompagnatura (…) per tre lati con apertura per l’ingresso e finestre porte e finestre, mentre il quarto lato (…) risultava chiuso da muro di contenimento in cemento armato delle dimensioni di circa 15 mt ed altezza di 3,5 mt. Dalla conformazione strutturale delle opere già realizzate si poteva desumere che la stessa fosse destinata a civile abitazione », il che è perfettamente coerente con l’apparato fotografico in atti.
Ne deriva che le opere poste in essere dal ricorrente sono univocamente sussumibili nella categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia (effettuati peraltro in area vincolata) comportanti la formazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente con modificazione della volumetria complessiva o comunque il mutamento della destinazione d’uso ai sensi dell’art. 10, lettera c), del d.P.R. n. 380/2001.
Pertanto non si rinviene neanche alcuna violazione dei principi e delle regole recati dalla legge n. 241/1990, non ravvisandosi in particolare alcun difetto di istruttoria e di motivazione, giacché, a fronte di un abuso edilizio, l’ordinanza di demolizione in esame è atto dovuto e vincolato, sufficientemente motivato con il richiamo al verbale con cui è stato riscontrato l’abuso e dunque tramite l’enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto che consentono l’individuazione della fattispecie di illecito e la corrispondente misura sanzionatoria normativamente prevista, non essendo necessario rappresentare eventuali ragioni di interesse pubblico diverse dal ripristino della legalità violata, la cui doverosità è peraltro insensibile al trascorre del tempo (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 17 ottobre 2017, numeri 8 e 9).
9. Mediante la seconda doglianza l’interessato ha dedotto « Error in procedendo et in iudicando – Violazione degli artt. 10 e ss. del DPR n. 380/2001 smi – Violazione degli artt. 2, 3, 7, 10 e 10 bis l. 241/90 smi – Mancata comunicazione avvio del procedimento – Violazione delle garanzie partecipative – Difetto di istruttoria e di motivazione – Eccesso di potere per violazione del principio di giusto procedimento – Erroneità dei presupposti – Ingiustizia, irragionevolezza e contraddittorietà manifesta – Ingiustizia manifesta – Violazione del principio di proporzionalità e del principio di tutela dell’affidamento – Travisamento dei fatti – Omessa comparazione di interessi – Violazione del buon andamento artt. 3 e 97 Cost. – Irragionevolezza e non proporzionalità nell’adozione della grave sanzione della demolizione ».
Tale motivo è infondato.
Posta la già rimarcata natura vincolata dell’ordinanza di demolizione e acclarata l’abusività dell’intervento di ristrutturazione, un’eventuale partecipazione procedimentale dell’interessato non avrebbe potuto condurre ad un esito differente, anche alla luce di quanto emerso in sede giurisdizionale, sicché la lamentata omessa comunicazione di avvio del procedimento prevista dall’art. 7 della legge n. 241/1990 non impinge sulla legittimità del provvedimento ai sensi dell’art. 21- octies , comma 2, primo periodo, della legge n. 241/1990.
Il richiamo ai principi di proporzionalità e dell’affidamento è inconferente, atteso che, da un lato, la sanzione emessa dall’amministrazione è predeterminata dalla legge, non graduabile, vincolata e non discrezionale e, dall’altro, a fronte di abusi edilizi non sussiste in radice alcun affidamento legittimo del privato da porre in comparazione con l’interesse pubblico (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze numeri 8/2017 e 9/2017 cit.).
Non sono infine sussistenti le lamentate violazioni dei principi costituzionali di uguaglianza e del buon andamento dell’amministrazione, avendo l’ente locale, al verificarsi dei presupposti normativi, emanato un atto vincolato in perfetta conformità con il quadro ordinamentale, tutelando per tal via la parità di trattamento dei cittadini e il corretto assetto urbanistico di un territorio sottoposto a vincolo paesistico.
10. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
11. In applicazione del principio della soccombenza, al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento, in favore dell’amministrazione comunale appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio, che, tenuto conto dei parametri stabiliti dal d.m. 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26, comma 1, del codice del processo amministrativo, si liquidano in euro 4.000 (quattromila), oltre al 15% per spese generali e agli accessori legge, da distrarsi in favore del difensore dell’ente locale, avvocato N M, dichiaratosi antistatario.