Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-11-12, n. 201405550

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-11-12, n. 201405550
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201405550
Data del deposito : 12 novembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08572/2012 REG.RIC.

N. 05550/2014REG.PROV.COLL.

N. 08572/2012 REG.RIC.

N. 09259/2012 REG.RIC.

N. 09260/2012 REG.RIC.

N. 09262/2012 REG.RIC.

N. 00240/2013 REG.RIC.

N. 00241/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8572 del 2012, proposto dalla società Nuova Sigi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G M e F P, con domicilio eletto presso l’avvocato F P in Roma, via di Santa Teresa, 23

contro

Comune di Pinerolo, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati R L, M T F e G F R, con domicilio eletto presso l’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5

nei confronti di

B A, A B, F C, V B, L C, G P, F M, Edilgros s.p.a. in liquidazione



sul ricorso numero di registro generale 9259 del 2012, proposto dal signor G P, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriella Simonis e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14a/4

contro

Comune di Pinerolo, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R L, M T F e G F R, con domicilio eletto presso l’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5;
B A, V B, A B, F C e L C

nei confronti di

Edilgros s.p.a. in liquidazione, Nuova Si.gi. s.r.l. in liquidazione



sul ricorso numero di registro generale 9260 del 2012, proposto dal signor B A, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriella Simonis e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso l’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4

contro

Comune di Pinerolo, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R L, M T F e G F R, con domicilio eletto presso l’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5;
V B, G P, A B, L C, F C, F M

nei confronti di

Edilgros s.p.a. in liquidazione, Nuova Si.gi. s.r.l. in liquidazione



sul ricorso numero di registro generale 9262 del 2012, proposto dal signor V B, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriella Simonis e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, V. Giulio Cesare, 14 Sc A/4

contro

Comune di Pinerolo, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R L, M T F e G F R, con domicilio eletto presso l’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5

nei confronti di

Nuova Si.Gi. s.r.l. in liquidazione, Edilgros s.p.a. in liquidazione;
B A, G P, A B, L C, F C, F M e F M



sul ricorso numero di registro generale 240 del 2013, proposto dal signor F C, rappresentato e difeso dall'avvocato E D, con domicilio eletto presso l’avvocato C M in Roma, Piazzale Clodio, n. 13

contro

Comune di Pinerolo, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R L, M T F e G F R, con domicilio eletto presso l’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5

nei confronti di

Nuova Si.Gi. s.r.l. in liquidazione, Edilgross s.p.a. in liquidazione;
F M, L C, G P, A B, B A e V B



sul ricorso numero di registro generale 241 del 2013, proposto dalla signora L C, rappresentata e difesa dall'avvocato E D, con domicilio eletto presso l’avvocato C M in Roma, Piazzale Clodio, n. 13

contro

Comune di Pinerolo, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R L, M T F e G F R, con domicilio eletto presso l’avvocato G F R in Roma, via Cosseria, n. 5

nei confronti di

Nuova Si.gi. s.r.l., Edilgross s.p.a.;
F M, F C, V B, G P, A B e B A

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Piemonte, Sezione II, n. 1012/2012


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pinerolo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Martino, Fanzini, Pafundi, Simonis e Debernardi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Piemonte e iscritto al n. RG. 685/2011 le società Nuova SI.GI. s.r.l. ed Edilgros s.p.a., rispettivamente in persona del proprio amministratore unico e del commissario liquidatore, impugnavano le ordinanze nn. 193, 194, 195, 196, 197 e 198, tutte recanti la data del 4 marzo 2011, mediante le quali il Comune di Pinerolo ha loro irrogato – in solido tra loro e con altri soggetti – distinte sanzioni amministrative pecuniarie (per un totale di euro 569.309,26), a titolo di abuso edilizio commesso nell’ambito della realizzazione di un complesso immobiliare sito in Pinerolo, via Pasubio n. 2.

Degli atti impugnati le società ricorrenti chiedevano l’annullamento previa sospensione cautelare.

In particolare, all’esito di una complessa vicenda procedimentale (che era stata preceduta anche da alcune pronunce cautelari del T.A.R. del Piemonte: ordinanze numm. 995, 996, 997, 998 e 999 del 2009), le società ricorrenti erano state ritenute responsabili (l’una in qualità di proprietaria degli edifici, l’altra in qualità di ditta esecutrice dei lavori) dell’innalzamento della quota delle falde dei tetti rispetto al progetto assentito e della realizzazione, all’interno dei sottotetti (i quali erano stati assentiti, in progetto, come “ locali non abitabili ”), di modificazioni interne preordinate ad uno sfruttamento di tipo abitativo.

Le opere contestate, come si legge nella motivazione del provvedimento impugnato in primo grado, vengono qualificate come eseguite “ in difformità parziale dal permesso di costruire 134/2007”, nonché realizzate “in violazione della normativa generale e locale ” e non suscettibili di demolizione senza pregiudizio delle parti eseguite in difformità. La sanzione irrogata, pertanto, è quella di cui all’articolo 34, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale “ quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale ”.

I medesimi provvedimenti erano stati altresì impugnati dai singoli promissari acquirenti, anch’essi attinti singolarmente dalle richiamate ordinanze comunali in una con le due richiamate società e con il direttore dei lavori.

In particolare:

- il signor G P (ricorrente nell’appello n. 9259/2012) aveva impugnato l’ordinanza n. 198/2011 (ricorso al T.A.R. n. 701/2011)

- il signor B A (ricorrente nell’appello n. 9260/2012) aveva impugnato l’ordinanza n. 193/2011 (ricorso al T.A.R. n. 542/2011);

- il signor Vincenzo Beltramio (ricorrente nell’appello n. 9262/2012) aveva impugnato l’ordinanza n. 196/2011 (ricorso al T.A.R. n. 702/2011)

- il signor F C (ricorrente nell’appello n. 240/2013) aveva impugnato l’ordinanza n. 195/2011 (ricorso al T.A.R. n. 703/2011)

- la signora L C (ricorrente nell’appello n. 241/2013) aveva impugnato l’ordinanza n. 197/2011 (ricorso al T.A.R. n. 708/2011).

Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. del Piemonte, previa riunione dei ricorsi in questione, li ha accolti solo parzialmente (e solo in relazione alla determinazione del quantum sanzionatorio, che è stato rideterminato in via equitativa nella misura del 50 per cento di quello inizialmente fissato) e li ha respinti per il resto.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla società Nuova Si.Gi. s.r.l. (ricorso n. 8572/2012) la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi di doglianza.

La medesima sentenza è stata altresì impugnata dal signor P (ricorso n. 9259/2012), dal signor A (ricorso n. 9260/2012), dal signor B (ricorso n. 9262/2012), dal signor C (ricorso n. 240/2013) e dalla signora C (ricorso n. 241/2013) i quali hanno, altresì chiesto la sospensione in via cautelare degli effetti della sentenza.

I singoli motivi di impugnativa articolati da ciascuno dei ricorrenti saranno puntualmente descritti nel prosieguo.

Il Comune di Pinerolo si è costituito in tutti i giudizi di appello chiedendo la reiezione degli appelli proposti in via principale.

Il Comune ha, altresì, spiegato appello incidentale nell’ambito del ricorso num. 8572/2012 e ha chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici, nel dichiarato esercizio della giurisdizione di merito di cui all’articolo 134, comma 1, lettera c ) del cod. proc. amm., hanno ritenuto di poter disporre, in via equitativa, una riduzione pari al 50 per cento del quantum della sanzione inizialmente irrogata.

Con cinque distinte ordinanze (recanti, rispettivamente, i numm. 427/2013, 428/2013, 429/2013, 418/2013 e 419/2013) questo Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di sospensione in via cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe proposti, come si è già osservato, dai signori P, A, B, C e C.

Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2014 le parti costituite hanno rassegnato le proprie conclusioni e i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 8572/2012, proposto da una società attiva nel settore delle costruzioni avverso la sentenza del T.A.R. del Piemonte con cui è stato accolto in parte (ma solo in relazione alla determinazione del quantum sanzionatorio) e respinto per il resto il ricorso avverso sei ordinanze adottate dal Comune di Pinerolo ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Con le ordinanze in questione, il Comune appellato aveva accertato che, in sede di costruzione di due fabbricati, la società appellante aveva innalzato la quota delle falde dei tetti rispetto al progetto assentito e aveva in tal modo consentito la realizzazione, all’interno dei sottotetti (i quali erano stati assentiti, in progetto, come “ locali non abitabili ”), di modificazioni interne preordinate ad uno sfruttamento di tipo abitativo.

Giungono, altresì, alla decisione del Collegio i ricorsi in appello numm. 9259/2012, 9260/2012, 9262/2012, 240/2013 e 241/2013 proposti avverso la medesima sentenza dai promissari acquirenti degli immobili in questione che erano stati, al pari dell’impresa di costruzioni, attinti dalle richiamate ordinanze sanzionatorie ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001.

2. I ricorsi in epigrafe devono essere riuniti avendo ad oggetto l’impugnativa avverso la medesima decisione (articolo 96 cod. proc. amm.).

3.1. Qui di seguito verranno sinteticamente descritti i motivi articolati con il ricorso in appello n. 8572/2012 (Nuova Si.Gi. s.r.l.).

Con il primo motivo (‘ Carente ed erronea valutazione degli elementi del giudizio – Violazione ed erronea interpretazione ed applicazione degli artt. 34 e 29 del d.P.R. 380 del 2001 e degli artt. 5 e 6 della l. 689 del 1981 – Erronea qualificazione giuridica della sanzione sostitutiva pecuniaria in ordine alla responsabilità dei destinatari di essa ’) la società appellante lamenta che i primi Giudici abbiano omesso di rilevare l’illegittimità dell’operato del Comune di Pinerolo il quale, in sede di irrogazione della sanzione pecuniaria, aveva violato la previsione di cui al comma 2 dell’articolo 34, T.U. Edilizia il quale (letto in combinato disposto con il precedente comma 1) stabilisce in modo inequivoco che la sanzione pecuniaria sostitutiva per l’ipotesi di impossibilità di procedere alla demolizione debba necessariamente essere disposta a carico del solo ‘ responsabile dell’abuso ’.

Allo stesso modo, i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di considerare che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 29 del medesimo T.U., la solidarietà passiva è limitata alle sole ipotesi di recupero delle spese per l’esecuzione in danno, mentre essa non si estende anche al pagamento delle sanzioni pecuniarie. La disposizione in questione presenterebbe, quindi, un accentuato carattere di specialità , sì da escludere in radice la possibilità di individuare forme di responsabilità solidale nella materia edilizia (quanto meno nelle ipotesi in cui difetti in capo al singolo soggetto la qualificabilità di ‘ responsabile dell’abuso ’).

Risulterebbe, quindi, erronea l’affermazione dei primi Giudici secondo cui in tema di sanzioni amministrative per illeciti edilizi non sussisterebbe alcuna deroga al principio di cui all’articolo 5 della l. 689 del 1981 in tema di concorso di persone nell’illecito.

In tal modo decidendo, i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di considerare:

- che, secondo quanto accertato dallo stesso Comune di Pinerolo, alla società appellante poteva essere imputato il solo innalzamento delle falde del tetto, mentre – invece – l’esecuzione delle ulteriori opere che avevano consentito di rendere abitabili i sottotetti (tramezzature, impianti, servizi igienici, etc.) era da riferire ai soli promissari acquirenti, i quali avevano a tanto proceduto non appena immessi – anticipatamente – in possesso degli immobili;

- che, pertanto, la società appellante non avrebbe potuto essere chiamata a rispondere di un titolo di responsabilità (quello derivante dalla realizzazione di opere finalizzate a rendere abitabili i sottotetti) di cui dovevano rispondere in via esclusiva i soli proprietari (da ritenersi sotto ogni aspetto quali ‘ responsabili degli abusi ’ commessi);

- che, laddove si confermasse la determinazione del Comune (volta – in ultima analisi - a sanzionare l’impresa edile per abusi commessi da altri soggetti), si finirebbe – e in modo del tutto illegittimo – per configurare in danno dell’impresa medesima una inammissibile ipotesi di responsabilità di tipo oggettivo ;

- che la scelta di demandare al successivo esercizio dell’azione di regresso l’effettiva distribuzione dei titoli di responsabilità risulterebbe a propria volta violativa del pertinente quadro normativo e foriera di un ingiustificato, ulteriore contenzioso;

- che, oltretutto, così come risulta sostanzialmente infungibile l’esecuzione dell’obbligo di rimessione in pristino (dal momento che l’impresa di costruzioni non è più in possesso degli immobili e che le opere di ripristino non possono che essere realizzate dai proprietari/possessori), allo stesso modo non può essere considerato fungibile l’obbligo di corrispondere la sanzione pecuniaria sostitutiva di cui al comma 2 del richiamato articolo 34.

Ed ancora, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per la parte in cui ha affermato il carattere non scindibile dell’abuso edilizio (quanto meno, in relazione agli interventi compiuti nelle singole unità immobiliari), in tal modo ritenendo la solidale responsabilità, per ciascuno degli immobili interessati, del promissario acquirente e dell’impresa di costruzioni.

Contrariamente a quanto ritenuto dai primi Giudici, invece, il titolo di responsabilità (e le stesse condotte costituenti illecito) sarebbero ben distinti in capo alla società appellante (alla quale poteva al più essere contestato il solo innalzamento delle falde del tetto) e in capo ai singoli proprietari (ai quali poteva – e doveva - essere contestata la realizzazione delle opere interne idonee a rendere abitabili le porzioni dei sottotetti).

Ebbene, per quanto riguarda la (sola) attività riferibile alla società appellante (innalzamento delle falde), essa non avrebbe sortito alcun rilievo ai fini sanzionatori, traducendosi in “ un modestissimo innalzamento della quota ” (pag. 24 del ricorso introduttivo) da attribuire a un mero “ errore costruttivo ” e non a “ una deliberata volontà speculativa ” (ivi, pag. 26). Oltretutto, è pacifico in atti che da tale difformità in sede realizzativa la stessa appellante non abbia ritratto alcun vantaggio (non avendo ottenuto certamente dai promissari acquirenti un corrispettivo maggiore rispetto a quello inizialmente pattuito).

La società appellante si sofferma poi, nuovamente, sull’applicabilità delle previsioni di cui alla l. 689 del 1981 al settore delle sanzioni amministrative in materia edilizia e osserva che:

- se, per un verso, non sussistono ragioni testuali o sistematiche per escludere l’applicabilità delle disposizioni di cui alla l. 689, cit. alla materia edilizia per quanto riguarda le sanzioni di carattere meramente afflittivo ( i.e. : le sanzioni pecuniarie in senso proprio);

- al contrario, non si può ammettere l’applicabilità delle richiamate disposizioni (con particolare riguardo all’articolo 5 – in tema di ‘ concorso di persone ’ – e 6 – in tema di ‘ solidarietà’ -) nel caso delle sanzioni di carattere restitutorio (quali quelle previste principaliter dal comma 1 dell’articolo 34, T.U. Edilizia), ivi comprese le sanzioni pecuniarie sostitutive di quelle di carattere restitutorio in senso proprio (quali quelle previste dal comma 2 dell’articolo 34, T.U., cit.).

E tale ontologica inconciliabilità sarebbe confermata al livello legislativo dall’articolo 12 della l. 689, secondo cui le disposizioni di cui al Capo I della legge si osservano, “ in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro (…) ”.

Ad avviso dell’appellante, infatti, il complesso di disposizioni di cui alla l. 689 del 1981 risulterebbe semplicemente inapplicabile (in quanto ontologicamente incompatibile) con la materia delle sanzioni edilizie di carattere restitutorio, pur se irrogate nella forma – per così dire – ‘succedanea’ della sanzione meramente pecuniaria di cui al comma 2 del più volte menzionato articolo 34.

Con il secondo motivo (‘ Carente ed erronea valutazione degli elementi del giudizio – Violazione o erronea interpretazione ed applicazione degli artt. 34, comma 2 d.P.R. 380/01 [sic] – Erronea, immotivata ed ingiustificata quantificazione della sanzione sostitutiva pecuniaria ’) la società appellante, pur dando atto della circostanza che il T.A.R. abbia disposto – e ‘ in via equitativa ’ – un abbattimento della sanzioni inizialmente irrogate nella misura del 50 per cento, osserva che la sanzione finale risulta comunque illegittimamente più elevata rispetto a quella che avrebbe potuto essere irrogata se il Comune prima e il T.A.R. poi avessero correttamente applicato le pertinenti disposizioni di legge.

In particolare, secondo la società appellante:

- è pacifico che la sanzione ‘sostitutiva’ di cui al comma 2 dell’articolo 34, T.U. edilizia debba essere fissata in misura pari al doppio del costo di produzione, stabilito ai sensi della l. 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità rispetto al titolo edilizio;

- è altresì pacifico che, ai sensi degli articoli 12 e segg. della l. 392, cit., il costo di produzione vada determinato moltiplicando la superficie convenzionale utile della porzione di immobile difforme dal titolo (applicando le percentuali di abbattimento di cui all’articolo 13 della stessa legge) per il costo di base al metro quadrato determinato si sensi dell’articolo 14 (ma con la previa applicazione dei coefficienti correttivi di cui al successivo articolo 16).

Ebbene, l’appellante lamenta che il Comune di Pinerolo, pur avendo correttamente richiamato il pertinente quadro normativo, ne avrebbe poi fatto in concreto un’applicazione erronea.

In particolare il Comune, in presenza di porzioni di immobile palesemente prive di idoneità abitativa (in quanto sfornite dei prescritti requisiti aeroilluminanti), avrebbe del tutto ingiustificatamente disposto un abbattimento della misura della superficie convenzionale pari soltanto al 25 per cento, laddove l’articolo 13, primo comma, lettera d) della l. 392, cit. avrebbe imposto un ben più significativo abbattimento pari al 75 per cento.

Sotto tale aspetto i primi Giudici, invece di apprezzare il richiamato profilo di discrasia ed illegittimità, si sarebbero limitati – e in modo del tutto ingiustificato, alla luce del pertinente quadro normativo – a disporre una sorta di abbattimento in via ‘ equitativa e forfetaria ’ della misura della sanzione (pervenendo – tuttavia – a un importo comunque ingiustificatamente più elevato rispetto a quello che sarebbe risultato dovuto laddove si fatta corretta applicazione delle pertinenti disposizioni del d.P.R. 380 del 2001 e della l. 392 del 1978.

Con il terzo motivo di ricorso (‘ Carente ed erronea valutazione degli elementi del giudizio: erronea, immotivata ed ingiustificata statuizione in ordine alle spese giudiziali ’) la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha disposto la compensazione delle spese di lite “ in considerazione della complessità fattuale delle questioni trattate e del’esito processuale ”.

In tal modo decidendo i primi Giudici non avrebbero adeguatamente tenuto conto del complessivo e ingiustificabile contegno tenuto nel corso dell’intera vicenda procedimentale e contenziosa dal Comune di Pinerolo, il quale avrebbe dovuto certamente essere condannato all’integrale rifusione delle spese del giudizio.

3.1.1. Come esposto in narrativa, nell’ambito del ricorso n. 8572/2012 il Comune di Pinerolo ha spiegato appello incidentale affidato a un unico, complesso motivo.

In particolare, il Comune ha chiesto la riforma della sentenza in questione per la parte in cui i primi Giudici hanno affermato che, stante la difficoltà di determinare l’effettiva consistenza degli abusi contestati, fosse possibile (nell’esercizio della giurisdizione di merito in tema di sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 134, comma 1, lettera c) del cod. proc. amm.) procedere a un abbattimento, in via meramente equitativa, dell’importo della sanzione nella misura del 50 per cento.

Sotto questo aspetto, la sentenza sarebbe meritevole di riforma per avere i primi Giudici inammissibilmente sovrapposto ( rectius : confuso) la sussistenza della giurisdizione di merito di cui al richiamato articolo 134, comma 1, lettera c) cod. proc. amm. e la possibilità per il Giudice adito di incidere sul quantum sanzionatorio facendo applicazione di poteri equitativi, non riconosciuti in subiecta materia da alcuna disposizione di legge.

Al riguardo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:

- che, nell’esercizio della giurisdizione di merito di cui al richiamato articolo 134 cod. proc. amm., il G.A. può conoscere dell’applicazione dei criteri legali di determinazione della sanzione di cui all’articolo 11 della l. 689 del 1981 (es.: gravità della violazione, personalità del colpevole, sue condizioni economiche), ma non può certamente rideterminare il quantum sanzionatorio nell’esercizio di una sorta di ‘ equità sostitutiva ’;

- che tale possibilità risulta vieppiù preclusa a fronte di ipotesi legali (quale quella regolata dall’articolo 34 del T.U. Edilizia) in cui la determinazione del quantum sanzionatorio risulta regolata da puntuali disposizioni di legge (e quindi, governata da un principio di stretta legalità), non consentendo al Giudice la spendita di alcun margine valutativo, men che meno in termini equitativi;

- che, anche a voler ammettere l’assimilabilità fra la sanzione meramente riparatoria di cui al comma 2 dell’articolo 34, T.U. Edilizia e le sanzioni amministrative di cui alla l. 689 del 1981 (il che è di per sé opinabile), risulta comunque insuperabile il fatto che la determinazione del quantum sanzionatorio resti puntualmente fissata dalla richiamata disposizione di legge, sì da impedire al Giudice di ingerirsi su tale processo determinativo attraverso l’adozione di misure di carattere equitativo.

Nel merito, poi, il Comune di Pinerolo chiede la reiezione del ricorso principale ( rectius : di tutti i ricorsi principali) rivendicando la correttezza del proprio operato nella determinazione delle sanzioni da irrogare ai singoli responsabili.

3.2. Qui di seguito verranno sinteticamente descritti i motivi di appello – invero, non dissimili nel contenuto - articolati dal signor P (ricorso n. 9259/2012), dal signor A (ricorso n. 9260/2012) e dal signor B (ricorso n. 9262/2012).

Con un primo motivo (‘ Carente ed erronea valutazione degli elementi del giudizio – Violazione o erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 34 del d.P.R. 380/2001, dell’art. 13 della l. 392/1978, del d.m. 5 luglio 1975 e dell’art. 134 cod. proc. amm. – Erronea, immotivata, contraddittoria quantificazione della sanzione ’) gli appellanti lamentano che i primi Giudici non avrebbero adeguatamente rilevato e sanzionato l’operato del Comune il quale, in sede di determinazione della sanzione di cui al comma 2 dell’articolo 34 T.U. Edilizia, non aveva correttamente applicato i criteri determinativi legali (criteri basati – per espressa disposizione di legge – sull’applicazione degli articoli da 13 a 16 della l. 392 del 1978).

In particolare (e sotto tale aspetto i ricorsi in questione presentano rilevanti aspetti di similitudine con il ricorso n. 8572/2012 – Nuova Si.Gi), i primi Giudici non avrebbero adeguatamente valutato l’errore del Comune il quale, nel determinare la superficie convenzionale delle porzioni di sottotetto prive di requisiti aeroilluminanti, aveva operato una riduzione di tale superficie nella – minima – misura del 25 per cento, mentre invece la corretta misura di tale abbattimento doveva essere pari al 75 per cento, trattandosi di meri ‘ locali accessori ’.

A propria volta il T.A.R., nel pur apprezzabile intento di ‘correggere’ in qualche misura l’errore commesso del Comune, avrebbe a propria volta determinato una misura sanzionatoria (pari al 50 per cento di quella fissata dal Comune) del tutto svincolata dal rigido parametro legale di riferimento e – per ciò stesso – meritevole di rideterminazione nella misura dovuta.

Con il secondo motivo (‘ Carente ed erronea valutazione degli elementi del giudizio –Erronea, immotivata ed ingiustificata statuizione in ordine alle spese giudiziali ’) gli appellanti lamentano (similmente a quanto lamentato dalla società Nuova Si.Gi. con il ricorso n. 8572/2012) che i primi Giudici abbiano disposto la compensazione delle spese di lite senza tenere in adeguata considerazione il complessivo ed ingiustificato contegno serbato dal Comune di Pinerolo nel corso dell’intera vicenda.

Inoltre, il signor A articola un ulteriore motivo di ricorso, rubricato ‘ Carente ed erronea valutazione degli elementi di giudizio – Violazione o erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 29 del d.P.R. 380/2001 – Erronea e carente valutazione in ordine alla commissione degli abusi ed alle specifiche responsabilità anche in considerazione dell’assoluzione piena in sede penale ’.

Con il motivo in questione il signor A, pur confermando in via i principio la correttezza della sentenza di primo grado (per la parte in cui ha affermato che la sentenza penale di assoluzione resa nei suoi confronti dal competente Tribunale non fosse idonea a spiegare l’efficacia del giudicato nel giudizio amministrativo), lamenta tuttavia che il Comune di Pinerolo – e poi il T.A.R. – non avrebbero adeguatamente tenuto conto di ulteriori circostanze che, ove debitamente prese in considerazione, avrebbero dovuto consentirgli di andare del tutto esente da sanzione.

In particolare, il Comune prima e il T.A.R. poi avrebbero omesso di considerare: i ) che, nel momento in cui il signor A aveva preso possesso dell’immobile, la parte principale degli abusi in contestazione risultava già realizzata; ii ) che, comunque, sussisteva un’evidente sproporzione fra il fatto addebitabile allo stesso signor A e quello addebitabile all’impresa di costruzioni (alla quale dovevano essere addebitati in via esclusiva l’innalzamento del sottotetto e la predisposizione dei collegamenti e degli impianti tra i due piani).

3.3. La sentenza in epigrafe è stata, inoltre, impugnata dal signor C (ricorso n. 240/2013) e dalla signora C (ricorso n. 241/2013) i quali ne hanno chiesto l’integrale riforma articolando i seguenti motivi.

Con un primo motivo (che, nel ricorso n. 240/2013 è rubricato ‘ Insufficiente ed erronea valutazione degli elementi probatori – Violazione di legge, anche sotto i profilo dell’applicazione dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001 ’ e nel ricorso n. 241/2013 è rubricato ‘ Difetto di motivazione, carente ed erronea valutazione degli elementi probatori - Insufficiente ed erronea valutazione degli elementi probatori – Violazione di legge, anche sotto i profilo dell’applicazione dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001 ’) i signori C e C lamentano – al pari di altri appellanti – che, in sede di determinazione del quantum sanzionatorio da irrogare ai sensi del comma 2 dell’articolo 34, T.U. Edilizia, il Comune di Pinerolo (con deduzione sostanzialmente confermata dai primi Giudici) abbia determinato in modo erroneo la superficie convenzionale di cui all’articolo 13 della l. 392 del 1978.

In particolare, una volta accertato che i locali di cui si discute risultassero in concreto privi dei necessari requisiti di abitabilità (configurandosi quindi come semplici ‘ locali accessori ’), il Comune avrebbe dovuto computare soltanto il 25 per cento della relativa superficie (con riduzione del 75 per cento), mentre non rinverrebbe alcun conforto normativo la scelta di operare una semplice riduzione del 25 per cento.

Allo stesso modo, non rinverrebbe alcun conforto normativo la scelta – operata dai primi Giudici – di operare a propria volta una riduzione ‘ equitativa e forfetaria ’ del quantum sanzionatorio finale, nella misura del 50 per cento di quanto inizialmente stabilito. Si tratterebbe, infatti, di una scelta che, oltre a risultare incompatibile con l’ambito dei poteri decisionali esercitabili nelle materie in cui vige la giurisdizione di merito del G.A., avrebbe nondimeno comportato la determinazione di un importo sanzionatorio ingiustificatamente più alto rispetto a quello che sarebbe stato dovuto laddove si fosse fatta corretta applicazione del pertinente quadro normativo.

Con un ulteriore motivo (‘ Carente ed erronea valutazione degli elementi di giudizio con conseguente ingiustificata ed immotivata compensazione delle spese di lite ’), i signori C e C chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte relativa alla disposta compensazione delle spese di lite: si tratterebbe di una scelta del tutto ingiustificata in relazione allo sviluppo della questione nel tratto procedimentale e in quello processuale.

Il signor C ha, inoltre, articolato un ulteriore motivo (il primo, rubricato ‘ Difetto di motivazione per omessa pronuncia circa il primo motivo di ricorso avente ad oggetto la violazione di legge – Falso presupposto di fatto e di diritto (in relazione alla censura con la quale si contestò l’asserita modificazione d’uso del sottotetto – Carente ed erronea valutazione degli elementi probatori - Violazione di legge, eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e degli elementi caratterizzanti la fattispecie contestata – Travisamento dei fatti – Ingiustizia grave e manifesta ’), con cui ha lamentato che il Comune di Pinerolo prima e il T.A.R. poi avrebbero omesso di valutare l’oggettiva diversità che caratterizzava la sua posizione rispetto a quella degli altri soggetti coinvolti dai rilievi del Comune.

In particolare, il Comune (con deduzione in seguito confermata dal T.A.R.) avrebbe omesso di valutare un complesso di circostanze il quale deponeva in modo inequivoco nel senso dell’assenza di una qualunque modifica nella destinazione d’uso. In particolare, non era stato adeguatamente valutato: i ) che il sottotetto della sua abitazione non fosse accessibile dall’esterno; ii ) che esso fosse accessibile dall’appartamento solo per il tramite di una scala a pioli in ferro, non fissa; iii ) che non vi fossero servizi igienici o impianti al servizio del bene; iv ) che il locale in questione – al momento dell’accesso – risultasse suddiviso da tramezzi in cartongesso grezzi, non rifiniti, privi di chiusure interne; v ) che la superficie finestrata riferita alla superficie di pavimento fosse inferiore a quanto prescritto dal d.m. 190 del 18 luglio 1975 (‘ Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico sanitari principali dei locali d'abitazione ’); vi ) che gli spazi in tal modo creati risultassero vuoti o, al più, occupati da scatoloni e masserizie di vario genere.

Laddove le circostanze in parola fossero state adeguatamente apprezzate e valutate il T.A.R. avrebbe necessariamente dovuto concludere nel senso dell’invarianza della destinazione d’uso impressa al sottotetto, il quale continuava a configurarsi come locale accessorio destinato a vano di sgombero per il ricovero di beni, pur se ripartito n comparti e/o parcellizzato.

Ma il punto è che, decidendo sul suo ricorso, il T.A.R. della Liguria non avrebbe in alcun modo esaminato le richiamate circostanze, in tal modo violando il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’articolo 112 c.p.c.

4. Il primo dei motivi di ricorso articolati dalla società Nuova Si.Gi. non può trovare accoglimento.

4.1. Va premesso al riguardo che non può essere condiviso l’argomento secondo cui la previsione di cui all’articolo 29 T.U. Edilizia (in tema di ‘ Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività ’) sortirebbe valenza eccettuale rispetto al generale principio della solidarietà nella materia che qui rileva (limitando, in particolare, il vincolo solidale alle sole spese necessarie per l’esecuzione in danno ed escludendolo in relazione alle sanzioni pecuniarie).

Al riguardo si osserva in primo luogo che il comma 1 dell’articolo 29 – la cui corretta applicazione viene invocata dall’appellante – trova applicazione, per espressa disposizione di legge, in relazione alle sole ipotesi di cui al Capo I del titolo IV del Testo Unico (articoli da 27 a 29, con particolare riguardo ai rimedi contemplati dall’articolo 27 del Testo unico), ragione per cui si ritiene che esso non possa trovare applicazione anche nelle ipotesi, che qui rilevano, di cui al Capo II del medesimo titolo in tema di ‘ Sanzioni’ (articoli da 30 a 48 del medesimo Testo Unico).

Pertanto, non può in via di principio ritenersi che le previsioni di cui all’articolo 29 possano sortire valenza eccettuale o derogatoria in relazione a partizioni del Testo unico in relazione alle quali esse risultano espressamente inapplicabili.

Ma anche a prescindere dal carattere dirimente di quanto appena rilevato ai fini della risoluzione della res controversa (e anche a voler ritenere astrattamente applicabile alla vicenda di causa il richiamato articolo 29), il punto è che neppure in questo caso la società Nuova Si.Gi. potrebbe andare esente da sanzione in relazione all’abuso realizzato, atteso che – per le ragioni che fra breve si esporranno – essa era comunque da considerare, sotto ogni aspetto, quale ‘responsabile dell’abuso’ commesso.

4.2. Per quanto riguarda la riferibilità soggettiva della condotta illecita, si ritiene del tutto corretta la valutazione del Comune di Pinerolo, il quale ha ritenuto che sia l’impresa di costruzioni, sia i singoli promissari acquirenti (immessi in via anticipata nel possesso degli immobili) fossero parimenti responsabili dell’illecito edilizio contestato (realizzazione di parziali difformità in costruendo, con conseguente realizzazione di sottotetti destinati ad uso abitativo, in difformità dalle previsioni del titolo edilizio).

In particolare, stante il carattere unitario dell’abuso realizzato, ciascuno dei corresponsabili vi aveva apportato un contributo concausale indefettibile (l’impresa di costruzioni avendo alterato l’altezza delle falde del tetto – in tal modo rendendo più agevolmente realizzabili nei sottotetti locali ad uso abitativo – e i proprietari avendo realizzato le ulteriori opere atte a tradurre in concreto la potenzialità abitativa in tal modo posta in essere).

Pertanto, pur dandosi atto del carattere materialmente distinto delle condotte poste in essere dall’impresa di costruzioni e dai singoli proprietari, è del tutto corretto aver ritenuto che la condotta abusiva nel suo complesso presentasse nel suo aspetto funzionale e teleologico un intrinseco carattere di inscindibilità e che i singoli apporti forniti da ciascuno dei corresponsabili avessero contribuito in modo sostanzialmente paritario alla determinazione dell’unitaria fattispecie foriera di illecito in materia edilizia.

Allo stesso modo, appare del tutto condivisibile l’opinamento del Comune di Pinerolo (sostanzialmente condiviso dai primi Giudici) secondo cui l’abuso edilizio in tal modo concretato presentasse carattere inscindibile in relazione all’operato posto in essere dalla società appellante e dai singoli proprietari per ciascuno degli immobili, mentre presentasse carattere di scindibilità in relazione ai distinti immobili (in tal modo giustificando una condanna nei confronti di ciascuno dei comproprietari per gli abusi commessi in ciascuno degli immobili e nei confronti dell’impresa di costruzioni per tutti gli abusi commessi).

Pertanto, non può in alcun modo ritenersi – con la società appellante – che nel caso in esame le fosse stato attribuito un titolo di responsabilità oggettiva per fatto altrui. Al contrario – e in modo, per così dire, del tutto ‘fisiologico’ – le era stato attribuito un titolo di responsabilità per fatto proprio colpevole (derivante dal richiamato innalzamento della falda, inteso quale elemento concausale indefettibile per l’inveramento dell’abuso edilizio concretatosi nella realizzazione di sottotetti in concreto destinati – o destinabili – all’uso abitativo).

Conseguentemente (e in piena conformità alla previsione di cui al comma 2 dell’articolo 34 del T.U. edilizia) il Comune di Pinerolo ha correttamente ritenuto di condannare i singoli proprietari e l’impresa di costruzioni in quanto ‘ responsabili dell’abuso ’ – e in solido fra loro – al pagamento della sanzione pecuniaria alternativa a quella di carattere demolitivo/restitutorio di cui al comma 1 del medesimo articolo 34.

Sotto tale aspetto, ci si limita ad osservare che, in assenza di indicazioni testuali o sistematiche in senso contrario, i soggetti tenuti alla corresponsione della sanzione pecuniaria alternativa di cui al richiamato comma 2 devono coincidere con quelli che sarebbero tenuti principaliter all’adozione delle misure di carattere demolitivo/restitutorio di cui al precedente comma 1.

Sotto tale aspetto si osserva:

- che, una volta riconosciuto il concorrente titolo di responsabilità che accomunava l’impresa di costruzioni e i proprietari delle singole porzioni dell’immobile, e una volta riconosciuto che nei confronti di ciascuno di essi gravava l’obbligo principale della rimessione in pristino (comma 1 dell’articolo 34, cit.), del tutto coerentemente doveva ritenersi che in capo ai medesimi soggetti gravasse altresì l’obbligo di corresponsione della sanzione pecuniaria alternativa di cui al comma 2 del medesimo articolo 34;

- che non può essere condivisa la tesi della società appellante la quale sembra postulare una sorta di indebita scissione fra (da un lato) l’obbligo principale della rimessione in pristino di cui comma 1, cit. – che sembrerebbe effettivamente gravare sia sul costruttore che sul proprietario - e (dall’altro) l’obbligo di corresponsione della sanzione pecuniaria alternativa di cui al comma 2, cit. – il quale, nella tesi dell’appellante, sembrerebbe dover gravare sul solo proprietario -. Al contrario, evidenti ragioni di coerenza sistematica e di effettività della sanzione depongono nel senso che, una volta individuata l’impresa di costruzioni quale responsabile dell’abuso in senso proprio, del tutto coerentemente la stessa sia da individuare anche quale destinataria della sanzione pecuniaria alternativa;

- che a conclusioni diverse rispetto a quelle appena delineate non può giungersi neppure in considerazione del fatto che, nel caso in esame, il possesso degli immobili sui quali erano stati realizzati gli abusi fosse medio tempore stato trasferito ai promissari acquirenti. Sotto tale aspetto, non risulta fondata – in primis sotto l’aspetto testuale – la tesi secondo cui tale circostanza sarebbe idonea ad incidere sulla sussistenza dell’obbligo per il costruttore di ottemperare agli obblighi restitutori su di lui gravanti in quanto ‘ responsabile dell’abuso ’. Al riguardo ci si limita ad osservare che la scelta legislativa di estendere i richiamati obblighi restitutori in capo a tutti “ i responsabili del’abuso ” (in tal senso il comma 1 dell’art. 34) palesi una voluntas legis finalizzata ad ampliare in massimo grado il novero dei soggetti tenuti ad ottemperare ai richiamati obblighi e, in via mediata, ad ampliare in massimo grado la possibilità di soddisfare il preminente interesse pubblico al rispetto di tali obblighi. E se quanto appena esposto è vero in relazione al principale obbligo di procedere alla materiale riduzione in pristino dell’abuso, a tanto maggior ragione ciò sarà vero in relazione all’individuazione dei soggetti passivi della sanzione pecuniaria alternativa (per la quale, evidentemente, non sussisterebbero neppure in astratto ragioni di presunta infungibilità nell’individuazione del soggetto passivo). Anche in questo caso – e soprattutto in questo caso - la scelta normativa volta all’ampliamento della platea dei soggetti passivi del rapporto sanzionatorio giustifica in modo pieno il richiamato ‘ parallelismo’ (nel senso che i medesimi soggetti tenuti ad ottemperare all’obbligo restitutorio/ripristinatorio in via principale saranno altresì obbligati a corrispondere la sanzione pecuniaria alternativa).

4.3. Gli argomenti appena esposti (con particolare riguardo alle ragioni per cui la responsabilità della Nuova Si.Gi. sussisteva per un fatto proprio e colpevole e non già a titolo di solidarietà nella responsabilità per fatto altrui) esimono il Collegio dall’esame degli argomenti con cui la stessa società appellante ha tentato di dimostrare: i ) che l’articolo 29 del T.U. Edilizia escluderebbe la responsabilità solidale per le sanzioni amministrative in subiecta materia ; ii ) che nella medesima materia non opererebbero le previsioni di cui agli articoli 5 e 6 della l. 689 del 1981 in tema di concorso di persone nell’illecito amministrativo e di solidarietà in relazione alle conseguenti sanzioni.

Ai limitati fini che qui rilevano si osserva, comunque, che non sussistono ragioni testuali o sistematiche per ritenere la richiamata inapplicabilità, neppure se limitata al solo ambito delle sanzioni di carattere restitutorio o delle sanzioni alle stesse alternative.

Al riguardo il Collegio si limita a richiamare il generale principio di cui all’articolo 12 della l. 689 del 1981 (rubricato ‘ Ambito di applicazione ’) secondo cui “ le disposizioni di questo Capo si osservano, in quanto applicabili, e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista una sanzione amministrativa al pagamento di una somma di denaro (…) ”.

Sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che – per le ragioni dinanzi esposte e contrariamente a quanto ritenuto dalla società appellante – non sussiste nel caso in esame alcuna delle pretese ragioni di inconciliabilità sistematica fra i principi generali in materia sanzionatoria declinati dal Capo I della l. 689, cit. e le previsioni di cui all’articolo 34 del T.U. Edilizia in tema di conseguenze sanzionatorie per il caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire.

4.4. Per le ragioni appena esposte, il primo motivo del ricorso principale proposto dalla società Nuova Si.Gi. non può trovare accoglimento.

5. Per ragioni strettamente connesse a quelle appena richiamate non può neppure trovare accoglimento il primo dei motivi di appello proposti dal signor B (ricorso n. 9260/2012), dinanzi descritto nei suoi tratti essenziali.

Al riguardo ci si limita a precisare:

- che la circostanza secondo cui, al momento dell’anticipata immissione nel possesso, una parte rilevante dell’abuso fosse stata già commessa (si tratta, in particolare, dell’innalzamento della falda del tetto) non esime l’odierno appellante dalla concorrente responsabilità – per fatto proprio – derivante dall’avere apportato a propria volta un contributo concausale determinante alla realizzazione dell’illecito nel suo complesso (in particolare, attraverso la realizzazione di opere interne – tramezzature – idonee ad imprimere una vocazione abitativa al sottotetto);

- che l’intervenuto proscioglimento in sede penale non risultasse – altresì – dirimente ai fini del decidere, non sussistendo i presupposti perché la favorevole sentenza resa in sede penale potesse far stato nel giudizio amministrativo (articolo 654 c.p.p.) e avendo i primi Giudici adeguatamente valutato la complessiva condotta dell’appellante ai fini dell’individuazione in capo a lui di un autonomo profilo di responsabilità nella commissione dell’abuso.

6. Il Collegio ritiene a questo punto di esaminare il motivo di appello incidentale proposto dal Comune di Pinerolo con il quale si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per avere i primi Giudici ritenuto che, in sede di giurisdizione di merito il Giudice adito potesse procedere a rideterminare in via equitativa il quantum della sanzione irrogabile ai sensi del comma 2 dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001.

Gli argomenti a tal fine profusi dal Comune di Pinerolo coincidono – a ben vedere – con analoghi motivi proposti dagli appellanti in via principale, anche se l’articolazione di tali motivi è rivolta evidentemente a finalità opposte (il Comune mirando al ripristino della sanzione nella misura inizialmente fissata e gli appellanti principali a una sua ulteriore riduzione in ritenuta applicazione dei criteri determinativi di cui al comma 2 dell’articolo 34, cit.).

Ad ogni modo, stanti i richiamati, indubitabili aspetti di comunanza fra i ridetti argomenti, il Collegio ritiene che essi siano suscettibili in parte qua di un esame congiunto.

6.1. L’appello incidentale è meritevole di accoglimento.

Al riguardo il Comune di Pinerolo ha condivisibilmente osservato che, pure a voler estendere in massimo grado la latitudine dei poteri cognitivi esercitabili dal Giudice amministrativo nella materia – di giurisdizione estesa al merito – di cui all’articolo 134, comma 1, lettera c) del cod. proc. amm. (in tema di “ sanzioni amministrative pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo ”), non sia comunque possibile ritenere che il Giudice possa incidere sulla determinazione del quantum sanzionatorio facendo applicazione di poteri di tipo equitativo, in quanto non riconosciuti in tale materia da alcuna disposizione normativa.

Si osserva al riguardo che, secondo un condiviso orientamento giurisprudenziale, nell’esercizio del richiamato ambito di giurisdizione è addirittura consentito al Giudice amministrativo di sostituire la sanzione irrogata con una diversa, così come di ricostruire l’ iter logico sotteso alla sanzione irrogata, onde verificarne la legittimità, e dunque supportare con propria motivazione la sanzione già irrogata (Cons. Stato, VI, 9 aprile 2009, n. 2201).

Ma tali penetranti poteri di cognitio e di riedizione dell’ iter logico-valutativo sotteso all’adozione della determinazione sanzionatoria devono pur sempre muoversi nell’ambito del medesimo quadro fattuale e giuridico da cui è scaturita la determinazione sanzionatoria oggetto di impugnativa.

In particolare, nell’esercizio dei ridetti poteri il Giudice amministrativo potrà bensì valutare la congruità delle determinazioni assunte dall’amministrazione alla luce dei generali criteri determinativi di cui all’articolo 11 della l. 689 del 1981 (valutando, in particolare, la gravità della violazione commessa, l’opera svolta dall’agente per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione, nonché la personalità del colpevole e le sue condizioni economiche).

Al contrario, non può in alcun modo ritenersi che il riconoscimento di una giurisdizione estesa al merito rechi con sé la possibilità per il Giudice di individuare elementi determinativi del tutto avulsi dai criteri fissati da puntuali disposizioni di legge.

E il limite in parola è destinato ad operare con tanto maggiore rigore nelle ipotesi in cui – come nel caso di specie – il quantum della sanzione irrogabile non sia da individuare nell’ambito di un range determinativo – compreso fra un minimo e un massimo – ma resti ancorato a rigidi parametri normativi, in quanto tali insuscettibili di valutazioni discrezionali ulteriori e diverse rispetto a quelle inerenti l’apprezzamento delle circostanze in fatto rilevanti (nel caso di specie, il quantum sanzionatorio coincide in modo fisso con il doppio del costo di produzione della porzione abusiva, da determinarsi ai sensi degli articoli 12 e seguenti della l. 392 del 1978).

Sotto tale aspetto non può che osservarsi che la possibilità per il Giudice di rendere un giudizio secondo equità resti limitato ad ipotesi tassativamente individuate dalla legge (in tal senso: primo comma dell’articolo 113 c.p.c. e comma 1 dell’articolo 29 cod. proc. amm.) e che non sussista alcun argomento testuale o sistematico atto a ritenere che la devoluzione di una giurisdizione estesa al merito implichi altresì la possibilità di rideterminare secundum aequitatem la concreta misura della sanzione.

Si osserva, inoltre, che il richiamato limite è destinato ad operare con tanto maggiore rigore nella materia sanzionatoria, in cui opera un principio di stretta legalità (sancito in via generale, nella materia che ne occupa, dall’articolo 1 della l. 689 del 1981): un principio – cioè - che risulta in via di principio inconciliabile con la possibilità stessa di rendere un giudizio secondo equità.

6.2. In base a quanto esposto la sentenza in epigrafe deve essere riformata per la parte in cui i primi Giudici hanno ritenuto possibile operare una riduzione in via equitativa e forfetaria del quantum della sanzione irrogata dal Comune di Pinerolo in una misura disancorata dai criteri determinativi fissati in modo rigido dalla disposizione in concreto applicabile (il comma 2 dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001).

Pertanto, in riforma della sentenza appellata, la misura del quantum sanzionatorio dovrà essere determinata in puntuale applicazione delle pertinenti disposizioni di legge.

Nel prosieguo della presente decisione verranno quindi esaminate le tesi esposte al riguardo:

- dal Comune di Pinerolo (il quale ritiene che, in riforma della sentenza in epigrafe, debba essere ripristinata la misura della sanzione inizialmente irrogata dallo stesso Comune in quanto puntualmente conforme al pertinente paradigma normativo) e

- dagli appellanti (i quali ritengono invece che, in riforma della medesima sentenza, debba essere disposta un’ulteriore riduzione del quantum sanzionatorio, dovendosi ritenere eccessiva rispetto al parametro normativo di riferimento sia la misura determinata dal Comune, sia quella determinata dai primi Giudici).

7. A questo punto occorre esaminare i motivi di appello (meglio descritti in precedenza) con cui gli appellanti principali hanno chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno omesso di censurare in toto la determinazione del quantum sanzionatorio operata dal Comune di Pinerolo in sede di adozione dei provvedimenti sanzionatori impugnati in primo grado.

7.1. I motivi in questione non possono trovare accoglimento.

Come si è anticipato in precedenza, la parte principale dei motivi in questione (invero fondati su argomenti similari – salvo quanto si dirà nel prosieguo -) mira a contestare la determinazione del costo di produzione delle porzioni abusive dei sottotetti per cui è causa ai sensi degli articoli 12 e seguenti della l. 392 del 1978 (e la determinazione di tale costo risulta necessaria ai fini determinativi, stante la previsione di cui al più volte richiamato comma 2 dell’articolo 34, d.P.R. 380 del 2001, secondo cui “ quando la demolizione [dell’intervento realizzato in parziale difformità dal titolo rilasciato] non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale ”).

Come è noto, ai sensi degli articoli 12 e seguenti della l. 392 del 1978, il valore locativo (che, nell’ambito del sub-sistema di cui al d.P.R. 380 del 2001 viene declinato come ‘ costo di produzione ’) viene determinato dal prodotto fra a ) la superficie convenzionale dell’immobile e b ) il costo unitario di produzione.

Ai fini che qui rilevano giova osservare che le parti in causa non hanno contestato la determinazione operata dal Comune in ordine al costo unitario di produzione (che è pari al costo base moltiplicato per i coefficienti correttivi di cui all’articolo 15 della l. 392 del 1978, sì da ottenere un valore unitario attualizzato pari ad euro 917,05).

Al contrario, come si è già anticipato, le posizioni nella presente sede espresse divergono nettamente per ciò che riguarda la determinazione della superficie convenzionale.

In particolare, le parti appellanti hanno lamentato – sia pure, con alcune difformità nelle rispettive prospettazioni – che il Comune di Pinerolo avrebbe erroneamente operato l’abbattimento unitario nel computo delle porzioni dei sottotetti in questione in concreto prive dei requisiti aeroilluminanti, le quali, quindi – nella tesi delle stesse parti appellanti –, non potevano essere computate in misura intera quali superfici a destinazione abitativa.

Sotto tale aspetto, le appellanti hanno lamentato:

- che in modo del tutto illegittimo (e in parte incomprensibile) il Comune abbia operato una riduzione di appena il 25 della superficie priva dei requisiti di aeroilluminazione (computandone la superficie convenzionale nella misura del 75 per cento);

- mentre invece, laddove il Comune avesse correttamente operato, avrebbe dovuto assimilare le porzioni dei sottotetti prive dei requisiti in questione ai ‘ locali accessori ’ di cui all’articolo 13, primo comma, lettera d) della l. 392, cit., in tal modo computandone la superficie convenzionale nella sola misura del 25 per cento.

7.2. Il motivo nel suo complesso non può essere condiviso.

In effetti, non risulta del tutto chiara al Collegio la ragione per cui il Comune di Pinerolo abbia ritenuto (e con scelta di ingiustificato favor nei confronti delle parti appellanti) di operare in loro vantaggio una riduzione pari al 25 della superficie convenzionale delle porzioni dei sottotetti prive dei prescritti requisiti di aeroilluminazione, pure in assenza di una disposizione di legge che legittimasse una siffatta riduzione.

Quel che è certo, comunque, è che non risulta in alcun modo fondata la tesi delle parti appellanti (richiamata, peraltro, alle pagine 41 e 42 della sentenza appellata) volta a veder riconoscere una indifferenziata assimilazione, ai fini che qui rilevano, fra (da un lato) le porzioni di sottotetto prive dei requisiti aeroilluminanti e (dall’altro) le superfici del tutto prive di alcuna destinazione abitativa quali quelle di cui alla richiamata lettera d) del primo comma dell’articolo 13, l. 392, cit. (il quale fa riferimento “ [alla] superficie di balconi, terrazze, cantine ed altri accessori simili ”).

La pretesa in tal modo vantata non rinviene alcun conforto né dal punto di vista testuale, né dal punto di vista teleologico, né – infine - dal punto di vista della complessiva ratio legis .

Sotto l’aspetto testuale, ci si limita qui ad osservare che la disposizione da ultimo richiamata sembra riferirsi unicamente a porzioni di unità immobiliare strutturalmente prive di una stabile destinazione abitativa, mentre la stessa non sembra agevolmente riferibile al diverso caso – che qui viene in rilievo – di porzioni di unità immobiliare le quali siano bensì funzionalmente destinate all’uso abitativo (a tal fine si rimanda alle risultanze – invero inequivoche – scaturenti dai verbali di accertamento degli abusi, in atti), ma che risultino in concreto prive di un qualche requisito di legge al fine di poter esprimere in modo pieno e pacifico la richiamata vocazione abitativa.

Sotto l’aspetto teleologico e della complessiva ratio legis si osserva, poi, che la giurisprudenza di questo Consiglio formatasi sulla questione dell’attitudine abitativa dei sottotetti si è attestata negli anni più recenti su un atteggiamento di carattere marcatamente sostanzialista (un atteggiamento al quale, nella presente sede, si ritiene di prestare puntuale adesione).

In particolare, pur riconoscendosi il dovuto rilievo al dato relativo al rispetto dei prescritti requisiti aeroilluminanti, si è ritenuto che il giudizio finale in ordine alla sussistenza della vocazione abitativa o meno di tali particolari porzioni immobiliari debba essere reso sulla base dell’esame di particolari – e significativi – indici rivelatori e, in definitiva, di tutte le circostanze fattuali rilevanti (sul punto – ex plurimis -: Cons. Stato, VI, 30 maggio 2014, n. 2825).

Si è condivisibilmente osservato al riguardo che, al fine di stabilire se un locale presenti o meno il requisito dell’abitabilità, è necessario effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche atta a verificare se il locale in questione possa o meno essere considerato ambiente idoneo allo svolgimento della vita domestica;
quando per le sue caratteristiche complessive il locale si appalesi idoneo ad assolvere a tale funzione, si deve giungere alla conclusione che esso sostenga carico urbanistico (sul punto, cfr. – ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2011, n. 812).

Secondo il richiamato orientamento, può ritenersi che possa costituire indice rivelatore dell'intenzione di rendere abitabile in via permanente un locale sottotetto il fatto che questo risulti suddiviso in vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna o che il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, costituisca in realtà una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Cons. Stato, sent. 812 del 2011, cit.).

La giurisprudenza di questo Consiglio ha inoltre escluso che la carenza dei requisiti aeroilluminanti costituisca ex se una circostanza tale da escludere in radice – e ai fini che qui rilevano - il requisito dell’abitabilità (in tal modo degradando talune superfici - sotto ogni aspetto dotate di vocazione abitativa, ma in concreto parzialmente prive di tali requisiti – al mero rango di ‘ volumi tecnici ’ o di ‘ locali accessori ’). Si è anzi osservato che, laddove si optasse per un siffatto automatismo, si finirebbe per favorire comportamenti opportunistici volti – ad esempio - a far venir meno i richiamati requisiti attraverso interventi ed opere del tutto reversibili, il cui unico scopo sia quello di negare nei confronti della sola amministrazione pubblica la sussistenza di una vocazione abitativa sotto ogni altro aspetto presente e palese (Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2011, n. 812).

Ebbene, impostati in tal modo i termini generali della questione, ne emerge l’infondatezza dei motivi di appello dinanzi richiamati in quanto dal complesso della documentazione in atti emerge – al di là di ogni ragionevole dubbio – la concreta destinazione dei sottotetti in questione a scopi puramente abitativi e la realizzazione di opere ed interventi destinati in modo inequivoco a conseguire e rendere stabile tale destinazione (scale di collegamento interne, tramezzature finalizzate alla suddivisione dei locali, realizzazione di finiture, impianti, servizi igienici, etc.).

Pertanto, all’esito della complessiva ponderazione richiesta dalla richiamata giurisprudenza di questo Consiglio – e pure a voler valutare in modo adeguato la circostanza relativa alla carenza dei più volte richiamati requisiti aeroilluminanti –, si ritiene che elementi pressoché univoci e in larghissima misura concordanti depongano nel senso dell’effettiva sussistenza della richiamata destinazione abitativa.

Ne consegue che risulta nel complesso giustificato (al di là del richiamato – quanto benevolo - abbattimento nella misura del 25 per cento della superficie oggetto di computo) l’operato dal Comune di Pinerolo, il quale:

a) ha dapprima determinato, sulla base di misurazioni effettuate in loco, la superficie effettiva totale dei singoli sottotetti;

b) ha poi operato il richiamato abbattimento nella misura del 25 per cento (e si osserva ancora una volta che è l’abbattimento in questione a non rinvenire alcuna apparente giustificazione fattuale o giuridica, sì da palesarsi quale pura e semplice misura di favor nei confronti dei responsabili degli abusi);

c) ha, quindi, individuato la superficie totale di ciascun immobile al netto dell’abbattimento (pari al 30 per cento) delle superfici dei vani con altezza utile inferiore a mt. 1,70 (secondo comma dell’articolo 13 della l. 392, cit.);

d) ha, infine, fissato la superficie convenzionale finale, determinata sottraendo l’ammontare dinanzi richiamato sub b) a quello richiamato sub c).

7.3. Per le ragioni sin qui esposte, non possono trovare accoglimento i motivi degli appelli principali con cui si è lamentato – sotto svariati profili – che i primi Giudici non avrebbero adeguatamente considerato la violazione, da parte del Comune di Pinerolo, dal comma 2 dell’articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001 in relazione agli articoli 12 e seguenti della l. 392 del 1978.

8. Per ragioni in larga parte coincidenti con quelle appena esposte, neppure può trovare accoglimento il motivo di appello con cui il signor C (ricorso n. 240/2013) ha lamentato la mancata valutazione – da parte del Comune di Pinerolo prima e del T.A.R. poi – delle peculiarità della propria posizione, in considerazione dei limitatissimi interventi operati sul sottotetto e del fatto che esso non risultasse stabilmente collegato con l’appartamento sottostante.

Al riguardo ci si limita ad osservare:

- che il minor grado di concreta fruibilità del sottotetto o il carattere meno agevole del relativo accesso (comunque, pacificamente realizzato e utilizzabile) non rappresenti ex se circostanza dirimente al fine di escludere la ravvisata vocazione abitativa (in specie laddove – come nel caso in esame – prevalenti e univoci elementi depongano in senso affatto contrario);

- che lo stesso signor C ha ammesso la realizzazione delle tramezzature divisorie atte a frazionare internamente la superficie del sottotetto e che (nell’ambito del richiamato giudizio di ponderazione del complesso degli elementi rilevanti) le opere in questione, al di là di ogni ragionevole dubbio, appaiono effettivamente finalizzate ad imprimere una vocazione abitativa al sottotetto;

- che, in ogni caso, lo stesso appellante risulterebbe comunque solidalmente responsabile per la condotta abusiva realizzata dall’impresa di costruzioni, stante la previsione – applicabile alla vicenda di causa per le ragioni dinanzi esposte – di cui al primo comma dell’articolo 6, l. 689 del 1981 (secondo cui “ il proprietario della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione (…) è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta se non prova che la cosa è stata utilizzata contro la sua volontà ”);

9. Per le ragioni sin qui esposte, i ricorsi in epigrafe, previa riunione, devono essere respinti in quanto infondati.

Deve, invece, essere accolto l’appello incidentale proposto dal Comune di Pinerolo nell’ambito del ricorso n. 8572/2012 e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere disposta l’integrale reiezione del ricorso di primo grado, con conseguente ripristino della sanzione pecuniaria nella misura inizialmente disposta e con esclusione di qualunque riduzione.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. Esse devono essere poste a carico dei ricorrenti in primo grado – odierni appellanti principali -, in base al generale principio della soccombenza di cui al comma 1 dell’articolo 26 cod. proc. amm. (e di cui al primo comma dell’articolo 91, c.p.c.).

Per la medesima ragione (e per il complesso di ragioni su cui si fonda la reiezione degli appelli principali e l’accoglimento dell’appello incidentale proposto del Comune di Pinerolo) devono essere respinti i motivi di appello con cui gli appellanti principali hanno chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha disposto l’integrale compensazione delle spese fra le parti.

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