Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-03-02, n. 202001513

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-03-02, n. 202001513
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001513
Data del deposito : 2 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/03/2020

N. 01513/2020REG.PROV.COLL.

N. 06015/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 6015 del 2012 proposto dall’-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'-OMISSIS- R G e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Ippocrate n. 92;

contro

il Consiglio superiore della magistratura, il Ministero della giustizia, la Corte d’appello di L'Aquila in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, n. -OMISSIS-, resa tra le parti e concernente decadenza dall'incarico di -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio superiore della magistratura, del Ministero della giustizia e della Corte d’appello di L'Aquila;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il Cons. Giancarlo Luttazi e uditi per le parti l’-OMISSIS- R G e l’-OMISSIS- dello Stato Gaetana Natale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto d’appello recante istanza cautelare e richiesta risarcitoria, notificato presso l’Avvocatura generale dello Stato al Consiglio superiore della magistratura (in seguito anche C.S.M.), al Ministero della giustizia, alla Corte d’appello di l'Aquila in data -OMISSIS-, l’-OMISSIS- -OMISSIS- ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, -OMISSIS-la quale ha respinto, con condanna alle spese, il ricorso n. -OMISSIS-, proposto dall’attuale appellante per l’annullamento del decreto del Ministero della giustizia in data 2 maggio 2011, con cui le è stata irrogata la sanzione della decadenza dall'incarico di -OMISSIS- nella sede di -OMISSIS-;
nonché per l’annullamento dei seguenti atti connessi e/o presupposti:

a) la deliberazione del Consiglio superiore della magistratura adottata nella seduta del -OMISSIS-, con la quale è stata disposta la decadenza della ricorrente dall'incarico di -OMISSIS- nella sede di -OMISSIS-;

b) la comunicazione del C.S.M. inviata al Presidente della Corte d’appello di -OMISSIS-ed al Presidente del Tribunale di -OMISSIS- in data 11 aprile 2011, nella parte concernente la decadenza della ricorrente dall'incarico di -OMISSIS- nella sede di -OMISSIS-;

c) la proposta del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di L'Aquila, in composizione integrata, in data -OMISSIS-, concernente l'applicazione, nei confronti della ricorrente, della sanzione della censura;

d) il verbale del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di L'Aquila in data -OMISSIS-, laddove è stato disposto l'intervento spontaneo del Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di -OMISSIS-;

e) ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, tra cui l'atto di contestazione di addebito emanato dal Presidente della Corte d’appello di L'Aquila il -OMISSIS-.

Gli atti impugnati hanno avuto ad oggetto il procedimento promosso nei confronti dell’appellante ai sensi dell'art. 9 della legge 21 novembre1991, n. 374, e successive modificazioni, a seguito di segnalazione di svolgimento nel medesimo circondario delle funzioni di -OMISSIS- e della professione forense.

L’appello indirizza alla sentenza appellata le seguenti contestazioni.

I - Il giudice di primo grado è innanzitutto incorso in un macroscopico equivoco che inficia in radice la sua decisione: ha erroneamente ritenuto che la decadenza disposta dai provvedimenti impugnati fosse una sanzione disciplinare per violazione di un divieto assoluto posto dall'art. 8 comma 1- ter della citata legge n. 374/1991.

II - Le situazioni d’incompatibilità che danno luogo alla decadenza dall'ufficio di -OMISSIS- sono previste dall'art. 8, commi l- bis e l- ter , della legge n. 374/1991;
e ai sensi di quelle disposizioni se il patrocinio – come nel caso dell’appellante - è stato svolto in un circondario diverso da quello di appartenenza ed ha riguardato solo poche controversie non vi è l'incompatibilità in questione;
anche perché nel caso dell’appellante la situazione di incompatibilità (già di per sé insussistente) risultava di fatto rimossa non essendovi cause pendenti in cui l’appellante esercitasse funzioni di patrocinio.

III - Ulteriore profilo di illegittimità di detti provvedimenti - del quale il Tribunale non ha tenuto conto alcuno - è che essi non hanno considerato tutti i pareri che si sono espressi nel senso della insussistenza della contestata incompatibilità, né tantomeno hanno esposto le ragioni per cui si è deliberato in senso contrario a tali pareri.

IV - Numerosi e gravi vizi hanno caratterizzato anche il procedimento attraverso il quale l'Amministrazione è pervenuta a dichiarare la decadenza della ricorrente.

Il Consiglio superiore della magistratura, il Ministero della giustizia, la Corte d’appello di l'Aquila hanno depositato unico atto formale di costituzione in data 21 agosto 2012.

Con ordinanza n. -OMISSIS-l’istanza cautelare è stata respinta.

In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 10 agosto 2017 parte appellante ha depositato, in data 24 novembre 2017, domanda di fissazione di udienza.

Il Ministero della giustizia ha depositato una memoria in data 23 dicembre 2019.

L’appellante ha depositato memoria in data 27 dicembre 2019 e una memoria, definita di replica, in data 7 gennaio 2020.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 28 gennaio 2020.

DIRITTO

La memoria depositata dall’appellante il 7 gennaio 2020 e definita “di replica” non può invece definirsi tale perché non segue a deposito di controparte ma a memoria della medesima appellante in data 27 dicembre 2019. Quella memoria depositata il 7 gennaio 2020 non viene dunque considerata, perché il deposito è stato effettuato oltre il termine 20 giorni liberi anteriori all'udienza di cui all'art. 73, comma 1, del codice del processo amministrativo.

Nel merito nessuno dei motivi d’appello è fondato.

1.- Diversamente da quanto asserito nel primo motivo il contestato procedimento si riferisce, così come rilevato dal T, ad una sanzione disciplinare relativa all’illecito, espressamente indicato nella contestata deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, di “ violazione del divieto attinente l'incompatibilità per esercizio della professione forense ”, tale da comportare, come espressamente affermato dal C.S.M., la “ declaratoria di decadenza del -OMISSIS-, secondo quanto previsto dall'art. 9 della legge 21 novembre 1991, n. 374 e successive modificazioni ”.

L’utilizzo da parte del provvedimento consiliare del termine “decadenza” induce l’appellante ad affermarne la natura di atto tipico, riferibile esclusivamente ad ipotesi di incompatibilità non ad ipotesi disciplinari, e quindi tale da precludere al primo giudice di “ reinterpretare ” i fatti e gli istituti giuridici così da attribuire ad un provvedimento tipico quale la decadenza (ritenuto privo di natura sanzionatoria) la valenza giuridica di un diverso provvedimento tipico quale la revoca (avente invece natura sanzionatoria).

In proposito si osserva che se la revoca è in effetti indicata come sanzione disciplinare, la più grave per un -OMISSIS- (art. 9, comma 3, della citata legge n. 374/1991, vigente alla data del contestato procedimento: “ Nei confronti del -OMISSIS- possono essere disposti l'ammonimento, la censura, o, nei casi più gravi, la revoca se non è in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di comportamento negligente o scorretto ”), per altro verso la decadenza quale indicata nella citata e allora vigente legge n. 374/1991 risulta avere connotazione più ampia, per effetto di una tecnica legislativa non puntualissima ma che comunque consentiva di percepire che l’utilizzazione nel contestato provvedimento disciplinare del termine “decadenza” indicava comunque una sanzione espulsiva prevista dalla legge.

Il comma 1 del citato art. 9 della legge n. 374/1991 prevedeva tra l’altro: “ Il -OMISSIS- decade dall'ufficio quando viene meno taluno dei requisiti necessari per essere ammesso alle funzioni di -OMISSIS- […]”;
e il precedente art. 5 (“ Requisiti per la nomina ”) indicava al comma 3, oltre ai requisiti specificamente elencati nei precedenti commi 1 e 2, anche quello di natura più generale, e con connotazione anche etica e deontologica, consistente nell’essere persona capace “ di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario ”.

Ciò premesso, nell’impugnato provvedimento del Consiglio superiore della magistratura è dato di evincere che relativamente all’appellante si è riscontrato, oltre che l’assenza della compatibilità (art. 8, comma 1- bis , della legge n. 374/1991: “ Gli avvocati non possono esercitare le funzioni di -OMISSIS- nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense ovvero nel quale esercitano la professione forense […]”), anche il venir meno, con rilievo disciplinare, del suddetto requisito di cui all’art. 9, comma 3, della legge n. 374/1991.

L’avere il C.S.M. ha ravvisato rilievo disciplinare negli accadimenti d’interesse viene adeguatamente evidenziato nella delibera C.S.M. del -OMISSIS-, la quale:

- ravvisa gli addebiti ascritti (“ In punto di fatto non si può che rilevare la sussistenza dei fatti ascritti […]”);

- rileva che l’appellante esercitava “ la professione forense nel medesimo circondario del Tribunale di -OMISSIS- come procuratore costituito in numerosi procedimenti civili ”;

- rileva che la medesima appellante tuttora svolgeva “ anche l'attività di -OMISSIS- dinanzi al Tribunale di -OMISSIS-, nonostante lo specifico obbligo contrario assunto ”;

- rileva che vi era segnalazione del Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di -OMISSIS- secondo la quale l’appellante “ non rispettava sistematicamente l'orario di inizio delle udienze e, nella conduzione delle stesse, peraltro svolte in un clima di tensione e di palese ostilità nei confronti degli avvocati del foro di -OMISSIS-, limitava fortemente i diritti di difesa impedendo agli avvocati la formulazione delle domande ”;

- rileva che il Consiglio giudiziario, nel disporre la trasmissione di copia degli atti al Presidente della Corte d’appello per quanto di competenza ai sensi dell'art. 17 del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 198, proponeva l'applicazione di sanzione disciplinare di media afflittività (la censura: v. il citato art. 9, comma 3, della legge n. 374/1991);

- qualifica espressamente l’appellante come “ incolpata ”, qualificazione propria di chi subisce un procedimento disciplinare;

- qualifica espressamente come “ capo di incolpazione ” l’addebito all’appellante;

- addebita espressamente a quest’ultima la “ violazione del divieto attinente l'incompatibilità ”;
non limitandosi quindi a dare atto di una semplice “situazione di incompatibilità”.

Il “divieto” di esercizio professionale incompatibile, anziché la “situazione comportante incompatibilità” prospettata dall’appellante è espressamente affermato, con riferimento alla prescrizione di cui al citato art. 8, comma 1- bis , della legge n. 374/1991, nella stessa circolare, richiamata dall’appellante e dalla sentenza appellata, e relativa “ alle incompatibilità, trasferimenti, decadenza, dispensa e sanzioni disciplinari dei giudici di pace ”.

Lo stesso termine “divieto” è altresì utilizzato espressamente dal successivo comma 1- ter del medesimo art. 8 con riferimento alla speculare fattispecie degli “ associati di studio, al coniuge, ai conviventi, ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado ” degli avvocati giudici di pace che svolgano la funzione forense dinanzi all’ufficio del -OMISSIS- al quale appartengono.

Invero la fattispecie prevista dal citato comma 1- ter (avvocati giudici di pace che svolgano la funzione forense dinanzi all’ufficio del -OMISSIS- al quale appartengono) non coincide con quella, concernente la fattispecie oggetto del presente contenzioso, di cui al precedente art. 1- bis (avvocati giudici di pace che svolgano la funzione forense nel circondario del tribunale in cui è compreso l’ufficio del -OMISSIS- al quale appartengono). Ma il raffronto fra i due successivi citati commi, che di seguito si riportano testualmente, porta a ritenere che, pur nella non coincidenza delle fattispecie e del testo, il legislatore abbia comunque inteso prevedere in entrambi i casi un divieto e non una semplice situazione di incompatibilità:

- art. 8, comma 1- bis , della legge n. 374/1991: “1- bis . Gli avvocati non possono esercitare le funzioni di -OMISSIS- nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense ovvero nel quale esercitano la professione forense i loro associati di studio, il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado ”;

- art. 8, comma 1- ter, della legge n. 374/1991: “ 1-ter. Gli avvocati che svolgono le funzioni di -OMISSIS- non possono esercitare la funzione forense dinanzi all'ufficio del -OMISSIS- al quale appartengono e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti svolti dinanzi al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio. Il divieto si applica anche agli associati di studio, al coniuge, ai conviventi, ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado ”.

La stessa appellante, del resto, usa il termine “divieto” (seppure con riferimento all’incompatibilità) per indicare la preclusione all’esercizio della funzione forense nel circondario del tribunale ove esercitava le funzioni di -OMISSIS-.

Pertanto, essendo connessi divieto e sanzione, e in base alle prospettazioni della impugnata deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, va condivisa la sentenza appellata laddove essa, disattendendo il ricorso di primo grado, ha ritenuto che la decadenza disposta dai provvedimenti impugnati avesse natura di sanzione disciplinare (sulla configurabilità del provvedimento ministeriale di decadenza come espressione di potere sanzionatorio si veda Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2018, n. 3584).

Altresì, lo stesso pronunciamento del Consiglio giudiziario di L’Aquila, pure invocato dall’appellante in questo grado e nel primo grado di giudizio, dà connotazione disciplinare al comportamento dell’appellante di cui si discute (v. infra il capo 1.3 della presente sentenza).

1.2 - L’appellante afferma altresì che il “divieto” in argomento non è un’assoluta proibizione di patrocinio nel circondario, bensì il divieto di svolgervi stabilmente e continuativamente la professione legale. Ciò si desumerebbe innanzitutto dal tenore letterale delle disposizioni di riferimento.

Ma una simile interpretazione appare da escludere, poiché “ l’esercizio della professione ” indicato nelle suddette disposizioni non coincide con il suo svolgimento “ stabile e continuativo ”, ben potendo la professione di -OMISSIS- essere esercitata senza stabilità e continuità e comunque comportare criticità anche gravi con il contestuale esercizio in loco della funzione di -OMISSIS-. Né risulta che questo esercizio stabile e continuativo sia richiesto come necessario presupposto, per determinare incompatibilità, dalle circolari pure invocate nell’appello.

L’appellante espone che nel circondario di -OMISSIS- essa ha iscritto a ruolo solo diciannove cause nell'arco dei nove anni presi in considerazione (dal 2002 al 2010 e nessuna negli anni 2009 e 2010);
e di queste solo sei dopo la nomina a -OMISSIS-, avvenuta nel febbraio 2007;
e che oltretutto quattro di queste cause concernevano decreti ingiuntivi emessi inaudita altera parte e riguardanti lo stesso unico cliente;
decreti ingiuntivi dei quali – precisa l’appellante - uno solo è stato opposto da un -OMISSIS- di altro distretto ed il cui procedimento si è presto definito, mentre “le altre due cause ” erano controversie transatte sempre con parti ed avvocati di altri fori. Ma questi dati fattuali non escludono l’esercizio della professione nel periodo di riferimento, e incidono comunque in modo non positivo sui requisiti di indipendenza, equilibrio e prestigio che si è detto essere espressamente imposti, a pena di decadenza, dall’art. 9, comma 1, e dall’art. 5, comma 3, della legge n. 374/1991.

Può aggiungersi in proposito che la stessa deliberazione del Consiglio giudiziario di L’Aquila, in cui viene escluso (ai fini non disciplinari ma di compatibilità: v. infra il capo 1.3 che segue) che vi sia stato esercizio “stabile e continuativo” della professione nel circondario di -OMISSIS-, ravvisa comunque in proposito illecito disciplinare (v. infra il suddetto capo 1.3 che ora segue).

1.3 - II T, altresì, non avrebbe tenuto conto dell’illegittimità che sarebbe derivata ai provvedimenti impugnati per non avere essi considerato tutti i pareri che nel procedimento in contestazione sono stati espressi nel senso della insussistenza della contestata incompatibilità, e per non aver motivato sulle ragioni per le quali si è deliberato in senso contrario a quei favorevoli pareri.

In proposito l’appello rileva che l’assenza d’incompatibilità prevista dall'art. 8, comma 1- bis , della legge n. 374/1991 era stata affermata dal parere del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Larino, dall'Unione nazionale giudici di pace (che, aggiunge l’appellante, aveva anche contestato le anomale modalità con cui era stata svolta l'istruttoria), e dallo stesso Consiglio giudiziario, il quale (benché, precisa l’appellante, avesse “ illegittimamente deviato dal procedimento instaurato per la decadenza ”) aveva chiaramente escluso che la ricorrente fosse incorsa nella situazione di incompatibilità che qui ne occupa.

Si osserva in proposito che nel ricorso di primo grado non risultano esser stati prospettati al T quei pronunciamenti favorevoli da parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Larino e dall'Unione nazionale giudici di pace, sicché il presente addebito d’appello risulta, per questa parte, infondato in fatto.

Quanto al pronunciamento del Consiglio giudiziario (la deliberazione del Consiglio giudiziario di L’Aquila del -OMISSIS-, facente parte del procedimento sfociato poi nel finale pronunciamento di decadenza dell’appellante) esso risulta considerato;
e disatteso, quanto al profilo disciplinare, con adeguata motivazione sia dalla impugnata delibera del C.S.M. del -OMISSIS- sia dalla sentenza appellata, che ha parimenti considerato il pronunciamento sul punto da parte della suddetta delibera del C.S.M..

Infatti:

- la deliberazione del Consiglio giudiziario di L’Aquila il -OMISSIS-, pur escludendo l’incompatibilità dell’appellante, in considerazione della assenza del requisito dell’esercizio dell’attività forense in modo “stabile e continuativo” nel circondario, ai sensi del citato art. 8, comma 1- bis , della legge n. 374/1991, ha tuttavia ravvisato nel comportamento dell’appellante un illecito disciplinare (“ 8.- […] ritiene tuttavia questo Consiglio giudiziario. in sintonia con i principi affermati dai Giudici amministrativi in subiecta materia (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 maggio 2009 n. 3357), che, una volta esclusa la fondatezza dell'originaria contestazione per il profilo della causa d'incompatibilità, si possa comunque tenere conto sul piano disciplinare della condotta accertata di minore gravità (esercizio non sistematico e saltuario della professione di -OMISSIS- nello stesso circondario dove viene svolta la funzione di -OMISSIS-), nei termini indicati dall'art. 9, comma 3 L. n. 374/1991, che prevede le sanzioni da irrogare "in caso di comportamento negligente o scorretto". E ciò, perché "non può ragionevolmente ammettersi che una condotta anche gravemente scorretta debba essere esente da una adeguata misura sanzionatoria, nonostante la formulazione ampia e comprensiva della norma dettata in proposito''. […] 9.- Ritiene, in definitiva, il Consiglio giudiziario che, essendo l’Avv. -OMISSIS- venuta meno al preciso e specifico impegno di non svolgere l'attività di Avvocato nel circondario in cui è stata trasferita come -OMISSIS-, tale condotta costituisca un "comportamento scorretto" meritevole di sanzione disciplinare, che, avuto riguardo al numero non elevato delle cause trattate, può individuarsi nella censura", di cui propone, all'unanimità, l'applicazione .”), proponendo dunque al C.S.M. , per l’attività professionale espletata dalla ricorrente nel circondario, la sanzione della censura;

- l’impugnata deliberazione del C.S.M. del -OMISSIS- ha considerato e valutato la proposta del Consiglio giudiziario, disattendendola però in parte (“ La proposta del Consiglio giudiziario è parzialmente condivisibile ”);
ed ha ampiamente motivato sull’esercizio professionale da parte della ricorrente nel circondario di -OMISSIS-, esponendo diffusamente le ragioni per cui attribuiva a quell’esercizio professionale connotazione e rilievo tali da indurre alla decadenza, sottolineando il profilo anche disciplinare di quell’esercizio professionale (v. sopra il capo 1.1 della presente sentenza);

- la sentenza appellata ha tenuto conto e valutato sia le suddette prospettazioni del Consiglio giudiziario di L’Aquila, respingendole (v. la pagina 15 della sentenza appellata);
sia le valutazioni di più grave addebito disciplinare espresse, in parziale dissenso da quanto ritenuto dal Consiglio giudiziario, da parte del C.S.M.,;
e il T ha condiviso le argomentazioni dell’organo di autogoverno (dalla sentenza appellata, sempre alla suddetta pagina 15: “ In ragione degli addebiti formulati […] , nella valenza disciplinare agli stessi correttamente attribuita […] . Né, a diversamente ritenere, può valere il richiamo di parte ricorrente alla proposta formulata dal competente Consiglio giudiziario (irrogazione della più tenue sanzione della censura) […]”).

1.4 - Da ultimo l’appello rileva vizi del contestato procedimento relativamente alla partecipazione della ricorrente a quest’ultimo.

L’appellante afferma in primo luogo che, come ha lamentato nella sua prima memoria difensiva, non ha potuto prendere visione degli atti a fondamento delle contestazioni, che pure erano menzionati nella nota che ha dato avvio al procedimento. E aggiunge che la violazione più rilevante dei diritti di partecipazione e difesa della ricorrente si è verificata allorché il Consiglio giudiziario, a sua insaputa ed irritualmente, ha consentito al Presidente dell'Ordine degli avvocati di -OMISSIS- di presentarsi spontaneamente alla seduta del Consiglio del -OMISSIS- nella quale è stata formulata la proposta per il Consiglio superiore della magistratura, e di denigrare la professionalità della ricorrente senza che quest'ultima potesse smentire o controdedurre, con affermazioni in fatto che l’appello afferma non veritiere e tuttavia tali da influenzare la finale pronuncia di decadenza.

L’appello afferma poi una macroscopica contraddittorietà nel ragionamento del Consiglio giudiziario, per aver ritenuto le medesime prestazioni professionali dell’appellante per un verso non suscettibili di determinare incompatibilità e per altro verso rilevanti sotto il profilo disciplinare.

Il Consiglio giudiziario avrebbe anche errato nel richiamare la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 3357/2009, riferendosi quest’ultima a fattispecie diversa da quella dell’appellante.

Altresì, relativamente alla suddetta audizione del Presidente dell’Ordine degli avvocati di -OMISSIS-, la ricorrente avrebbe subito violazione del diritto di difesa perché avrebbe ricevuto con notevole ritardo gli atti relativi e la sua domanda di audizione in proposito non è stata accolta.

Tutti i rilievi esposti sono già stati oggetto di esame nella sentenza appellata, che però non è ora specificamente contestata sul punto, riproducendo il presente capo d’appello, senza aggiunte, censure già esposte in primo grado e disattese dal T.

I presenti rilievi, meramente riformulati, risultano dunque inammissibili in questa sede.

1.5 - Il rigetto di tutte le censure dell’appello comporta il rigetto della domanda risarcitoria, già respinta in primo grado e riformulata in questa sede.

2.- Il gravame va dunque respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

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