Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-01-22, n. 201400318
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N. 00318/2014REG.PROV.COLL.
N. 10929/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10929 del 2003, proposto da:
C S s.a.s., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, e dal sig. S C in proprio, rappresentati e difesi dagli avvocati L V e R D, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Asiago, n. 8;
contro
Comune di Diano Marina, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati M B e M M, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via Marianna Dionigi, n. 29;
Ministero dell'interno, in persona del Ministro
pro tempore
, e Ufficio territoriale del Governo di Imperia, in persona del Prefetto
pro tempore
, entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Liguria, Sezione II, n. 908 del 1 agosto 2003
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Diano Marina, nonché del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Imperia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati L V, Ernesto Aliberti su delega dell'avvocato M B, e l'avvocato dello Stato Agnese Soldani;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con ordinanza del Sindaco di Diano Marina n. 207 del 12 dicembre 1998 è stata disposta la sospensione a tempo indeterminato di ogni attività all’interno del locale “Pick Up” sito in Diano Marina, via S. Elmo 1.
1.1. A seguito di annullamento di detta ordinanza da parte del T.A.R. Liguria - con sentenza n. 378 del 12 aprile 2000 (per l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento) - il sig. S C, in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della “S C” s.a.s., ha nuovamente adito detto T.a.r. deducendo di essere proprietario dell’immobile in cui la Società aveva svolto in qualità di affittuaria dal 1989 attività di sala da ballo e bar (che era stata interrotta dalla menzionata ordinanza sindacale poi annullata), e chiedendo il risarcimento dei gravissimi danni economici aziendali, all’immagine professionale ed alla salute subiti a causa di detta interruzione.
1.2. Il citato T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, rilevata l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva nella parte in cui esso era volto avverso il Ministero dell’Interno, lo ha respinto perché:
a) il ricorrente non si era operato per limitare i lamentati danni;
b) non era comprensibile come un anno e mezzo dopo la risoluzione dell’impegno di cessione d’azienda, all’atto della quale era stato dichiarato che l’immobile e le attrezzature ivi contenute erano in perfetto stato di uso e di manutenzione, alla data della perizia di parte (redatta dal geom. A), il locale potesse versare in condizioni precarie;
c) il comportamento del Comune di Diano Marina non era stato tenuto in violazione dei principi di correttezza e di buona amministrazione.
2. Con il ricorso in appello in esame la C S s.a.s. ed il sig. S C in proprio hanno chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza, deducendo le seguenti doglianze:
a) erroneità della sentenza impugnata in ordine all’asserito difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Interno;
b) erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 97 della Costituzione, anche in relazione al disposto dell’art. 3 della l. n. 241/1990;
c) manifesta contraddittorietà intrinseca ed estrinseca, illogicità;carenza di istruttoria e motivazione. Travisamento di atti e fatti decisi;non è stato considerato che il verbale di sopralluogo redatto dalla Commissione di vigilanza presso la Prefettura di Imperia era affetto da difetto di motivazione, nonché che essa era incompleta nella sua composizione;inoltre, è inidonea a qualificare come buona la condotta del Comune la circostanza che l’ente aveva comunicato al gestore del locale di cui trattasi l’avviso ed il verbale del sopralluogo della Commissione del 30.9.1998;è incondivisibile l’assunto contenuto nella appellata sentenza che la rinuncia alla sospensiva fosse indice di inerzia;il primo giudice non ha considerato che un locale chiuso da 20 mesi presenta un livello di degrado maggiore di quello sussistente dopo quattro mesi di chiusura;l’asserzione contenuta in sentenza (che la colpa dell’Amministrazione non era in re ipsa per l’avvenuta adozione di un provvedimento illegittimo) è affetta da contraddittorietà;
d) erronea e falsa applicazione dell’art. 2043 del c.c.;configurabilità dell’evento dannoso;in conseguenza dell’illegittimo ordine di chiusura a tempo indeterminato gli appellanti hanno subito rilevantissimi danni ed in particolare il sig. C ha subito danno biologico e alla propria immagine e reputazione professionale;
e) erronea e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.;configurabilità dell’ingiustizia del danno;non sussistevano cause di giustificazione dell’illegittimo operato dell’Amministrazione;
f) erronea e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.;configurabilità di un nesso causale tra l’evento dannoso e la condotta della civica amministrazione;non sussistono dubbi sul nesso causale tra l’illegittimo provvedimento del Comune poi annullato e i danni conseguiti ai ricorrenti sul piano patrimoniale, biologico e dell’immagine;
g) erronea e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.;configurabilità di una condotta colposa;è configurabile l’elemento della colpa nella condotta tenuta dalla civica amministrazione;
h) è stata altresì dedotta l’infondatezza delle eccezioni e considerazioni contenute nella memoria del Comune di Diano Marina depositata nel giudizio di primo grado in data 30.7.2001, assorbite dal T.a.r..
3. Con atto depositato l’8.3.2005 si è costituito in giudizio il Comune di Diano Marina, che ha eccepito, da un lato, la irritualità della notifica dell’appello effettuata direttamente al Comune e non al suo procuratore nel domicilio eletto in primo grado, dall’altro, ha ribadito la eccezione, già formulata in primo grado, di carenza di legittimazione attiva del sig. S C (essendo stata la sentenza n. 378/2000 pronunciata esclusivamente nei confronti della Soc. Pick Up di S C s.a.s.);ha dedotto al contempo l’inammissibilità delle censure formulate con l’appello avverso le difese articolate in primo grado dal Comune;nel merito, infine, ha concluso per l’infondatezza del gravame.
4. Con memoria depositata il 16.6.2010 si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'interno e l’Ufficio territoriale del Governo di Imperia.
5. Con memoria depositata il 16.10.2013 si sono costituiti in giudizio due nuovi difensori per il Comune resistente, in sostituzione del precedente.
6. Con memoria depositata il 17.10.2013 il Ministero dell’Interno ha eccepito la inammissibilità dei primi due motivi di appello, del quale ha comunque dedotto la infondatezza.
7. Con memoria depositata il 25.10.2013 il Comune resistente ha ribadito le eccezioni di inammissibilità dell’appello per mancata notifica al procuratore domiciliatario di primo grado nel domicilio eletto e di carenza di legittimazione attiva degli attuali appellanti, nonché ha dedotto la infondatezza del gravame, ribadendo tesi e richieste.
8. Con memoria depositata il 26.10.2013 le parti appellanti hanno contestato:
a) la fondatezza della eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di notificazione (eccependo in subordine la illegittimità costituzionale degli artt. 93, 41 e 44 del d. lgs. n. 104/2010 e degli artt. 330, 141 e 149 del c.p.c. in relazione agli artt. 11, comma 2, 24 e 3 della Costituzione);
b) il difetto di legittimazione passiva delle parti appellanti;
c) tutte le avverse eccezioni e deduzioni, ribadendo tesi e richieste.
9. Alla pubblica udienza del 26.11.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
DIRITTO
1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dalla C S s.a.s., e dal sig. S C in proprio, di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale, previa declaratoria di difetto di legittimazione passiva dell’intimato Ministero dell’interno, è stato respinto il ricorso da essi proposto per ottenere il risarcimento dei danni dovuti a seguito dell’annullamento giurisdizionale della ordinanza del Sindaco del Comune di Diano Marina con la quale era stata disposta la sospensione a tempo indeterminato di ogni attività all’interno del locale “Pick Up” sito in detto Comune.
2.- Innanzi tutto il Collegio, stante la infondatezza dell’appello nel merito, prescinde dall’esame delle plurime eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti intimate.
Tanto esclude anche la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, prospettata in subordine dalle parti appellanti in relazione alla eccezione di irrituale notifica dell’appello.
3.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che la inammissibilità del ricorso avverso il Ministero dell’interno dichiarata dal Giudice di primo grado sarebbe in contrasto con la ammissione contenuta in sentenza che l’operato della Commissione di Vigilanza presso la Prefettura di Imperia era connesso con la adozione del provvedimento di chiusura del locale di cui trattasi, nonché con l’effettuato riferimento in tema di responsabilità per danni all’azione dell’intero apparato amministrativo.
3.1.- Il motivo è infondato.
3.2. Osserva la Sezione che il parere formulato da detta Commissione di Vigilanza aveva natura endoprocedimentale, essendo privo di autonoma portata lesiva, pur se collegato, con l’atto finale costituito dalla ordinanza del Comune di Diano Marina n. 207/1998, di sospensione dell’attività del locale di cui trattasi (poi annullata per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento), e pur se il Comune non se ne è discostato in sede di adozione di detto provvedimento.
Il citato parere non era quindi assistito da autonoma capacità lesiva, riveniente nell'atto dell'organo di amministrazione attiva che lo ha recepito, facendolo proprio, e che era l’unico ad essere legittimato passivamente nel giudizio di risarcimento danni conseguito all’annullamento giurisdizionale di quest’ultimo (Consiglio di Stato sez. IV 06 maggio 2008 n. 2028).
Quanto al richiamo effettuato dal T.A.R. alla azione dell’intero apparato amministrativo, con riferimento alla individuabilità della colpa della P.A., esso era volto a dimostrare che la rilevata illegittimità dell’atto impugnato era consistita in una violazione del tutto formale e non dei principi di corretta e buona amministrazione, sicché esso non è in contraddizione con il ritenuto difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’interno.
4.- Con il secondo complesso motivo di gravame è stato affermato che la impugnata pronuncia sarebbe basata su una ricostruzione dei fatti superficiale ed erronea, con particolare riguardo alla asserita circostanza che la Commissione suddetta aveva accertato una lunghissima serie di irregolarità, anche di grave rilevanza, non essendo stato considerato sia che il verbale di sopralluogo da essa redatto era affetto da difetto di motivazione (risultando privo della indicazione della normativa asseritamente violata e basato su asserzioni generiche), sia che essa Commissione era incompleta nella sua composizione, per assenza del membro CISL e del rappresentante del Comune (come da verbale del 20.9.1998), e sia che era stata omessa la indicazione ex art. 142 del R.D. n. 635/1940 all’autorità competente.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Osserva in proposito il Collegio che dette circostanze sono irrilevanti, atteso che il giudizio della Commissione è stato recepito nell’autonomo provvedimento finale di sospensione adottato dal Comune di Diano Marina, annullato per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento dal T.A.R. Liguria, ed è solo con riguardo a detta riscontrata illegittimità che va circoscritto il giudizio per il risarcimento dei danni in esame.
4.3. Parimenti infondata è la censura incentrata sulla assodata scorrettezza della condotta del Comune sebbene avesse comunicato al gestore del locale di cui trattasi l’avviso ed il verbale del sopralluogo della Commissione, essendo state omesse dette comunicazioni nei confronti del proprietario del locale e non essendo stato ancora assentito, all’epoca di detta comunicazione, il trasferimento della licenza dal proprietario al gestore.
Va osservato in proposito che con la impugnata sentenza, premesso che non qualsiasi illegittimità dell’azione amministrativa è fonte di responsabilità ex art. 2043 del c.c., è stato affermato che doveva essere rivisitato il complessivo comportamento dell’Amministrazione per accertare se la violazione commessa avesse natura marcatamente formale;in tale ambito ha rilevato come anche se il provvedimento di sospensione della licenza non era stato preceduto da comunicazione dell’avvio del procedimento, tuttavia il complessivo comportamento del Comune non era stato improntato a spregio dei principi di correttezza e buona amministrazione, considerato che il gestore del locale era stato messo in condizione di interloquire sul piano della sostanza, perché previamente avvisato del sopralluogo e notificatario del verbale, in attesa di eventi sanzionatori conseguenti intuibili secondo l’ordinaria diligenza.
Ritiene la Sezione che non possano essere censurate dette argomentazioni nell’assunto che dette comunicazioni non erano state effettuate nei confronti del proprietario del locale, anche perché non era stato ancora assentito il trasferimento della licenza dal proprietario stesso al gestore, atteso che risulta dalla documentazione prodotta in primo grado che già da tempo, all’epoca della svolta verifica, l’azienda era stata affittata in favore del sig. E R, che in quanto gestore del locale era l’unico diretto interessato ad essere avvisato dello svolgimento del sopralluogo e soggetto passivo della notifica del verbale.
Dette comunicazioni correttamente sono state effettuate al soggetto nei confronti del quale il provvedimento finale era destinato a produrre effetti diretti, cioè del gestore, non potendo il proprietario delle mura del locale conseguire lesioni dirette ed attuali dal provvedimento di sospensione della attività del locale affittato, a prescindere dall’assentimento del trasferimento di licenza, atteso che anche in assenza dello stesso, in concreto era il sig. R che svolgeva nel locale in questione l’attività di gestione.
4.4. Con ulteriore censura è stato dedotto che l’accenno contenuto nella appellata sentenza alla rinuncia alla sospensiva non poteva essere indice di inerzia, essendo essa stata effettuata in vista di una sollecita fissazione del merito.
La Sezione non può attribuire positiva valenza alla osservazione sopra evidenziata, atteso che il comportamento del sig. C è stato preso in considerazione al fine di valutare se avesse concorso ad aggravare i danni assuntamente subiti;in tale ottica la circostanza che la rinuncia alla sospensiva sia stata effettuata ai fini dell’ottenimento di una sollecita fissazione del merito è inconferente, atteso che, se il danno giustificante la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato (cioè il verbale ed il provvedimento di sospensione della licenza), fosse stato ritenuto tanto grave ed irreparabile da aver causato i danni dei quali è stato poi chiesto il ristoro, nulla impediva che fosse comunque chiesta la decisione sulla istanza di sospensiva ed anche una sollecita trattazione del merito, atteso che l’una, secondo la normativa processuale amministrativa in vigore, non esclude l’altra.
4.5. Quanto alla circostanza rilevata dal primo Giudice che al momento della redazione dell’atto di risoluzione dell’impegno di cessione d’azienda del 21.4.1999, era stato affermato che l’immobile era in buono stato, mentre un anno e mezzo dopo, al momento della redazione della perizia di parte prodotta nel giudizio di primo grado, il locale versava in condizioni precarie, si lamenta che il T.a.r. non avrebbe considerato che un locale chiuso da 20 mesi presenta un livello di degrado maggiore a quello sussistente dopo quattro mesi di chiusura.
Il Collegio rileva che la censura è manifestamente infondata, atteso che non è stato adeguatamente allegato e provato per quali particolari ragioni in circa un anno e mezzo il locale, le attrezzature e gli impianti ad esso pertinenti, avrebbe potuto subire un degrado tale da giustificare l’entità dei danni lamentati se non per incuria del detentore e custode degli stessi, atteso che di norma, secondo le comuni conoscenze, il trascorrere di un tale lasso di tempo è inidoneo a comportare le conseguenze descritte in detta perizia.
Infatti nell’atto di appello è solo asserito, ma non dimostrato, che non paiono sussistere dubbi che un locale chiuso per venti mesi “presenti un livello di degrado infinitamente maggiore rispetto al medesimo dopo appena quattro mesi di chiusura”.
4.6. Si deduce altresì che la asserzione contenuta in sentenza (che la colpa dell’Amministrazione non era in re ipsa per l’avvenuta adozione di un provvedimento illegittimo ma doveva essere dimostrata sulla base del suo globale comportamento e che la correttezza del suo operato non era intaccata dalla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di chiusura del locale di cui trattasi) è affetta da contraddittorietà, dimostrando invece la colpa evidente del Comune la circostanza che era stata avvisata del sopralluogo e resa edotta del relativo verbale la sola gestione del locale e non il proprietario e che non era stato comunicato l’avvio del procedimento di chiusura del locale stesso (circostanza che ha comportato l’annullamento della ordinanza di chiusura con sentenza n. 378/2000 del T.A.R. Liguria).
Tale censura va esaminata, per ragioni di logica processuale, unitamente al quarto motivo di gravame con il quale è stato dedotto che non sussistevano cause di giustificazione dell’illegittimo operato dell’Amministrazione, stante la circostanza che la omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento aveva impedito alla parte ricorrente la partecipazione al procedimento a tutela dei suoi diritti, che avrebbe evitato l’assunzione di detta ordinanza, con ingiustizia del danno, stante la acquiescenza dell’Amministrazione a detta sentenza.
Pure va esaminato unitamente a detti motivi, per esigenze sistematiche, il sesto motivo di appello, con il quale è stato dedotto che è configurabile l’elemento della colpa nella condotta tenuta dalla civica amministrazione laddove ha omesso di effettuare la comunicazione dell’avvio del procedimento cui era obbligata in virtù dei principi di buon andamento, trasparenza dell’azione amministrativa e partecipazione del privato al procedimento amministrativo.
Premette in proposito in punto di fatto il Collegio che in data 30.9.1998, previo avviso al gestore del locale, la Commissione provinciale di vigilanza sui locali di Pubblico Spettacolo aveva effettuato un sopralluogo presso la discoteca in parola per verificarne l’agibilità e nella stessa data aveva redatto un verbale con parere negativo sulla scorta di una serie di irregolarità riscontrate. Il 3.10.1998 l’Amministrazione comunale aveva trasmesso al gestore sig. E R, affittuario d’azienda su contratto con il sig. C, il verbale in questione senza ottenere riscontro. Successivamente, in data 12.12.1998, veniva adottato il provvedimento poi annullato per assenza della comunicazione dell’avvio del procedimento di sospensione della licenza;in seguito in data 21.4.1999 il sig. C risolveva l’impegno di cessione d’azienda stipulato con il sig. R, dichiarando che l’immobile e le attrezzature ivi contenute erano al momento in perfetto stato di uso e di manutenzione.
Ciò posto, la domanda di risarcimento dei danni formulata dal ricorrente, è stata, secondo il Collegio, correttamente disattesa, innanzi tutto alla luce del condivisibile orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sezione IV, 4 settembre 2013, n. 4439) secondo il quale ai fini del risarcimento del danno conseguente all'annullamento di un provvedimento dichiarato illegittimo per vizio procedimentale va distinta l'illegittimità di carattere sostanziale dall'illegittimità di natura formale, in quanto solo nel primo caso il vizio del provvedimento costituisce titolo per il risarcimento del danno subito dall'interessato, perché risulta comprovata, in modo certo, la spettanza del bene della vita da lui fatta valere e la correlata lesione derivante dal provvedimento illegittimo, che, in quella particolare circostanza, contrasta, in radice, con i presupposti normativi per la sua adozione con un determinato contenuto. La pretesa risarcitoria non può invece trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento: il che avviene, in particolare quando, in seguito all'annullamento dell'atto impugnato, l'Amministrazione conserva intatto, come nel caso di specie, il potere di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato.
Deve quindi essere esclusa la possibilità che il risarcimento consegua all'accoglimento del ricorso basato sull'omessa comunicazione di cui all'art. 7 della l. n. 241/1990, essendo il relativo diritto collocato dopo la rinnovazione del procedimento amministrativo e sempre che sia adottato un provvedimento finale favorevole all'interessato (Consiglio di Stato, Sez. V, 11 maggio 2010 n. 2819).
Invero nel caso di specie l'annullamento dell'atto è conseguito all'accertata lesione di interessi legittimi procedimentali (mancata comunicazione dell'avvio del procedimento), per cui non ha comportato alcun giudizio in ordine alla successiva attività dell'Amm.ne, sicché la domanda di risarcimento del danno causato da detto illegittimo provvedimento non può essere accolta, in quanto persistevano in capo al Comune significativi spazi di discrezionalità, in sede di riesercizio del potere (cfr. sulla impossibilità di risarcire la lesione di interessi legittimi meramente procedimentali, Cons. St., Sez. V, n. 21 giugno 2013, n. 3408).
In secondo luogo osserva la Sezione che, ai fini della sussistenza di una responsabilità della P.A. causativa di danno, la valutazione dell'elemento della colpa deve essere affidata alla dimostrazione che essa abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione.
Quanto all'elemento soggettivo costituito da un colpevole comportamento dilatorio addebitale a negligente comportamento dell'apparato amministrativo non è sufficiente per l'interessato l'aver fatto rilevare l'esistenza di una condotta contra jus con riferimento al semplice non rispetto delle regole imposte dall'ordinamento a presidio degli oneri procedimentali sussistenti in capo alla P.A, occorrendo altresì prendere in considerazione la gravità e l'addebitabilità delle violazioni, alla luce della situazione di fatto e di diritto che ha contrassegnato la vicenda e alle condizioni concrete in cui ha operato l'Amministrazione.
Il Giudice amministrativo deve quindi affermare la responsabilità dell'Amministrazione per danni conseguenti ad un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato;deve invece negarla quando l'indagine presupposta conduca al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.
Nel caso di specie concorda la Sezione con il Giudice di primo grado che non sia ravvisabile colpa nel comportamento dell’Amministrazione con riguardo alla omessa comunicazione dell’avvio del procedimento per la sospensione della licenza di cui trattasi (poi disposta con ordinanza n. 207 del 1998 alla società Pick Up di C S &C. s.a.s., annullata per detto motivo, quindi per vizio di forma, con sentenza n. 378/2000 del T.A.R. Liguria), non essendo emersa l’infondatezza sostanziale delle criticità poste a base del provvedimento impugnato (consistenti nella mancata eliminazione, a seguito di specifico invito al gestore del locale, che aveva richiesto la voltura della licenza, delle carenze riscontrate dalla Commissione di vigilanza nel locale in questione con riguardo all’impianto elettrico, ai materiali di rivestimento, alla uscita di sicurezza, alla resistenza al fuoco dei materiali, alla certificazione di stabilità, ai servizi igienici per i portatori di “handicap”).
L’avvenuto previo avviso al gestore del locale del sopralluogo di detta Commissione e l’avvenuta notifica del relativo verbale con invito a sanare le irregolarità riscontrate dimostravano il sostanziale intento del Comune di rendere partecipe i gestore all’epoca del locale, che era la parte direttamente incisa da detti eventi, del procedimento in questione, anche se poi il provvedimento conclusivo non è stato preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, con insussistenza di colpa grave dell’Amministrazione che, in relazione alla comunque complessa situazione di fatto relativa alla gestione e alla effettiva titolarità della licenza, ha tentato di agire secondo canoni di buona amministrazione.
5. Con il terzo motivo di appello è stato dedotto che, in conseguenza dell’illegittimo ordine di chiusura a tempo indeterminato, gli appellanti hanno subito la risoluzione di un vantaggioso contratto di affitto di azienda, con perdita di £ 60.000.000, con impossibilità di svolgere l’attività di impresa che costituiva l’unica fonte di reddito per il sig. C, nonché l’applicazione di mora per mancato pagamento alle scadenze pattuite delle rate del contratto mutuo fondiario (per £ 2.189.175);inoltre l’immobile sarebbe caduto in precarie ed insalubri condizioni igienico sanitarie, con necessità di interventi edilizi (per un importo di £ 94.544.485), inutilizzabilità degli arredi (con un danno di £ 120.483.000), dell’impianto stereofonico (con necessità di ripristino per un importo di £ 54.330.000) e di illuminazione (con spese per £ 88.000.000 per il ripristino) Tanto avrebbe comportato quindi la necessità quindi di lavori per un totale non inferiore a £ 515.000.000 ed un danno patrimoniale non inferiore a £ 577.189.175.
Inoltre il sig. C a causa di detto illegittimo provvedimento avrebbe contratto una grave forma di balbuzie e una grave sindrome ansioso depressiva, come da certificazioni mediche, con danno biologico, sotto il profilo del nocumento alla vita di relazione e alla capacità lavorativa generica, risarcibile con una somma non inferiore a £ 624.080.000, ed avrebbe subito un gravissimo danno alla propria immagine e reputazione professionale pari a £ 312.040.000.
Con il quinto motivo di appello è stato inoltre dedotto che il risarcimento è dovuto non sussistendo dubbi sul nesso causale tra l’illegittimo provvedimento del Comune poi annullato e i danni conseguiti ai ricorrenti sul piano patrimoniale, biologico e dell’immagine.
5.1. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
Osserva in proposito la Sezione che le richieste sopra succintamente riportate sono evidente subordinate al riconoscimento della sussistenza di tutti gli elementi che per costante giurisprudenza condizionano il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da illecito provveidmentale, sicché non sussistendo essi nel concreto caso di specie per le ragioni in precedenza spiegate, non si ravvisa la esistenza dei presupposti per disporre i richiesti risarcimenti.
6. Con il gravame è stata infine dedotta la infondatezza delle eccezioni e considerazioni della memoria del Comune di Diano Marina depositata nel giudizio di primo grado in data 30.7.2001, assorbite dal T.A.R..
Le censure sono inammissibili perché non rivolte come dovuto, ex art. 101 del c.p.a., a specifici punti della sentenza oggetto di impugnazione o alla riproposizione dei motivi di primo grado in assenza di loro esame da parte del primo Giudice.
7. L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
8. Gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.