Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-03-09, n. 201600942
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 00942/2016REG.PROV.COLL.
N. 08932/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8932 del 2014, proposto da:
Cima S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. G C, F T, L T, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, Via Ugo Ojetti, 114;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Società Consortile Trigno-Sinelo Srl;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 00125/2014, resa tra le parti, concernente revoca di finanziamento pubblico ;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico;
Vista la sentenza non definitiva della sezione n. 3302/2015 del 2-7-2015;
Visti gli esiti della disposta verificazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2016 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi per delega di Toppeta e dello Stato Fico;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 125/2014 del 17-3-2014 il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo- Sezione staccata di Pescara rigettava il ricorso proposto da CIMA s.r.l. avverso il decreto 31 luglio 2012 con il quale il Direttore Generale per l’incentivazione delle attività imprenditoriali, Divisione IX, Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello Sviluppo Economico aveva revocato il contributo in conto impianti ad essa concesso nell’ambito del Patto Territoriale “Comprensorio del Trigno Sinello” e disposto il recupero delle somme erogate.
La predetta sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“ L’attuale ricorrente riferisce che con decreto 12 marzo 2001, n. 2440 del Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica è stato approvato il Patto Territoriale per l’occupazione e lo sviluppo integrato del Comprensorio Trigno-Sinello (“Patto Territoriale Trigno-Sinello”) diretto ad attuare, ai sensi dell’art. 2, commi 203 e ss., della L. n. 662 del 1996, un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo (sociale, economico e occupazionale) del territorio di 52 Comuni del comprensorio Trigno-Sinello ricadenti nelle province di Chieti, Campobasso e Isernia.
Il ruolo di Coordinatore istituzionale del Patto Territoriale Trigno-Sinello è stato assunto dalla Provincia di Chieti e, di poi, ai sensi dei punti 2 e 3 della delibera CIPE 21 marzo 1997 e del decreto del Ministro del Tesoro 31 luglio 2000 n. 320, recante il “Regolamento concernente disciplina per l’erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali”, è stata costituita tra i soggetti pubblici e privati locali di riferimento per lo sviluppo del comprensorio la società Consortile Trigno-Sinello a r.l. con il ruolo di Soggetto Responsabile del Patto territoriale.
Tra le iniziative imprenditoriali inserite nel Patto territoriale Trigno-Sinello vi è stata quella dei fratelli Cilli, concernente l’attuazione di un programma di investimenti per la produzione di impianti di irrigazione ed irrorazione per l’agricoltura ed il giardinaggio, quale nuova attività da affiancare a quella commerciale già svolta dagli stessi proprietari (attraverso la società Cilli S.r.l.) in tale settore in altra struttura. Per lo svolgimento della nuova attività produttiva è stata costituita la società CIMA s.r.l. ed è stato acquistato, mediante un’operazione di leasing, un immobile ubicato nella zona industriale di San Salvo, alla via Australia da destinare appunto a stabilimento produttivo (distinto da quello commerciale, localizzato in diversa struttura).
Con nota n. 189 del 14 maggio 2001, il Coordinatore istituzionale del Patto Territoriale Trigno-Sinello ha comunicato a CIMA l’avvenuta approvazione della domanda di agevolazione dalla stessa proposta;a fronte del programma di investimenti previsto (pari a 1.185 delle vecchie lire, corrispondenti ad € 612.000,43), il Ministero del Tesoro ha concesso a CIMA, in via provvisoria, un contributo in conto capitale di 472 milioni delle vecchie lire (€ 243.767,66).
Il 27 luglio 2004, Intesa Mediocredito (in qualità di soggetto istruttore) ha trasmesso al Ministero delle Attività Produttive la relazione sullo stato finale del programma di investimenti;e con decreti n. 3404 del 20 dicembre 2004 e n. 5096 del 21 dicembre 2005 il Ministero ha impegnato a favore di Cassa depositi e prestiti l’importo di € 165.217,66 per la realizzazione dell’iniziativa di Cima;sono state quindi effettuate erogazioni a favore di CIMA per complessivi € 134.735,34, in data 30 agosto 2004, 12 maggio 2005, il 9 maggio 2006 e 3 luglio 2007.
In data 9 novembre 2007, la Commissione ministeriale, nominata per effettuare i relativi controlli sull’iniziativa imprenditoriale di CIMA ai sensi dell'art. 9 del Disciplinare, ha proceduto alla verifica della documentazione contabile relativa alla realizzazione del programma di investimento, della capacità di produzione alla data dell’accertamento, del rispetto del livello occupazionale previsto ed alla permanenza dell’attività produttiva prevista in sede di concessione delle agevolazioni ed, avendo rilevato che nel capannone industriale sito in San Salvo era presente del materiale della società CILLI e le attrezzature produttive di CIMA (necessarie all’esercizio delle attività agevolata di produzione di impianti di irrigazione per l’agricoltura e di irrorazione per il giardinaggio) erano momentaneamente collocate all’esterno del capannone sotto una pensilina, ha formulato richiesta di chiarimenti al riguardo.
Con nota del 10 dicembre 2007, la società CIMA ha trasmesso al Ministero, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la quale ha evidenziato:
- che, come indicato nel business plan allegato alla domanda di agevolazione, l’attività svolta dalla stessa era “rivolta essenzialmente all’assemblaggio ed alle fasi di rifinitura” dei prodotti, nonché al controllo della qualità, al confezionamento e commercializzazione dei prodotti, mentre la produzione dei componenti ed alcune fasi di lavorazione sono affidate ad aziende esterne;
- che, al fine mantenere stabile il livello occupazionale nonostante la stagionalità delle lavorazioni, aveva “stipulato con la società collegata CILLI srl, che si occupa del commercio di prodotti ed articoli per l’agricoltura, un contratto di servizio che consiste nella ricezione di alcuni prodotti trattati, nel controllo qualitativo e quantitativo dei prodotti stessi, nella logistica della distribuzione, quest’ultima intesa come deposito e confezionamento dei prodotti e predisposizione delle spedizione”;
- che per questa attività sussidiaria stava “utilizzando provvisoriamente una parte dei suoi magazzini (circa il 40% degli spazi disponibili) in attesa della ultimazione di un capannone di circa 2.500 mq in costruzione su un terreno di 4.945 mq. acquistato il 19 luglio 2001 a fronte della concessione edilizia n. 803 del 6 maggio 2005, che verrà utilizzato per lo specifico” ed ha precisato che “la disponibilità dei nuovi spazi ci consentirà a breve di tenere ben distinta l’attività produttiva in senso stretto da quella di servizio di logistica svolta per la Cilli srl, che deve comunque essere intesa come attività integrativa rispetto a quella principale manifatturiera”.
A comprova di quanto dichiarato, CIMA ha contestualmente trasmesso al Ministero copia del contratto con il quale CILLI ha appaltato a CIMA “l’assemblaggio delle varie componenti degli impianti, il blisteraggio e il confezionamento dei prodotti da essa commercializzati, il controllo qualitativo e quantitativo dei prodotti, nonché la logistica della distribuzione, quest’ultima intesa nel deposito delle materie prime e nella predisposizione delle spedizioni (art. 2)”, copia dell’atto di acquisto del terreno sul quale era in corso la costruzione del nuovo capannone, copia della concessione edilizia e perizia giurata del tecnico per l'inquinamento.
Alla trasmissione della dichiarazione e documentazione suddetta non ha fatto seguito alcun riscontro da parte del Ministero, né alcuna ulteriore richiesta.
A distanza di quattro anni dall’accertamento ministeriale, con nota del 30 agosto 2011, il Ministero per lo Sviluppo Economico ha comunicato a CIMA, ai sensi degli artt. 7 e 8 della L. n. 241/1990, l’avvio del procedimento di revoca del provvedimento di concessione provvisoria dell’agevolazione “per l’esistenza delle condizioni previste ai sensi dell'art. 8, lettera g), del Decreto del Ministero dell'Industria, del commercio e dell'artigianato n. 527 del 20 ottobre 1995 e ai sensi dell'art. 12 del decreto del 31 luglio 2000, n. 320, nell’art. 9 del D. Lgs 31 marzo 1998, n. 123 come indicato ai sensi del decreto del 31 luglio 2000, n. 320 (...) e dal Disciplinare di concessione approvato con Decreto Direttoriale n. 115374 del 4 aprile 2002”. In sostanza, il procedimento di revoca è stato avviato per l’asserita modifica all’indirizzo produttivo dell’impianto agevolato tale da attribuirgli una classificazione Istat 91 diversa da quella originariamente indicata e perché l’investimento realizzato non era conforme a quello ammesso in sede istruttoria.
La Commissione ministeriale, in particolare, aveva ritenuto che l’utilizzazione del capannone industriale di CIMA per lo svolgimento del servizio appaltato da CILLI concretasse una distrazione dell’uso dello stabilimento produttivo dal programma di investimenti, che, oltre a non giustificare l’attribuzione del costo al programma, era idoneo a vanificare il programma di investimento nella sua totalità. Tale convinzione era stata maturata sulla base, da un lato, delle vicende societarie di CILLI e, segnatamente, del fatto che la CILLI aveva dichiarato nel 2004 di aprire un’unità locale (secondaria) nello stabilimento produttivo di CIMA (sito in San Salvo, Via Australia) e dal fatto che nel 2008 l’attività della stessa si sarebbe modificata in “import-export prodotti ed attrezzi per l’agricoltura - avicoltura - enologia - giardinaggio - industria e ferramenta prevalentemente dalla Cina”;e dall’altro che al momento del sopralluogo le attrezzature produttive di CIMA si trovavano collocate in una pensilina esterna al capannone.
Con nota del 6 ottobre 2011 la soc. CIMA ha evidenziato che non era mai intervenuto alcuna modifica del proprio indirizzo produttivo.
Con comunicazione del 18 novembre 2011, il Ministero, sull’assunto che “non emergono elementi sostanziali a confutare le motivazioni di revoca”, che non sarebbe “stato prodotto alcun documento che comprovi tale posizione”, ha comunicato l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento delle osservazioni.
Con nota del 9 dicembre 2011 CIMA ha ribadito che non si erano verificate variazione all’indirizzo produttivo.
Con decreto 31 luglio 2012, infine, il Ministero dello Sviluppo Economico ha revocato il contributo concesso atteso “l’esito negativo dei controlli effettuati dalla Commissione di Accertamento di spesa”, in ragione, in particolare, del fatto che “in sede di accertamento la commissione ministeriale ha riscontrato che l’iniziativa oggetto di verifica non ricade nei settori oggetto di intervento dei Patti territoriale, stante l’attuale assetto normativo che ne disciplina l’applicazione da cui deriva che l’investimento realizzato non è conforme a quanto emerso in sede istruttoria, in considerazione del fatto che e non vengono più prodotti nello stabilimento incentivato impianti di irrigazione per l’agricoltura, irrorazione per il giardinaggio carrelli avvolgi tubo, bensì lo stesso risulta destinato al solo uso commerciale laddove la normativa di riferimento è volta ad agevolare esclusivamente le attività produttive ”.
Avverso la sentenza di primo grado la CIMA s.r.l. ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma, con il conseguente annullamento del provvedimento di revoca impugnato.
Con articolata prospettazione ha lamentato: 1) Error in iudicando et in procedendo dei primi giudici per non avere ritenuto sussistenti le violazioni denunciate in primo grado;2) Error in iudicando et in procedendo per non avere (da un lato) ritenuto infondato e, comunque, non adeguatamente istruito l’accertamento della Commissione Ministeriale, nonché (dall’altro) per non avere preso atto dell’effettivo svolgimento di un’attività produttiva all’interno dello stabilimento, per come anche dedotta e comprovata dalla ricorrente - erronea e/o insufficiente e/o omessa valutazione della documentazione versata in atti - erronea applicazione del principio generale di cui all’art. 64 c.p.a. e dell’art. 2697 c.c. e del metodo acquisitivo;3) Error in iudicando et in procedendo per non avere tenuto conto (o comunque per averla immotivatamente superata) della denunciata violazione dell’art. 12 del d.m. n. 320/2001 e del principio di proporzionalità ed adeguatezza.
Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico, deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
Con sentenza non definitiva n. 3302/2015 del 2-7-2015 la Sezione disponeva verificazione.
All’esito, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 18-2-2016.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello la società CIMA deduce: Error in iudicando et in procedendo dei primi giudici per non avere ritenuto sussistenti le violazioni denunciate in primo grado in ordine al rituale svolgimento del procedimento, al rispetto del principio del contraddittorio e dell’affidamento del privato.
Sotto un primo profilo evidenzia che, all’esito del sopralluogo della Commissione ministeriale, essa con nota del 10 dicembre 2007 aveva chiarito le ragioni della presenza nel proprio stabilimento del materiale della CILLI, ma la Commissione aveva ritenuto che questa non apportava alcun ulteriore elemento a quanto rilevato, senza spiegarne le ragioni.
Aggiunge che solo a distanza di oltre quattro anni il Ministero aveva comunicato l’avvio del procedimento di revoca, invitandola a presentare controdeduzioni senza spiegare per quali ragioni le giustificazioni rese nel 2007 non erano state ritenute sufficienti. Di poi, con la nota del 18-11-2011, a fronte della diffida di CIMA a non procedere alla revoca del contributo, aveva comunicato motivi ostativi ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990.
Lamenta, pertanto, un modus procedendi che evidenzia la mancanza di una reale partecipazione del privato al procedimento amministrativo.
Sotto altro profilo, censura la sentenza del TAR per avere erroneamente ritenuto la sufficienza motivazionale del provvedimento di revoca, deducendo, invece, che quest’ultimo non era idoneo a dar conto delle ragioni della determinazione adottata, in quanto non sarebbe possibile comprendere le ragioni per le quali il Ministero ha ritenuto che nello stabilimento non si svolga alcuna attività produttiva, atteso che dagli atti del procedimento emerge che CIMA ha proceduto all’attuazione del programma di investimento e che la stessa ha svolto l’attività produttiva finanziata ( v. Relazione finale del soggetto responsabile e lo stesso verbale di accertamento di spesa redatto dalla Commissione ministeriale), evidenziando, altresì, che la presenza di materiali Cilli derivava dall’esistenza di un contratto tra le due società e non da una variazione dell’indirizzo produttivo.
Lamenta, infine, che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto l’inesistenza di una posizione di legittimo affidamento in capo ad essa. Non era correttamente richiamata la circostanza che il finanziamento fosse provvisorio, ma piuttosto assumeva rilevanza la circostanza che erano trascorsi ben quattro anni dall’accertamento di spesa, onde la società aveva maturato un legittimo affidamento sul suo esito positivo ovvero sull’accoglimento delle sue osservazioni.
Il motivo è infondato, condividendosi sul punto la determinazione reiettiva del giudice di primo grado.
Osserva in primo luogo la Sezione che il contraddittorio procedimentale risulta essere stato rispettato, come correttamente ricostruito dalla sentenza del Tribunale Amministrativo.
Essa evidenzia: “ E’ quindi iniziata tra l’Amministrazione e la ricorrente una complessa ed articolata corrispondenza che si è protratta per alcuni anni: - con nota del 10 dicembre 2007, la CIMA ha trasmesso al Ministero le proprie controdeduzioni;-il 30 agosto 2011, il Ministero per lo Sviluppo Economico ha comunicato l’avvio del procedimento di revoca del provvedimento di concessione provvisoria dell’agevolazione;-il 6 ottobre 2011 la soc. CIMA ha ulteriormente evidenziato le proprie ragioni;-il 18 novembre 2011 il Ministero ha comunicato l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento delle osservazioni presentate;- il 9 dicembre 2011 la società CIMA ha ribadito che non si erano verificate variazioni all’indirizzo produttivo;- con decreto 31 luglio 2012 il Ministero dello Sviluppo Economico ha revocato il contributo concesso ”.
Da quanto sopra emerge l’esistenza di una articolata interlocuzione tra le parti, che ha preceduto l’adozione dell’atto di revoca del finanziamento, onde può ritenersi che l’Amministrazione abbia sufficientemente garantito la partecipazione al procedimento amministrativo del privato, avendo questi avuto modo di contestare i rilevati inadempimenti ed introdurre in sede procedimentale le proprie ragioni.
Va, inoltre, evidenziato che il preavviso di revoca del 2008 indica la ragione della assumenda determinazione (“modifica dell’indirizzo produttivo….”), onde il privato ne ha avuto piena contezza e su di essa ha controdedotto con la nota del 6-10-2011. La società ha, poi, ulteriormente rassegnato le proprie deduzioni sulla comunicazione dei motivi ostativi del 18-11-2011, con nota del proprio legale (avv. M), nella quale si afferma che è stato esercitato il diritto di accesso agli atti, che nessuna variazione dell’indirizzo produttivo si era verificata e che in realtà l’amministrazione aveva operato confusione tra le vicende delle società Cima e Cilli.
Quanto al secondo profilo di censura, ritiene la Sezione che correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto sufficiente la motivazione del provvedimento impugnato.
Va in proposito osservato che i suoi contenuti sono idonei a rendere palesi le ragioni della determinazione assunta.
A pagina 3 dello stesso si legge “ Visto il verbale di accertamento finale di spesa del 31-10-2008, con il quale la Commissione Ministeriale nominata con d.m. n. 1212564 del 17-10-2006, ha richiesto a questo Ministero la revoca dell’agevolazione per esito negativo dei controlli effettuati, nello specifico in sede di accertamento la Commissione Ministeriale ha riscontrato che l’iniziativa oggetto di verifica non ricade nei settori di intervento dei Patti Territoriali, stante l’attuale assetto normativo che ne disciplina l’applicazione da cui deriva che l’investimento realizzato non è conforme a quanto ammesso in sede istruttoria, in considerazione del fatto che non vengono più prodotti nello stabilimento incentivato “impianti di irrigazione per l’agricoltura, irrorazione per giardinaggio, carrelli avvolgi tubo” bensì lo stesso risulta destinato al solo uso commerciale laddove la normativa di riferimento è volta ad agevolare esclusivamente “le attività produttive ”.
Va, inoltre, evidenziato che l’amministrazione utilizza l’istituto della motivazione per relationem , operando rinvio al verbale di accertamento finale di spesa del 31-10-2008.
Orbene, a pagina 2 di quest’ultimo risultano chiaramente palesate le ragioni del ritenuto esito negativo del controllo effettuato ( l’ intera superficie del capannone risulta occupata dalla ditta Cilli che svolge attività di commercio all’ingrosso;la visura camerale di quest’ultima evidenzia che questa è allocata a quell’indirizzo fin dal 28-6-2004 e che dall’8-9-2008 l’attività della Cilli si trasforma in import-export;le attrezzature della CIMA vengono rinvenute all’esterno del capannone sotto una pensilina;non sarebbe, quindi, veritiero il contratto di logistica stipulato con la Cilli dal 23-12-2005).
Da quanto sopra, dunque, emergono chiaramente le ragioni per le quali il Ministero ritiene che le attività per quali la CIMA era stata ammessa a finanziamento non fossero più svolte (“ non vengono più prodotti nello stabilimento incentivato impianti di irrigazione…bensì lo stesso risulta destinato al solo uso commerciale ”).
La motivazione è, pertanto, sufficiente e congrua in quanto esterna adeguatamente le ragioni della determinazione assunta.
Ritiene, infine, il Collegio – in ciò condividendo quanto affermato nella appellata sentenza – che non vi sia stata violazione del principio dell’affidamento, trattandosi di procedimento non ancora concluso, caratterizzato da agevolazioni concesse solo in via provvisoria e, dunque, ancora assoggettate a determinazione definitiva dell’amministrazione.
Né in senso contrario può incidere il decorso del tempo, venendo in considerazione esborsi di pubblico denaro e, dunque, un interesse erariale che risulta, in assenza di atti conclusivi del procedimento, certamente prevalente rispetto a quello del privato.
Con il secondo motivo di appello la società CIMA lamenta: Error in iudicando et in procedendo dei primi giudici per non avere (da un lato) ritenuto infondato e, comunque, non adeguatamente istruito l’accertamento della commissione Ministeriale, nonché (dall’altro) per non avere preso atto dell’effettivo svolgimento di un’attività produttiva all’interno dello stabilimento, per come anche dedotta e provata dalla ricorrente;erronea, insufficiente e omessa valutazione della documentazione versata in atti;erronea applicazione del principio generale di cui all’art. 64 c.p.a. , dell’art. 2697 c.c. e del metodo acquisitivo;travisamento dei fatti.
Deduce che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che la società non avrebbe dato prova del fatto che la CIMA non ha mai cessato l’attività produttiva.
Rileva in proposito che dalla documentazione versata in giudizio risulta: che il personale assunto ha caratteristiche e mansioni incompatibili con attività commerciale;che essa ha ottenuto brevetti e modelli di utilità relativi alla produzione di attrezzature e macchinari in concreto prodotti dalla stessa;che essa ha realizzato il programma di investimento, come attestato dalla Relazione Finale di Intesa Mediocredito e dal verbale della stessa Commissione ministeriale, il quale dà atto che essa ha svolto l’attività produttiva dichiarata nel business plan rispettando i livelli occupazionali previsti.
Sarebbe, poi, priva di rilevanza la circostanza che il capannone era occupato da Cilli, avuto riguardo alle ragioni per cui quest’ultima era presente nella struttura ( avvenuta stipula di un contratto avente ad oggetto la ricezione di alcuni prodotti trattati, il controllo qualitativo e quantitativo dei prodotti stessi, la logistica nella distribuzione), al fatto che occupava il 40% del capannone e che l’attività dalla stessa svolta era comunque sussidiaria ed integrativa rispetto a quella principale manifatturiera.
Con il terzo motivo di appello, proposto evidentemente in via subordinata, lamenta poi: Error in iudicando et in procedendo dei primi giudici per non aver tenuto conto (o comunque per averla immotivatamente superata) della denunciata violazione dell’articolo 12 del d.m. n. 320/2001 e del principio di proporzionalità ed adeguatezza.
Deduce in proposito che, anche a volere ammettere che l’utilizzazione del capannone da parte di Cilli integri un ipotesi di distrazione dall’attività oggetto di agevolazione, ai sensi dell’art. 12 del d.m. 320/2001 potrebbero al limite configurarsi i presupposti per una revoca parziale ma non anche totale delle agevolazioni concesse.
I motivi di appello sono fondati e meritano accoglimento per le ragioni che di seguito si espongono.
Occorre preliminarmente chiarire che il provvedimento impugnato in primo grado è un atto di revoca totale del contributo concesso in conto impianti.
Le ragioni di tale radicale determinazione sono indicate nel decreto n. 18793 del 31 luglio 2012 e nel verbale di accertamento finale di spesa della Commissione Ministeriale del 31-10-2008.
Il citato decreto riferisce che “ l’investimento realizzato non è conforme a quanto ammesso in sede istruttoria, in considerazione del fatto che non vengono più prodotti nello stabilimento incentivato “impianti di irrigazione per l’agricoltura, irrorazione per il giardinaggio, carrelli avvolgi tubo” bensì lo stesso risulta destinato al solo uso commerciale laddove la normativa di riferimento è volta ad agevolare esclusivamente le attività produttive ”.
Il verbale di accertamento della Commissione evidenzia, poi, che “ l’uso dello stabilimento risulta distolto dal programma …e non giustifica l’attribuzione del costo del programma. Peraltro il mancato utilizzo del capannone vanifica il programma nella sua totalità ”.
Da quanto sopra risulta, dunque, che la ragione della revoca totale risiede nella circostanza che non sarebbe sostanzialmente svolta dalla CIMA l’attività oggetto di agevolazione.
Tale circostanza risulta, peraltro, smentita dagli esiti della verificazione disposta dalla Sezione.
Con riferimento al quesito sub b) posto nella sentenza non definitiva n. 3302/2015 ( “analisi comparativa sia dell’attività in via di svolgimento, sia di quella eventualmente documentata per il periodo pregresso, interessato al finanziamento di cui trattasi, rispetto al programma finanziato, con valutazione dei limiti percentuali, entro cui detto programma può ritenersi realizzato, ovvero con riconoscimento della fondatezza dei rilievi che – per inottemperanza della ditta beneficiaria – hanno comportato la revoca totale del contributo”), il verificatore ha concluso che “ la parte dell’investimento destinato alla fabbricazione di impianti di irrigazione per l’agricoltura, irrorazione per il giardinaggio e carrelli avvolgi tubo, inerente il programma di investimento con un contributo in conto impianti riconosciuto alla CIMA srl in via provvisoria è stato realizzato, poiché la suddetta azienda ha costruito i prodotti oggetto delle agevolazioni e rispettando i livelli occupazionali previsti nel Patto Territoriale “Comprensorio del Trigno Sinello”, come previsto dal d.m. n. 2440 del 12 marzo 2001. L’attività produttiva e i livelli occupazionali previsti nel business plan, oggetto delle agevolazioni del programma di investimenti con un contributo in conto impianti, sono stati anche certificati sia nel verbale del 31-8-2008 dalla Commissione Valutatrice, nominata con d.m. n. 1212564 del 17-10-2006, che da Intesa Mediocredito, in qualità di soggetto istruttore, nella relazione finale del 27-7-2004 ”.
Osserva, inoltre, il Collegio che dal corpo della relazione e dai suoi allegati si evince che la CIMA ha avviato il programma oggetto del finanziamento in data 27 giugno 2003 e che dal luglio dello stesso anno ha cominciato a produrre sia i Kit per impianti di irrigazione per il giardinaggio che i carrelli avvolgi tubo, oggetto dell’investimento.
Tale produzione è attestata e documentata, in uno alla media dei dipendenti occupati, sia con riferimento agli anni precedenti all’accertamento della Commissione ministeriale (2003, 2004, 2005, 2006 e 2007), sia con riferimento ad anni successivi (2008, 2009, 2010 e parte del 2011).
Gli esiti della verificazione dimostrano, dunque, che l’attività produttiva oggetto di agevolazione è stata svolta e, pertanto, non trova conferma la ragione posta a base del decreto di revoca, secondo cui “ non vengono più prodotti nello stabilimento incentivato impianti di irrigazione…bensì lo stesso risulta destinato al solo uso commerciale… ”.
Non risulta, invero, circostanza sufficiente ad escludere la suddetta conclusione il fatto che la Commissione abbia rilevato che “ le attrezzature della CIMA srl, necessarie per esercitare l’attività agevolata di realizzazione di impianti di irrigazione per l’agricoltura, irrorazione per il giardinaggio, carrelli avvolgi tubo in metallo ed in plastica ed il blisteraggio Kit impianti per irrigazioni sono state individuate all’esterno del capannone sotto una pensilina posta sul lato A ”.
Alla luce della acclarata avvenuta realizzazione dell’attività oggetto di finanziamento attraverso la realizzazione dei prodotti di cui al business plan ed all’avvenuto rispetto dei livelli occupazionali per i quali era stato assunto impegno, risulta, difatti, esaustiva giustificazione quella resa e documentata al verificatore da parte del legale rappresentante della società, relativa ad un temporaneo spostamento degli stessi in ragione di impedimenti legati al rispetto della normativa in tema di prevenzione incendi.
Si legge nella relazione finale che “ I macchinari sono stati allocati nello stabilimento fino al 31-12-2005 e dal mese di gennaio 2006, a seguito del rilievo fatto dai vigili del fuoco del Comando Provinciale di Chieti (Fascicolo B-allegato 10), i macchinari per la saldatura e il taglio, utilizzati per modellare i prodotti realizzati, sono stati spostati in un locale adiacente allo stabilimento (Fascicolo B-foto 1), in quanto all’interno dello stabilimento lo stato di fatto risultava modificato sostanzialmente rispetto ai progetti approvati. Infatti, in data 22-12-2005 con nota n. 9857 (Fascicolo B-allegato 10) il suddetto Comando sospendeva alla CIMA il certificato di prevenzione incendi, rilasciato in precedenza con protocollo n. 4087 del 16-2-2002;e la relativa attività e, pertanto, dall’1-1-2006 l’attività di saldatura e taglio relativa alla lavorazione dei prodotti fabbricati da CIMA è stata espletata nel locale adiacente lo stabilimento (Fascicolo b-foto 1), in quanto il locale risultava conforme per le vie di fuga, come riferito dal suddetto Amministratore delegato di CIMA per svolgere l’attività di saldatura e taglio ”.
Venendo, poi, all’esame dell’ ulteriore motivo di revoca, rappresentato nel verbale della Commissione, secondo cui “ l’uso dello stabilimento risulta distolto dal programma …e non giustifica l’attribuzione del costo del programma. Peraltro il mancato utilizzo del capannone vanifica il programma nella sua totalità ”, ritiene la Sezione che anch’esso non sia idoneo a supportare la determinazione di revoca totale del contributo.
La disposta verificazione evidenzia in proposito che “ per quanto attiene …alla questione inerente l’utilizzazione dello stabilimento di CIMA srl per lo svolgimento del servizio di logistica da parte di CILLI srl, dalla documentazione acquisita, si evidenzia che solo il 40% dello stabilimento suddetto è stato occupato dalla CILLI srl per la custodia dei prodotti, per l’espletamento della propria attività di commercializzazione e di logistica di distribuzione, come riportato nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio del 5-12-2007 (Fascicolo B-allegato 12) da parte del legale rappresentante di CIMA e nel contratto di appalto del 23-12-2005 (Fascicolo B-allegato 12). Infatti, l’utilizzazione dello stabilimento di CIMA per lo svolgimento dei servizi di logistica da parte di CILLI è ulteriormente motivato, nella suddetta dichiarazione sostitutiva di atto notorio…, quale attività sussidiaria e provvisoria in attesa della ultimazione di un capannone retrostante alla stabilimento di CIMA , ultimato solo nell’anno 2012 ( Fascicolo B-foto 2, 3 e 4), come ha riferito, nel corso della verifica, al sottoscritto il legale rappresentante di CIMA srl ”.
Ciò posto, osserva il Collegio che la veridicità della circostanza dell’utilizzo solo parziale del capannone da parte di CILLI, testualizzata nel contratto stipulato dalle due società, risulta avvalorata dal fatto che comunque la società CIMA dal 2003 al 2011 ha realizzato e venduto i prodotti oggetto delle agevolazioni, con la conseguenza che risulta credibile che l’utilizzo del capannone sia stato effettuato solo in parte da CILLI.
Di conseguenza, deve ritenersi che il dato acclarato dalla Commissione ( “…al momento della visita del capannone, la… intera superficie era occupata da materiale della ditta CILLI…”) sia espressione di una situazione solo temporanea, operando per il resto l’attribuzione contrattualmente pattuita del solo 40% della superficie.
Gli esiti della disposta verificazione e le considerazioni sopra svolte rivelano, dunque, l’insussistenza dei presupposti per la revoca totale del contributo, così come disposta dal Ministero.
Invero, l’articolo 12 del d.m. 31-7-2000 n. 320 prevede che “….il Ministero….provvede alla revoca delle agevolazioni alle imprese beneficiarie nei seguenti casi: ….b) qualora vengano distolte dall’uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali, la cui realizzazione o acquisizione è stata oggetto dell’agevolazione prima dei cinque anni dalla data di entrata in funzione dell’impianto;la revoca delle agevolazioni è totale se la distrazione dall’uso previsto delle immobilizzazioni prima dei cinque anni dalla data di entrata in funzione dell’impianto costituisca una variazione sostanziale del programma agevolato non autorizzata, determinando, di conseguenza, il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati dell’iniziativa;altrimenti la revoca è parziale ed è effettuata in misura proporzionale alle spese ammesse alle agevolazioni afferenti, direttamente o indirettamente, l’immobilizzazione distratta ed al periodo di mancato utilizzo dell’immobilizzazione medesima con riferimento al prescritto quinquennio;…..g) qualora nell’esercizio a regime, ovvero nell’esercizio successivo dalla entrata a regime, si registri uno scostamento dell’obiettivo occupazionale superiore agli 80 punti percentuali in diminuzione…. ”
Rileva la Sezione dalla piana lettura della norma che la revoca totale richiede che la distrazione dell’immobilizzazione dall’uso previsto costituisca una variazione sostanziale del programma agevolato, determinando il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati dell’iniziativa.
Orbene, l’utilizzo (di parte) del capannone da parte di CILLI non ha costituito variazione sostanziale del programma agevolato, avendo comunque la società CIMA – per quanto acclarato dalla verificazione - svolto l’attività produttiva per la quale aveva ottenuto le agevolazioni e conseguito gli obiettivi prefissati dell’iniziativa. Essa, infatti, ha in effetti realizzato i prodotti oggetto delle agevolazioni ed ha rispettato i livelli occupazionali previsti nel Patto Territoriale “Comprensorio del Trigno Sinello”.
Deve, di conseguenza, essere ritenuta la illegittimità del provvedimento di revoca totale adottato dall’amministrazione.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, deve, in conclusione essere accolto l’appello e , in riforma della sentenza di primo grado, essere disposto l’annullamento dell’impugnato decreto di revoca n. 18793 del 31 luglio 2012.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese del doppio grado del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti costituite, in ragione della peculiarità e della complessità della vicenda oggetto di causa.