Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-02-17, n. 201000895

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-02-17, n. 201000895
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201000895
Data del deposito : 17 febbraio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05432/2006 REG.RIC.

N. 00895/2010 REG.DEC.

N. 05432/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 5432 del 2006, proposto da:
R G, rappresentato e difeso dagli avv. V C, F T, con domicilio eletto presso F T in Roma, via Girolamo Da Carpi, 6;

contro

I.N.P.S., rappresentato e difeso dagli avv. E L, V M, P T, domiciliata per legge in Roma, via della Frezza 17;

per la riforma

della sentenza del TAR UMBRIA - PERUGIA n. 00361/2005, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2009 il Cons. A F e uditi per le parti gli avvocati F T e E L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Il Tar dell'Umbria, con la sentenza oggetto del presente appello, ha in parte respinto e per il resto dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal signor Giorgio Renzetti per l'annullamento della delibera n. 1393 del 14 ottobre 1997, con la quale il Consiglio di Amministrazione dell'Inps aveva respinto la sua domanda riconoscimento della causa di servizio relativamente ad un infortunio occorso il 23 febbraio 1995 a Terni mentre per ragioni di servizio si recava a piedi dalla sede principale degli uffici provinciali ad una sede secondaria. In tale occasione l'interessato inciampava e, cadendo a terra, riportava una frattura.

Il primo giudice, per un verso, ha esaminato rigettandole le censure di incompetenza del consiglio di amministrazione, di violazione del regolamento e di eccesso di potere per incongruità della motivazione, mentre, per altro verso, ha dichiarato inammissibile l'estensione dell'impugnazione alla circolare Inail del 26 agosto 1994, in quanto contro tale atto non risultava essere stata formulata alcuna specifica censura di legittimità.

L'appellante ripropone in questa sede le censure di carenza ed illogicità della motivazione, di difetto di istruttoria e di errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto.

Conclude quindi chiedendo, in riforma della sentenza di primo grado, l'annullamento del provvedimento impugnato con ogni consequenziale statuizione.

L’Inps, costituito nel giudizio di appello, ribadisce la tesi condivisa dal primo giudice, secondo la quale l'infortunio è da addebitarsi al così detto rischio generico che incombe sulla generalità della popolazione, sottolineando altresì come la circostanza che l'evento si sia verificato in occasione di lavoro non integra di per sé la sussistenza di elementi comportanti un aggravamento di detto rischio generico. Conclude quindi per il rigetto dell’appello.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Seppur articolato su tre censure, l’assunto dell’appellante si fonda sulla considerazione di fondo secondo la quale nell’incidente, che ha cagionato l’infermità per la quale egli aveva richiesto il “riconoscimento della causa di servizio”, negata dal’’Istituto appellato con il provvedimento impugnato in primo grado, il nesso di causalità tra l'infortunio, occorso mentre si recava a piedi dalla sede principale degli uffici provinciali ad una sede secondaria, ed il servizio sarebbe dimostrato, in primo luogo, dalla circostanza che l’accesso alla seconda sede era motivato da specifiche ragioni di servizio che gli imponevano di esercitare un’attività di controllo ed, in secondo luogo, dalla considerazione che, una volta stabilito che l’infortunio si era verificato in occasione del lavoro, spettava all’Amministrazione dimostrare che questo era dovuto a cause puramente fortuite. Da qui il vizio di eccesso di potere, sotto i profili del difetto di motivazione e di istruttoria nonché del travisamento di fatti, che l’appellante ripropone con l’atto introduttivo dell’appello.

Ora, nel caso di infortunio in itinere, la giurisprudenza di questo consiglio ha già affermato come "pur sussistendo in astratto il nesso eziologico tra l'infermità ed il servizio prestato anche quando l'evento lesivo si sia verificato non già nel corso dell'espletamento della prestazione lavorativa ma, sulla base di una adeguata dimostrazione, durante lo spostamento necessario al raggiungimento della sede dell'ufficio oppure in quello necessario per rientrare da questa alla propria abitazione, tuttavia, ai fini di una valutazione della sussistenza di tale requisito minimo, ossia dell'anzidetta relazione di strumentalità tra l'attività nella quale è occorso l'infortunio ed il servizio, deve accedersi a criteri valutativi estremamente rigorosi nel considerare l'evento dannoso come verificatosi nel tragitto di provenienza o in direzione del luogo di lavoro. Pertanto, la particolare figura dell'infortunio in itinere può ritenersi verificata in occasione di lavoro, e come tale meritevole di tutela, soltanto quanto sussista uno specifico collegamento tra l'evento e l'attività di lavoro, sicché non è sufficiente, ai fini dell'attribuzione dei benefici previsti al dipendente, il rischio generico connesso all'attività di spostamento spaziale, ma occorre il rischio specifico collegato all'attività lavorativa.” (Consiglio Stato , sez. VI, 17 luglio 2006 , n. 4572).

Contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, ciò significa, che non vi è una presunzione in base alla quale la causa di servizio debba essere affermata in tutti quei casi in cui l’infortunio sia capitato in occasione del lavoro e che, quindi, incomba sull’Amministrazione l’onere di provare l’esistenza di cause fortuite, ma anzi è il contrario in quanto spetta al richiedente di indicare gli elementi di fatto in base ai quali ricavare il convincimento dell’esistenza di uno specifico collegamento tra l'evento e l'attività di lavoro, tale da escludere che l’infortunio dannoso sia riconducibile ad un rischio generico, incombente su tutti i cittadini.

D’altro canto imporre all’Amministrazione un onere del genere sarebbe contrario al principio di ragionevolezza, in quanto quest’ultima viene a conoscenza dei fatti solo attraverso la narrazione che ne fa il dipendente e quindi non sarebbe nella possibilità di fornire la prova.

Nel caso di specie, quindi, nonostante l’affermazione della commissione medica, cha aveva riconosciuto l’infermità dipendente da causa di servizio senza peraltro addurre alcun elemento nel senso suddetto, il consiglio di amministrazione legittimamente ha respinto la domanda richiamando la scheda istruttoria dalla quale risulta che l’interessato “ mentre usciva dalla sede principale … per recarsi, per motivi di servizio , presso gli uffici …, inciampava sul marciapiede, cadendo al suolo”, e che non erano emersi elementi di fatto tali da condurre ad una conclusione diversa da quella che si fosse trattato “ di infortunio che per modalità e circostanze di produzione è riconducibile al c.d. rischio generico”.

Da qui l’inconsistenza delle censure riproposte in appello.

Il ricorso, pertanto, va respinto. Appare equo compensare tra le parti le spese del giudizio.

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