Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-12-28, n. 201605485
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Pubblicato il 28/12/2016
N. 05485/2016REG.PROV.COLL.
N. 01669/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 1669 del 2016, proposto dal Consorzio Laziale Rifiuti - Colari, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia C.F. CLRNGL48P06H703Z e Avilio Presutti C.F. PRSVLA61A15H501E, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2
contro
A S, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Gianluigi Pellegrino C.F. PLLGLG67T12H501S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento, n. 11
nei confronti di
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato Angela Raimondo C.F. RMNNGL56S53D969R, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta regionale
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Stefania Ricci C.F. RCCSFN62C56I992O, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, n. 27;
Enki S.r.l. in proprio e quale capogruppo di RTI, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Enzo Robaldo C.F. RBLNZE63S26A124H, Pietro Ferraris C.F. FRRPTR67B25B885G e Maria Stefania Masini C.F. MSNMST67D41H501W, con domicilio eletto presso Maria Stefania Masini in Roma, via Antonio Gramsci, n. 24;
Rti - Mag Gmbh, Rti - Consorzio Cite di Salerno, Rti - Sangalli Srl, non costituiti in giudizio
per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione II-ter, 11/2016;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ama S.p.a., di Roma Capitale, della Regione Lazio e di Enki S.r.l. in proprio e quale capogruppo di un RTI;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Avilio Presutti, Gianluigi Pellegrino,. Angela Raimondo ed Enzo Robaldo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Lazio e recante il n. 6828/2015 il Consorzio Laziale Rifiuti (d’ora in poi: ‘il CoLaRi’ o ‘il Consorzio appellante’) e la E. Giovi s.r.l. chiedevano l’annullamento del bando di gara pubblicato sulla G.U.U.E. del 5 maggio 2015, avente ad oggetto la procedura per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici afferente l'affidamento del servizio di carico trasporto e trattamento in impianto di recupero energetico del rifiuto urbano residuo (codice CER 20 03 01) prodotto nel territorio di Roma Capitale per un periodo di quarantotto mesi e di ogni altro atto presupposto, meglio elencato in ricorso.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti il CoLaRi e la E. Giovi impugnavano il medesimo bando sotto ulteriori profili, nonché i provvedimenti con cui era stata disposta la propria esclusione dalla procedura e l’aggiudicazione in favore della Enki s.r.l. e, in particolare, chiedevano l’annullamento:
i) della nota di AMA spa prot. 03213 del 26 giugno 2015, con la quale era stata comunicata l’esclusione delle ricorrenti dalla gara oggetto di causa;
ii) per quanto di ragione, dei punti III.1.1 e III.2.1, lett. d) del bando di gara;
iii) per quanto di ragione, dei paragrafi 2.2 e 7.3 a), 73 b1) e 7.3 b2, del disciplinare di gara;
iv) per quanto di ragione, del punto 7.4 del disciplinare di gara;
v) per quanto di ragione, dei paragrafi 12.1, lett. A) e B) del disciplinare;
vi) ed inoltre, ai sensi dell’art. 116, co.2, c.p.a., per l’annullamento della nota AMA prot. 31835/U dell’8 luglio 2015 di differimento dell’accesso richiesto dalle ricorrenti con nota PEC del 26 giugno 2015;e degli altri atti e provvedimenti meglio indicati oltre, comprensivi dell’aggiudicazione dell’accordo a favore della controinteressata Enki s.r.l.
Al riguardo le odierne appellanti esponevano che, attraverso la richiamata procedura competitiva, AMA s.p.a. si proponeva di innovare l’assetto della gestione dei rifiuti urbani dei Comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e Stato della Città del Vaticano, come derivante da precisi atti di pianificazione regionale conformi ai principi comunitari del sistema di governo dello smaltimento dei rifiuti, inviando fuori regione i rifiuti che AMA s.p.a. medesima raccoglie in regime di monopolio.
In punto di legittimazione ed interesse al ricorso, il CoLaRi esponeva di essere un consorzio tra imprese, tra le quali la società E. Giovi s.r.l., costituito nel 1984 che opera nel settore della gestione dei rifiuti solidi urbani;di aver realizzato e di gestire la discarica di Malagrotta (chiusa nel corso del 2013).
Esponeva, poi, che a far data dal 1° gennaio 1985 aveva provveduto allo smaltimento dei rifiuti del comprensorio e che nel corso degli anni aveva realizzato due impianti per il “trattamento meccanico biologico” (TMB) a freddo dei rifiuti indifferenziati, pertinenze tecnologiche alla discarica (al momento della costruzione dei TMB) ed oggi, a discarica esaurita, operanti ancora, con propria funzione autonoma rispetto al trattamento prima dell’abbancamento (ossia del trattamento dei rifiuti anche in vista del recupero frazione CDR in uscita).
Specificava al riguardo che, con la tecnica TMB, si separano i rifiuti organici da quelli secchi;questi ultimi vengono in parte utilizzati per la produzione del CDR (combustibile derivato da rifiuti), a sua volta destinato alla produzione (recupero) di energia elettrica o termica;vengono inoltre recuperati i rifiuti metallici e plastici riutilizzabili dalle industrie manifatturiere come materie prime-seconde, come da Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata alla E. Giovi Srl (DD Regionale del 23 dicembre 2013).
Inoltre, sulla scorta del presupposto secondo cui il metodo più efficace e moderno per utilizzare il CDR è il processo di gassificazione, riferiva di aver proposto un progetto industriale per la lavorazione dei rifiuti (brevetto del Ministero dello Sviluppo Economico del 2004), attraverso la costruzione di un impianto di gassificazione a Malagrotta, al fine di realizzare ciò che lo stesso CoLaRi ha brevettato come “ciclo completo” dei rifiuti (approvato con ordinanza del Commissario Delegato per l’emergenza ambientale della Regione Lazio, del 25 marzo 2005, con la quale l’Autorità ha imposto al CoLaRi di realizzare l’impianto di gassificazione e di metterlo in servizio per “gassificare” 182.500 tonnellate di CDR all’anno e di esercitare l’impianto per il periodo di legge). Per quanto riguarda l’impianto di gassificazione, il CoLaRi riferiva che la prima linea (ne sono previste tre), era entrata in funzione ad agosto 2008.
Ancora, la ricorrente in primo grado CoLaRi rappresentava:
- che il proprio rapporto negoziale con AMA fosse iniziato con una convenzione del 1 gennaio 1985, poi prorogata ed integrata con vari atti, tra i quali l’atto aggiuntivo del 2 settembre 2004 (avente ad oggetto il trattamento in via sperimentale di un limitato quantitativo di rifiuti presso l’impianto TMB di Malagrotta per produrre CDR da avviare al termovalorizzatore di Colleferro);
- che un ulteriore affidamento era stato in seguito concordato per 1.000 tonnellate rifiuti/anno sino al 31 dicembre 2009;
- che, una volta scaduto tale termine il conferimento era comunque proseguito. Tuttavia nel 2012 le parti avevano avviato trattative per il rinnovo o per un nuovo accordo contrattuale, da porsi in continuità, senza tuttavia raggiungere un buon fine;
- che, a seguito del fallimento delle trattative finalizzate al rinnovo negoziale o alla stipula di un nuovo accordo, il CoLaRi aveva instaurato un arbitrato rituale di diritto per accertare l’inadempimento dell’AMA (arbitrato definito con lodo parziale del 31 luglio 2014) agli obblighi di cooperazione.
La pubblicazione del bando di gara impugnato in primo grado era in effetti avvenuta in prossimità del termine ultimo per la definizione dell’arbitrato.
Il CoLaRi rappresentava poi che l’attuale assetto di bacino è ancora oggi quello risultante dalla pianificazione regionale adottata ai sensi dell’articolo 199, comma 3, lett. f), del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Piano di Gestione dei rifiuti del Lazio), approvato con delibera del Consiglio Regionale 18 gennaio 2012, n. 14 (il quale individua cinque ATO, nei quali organizzare i servizi di raccolta, garantendo l’autosufficienza degli impianti di selezione dei rifiuti urbani indifferenziati - c.d. impianti di trattamento meccanico biologico -).
Nell’ambito del giudizio di primo grado si è costituita la Enki s.r.l. (aggiudicataria della procedura per cui è causa), la quale ha concluso nel senso della reiezione del ricorso e ha altresì articolato ricorso incidentale lamentando la mancata esclusione del CoLaRi dalla procedura medesima.
Con la sentenza in epigrafe il TAR del Lazio: i) ha respinto il ricorso principale proposto dal CoLaRi e dalla società E. Giovi s.r.l.;ii) ha accolto il quarto motivo del ricorso incidentale della società Enki s.r.l. e, per l’effetto, ha dichiarato illegittimo il provvedimento di esclusione della ricorrente per non essere stata quest’ultima esclusa (anche) per l’assenza del richiesto requisito di capacità tecnica e professionale;iii) ha dichiarato inammissibili gli ulteriori motivi di ricorso incidentale proposti dalla Enki s.r.l.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal CoLaRi, il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.
Si è inoltre costituito il Comune di Roma (Roma Capitale), il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Si è poi costituita l’AMA s.p.a., la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.
L’AMA ha altresì proposto appello incidentale, con il quale ha chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per non avere i primi giudici dichiarato l’inammissibilità ovvero l’improcedibilità dei motivi di ricorso articolati avverso il bando (al contrario, il T.A.R. ha esaminato i motivi in parola, ritenendoli infondati).
Si è inoltre costituita l’aggiudicataria ENKI s.r.l., la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Si è infine costituita in giudizio la Regione Lazio, la quale non ha tuttavia formulato specifiche conclusioni.
Alla pubblica udienza del 6 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione della Sezione il ricorso in appello proposto dal Consorzio Laziale Rifiuti (CoLaRi) e dalla società E. Giovi s.r.l. – che operano nel settore della gestione, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti e che operano presso la discarica romana di Malagrotta - avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio di rigetto del ricorso avverso gli atti concernenti la procedura ad evidenza pubblica indetta da Ama S.p.A. per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici afferente l'affidamento del servizio di carico trasporto e trattamento in impianto di recupero energetico del rifiuto urbano residuo prodotto nel territorio di Roma Capitale per un periodo di quarantotto mesi.
2. In limine litis la Sezione rileva che, in sede di stesura del ricorso, le parti appellanti hanno notevolmente superato il limite dimensionale di cui all’articolo 120, comma 6 del cod. proc. amm. (per come sostituito dall’articolo 40 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90) e di cui al decreto del Presidente del Consiglio di Stato in data 25 maggio 2015.
In particolare, pur avendo le appellanti indicato a pagina 3 del ricorso in appello ragioni di particolare delicatezza e complessità della questione, non risultano tuttavia comprovate le ragioni del tutto straordinarie che avrebbero giustificato, ai sensi del punto 9 del richiamato decreto presidenziale, la presentazione di un ricorso di dimensioni più che doppie rispetto a quelle ordinariamente previste per tale tipologia di atti.
3.1. Con il primo motivo di appello il CoLaRi e la E. Giovi s.r.l. lamentano che i primi giudici abbiano erroneamente interpretato ed applicato il comma 6 dell’articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), il quale fissa le condizioni sussistendo le quali è consentito il trattamento dei rifiuti urbani non differenziati (non pericolosi) in impianti di recupero energetico fissati al di fuori della regione pervenendo in modo erroneo a ritenere la legittimità degli atti con cui l’AMA aveva ritenuto che le attività di carico, trasporto e trattamento di tale tipologia di rifiuti fosse sostanzialmente liberalizzata e non soggetta a vincoli di sorta.
In particolare, i primi giudici avrebbero omesso di considerare:
- che il comma 6 del richiamato articolo 35 (disposizione riferita nel proprio complesso a situazioni di carattere emergenziale) non ha affatto disposto la ritenuta, sostanziale liberalizzazione delle attività connesse al trattamento dei rifiuti urbani non differenziati (non pericolosi) in impianti di recupero energetico ubicati ‘fuori bacino’;
- che la richiamata disposizione (da interpretare in modo conforme ai principi di autosufficienza e prossimità di cui all’articolo 16 della direttiva 2008/98/CE) deve essere intesa nel senso che la possibilità di conferimento dei rifiuti urbani al di fuori del bacino di riferimento (e, in particolare, in altre regioni) è subordinata alla verificata impossibilità di conferirli nella regione di riferimento;
- che, pertanto, l’applicazione dei richiamati principi di autosufficienza e prossimità, comporta che il conferimento ‘fuori regione’ sia legittimo soltanto alla duplice condizione: i ) che la regione conferente versi in situazione emergenziale e che abbia saturato le proprie capacità di trattamento; ii ) che la regione conferitaria abbia prioritariamente soddisfatto le necessità della propria utenza (condizioni, queste, assenti nel caso in esame);
- che l’applicazione del principio di efficienza nella rete di gestione dei rifiuti (pur se temperata dal vincolo della priorità di accesso) non avrebbe comunque consentito di derogare ai richiamati principi di autosufficienza e prossimità. Al contrario, l’applicazione del principio in questione (per come interpretato anche dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado) potrebbe essere al più riferita al diverso caso della raccolta differenziata e del riciclaggio e non anche al caso (che qui ricorre) della raccolta e del trattamento dei rifiuti solidi urbani non differenziati;
- che la vicenda per cui è causa resta quindi governata dal comma 3 dell’articolo 182 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (articolo rubricato ‘ Smaltimento dei rifiuti ’), il quale fissa il generale divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle in cui i rifiuti stessi sono prodotti (mentre nel caso in esame i rifiuti erano destinati addirittura a un impianto di incenerimento ubicato in Austria);
- che, in tal modo, risulterebbe altresì violato il principio di prossimità ed autosufficienza su scala nazionale, per come desumibile dal più volte richiamato articolo 35 (principio che potrebbe al più essere derogato in presenza di un accordo internazionale che, tuttavia, non risulta nel caso in esame stipulato);
- che il d.P.C.M. attuativo delle previsioni di cui al più volte richiamato articolo 35, nell’individuare al livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati al livello nazionale, renderebbe palese il divieto di invio extranazionale di rifiuti, così come la necessità di istituire un sistema di autosufficienza energetica nazionale (esigenza, quest’ultima, che non sarebbe stata adeguatamente valutata dai primi Giudici).
3.2. Con il secondo motivo di appello (pagine da 23 a 32) l’appellante CoLaRi lamenta che i primi giudici abbiano erroneamente affermato che i rifiuti indifferenziati oggetto di gara sarebbero sottratti all’obbligo di essere prioritariamente destinati al riciclaggio e recupero in quanto asseritamente insuscettibili di riciclo e inutilizzabili per la produzione di CDR.
In tal modo decidendo i primi giudici avrebbero erroneamente omesso di apprezzare la consistenza effettiva dei rifiuti di che trattasi e avrebbero omesso di rilevare:
- che i rifiuti oggetto di gara sono gli stessi rifiuti urbani indifferenziati che attualmente l’AMA conferisce negli impianti delle ricorrenti ubicati in Malagrotta, conformemente al vigente Piano dei rifiuti;
- che il trattamento dei rifiuti attualmente operato sui rifiuti negli impianti gestiti dalle appellanti consente sia il recupero delle materie prime seconde, sia di evitare l’eccessivo dispendio di risorse e l’ulteriore inquinamento connesso al trasporto fuori regione dei rifiuti medesimi;
- che il pertinente Piano regionale dei rifiuti: i ) individua la tipologia dei rifiuti da conferire (si tratta degli stessi rifiuti indifferenziati oggetto di gara); ii ) individua la tipologia di impianto che li deve trattare (si tratta degli impianti TMB, del tipo di quelli gestiti dalle appellanti); iii ) riconferma il principio di autosufficienza e di prossimità (i quali impediscono tendenzialmente che i rifiuti in questione vengano trasportati fuori regione, in specie se destinati all’incenerimento);
- che non vi è alcun profilo di efficienza connesso alla scelta dell’AMA di destinare i rifiuti in questione ad incenerimento (secondo una modalità operativa “ illecita, pericolosa per la salute e l’ambiente (…) e ovviamente molto più costosa ” - pag. 28 del ricorso in appello -);
- che la più recente giurisprudenza della CGUE (sentenza 4 marzo 2010 in causa C-29/08;sentenza 16 luglio 2015 in causa C-653/13) ha riaffermato la valenza dei principi di autosufficienza e di prossimità e l’obbligo in generale per le Regioni di procedere al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti il più vicino possibile al luogo dove vengono prodotti;
- che la stessa giurisprudenza UE ha chiarito che la carenza di una regione nel dotarsi di un adeguato sistema di smaltimento può compromettere la stessa funzionalità della rete nazionale degli impianti di smaltimento;
- che con la richiamata sentenza del luglio 2015 la Corte di Giustizia ha irrogato nei confronti dell’Italia una somma forfetaria e una penalità di mora per la violazione dei richiamati principi;
- che la scelta dell’AMA di avviare i rifiuti in questione all’incenerimento presso impianti siti all’estero violerebbe (oltre al Piano Regionale, anche) i più volte richiamati principi di matrice eurounitaria, in tal modo esponendo l’Italia all’irrogazione di nuove ed ulteriori sanzioni e non consentendo affatto – contrariamente a quanto affermato dalla stessa AMA – di conseguire risparmi di spesa. Oltretutto, la richiamata scelta violerebbe altresì il principio di autosufficienza nazionale e i principi di prossimità e di autonomia regionale sanciti dal più volte richiamato articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014.
3.3. Con il terzo motivo di appello il CoLaRi e la E. Giovi lamentano il mancato accoglimento del secondo motivo del ricorso di primo grado, con il quale si era censurata la radicale nullità che viziava gli atti indittivi della procedura per cui è causa.
Tale nullità, secondo parte appellante, deriverebbe dal radicale difetto di legittimazione negoziale in capo ad AMA la quale, essendo già legata al Comune di Roma (Roma Capitale) da un contratto di servizio stipulato nel 2004 (e la cui efficacia, dopo numerose proroghe, sarebbe venuta meno al 31 luglio del 2015) non aveva la legittimazione a stipulare un contratto di esternalizzazione dei servizi per una durata di quarantotto mesi (e quindi, per un torno temporale di gran lunga eccedente l’efficacia del richiamato contratto di servizio che individuava AMA quale organismo deputato alla gestione integrale dei rifiuti urbani e assimilati).
3.4. Con il quarto motivo di appello il CoLaRi e la E. Giovi lamentano il mancato accoglimento del terzo motivo del ricorso di primo grado, con il quale si era lamentato lo sviamento che viziava gli atti impugnati in primo grado.
In particolare, il T.A.R. avrebbe omesso di apprezzare la gravità delle affermazioni rese a mezzo stampa dal Presidente del AMA, il quale aveva espressamente dichiarato che l’indizione della gara per cui è causa non fosse finalizzata a una più efficace ed efficiente gestione dei rifiuti, bensì (più semplicemente) ad impedire che proseguisse il trattamento dei rifiuti indifferenziati presso gli impianti TMB gestiti dalle appellanti.
Sotto tale aspetto rileverebbe ai fini del decidere il lodo arbitrale reso fra le parti in data 31 luglio 2014, con il quale si era accertato che AMA non avesse tenuto, nel corso della complessiva vicenda, un contegno improntato ai canoni della correttezza e della buona fede.
3.5. Con il quinto motivo di appello il CoLaRi e la E. Giovi lamentano che erroneamente il T.A.R. del Lazio abbia accolto il ricorso incidentale di carattere escludente proposto dall’aggiudicataria Enki, la quale aveva osservato che le odierne appellanti non potessero comunque partecipare alla procedura in quanto non in possesso di un impianto del tipo di quello richiesto dalla lex specialis della procedura.
Sotto tale aspetto i primi giudici avrebbero omesso di considerare:
- che l’impianto di gassificazione di Malagrotta è operativo e che la durata della relativa autorizzazione è decennale ai sensi dell’articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
- che, in relazione all’impianto in questione, sussistevano tutti i requisiti richiesti dalla lex specialis di gara in relazione agli impianti da utilizzare per le attività di recupero dei rifiuti (l’appellante osserva in particolare che il disciplinare di gara non richiedeva che l’impianto fosse allo stato operativo)
3.6. Nella parte finale del ricorso in appello (pagine da 47 a 71) il CoLaRi e la E. Giovi ripropongono i motivi aggiunti già articolati in primo grado e non accolti dal primo giudice (anche in ragione del ritenuto carattere assorbente del motivo di ricorso – accolto – relativo al mancato possesso, da parte delle appellanti, di un impianto del tipo di quello richiesto dalla lex specialis della procedura).
In particolare le appellanti hanno in questa sede riproposto:
- il primo dei motivi aggiunti articolati in primo grado (con il quale si era contestata l’illegittimità degli ulteriori motivi di esclusioni basati: i ) sulla mancata produzione della cauzione provvisoria, secondo quanto prescritto dalla lex specialis ; ii ) sulla mancata produzione dell’impegno di un fideiussore al rilascio di una garanzia relativa agli affidamenti ‘a valle’ della stipula dell’accordo quadro; iii ) sulla mancata produzione dell’impegno alla prestazione della cauzione definitiva; iv ) sulla mancata produzione dell’impegno del garante a rinnovare la cauzione provvisoria fino ad ulteriori 60 giorni;v) sulla mancata produzione della copia del verbale id sopralluogo;
- il quarto dei motivi aggiunti articolati in primo grado (con il quale si era contestata la mancata esclusione dalla procedura della Enki s.r.l.: i ) nonostante i profili di invalidità che viziavano il contratto di avvalimento stipulato con l’ausiliaria austriaca EVN e prodotto ai fini partecipativi; ii ) nonostante l’irregolarità della documentazione prodotta ai fini partecipativi nella busta ‘A’; iii ) nonostante la mancata, tempestiva produzione del documento ‘Passoe’ relativo alla società mandante MAG; iv ) nonostante l’invalidità del contratto di avvalimento stipulato con la società EVN anche per ciò che attiene la messa a disposizione del requisito di fatturato specifico richiesto dalla lex specialis );
- il quinto dei motivi aggiunti articolati in primo grado (con il quale si era contestata la mancata esclusione dalla procedura della Enki s.r.l.: i ) nonostante l’invalidità delle dichiarazioni rese, per quanto riguarda i requisiti dell’ausiliaria EVN, dal signor N, in quanto non legittimato a renderle; ii ) nonostante la mancata, tempestiva produzione del documento ‘Passoe’ relativo alla società mandante MAG e la tardiva e irrituale produzione del documento in questione; iii ) nonostante l’invalidità dell’impegno assunto dalle imprese appellate a costituirsi validamente in R.T.I. verticale; iv ) nonostante l’omessa – e comunque inadeguata – valutazione delle condanne penali riportate dal legale rappresentante della CITE, che avrebbero dovuto comportare l’esclusione di CITE dalla gara; v ) nonostante la mancata allegazione delle dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione in capo alla società Ecoservice, che detiene la maggioranza delle quote consortili nel CITE e che era stata indicata come esecutrice pro quota delle lavorazioni).
4. La Sezione ritiene di poter prescindere – e per ragioni di economia e sinteticità – dall’esame puntuale dei motivi di appello incidentale proposti da AMA al fine di sentir dichiarare la radicale inammissibilità del ricorso originario ovvero l’improcedibilità dell’impugnazione del bando;così come per le medesime ragioni si può prescindere dall’esame puntuale delle eccezioni in rito sollevate dall’appellata Enki, ciò in quanto, per le ragioni che fra breve si esporranno, l’appello in epigrafe deve essere respinto e conseguentemente deve essere confermata la sentenza di primo grado che ha dichiarato (non inammissibili, bensì) infondati i motivi di ricorso riproposti nella presente sede di appello.
5. Il primo motivo di appello, in precedenza meglio descritto, è infondato.
5.1. Con l’articolazione del motivo in parola, in estrema sintesi, le appellanti lamentano che i primi giudici avrebbero omesso di individuare ed apprezzare le plurime violazioni che nel caso in esame sarebbero state arrecate ai principi – di matrice eurounitaria – dell’autosufficienza e della prossimità nelle attività di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani non differenziati (i principi in questione sono stati sanciti in via generale dall’articolo 16 della direttiva 2008/98/CE, recepito nell’ordinamento nazionale attraverso l’articolo 9 del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, che ha introdotto il nuovo articolo 182- bis nell’ambito del c.d. ‘ Testo unico ambientale ’ del 2006 -).
5.2. Si osserva in contrario (e in senso conforme a quanto ritenuto dai primi giudici):
- che gli atti indittivi della procedura all’origine dei fatti di causa (per la parte in cui consentono l’invio di rifiuti urbani non differenziati al di fuori del territorio regionale ed anche al di fuori di quello nazionale) non risultano violativi del combinato disposto degli articoli 182 e 182- bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché dell’articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (recante ‘ Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive ’);
- che, in particolare, la lex specialis della richiamata procedura risulta nel complesso conforme alle prescrizioni di cui al comma 6 dell’articolo 35, cit., secondo cui “ ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sussistendo vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico, nei suddetti impianti deve comunque essere assicurata priorità di accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno e, solo per la disponibilità residua autorizzata, al trattamento di rifiuti urbani prodotti in altre regioni. Sono altresì ammessi, in via complementare, rifiuti speciali pericolosi a solo rischio infettivo nel pieno rispetto del principio di prossimità sancito dall'articolo 182-bis, comma 1, lettera b), del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle norme generali che disciplinano la materia, a condizione che l'impianto sia dotato di sistema di caricamento dedicato a bocca di forno che escluda anche ogni contatto tra il personale addetto e il rifiuto;a tale fine le autorizzazioni integrate ambientali sono adeguate ai sensi del presente comma ”;
- che, allo stesso modo, le prescrizioni della legge di gara non risultano in contrasto con le previsioni di cui ai richiamati articoli 182 e 182- bis (le quali, secondo un condiviso orientamento, devono essere lette in modo integrato e coordinato con quelle di cui al richiamato articolo 35, non palesando aspetti antinomici ma consentendo – al contrario – una complessiva riconduzione a sistema);
- che il principio di autosufficienza (declinato dal richiamato articolo 182- bis in attuazione dell’articolo 16 della direttiva 2008/98/CE) postula, sì, il tendenziale divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle in cui gli stessi sono prodotti, ma consente di coniugare l’enunciazione di tale tendenziale divieto con l’esigenza di conseguire livelli ottimali di utenza servita e, più in generale, obiettivi di efficienza della rete (in tal senso, il paragrafo 3 dell’articolo 16 della richiamata direttiva 2008/98/CE);
- che la stessa giurisprudenza della CGUE ha affermato che l’applicazione dei principi di autosufficienza e prossimità su base regionale non operano in modo rigido e indiscriminato, ma solo “ in linea di principio ”, consentendo modulazioni in relazione all’istituzione di una rete integrata e adeguata al livello UE e alle scelte normative e pianificatorie adottate al livello nazionale (in tal senso: CGUE, sentenza in causa C-653/13, punti 42-45);
- che, pertanto, i richiamati articoli 182 e 182- bis del T.U. ambientale, letti in combinato disposto con l’articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 non palesano profili di contraddittorietà, ma consentono una lettura armonica e coordinata in virtù della quale: i ) grava in via generale e tendenziale sullo Stato (e sulle sue articolazioni funzionali, intese nella più ampia accezione) l’obbligo di dotarsi di una rete impiantistica idonea all’efficace ed effettivo trattamento dei rifiuti, così come al conseguimento dei generali obiettivi della prossimità e dell’autosufficienza; ii ) al contempo, però, il conseguimento dei richiamati obiettivi deve essere coniugato con il parimenti generale interesse all’efficienza nel recupero anche ai fini energetici dei rifiuti (non a caso, lo stesso articolo 16 della direttiva 2008/98/CE postula la realizzazione di una rete integrata di impianti di smaltimento e di recupero, “ concepita in modo da consentire alla Comunità nel suo insieme [e non ai singoli Stati o alle loro articolazioni interne, n.d.E.] di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, nonché nel recupero dei rifiuti di cui al paragrafo 1 e da consentire agli Stati membri di mirare individualmente al conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti ”. E’ evidente al riguardo che, ai sensi della richiamata disposizione, gli Stati membri non possano applicare – in modo, per così dire, ‘monadologico’ – i richiamati principi di autosufficienza e prossimità, ma debbano coniugarli attraverso contestuali considerazioni relative agli obiettivi di efficientamento della rete, alle peculiarità del contesto geografico e all’esigenza di specializzare gli impianti);
- che, nell’ambito del richiamato bilanciamento, la formulazione del comma 6 dell’articolo 35, cit., sembra rinvenire un adeguato punto di bilanciamento fra i diversi interessi in gioco, laddove (per un verso) conferma la valenza generale dei principi di autosufficienza e di prossimità;(per altro verso) ammette – a talune condizioni – il trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico collocato in altre regioni;(per altro verso ancora) introduce correttivi e limitazioni alla possibilità di operare siffatte forme di collocamento extraregionale, imponendo la regola della priorità di accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale e assoggettando il conferimento extraregionale al pagamento di un contributo supplementare;
- che la sentenza appellata è quindi meritevole di condivisione laddove postula la complessiva compatibilità fra le previsioni di cui all’articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 e i richiamati principi di autosufficienza e prossimità (i quali, per le ragioni dinanzi esposte e per quelle che fra breve si esporranno, non si prestano alla rigida lettura proposta dalle appellanti). In particolare, non risulta antinomica rispetto alla realizzazione dei richiamati principi la previsione di legge che ammette il trattamento extraregionale dei rifiuti, laddove (per un verso) tale attività persegua prevalenti obiettivi di efficientamento della rete e di ricorso a trattamenti a propria volta maggiormente efficienti e (per altro verso) non comprima oltre quanto necessario la valenza dei più volte richiamati principi di autosufficienza e prossimità.
5.2.1. In base alle considerazioni e alle osservazioni generali appena svolte è quindi possibile esaminare puntualmente gli ulteriori profili di censura sollevati dalle appellanti.
5.2.1.1. Si osserva al riguardo:
- che può essere condivisa la tesi delle appellanti secondo cui il comma 6 dell’articolo 35 del richiamato decreto-legge n. 133 del 2014 non avrebbe determinato una liberalizzazione delle attività connesse al trattamento dei rifiuti urbani non differenziati (non pericolosi) ubicati ‘fuori bacino’, ma non possono essere invece condivise le conseguenze che l’appellante trae da tale – condivisa – premessa. Ed infatti, il più volte richiamato articolo 35 non ha in alcun modo introdotto una forma di indistinta liberalizzazione del conferimento e del trattamento extraregionale;ma neppure ha imposto che tali attività restino subordinate alla verifica della radicale impossibilità di conferire i rifiuti all’interno del bacino di riferimento. Al contrario (e come si è già osservato), la pertinente normativa nazionale ha introdotto un sistema (nel suo complesso armonico con il paradigma eurounitario di riferimento) in virtù del quale l’applicazione dei richiamati principi può – e deve – essere coniugata e modulata in considerazione del concomitante interesse al perseguimento di primari obiettivi di efficienza del sistema;
- che non rinviene conforto normativo la tesi delle appellanti secondo cui l’applicazione dei principi di autosufficienza e prossimità postulerebbe in via necessaria che la regione conferente versi in situazione emergenziale. Al contrario, la stessa rubrica legis dell’articolo 35, cit. rende palese che l’intervento normativo del settembre del 2014 mirasse alla “ realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani [e a conseguire] obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio ”. Il che manifesta una voluntas legis finalizzata, sì, a introdurre misure caratterizzate dalla necessità e dall’urgenza (in senso conforme, del resto, alla decretazione d’urgenza), ma non limitate – contrariamente a quanto affermano le appellanti – alle sole situazioni emergenziali ai sensi della pertinente normativa;
- che, se (per un verso) può essere condivisa la tesi delle appellanti secondo cui l’articolo 35, cit. deve essere inteso nel senso che il conferimento e trattamento extraregionale è ammesso solo previo riconoscimento della priorità di accesso agli utenti regionali, (per altro verso) l’appellante non ha allegato alcun elemento concreto atto ad inferire che nel caso in esame la condizione in questione non risultasse soddisfatta ( i.e .: che il conferimento extraregionale realizzato per effetto degli atti impugnati in primo grado non abbia rispettato in concreto il ridetto principio della priorità di accesso per le utenze regionali);
- che, allo stesso modo, non rinviene conforto al livello normativo la tesi delle appellanti secondo cui – a tutto concedere – la modulazione dei principi di autosufficienza e di prossimità sarebbe possibile solo in relazione alle attività di raccolta differenziata e di riciclaggio e non anche nelle ipotesi (che qui ricorrono) di raccolta e trattamento dei rifiuti urbani non differenziati. Si osserva in contrario che la tesi in questione non appare compatibile con l’amplissima formulazione normativa di cui all’articolo 35, cit. (il quale opera un onnicomprensivo riferimento “ al trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico ”, con formulazione certamente riferibile anche alle attività all’origine dei fatti di causa);
- che, ancora, non può essere condivisa la tesi secondo cui la vicenda di causa resterebbe governata dal (solo) comma 3 dell’articolo 182 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che fissa il generale divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle di origine. Si osserva al riguardo: i ) che il comma appena richiamato riferisce il divieto alle sole attività di ‘smaltimento’ e non anche a quelle di recupero a fini energetici, che qui vengono in rilievo. Pertanto, la tesi dell’appellante prende le mosse al riguardo da una premessa non condivisibile; ii ) che lo stesso comma 3 fa salva la possibilità di stipulare appositi accordi regionali o internazionali atti a derogare il richiamato divieto “ qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico-economica di raggiungere livelli ottimali di utenza lo richiedano ”; iii ) che la nozione di “accordi” trasfusa nella disposizione da ultimo richiamata (nozione di stretta derivazione eurounitaria) è riferibile ad ogni articolazione pubblica centrale e sub-centrale e risulta quindi idonea anche a ricomprendere manifestazioni di volontà – comunque denominate – idonee a consentire la circolazione extraregionale dei rifiuti; iv ) che la disposizione richiamata dagli appellanti è stata introdotta nel corpus del decreto legislativo n. 152 del 2006 ad opera del medesimo decreto legislativo (si tratta del decreto legislativo n. 205 del 2010, di recepimento della direttiva 2008/98/CE) il cui complesso disciplinare chiaramente consente ipotesi di invio dei rifiuti urbani non differenziati al di fuori della regione di origine; v ) che il comma 2 dell’articolo 182- bis , cit. (lo si ripete: introdotto nel corpus del T.U. ambientale ad opera del decreto legislativo n. 205 del 2010) ammette certamente l’invio extraregionale di rifiuti, pur consentendo – a talune condizioni – di limitarlo;
- che la tesi secondo cui i principi di prossimità e autosufficienza impedirebbero in modo sostanzialmente inderogabile l’invio extraregionale di rifiuti risulta destituita di fondamento alla luce del paragrafo 4 dell’articolo 16 della direttiva 2008/98/CE ( i.e. : della normativa che declina in ambito europeo i principi di autosufficienza e prossimità), secondo cui “ i principi di prossimità e autosufficienza non significano che ciascuno Stato membro debba possedere l’intera gamma di impianti di recupero finale al suo interno ”. Né può giungersi a conclusioni diverse in considerazione del contenuto di un mero schema di d.P.C.M. (peraltro, non esistente al momento dello svolgimento dei fatti di causa) ovvero di una circolare regionale del dicembre 2015 il cui contenuto non potrebbe comunque travalicare la corretta interpretazione delle vigenti disposizioni legislative, per come dinanzi formulata;
- che la disposizione da ultimo richiamata (si tratta dell’articolo 16 della Direttiva 2008/98/CE) non suffraga in alcun modo la tesi delle appellanti secondo cui il pertinente paradigma UE vieterebbe in modo sostanzialmente assoluto il trasferimento in altre regioni o in altri Paesi dei rifiuti urbani non differenziati al fine del loro recupero energetico. Il che destituisce altresì di fondamento la tesi delle appellanti secondo cui chiamato articolo 35, nell’individuare al livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati al livello nazionale, renderebbe palese la necessità di istituire un sistema di autosufficienza energetica nazionale (si tratta infatti di una tesi che confligge in modo piuttosto evidente con il paradigma eurounitario di riferimento). Ai limitati fini che qui rilevano si osserva comunque che altra cosa è determinare al livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati attraverso gli impianti di incenerimento operanti al livello nazionale, mentre ben altra cosa è ritenere che tale determinazione dimostri (per una sorta di argomento ‘ a fortiori ’) anche la sussistenza di un rigido obbligo di autosufficienza al livello nazionale.
5.3. Il primo motivo deve quindi essere respinto.
6. Il secondo motivo di appello, anch’esso meglio descritto in precedenza, è del pari infondato.
6.1. Con l’articolazione del motivo in parola, in estrema sintesi, le appellanti lamentano che i primi giudici avrebbero erroneamente ritenuto che i rifiuti di che trattasi siano inutilizzabili per la produzione di CDR e avrebbero in modo parimenti erroneo ritenuto che gli stessi siano sottratti all’obbligo di essere prioritariamente destinati al riciclaggio. Con il medesimo motivo le appellanti lamentano altresì che le scelte operate attraverso l’indizione della gara per cui è causa (e degli atti successivi) si porrebbero in contrasto con la pertinente pianificazione regionale.
6.2. Si osserva al riguardo:
- che non sembra che il Piano regionale dei rifiuti abbia imposto in via generale e tassativa il trattamento meccanico biologico dei rifiuti come unica opzione ammessa e che abbia contestualmente impedito il trattamento ai fini del recupero energetico;
- che, a tacere d’altro, una siffatta preclusione si porrebbe in contrasto con la normativa primaria di rifermento (ci si riferisce, in particolare, al comma 6 dell’articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 il quale ha tendenzialmente escluso la sussistenza di vincoli di bacino per ciò che riguarda il trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero, in tal modo ammettendone l’invio fuori regione);
- che non può giungersi a conclusioni diverse alla luce del punto 7.2 del Piano Regionale dei Rifiuti (il quale, effettivamente, richiama unicamente il trattamento meccanico biologico e non anche il recupero energetico) atteso che tale mancata indicazione non può certamente sortire l’effetto di rendere inapplicabile un’espressa previsione primaria;
- che neppure può giungersi a conclusioni diverse alla luce del fatto che il richiamato Piano regionale richiama i principi eurounitari di autosufficienza e di prossimità. Ciò in quanto (per le ragioni esposte retro , sub 5) all’enunciazione dei richiamati principi non può essere annessa la rigida valenza prescrittiva che le appellanti ritengono di individuare);
- allo stesso modo, non risulta che le scelte operate dalle amministrazioni appellate si pongano in contrasto con il pertinente paradigma giurisprudenziale UE, atteso che la giurisprudenza richiamata dalle stesse appellanti (in particolare, la richiamata sentenza in causa C-653/13): i ) non nega la possibilità di operare in modo legittimo l’invio extraregionale di rifiuti ai fini del recupero energetico; ii ) non declina in modo rigido e tassativo i principi di autosufficienza e prossimità, ma ne consente una lettura funzionale in relazione all’istituzione di reti integrate e adeguate di impianti al livello UE e nazionale. Si osserva inoltre: iii ) che la richiamata giurisprudenza della CGUE ha, sì, censurato l’operato delle Autorità italiane in tema di gestione di rifiuti, ma lo ha fatto in relazione proprio alla mancata dotazione di reti integrate e adeguate; iv ) che le appellanti non forniscono elementi idonei a ritenere che nella Regione Lazio sia presente una adeguata rete per il recupero energetico (dimostrazione che avrebbe in effetti palesato il carattere eccedentario della scelta di destinare i rifiuti fuori regione). Al contrario risulta in atti che anche allo stato attuale si renda necessario smaltire al di fuori del territorio regionale notevoli porzioni del materiale che risulta dal trattamento bio-meccanico operato negli impianti delle appellanti;
- che, in definitiva, l’assenza – allo stato – di un adeguato sistema integrato di gestione dei rifiuti al livello nazionale (e regionale) palesa la non irragionevolezza dell’opzione esercitata dalle amministrazioni appellate attraverso l’adozione degli atti impugnati in primo grado, così come l’assenza di preclusioni rinvenibili nell’ambito del diritto UE, della normativa primaria nazionale e della pertinente disciplina di Piano.
6.3. Anche il secondo motivo di appello deve quindi essere respinto.
7. Con il terzo motivo di appello, il CoLaRi e la soc. E. Giovi lamentano che i primi giudici abbiano erroneamente respinto il motivo di ricorso con cui si era censurata la radicale nullità che vizierebbe gli atti indittivi della procedura per difetto di legittimazione negoziale in capo ad AMA.
7.1. Al riguardo ci si limita ad osservare che, anche ad ammettere la coincidenza fra l’oggetto del contratto di servizio stipulato nel corso del 2004 e l’oggetto della procedura all’origine dei fatti di gara, ciò non potrebbe in alcun modo determinare la radicale nullità degli atti indittivi della procedura, non potendosi in alcun modo condividere la tesi secondo cui la richiamata stipula avrebbe definitivamente consumato il potere – di stampo pubblicistico – di indire procedure ad evidenza pubblica relative al trattamento dei rifiuti urbani non differenziati.
In disparte, quindi, i richiamati (ed insussistenti) profili di nullità, la questione deve essere riguardata attraverso l’angolo visuale della legittimità degli atti indittivi (legittimità che, per le ragioni sin qui esposte e per quelle che fra breve si esporranno deve qui essere confermata).
8. Allo stesso modo non può trovare accoglimento il quarto motivo di ricorso con il quale il CoLaRi e la E. Giovi sottolineano che l’illegittimità degli atti e dei provvedimenti impugnati in primo grado risulterebbe confermata da alcune dichiarazioni pubbliche rese dal Presidente dell’AMA.
8.1. Al riguardo ci si limita ad osservare che il contenuto delle richiamate dichiarazioni potrebbe, al più, costituire un indice sintomatico dello sviamento di potere laddove emergesse aliunde l’illegittimità dei richiamati atti.
Al contrario, non può in alcun modo ritenersi che le richiamate dichiarazioni possano addurre specifici elementi di illegittimità in relazione alla serie attizia oggetto di impugnativa, se solo si consideri che il complesso degli atti impugnati in primo grado si poneva in linea di piena compatibilità con il pertinente paradigma eurounitario e nazionale di riferimento.
9. E’ parimenti infondato il quinto motivo di appello con cui il CoLaRi e la E. Giovi hanno lamentato l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui, in accoglimento del ricorso incidentale articolato in primo grado, ha stabilito che il ricorso al T.A.R. fosse inammissibile in quanto le stesse non avrebbero potuto partecipare alla procedura non disponendo di un impianto conforme a quello richiesto dalla lex specialis .
9.1. Si osserva al riguardo:
- che la sentenza impugnata appare meritevole di tutela per la parte in cui ha rilevato l’effettiva indisponibilità in capo alle appellanti di un impianto di recupero energetico idoneo al servizio conformemente alle prescrizioni della lex specialis ;
- che neppure in sede di appello il CoLaRi e la E. Giovi hanno allegato elementi idonei a dimostrare l’effettivo possesso di un siffatto impianto (la cui richiesta – per le ragioni in precedenza esposte – non presentava profili di illegittimità);
- che non può essere condiviso l’argomento secondo cui il mancato possesso attuale ed effettivo di un impianto del tipo richiesto dalla legge di gara potesse essere in qualche misura ‘supplito’ dall’esistenza di un’autorizzazione del 2009 alla realizzazione di un gassificatore presso il sito di Malagrotta. Al riguardo ci si limita a richiamare l’orientamento più che consolidato secondo cui, al fine della partecipazione a una procedura ad evidenza pubblica, i requisiti soggettivi ed oggettivi devono essere posseduti alla data di scadenza stabilita dalla lex specialis e che non sono ammesse integrazioni postume in quanto evidentemente idonee ad alterare il canone della par condicio concorrenziale e a porre il soggetto pubblico in una inammissibile situazione di incertezza in ordine alle qualità e ai requisiti effettivamente posseduti dai partecipanti. Ciò, a tacere del fatto che la lex specialis di gara richiedeva ai concorrenti di indicare in modo espresso “ l’impianto o l’elenco degli impianti che verrà/verranno utilizzato/i per le attività di recupero dei rifiuti combustibili CER 20 03 01 oggetto della presente Procedura e dei successivi Appalti Specifici ”. Il che conferma, per altra via, il convincimento secondo cui ai fini partecipativi era necessaria la dimostrazione (nel caso in esame non fornita) circa il possesso attuale di un impianto del tipo prescritto dalla medesima legge speciale.
9.2. Il motivo in questione deve quindi essere respinto.
10. In base a quanto appena osservato deve essere confermata la statuizione del T.A.R. che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso avverso gli atti della procedura sulla base degli assorbenti rilievi dinanzi richiamati sub 9 e 9.1.
Il carattere assorbente del richiamato motivo di esclusione depone ex se nel senso della reiezione in parte qua dell’appello ed esime il Collegio dall’esame puntuale degli ulteriori motivi di esclusione (avverso i quali le appellanti hanno articolato i motivi riproposti alla pagina 47 e successive dell’appello – es.: i motivi relativi alla mancata allegazione di alcuni documenti richiesti dal disciplinare di gara -).
In definitiva, il ricorso di primo grado era comunque da dichiarare inammissibile in relazione all’esclusione delle appellanti dalla procedura in quanto tale esclusione risultava dovuta quanto meno in ragione del mancato possesso di un impianto del tipo di quello (legittimamente) richiesto dalla lex specialis della procedura.
Tale rilievo assorbe la valenza, ai fini processuali, dei motivi aggiunti riproposti nella presente sede di appello.
11. Sono infondati i motivi con cui l’appellante ha qui riproposto il quarto e il quinto dei motivi aggiunti articolati in primo grado (e il cui contenuto è stato in precedenza più analiticamente descritto).
11.1. Si osserva al riguardo:
- che non risulta fondato il motivo con cui si è censurata l’invalidità del contratto di avvalimento stipulato fra la ENKI e la EVN anche in ragione del carattere generico e indeterminato delle indicazioni relative alle risorse poste a disposizione dell’avvalente. Sotto tale aspetto si rileva: i ) che l’oggetto del contratto di avvalimento può essere (non solo determinato, ma anche) determinabile e che, nel caso in esame, dal contratto erano agevolmente individuabili i mezzi e le risorse oggetto di avvalimento (il quale indicava in modo univoco l’impianto di trattamento dei rifiuti con codice CER 200301); ii ) che il contratto in questione aveva ad oggetto la prestazione di un fatturato specifico, in tal modo configurandosi quale ‘avvalimento di garanzia’ in relazione al quale la verifica in ordine alla specificità delle indicazioni viene condotta secondo modalità meno rigorose (in tal senso: Cons. Stato, V, sent. 5041 del 2015);
- che non risulta fondato il motivo con cui si è lamentata la mancata esclusione del RTI aggiudicatario per mancata produzione del documento PassOE da parte di una delle mandanti. Al riguardo ci si limita ad osservare che la stessa lex specialis di gara indicava tale eventuale omissione come “non essenziale”, in tal modo legittimando il ricorso al soccorso istruttorio ai sensi dell’articolo 38, comma 2- bis del decreto legislativo 163 del 2006;
- che non risulta fondato il motivo con cui si è lamentata la mancata esclusione del raggruppamento aggiudicatario nonostante l’inflizione alla mandante Sangalli di una sanzione pecuniaria ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001. Al riguardo ci si limita a richiamare il consolidato orientamento secondo cui l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi del decreto legislativo n. 231, cit. non determina ex se l’impossibilità per l’impresa colpita di negoziare con la P.A., fatte salve le ipotesi in cui sia stata applicata una misura interdittiva ai sensi dell’articolo 9 del medesimo decreto ovvero una diversa misura che comporti aliunde l’impossibilità di contrattare con la P.A.;
- che non può essere accolto il motivo con cui si è lamentata la mancata esclusione del raggruppamento aggiudicatario, nonostante il fatto che esso risulti sottoscritto da un soggetto non legittimato a farlo. Al riguardo si osserva che la censura in questione risulta formulata in termini sostanzialmente ipotetici e non sembra comunque tener conto del fatto che il contratto è stato comunque sottoscritto da un amministratore della EVN (in capo al quale non è state efficacemente contestata la carenza di poteri rappresentativi nell’ordinamento austriaco);
- che non può trovare accoglimento il motivo con cui si è lamentata la mancata esclusione del RTI aggiudicatario per aver rappresentato l’impegno alla costituzione di un raggruppamento orizzontale, laddove in concreto si tratterebbe invece di un raggruppamento di tipo verticale. Al riguardo si osserva: i ) che la dichiarazione di impegno resa dalle imprese del costituendo raggruppamento esclude in modo espresso il carattere orizzontale del raggruppamento stesso; ii ) che ciascuna delle imprese coinvolte risulta(va) responsabile in modo solidale nei confronti della stazione appaltante (come tipicamente avviene nelle ipotesi di raggruppamento di tipo orizzontale); iii ) che la lex specialis della procedura non indicava una prestazione come prevalente (in tal modo fornendo un ulteriore argomento volto ad escludere la sussistenza nel caso di specie di un raggruppamento di tipo verticale);
- che non può essere accolto il motivo con cui si è chiesto che fosse disposta l’esclusione dalla gara del raggruppamento appellato in ragione delle condanne penali riportate dal legale rappresentante della CITE (condanne che erano state comunque puntualmente dichiarate in sede di domanda di partecipazione). Si osserva al riguardo che la stessa appellante si dice consapevole dell’esistenza di un consolidato orientamento secondo cui l’idoneità delle condanne penali a determinare il venir meno del requisito della moralità professionale deve essere valutata dalla stazione appaltante con determinazioni che non sono ordinariamente impugnabili in giudizio, se non nelle ipotesi – che qui non sembrano sussistere – di palese abnormità o irragionevolezza. Ciò, a tacere del fatto che il soggetto cui le condanne in questione erano riferibili non risultava in concreto munito di poteri idonei ad impegnare verso l’esterno l’impresa;
- che non può trovare accoglimento il motivo con cui si è contestata la mancata esclusione della Ecoservice (indicata come esecutrice dal Consorzio CITE), in quanto il possesso dei requisiti di partecipazione non risulta contestato in ragione dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali (che peraltro le appellanti contestano con formulazione dubitativa).
11.2. Anche per tali ragioni l’appello in epigrafe deve essere respinto.
12. In definitiva l’appello principale deve essere respinto.
Deve altresì essere dichiarato improcedibile l’appello incidentale, in quanto la ritenuta infondatezza delle ragioni poste a fondamento del ricorso di primo grado e di quello di appello determinano il venir meno di uno specifico interesse alla sua ulteriore coltivazione.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.