Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-03-11, n. 202102081

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-03-11, n. 202102081
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102081
Data del deposito : 11 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/03/2021

N. 02081/2021REG.PROV.COLL.

N. 00023/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 23 del 2019, proposto da
Banco Bpm S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G M e D M T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Altroconsumo, Associazione di Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino non costituiti in giudizio;
Laura Musola, rappresentata e difesa dagli avvocati Annalisa Lauteri e Luigi Medugno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luigi Medugno in Roma, via Panama, n. 58;
Codacons, rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano e Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Rienzi in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 73;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Silvia Ferro e Angelo Spairani, rappresentati e difesi dall'avvocato Daniele Granara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II 154/3;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 10967/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2021 il Cons. Giordano;

Sono presenti da remoto l’avvocato dello Stato Collabolletta, gli avvocati G M, Luigi Medugno, Cristina Adduzzi in delega di Carlo Rienzi, e Daniele Granara.

L'udienza si svolge ai sensi dell'art.4, comma1, del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell'art.25, comma 2, del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l'utilizzo di piattaforma "Microsoft Teams" come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1 - La società appellante ha impugnato il provvedimento del 30 ottobre 2017 con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha accertato che due pratiche commerciali poste in essere dalla Intermarket Diamond Business S.p.A. (IDB), da IDB Intermediazione s.r.l. e Banco BPM S.p.A., oltre ad altro istituto di credito - e consistenti nella prospettazione omissiva e ingannevole ai consumatori di alcune caratteristiche dell’investimento in diamanti, nell’aggravamento delle condizioni per il diritto di recesso e nell’individuazione del foro competente per le controversie – costituivano una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettere b), c), d) ed f), nonché 23 , comma 1, lettera t), e 49, 50, 52, 54 e 66- bis del codice del consumo.

In particolare, il provvedimento sanzionatorio impugnato si fonda sulla considerazione per cui “ la pratica posta in essere … concernente le modalità di prospettazione dell'acquisto di diamanti in tutto il materiale illustrativo diffuso attraverso il sito e attraverso il canale bancario … integra la violazione … in quanto contraria alla diligenza professionale ed idonea ad indurre in errore i consumatori relativamente: al prezzo ed al modo in cui viene calcolato – prospettato da IDB come quotazione di mercato;
all'andamento del mercato dei diamanti ed alla vantaggiosità e redditività dell'acquisto prospettato, in comparazione con l'inflazione ed altri investimenti;
alla certezza del rapido e certo disinvestimento in termini di facile liquidabilità del bene;
alle qualifiche del professionista IDB che vanta una leadership europea
”.

Veniva anche ravvisata la violazione delle norme poste a tutela dei consumatori sotto il profilo della “ omessa indicazione dell’informativa sul diritto di recesso dovuta per i contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali e la mancata messa a disposizione di un modulo tipo ” e quello della “ formulazione … ambigua ed imprecisa, come tale suscettibile di distorta interpretazione da parte del consumatore ” dell’indicazione del Foro competente.

Con la determinazione finale si imputava alla Banca appellante la responsabilità solo della prima delle pratiche sopra descritte, ritenendo che la stessa avrebbe “ svolto un ruolo attivo nell’attività di promozione e vendita dei diamanti da investimento commercializzati dai professionisti, in virtù di accordi commerciali sottoscritti con IDB S.p.A. e IDB Intermediazioni S.r.l. che prevedevano – a titolo di corrispettivo – ingenti compensi alle suddette banche correlati alle vendite ”.

2 – Con la sentenza n. 10967 del 2018, il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso.

4 - Avverso tale pronuncia ha proposto appello l’originaria parte ricorrente.

Si sono costituiti in giudizio Laura Musola, l’AGCM, Silvia Ferro, Angelo Spairani ed il Codacons.

All’udienza del 28/01/2021 la causa è stata trattenuta in decisione

DIRITTO

1 - Prima di esaminare compiutamente gli specifici rilievi dell’appellante giova ricordare i fatti accertati a carico della società e che hanno dato luogo alla sanzione.

L’Autorità ha accertato l’esistenza di plurime carenze informative rispetto a distinti profili: a) le modalità di prospettazione delle caratteristiche dell’investimento in diamanti - presentato quale investimento in un “bene rifugio” in grado di conservare ed accrescere il suo valore nel tempo, di agevole liquidabilità e alienabilità;
b) le modalità di determinazione del prezzo (sia in caso di acquisto, che in caso di rivendita) prospettato come quotazione di mercato;
c) la rappresentazione dell’andamento del mercato dei diamanti;
d) la qualifica di Intermarket Diamond Business come “leader di mercato”.

Quanto ai primi due profili di scorrettezza, l’Autorità ha ritenuto che il materiale illustrativo predisposto e riprodotto anche nel sito e divulgato agli istituti di credito, nonché da questi ultimi utilizzato al fine di offrire una prima informativa al cliente sull’investimento, fosse ingannevole atteso che presentava i prezzi dei diamanti come “quotazioni”. Tale presentazione lasciava intendere al consumatore che si trattava di rilevazioni oggettive di mercato raccolte dal professionista a beneficio del consumatore che avrebbe potuto in tal modo monitorare l’andamento del proprio “investimento”.

Viceversa, dall’istruttoria svolta dall’Autorità è emerso che le asserite quotazioni in realtà non corrispondevano ad una rilevazione sull’effettivo andamento di mercato risultante dall’andamento della domanda e dell’offerta di diamanti. Si trattava, invece, dei prezzi dei servizi offerti da IDB (tra cui la vendita dei diamanti), autonomamente fissati e progressivamente aumentati nel corso degli anni dalla stessa IDB.

La pubblicazione periodica di tali “quotazioni” su un quotidiano economico finanziario di larga diffusione e reputazione quale “Il Sole 24 Ore”, e successivamente “Milano Finanza”, ne avrebbe confermato l’autorevolezza, inducendo nei consumatori l’erronea percezione che si trattasse di oggettive quotazioni dei diamanti sul mercato.

Ad alimentare l’equivoco dato dalla impropria definizione del prezzo come quotazioni dei diamanti concorreva la combinazione di ulteriori elementi quali: la stessa terminologia impiegata nella presentazione dell’acquisto dei diamanti come investimento;
le reiterate indicazioni presenti nel materiale illustrativo/promozionale di IDB volte a affermare che le quotazioni dei diamanti fossero destinate ad aumentare per il progressivo esaurimento dei diamanti.

Inoltre, il raffronto nei grafici con la quotazione dell’indice Eurostoxx 50, che rappresenta una media ponderata delle quotazioni ufficiali di Borsa delle azioni delle 50 società dell’Eurozona con maggiore valore del capitale flottante, avvalorava nel consumatore l’idea che le “quotazioni” fossero riferite al valore intrinseco dei diamanti, o comunque a valori assai vicini ad essi, alla stregua di altri beni o titoli acquistati a scopo di investimento.

2 - Con il primo motivo di appello la Banca censura la decisione del T.A.R. nella parte in cui ha rigetto il motivo di ricorso con cui si deduceva la violazione dell’art. 6 della CEDU, in relazione alla Delibera

AGCM

1 aprile 2015, n. 25411.

A tal fine, l’appellante ricorda che la natura sostanzialmente penale delle sanzioni pecuniarie inflitte da AGCM è stata riconosciuta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza del 27 novembre 2011 “Menarini”), basandosi sulla natura dissuasiva e repressiva della sanzione, che caratterizza anche le sanzioni per le pratiche commerciali scorrette.

Secondo l’appellante, un’interpretazione restrittiva delle garanzie sancite dall’art. 6 citato, quale è quella che emerge dalla sentenza del TAR, non sarebbe giustificata, dovendosi rispettare il requisito dell’equità nel corso dell’intera procedura e, dunque, anche nella fase davanti all’Autorità, tanto più se si considerano i limiti che il sindacato del giudice amministrativo incontra nella valutazione dei provvedimenti dell’AGCM. Al riguardo, prospetta come sia difficile sostenere che il giudice amministrativo possa configurarsi come un giudice di piena giurisdizione con riferimento ad accuse di natura penale e in presenza di decisioni, quali quelle dell’AGCM, caratterizzate da discrezionalità tecnica, sulle quali il sindacato del Giudice amministrativo non sarebbe affatto pieno.

3 - Il motivo non è fondato, dovendosi confermare la valutazione effettuata dal T.A.R., in conformità alla giurisprudenza della Sezione ( cfr . Cons. St., Sez. VI, n. 1164/2016).

L’art. 6 CEDU prevede che, per aversi equo processo, “ ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge ”.

Questa disposizione si applica anche in presenza di sanzioni amministrative di natura afflittiva, alle quali deve essere riconosciuta natura sostanzialmente penale (al ricorrere dei criteri a suo tempo stabiliti dalla nota sentenza Engel del 8 giugno 1976).

Secondo la giurisprudenza della Corte Europea, il “ fair trial ” non ha ad oggetto unicamente il processo, ma anche il procedimento amministrativo, e segnatamente: per “tribunale” deve intendersi qualunque autorità che, pur attraverso un procedimento non formalmente qualificato processo nell’ordinamento interno, adotti atti modificativi della realtà giuridica, incidenti significativamente nella sfera soggettiva di un soggetto privato, anche se tale funzione viene esercitata al di fuori di una organizzazione giurisdizionale.

Tuttavia, nonostante le condivisibili premesse teoriche da cui muovono le censure di parte appellante, queste si rivelano sotto più profili fallaci.

3.1 - La Sezione ( cfr . Cons. St., sez. VI, n. 1595 del 2015) ha giù avuto modo di affermare come, in applicazione dei principi posti dalla Corte EDU, all’interno della più ampia categoria di “accusa penale” occorra distinguere tra un diritto penale in senso stretto (“ hard core of criminal law ”) e casi non strettamente appartenenti alle categorie tradizionali del diritto penale.

Più precisamente, all’interno della più ampia categoria di accusa penale, la giurisprudenza della Corte EDU ( cfr . Corte europea dei diritti dell’uomo 23 novembre 2006, caso n. 73053/01, Jussila c. Finlandia ) ha distino tra un diritto penale in senso stretto (“ hard core of criminal law ”) e casi non strettamente appartenenti alle categorie tradizionali del diritto penale, in particolare qualora l’accusa all’origine del procedimento non comporti un significativo grado di stigma nei confronti dell’accusato.

La pragmaticità dell’approccio della Corte europea dei diritti dell’uomo ha, dunque, portato quest’ultima a riconoscere che non tutte le garanzie di cui all’art. 6, par. 1, CEDU devono essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa, potendo esse, almeno nel caso delle sanzioni non rientranti nel nocciolo duro della funzione penale, collocarsi nella successiva ed eventuale fase giurisdizionale.

Deve, pertanto, ritenersi compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione che sanzioni “penali” siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo – anche a conclusione di una procedura priva di carattere quasi giudiziale o quasi-judicial , vale a dire che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio – purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione” e, quindi, le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale ( cfr . Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2015 n. 1596).

Non risulta, pertanto, censurabile l’impostazione di fondo in base alla quale la nozione di “giusto processo”, enunciata dall’art. 111 Cost. è direttamente riferibile soltanto ai giudizi destinati a svolgersi dinanzi ad organi giurisdizionali. In altri termini, deve ritenersi compatibile sia con i principi costituzionali, sia con quelli di matrice europea, un procedimento amministrativo, ancorché tendente ad incidere sui diritti soggettivi del destinatario – essenzialmente sotto il profilo patrimoniale e senza implicare restrizioni della libertà personale – non completamente assimilabile al giudizio e privo di talune garanzie tipicamente processuali ( cfr . Civ., Sez. Un., 20 settembre 2009, n. 20935).

3.2 - Ferma la conclusione che precede, gli specifici rilievi di parte appellante trascurano di considerare la crescente tendenza ad anticipare, con riferimento ai procedimenti sanzionatori di competenza delle c.d. Autorità amministrative indipendenti, molte garanzie tradizionalmente proprie del processo e dell’esercizio della giurisdizione.

In particolare deve registrarsi il già acquisito principio di separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie.

Nello specifico, in riferimento ai procedimenti sanzionatori dell’Antitrust, in base alla disciplina dettata Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di tutela del consumatore (Delibera

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi