Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-07-11, n. 201603079

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-07-11, n. 201603079
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201603079
Data del deposito : 11 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00261/2007 REG.RIC.

N. 03079/2016REG.PROV.COLL.

N. 00261/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 261 del 2007, proposto dal COMUNE DI FASANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti G V e O C, con domicilio eletto presso il signor M G in Roma, via L. Mantegazza, 24,

contro

i signori F S e G S, rappresentati e difesi dall’avv. R Gtiero Marra, con domicilio eletto presso il signor M G in Roma, via L. Mantegazza, 24,

per la riforma e/o l’annullamento

della sentenza del T.A.R. della Puglia, Sezione Terza di Lecce, del 26 settembre 2006, nr. 4668, resa inter partes , che ha in parte accolto il ricorso di primo grado, condannando il Comune di Fasano al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio degli appellati, signori F S e G S, nonché l’appello incidentale dagli stessi proposto;

Viste le memorie prodotte dal Comune appellante (in date 21 aprile e 4 maggio 2016) e dagli appellati (in date 22 aprile e 5 maggio 2016) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016, il Consigliere R G;

Uditi l’avv. Valla per il Comune appellante e l’avv. Marra per gli appellati;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Comune di Fasano ha appellato la sentenza con la quale la Sezione di Lecce del T.A.R. della Puglia, dopo aver dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di annullamento del diniego opposto alla istanza di concessione edilizia dei signori F e G S (stante l’avvenuto rilascio del titolo edilizio durante il giudizio), ne ha accolto la domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimità del detto diniego.

In particolare, l’Amministrazione comunale ha dedotto l’erroneità della decisione di accoglimento della domanda risarcitoria sulla base dei seguenti motivi:

1) omesso accertamento dell’illegittimità del gravato provvedimento di diniego di concessione edilizia (in relazione all’elemento oggettivo del ravvisato illecito aquiliano);

2) insussistenza della colpa dell’Amministrazione (quanto all’elemento soggettivo dell’illecito);

3) mancata prova circa l’esistenza e l’ammontare del danno da parte degli originari ricorrenti (in relazione al quantum del danno risarcibile).

Si sono costituiti in giudizio gli originari ricorrenti, signori F e G S, i quali, oltre a opporsi all’accoglimento dell’impugnazione del Comune, hanno proposto appello incidentale avverso la sentenza in epigrafe, deducendo:

- l’erronea individuazione del dies a quo del danno risarcibile;

- l’erronea quantificazione del danno emergente e del lucro cessante;

- l’erronea esclusione di talune voci di danno richieste, quali quelle derivanti dalla chiusura dell’attività dell’impresa dei ricorrenti e quelle relative alle spese legali.

In seguito, le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 26 maggio 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con istanza del gennaio 1996 i signori F e G S, comproprietari di una casa di abitazione in territorio del Comune di Fasano, hanno chiesto il rilascio di una concessione edilizia per la sistemazione statica, igienica e funzionale dell’immobile al piano terra e per la sopraelevazione di tre piani, con allineamento dei prospetti agli edifici esistenti.

L’Amministrazione comunale, con provvedimento del 10 ottobre 1996, ha respinto detta domanda per contrasto della stessa con l’art. 41- quinquies , comma 6, della legge 17 agosto 1942, nr. 1150, ricadendo l’intervento in “zona bianca” non disciplinata dal P.R.G. e non regolata da un piano attuativo.

I signori S hanno quindi impugnato detto provvedimento di diniego dinanzi al T.A.R. della Puglia, il quale ha accolto il ricorso con sentenza n. 759 del 7 luglio 1999.

In particolare il T.A.R. ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento di diniego poiché adottato con richiamo a normativa non pertinente alla fattispecie, atteso che il citato art. 41- quinquies , comma 6, della legge nr. 1150/1942 non sarebbe applicabile alle zone sottoposte a diffusa edificazione, com’è quella nella quale è inserito l’immobile dei germani S;
il Tribunale adìto ha poi indicato la normativa destinata a disciplinare la fattispecie in questione, richiamando l’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, nr. 10, e l’art. 4, comma 1, della legge 1 giugno 1971, nr. 291, senza scendere all’esame del merito delle caratteristiche dell’intervento richiesto.

In seguito a detta sentenza il Comune ha dunque riattivato il procedimento per il rilascio della concessione (nell’ambito del quale ha acquisito i pareri della Commissione edilizia comunale e della Soprintendenza), concludendolo con un secondo diniego di concessione edilizia, fondato stavolta sul contrasto delle opere progettate con l’art. 4, ultimo comma, della legge nr. 10/1977 (il quale dispone, con riguardo ai Comuni sforniti di P.R.G., che nei centri abitati sono “ consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico ”) e con l’art. 41- quinquies , comma 5, della legge nr. 1150/1942 (il quale limita alle sole opere di consolidamento o restauro gli interventi edilizi negli agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale).

Avverso tale secondo diniego hanno quindi proposto ricorso i germani S, chiedendone al T.A.R. della Puglia l’annullamento con il risarcimento dei conseguenti danni.

I ricorrenti hanno inoltre presentato istanza di sospensiva, accolta dal T.A.R. con ordinanza a seguito della quale il Comune, sollecitato dall’istanza di riesame degli interessati, ha avviato un nuovo procedimento che ha portato al rilascio della concessione edilizia n. 349 del 2001.

2. Il T.A.R. di Lecce ha quindi dichiarato cessata la materia del contendere in merito alla domanda di annullamento del diniego, stante l’avvenuto rilascio della concessione, e ha accolto la domanda di risarcimento dei danni a favore dei fratelli S: il primo giudice ha difatti ritenuto sussistenti, nel caso di specie, tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, e segnatamente:

- l’illegittimità del provvedimento di diniego, dedotta dalla violazione del decisum riveniente dalla sentenza nr. 759/1999 e dal sopravvenire della citata concessione nr. 349/2001;

- la colpevolezza dell’Amministrazione, che ha disatteso le indicazioni del giudice amministrativo ed i pareri della C.E.C. e della Soprintendenza (non ostativi al rilascio della concessione edilizia);

- il danno ingiusto, consistente nei maggiori costi sostenuti dagli istanti in conseguenza del ritardo nel conseguimento del titolo edilizio e causalmente riconducibile alla condotta illegittima del Comune.

Ai fini della quantificazione del danno da risarcire, il T.A.R. ha provveduto ai sensi dell’art. 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 80 (all’epoca in vigore).

3. Con l’odierno appello, il Comune di Fasano insorge avverso le predette conclusioni del T.A.R. pugliese.

3.1. In particolare, la parte odierna appellante contesta la conclusione del giudice di primo grado circa l’illegittimità del diniego di concessione, illegittimità a suo dire affermata apoditticamente e sulla base di erronei presupposti.

Rileva difatti il Comune che la precitata sentenza nr. 759/1999 non aveva vincolato l’Amministrazione a rilasciare la richiesta concessione edilizia, ma si era limitata a indicare i corretti parametri normativi per la valutazione della domanda dei signori S, parametri sulla base dei quali il Comune aveva poi effettivamente provveduto.

3.2. In secondo luogo, il Comune contesta la valutazione del T.A.R. in ordine alla sussistenza della colpevolezza dell’Amministrazione.

Nel caso di specie, sottolinea l’odierno appellante, oltre al provvedimento illegittimo, difettavano infatti anche altri fattori presuntivi della colpevolezza, quali la certezza del quadro giuridico-normativo di riferimento e la semplicità della situazione di fatto.

3.2. Infine, il Comune contesta la mancata prova circa l’esistenza e l’ammontare del danno subito dai germani S.

4. Avverso la medesima sentenza propongono appello incidentale gli originari ricorrenti, i quali lamentano l’illegittimità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto un danno risarcibile in misura ridotta rispetto alla originaria domanda.

5. La ricostruzione in fatto che precede, quale ricavabile dagli atti di causa e da quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

6. Tutto ciò premesso, l’appello principale è fondato per le ragioni di seguito esposte.

6.1.1. Ed invero, occorre anzi tutto osservare che effettivamente la prima sentenza di accoglimento del T.A.R. di Lecce (nr. 759/1999) non sanciva alcun obbligo del Comune di rilasciare la richiesta concessione edilizia, essendosi il giudicante limitato a rilevare il vizio “formale” del provvedimento di diniego (consistente nell’erronea motivazione dello stesso), demandando all’Amministrazione le ulteriori determinazioni, da prendere quest’ultime sulla base delle disposizioni normative individuate in sentenza come disciplinanti la fattispecie in esame.

Più specificamente, prendendo atto della condizione di edificazione dell’area interessata dalla richiesta ad aedificandum, il T.A.R. – al contrario di quanto ritenuto dal Comune, che al riguardo aveva richiamato il comma 6 dell’art. 41- quinquies, l. nr. 1150/1942 - ha ritenuto non necessaria la previa predisposizione di un piano attuativo, dovendo trovare applicazione nella specie, come già evidenziato, gli artt. 4, ultimo comma, della legge nr. 10/1977 e 4, comma 1, della legge nr. 291/1971.

6.1.2. In secondo luogo, occorre considerare che il secondo diniego del Comune, successivo alla sentenza nr. 759/1999 e censurato col ricorso introduttivo nel presente giudizio, era basato su un duplice ordine di motivi, con riferimento:

a ) al fatto che l’intervento richiesto eccedeva i limiti di quanto consentito dall’art. 4, ultimo comma, l. nr. 10/1977;

b ) alla preclusione riveniente dall’art. 41- quinquies , comma 5, l. nr. 1150/1942 con riguardo alle aree interessate da vincoli di particolare pregio paesaggistico e ambientale.

Nell’odierno appello, l’Amministrazione comunale insiste soprattutto sulla prima delle due motivazioni testé richiamate, la quale appare effettivamente dirimente: infatti, l’art. 4, ultimo comma, della l. nr. 10/1977, come già evidenziato, nel disciplinare gli interventi consentiti nei Comuni sforniti di P.R.G., dispone che nei centri abitati sono “ consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico ”.

Orbene, appare evidente come la sopraelevazione di tre piani, oggetto della concessione edilizia richiesta dagli odierni appellati, fuoriesca da detti interventi consentiti.

A fronte del richiamo al carattere preclusivo della disposizione dianzi indicata, peraltro, gli odierni appellati non risultano opporre argomenti decisivi in contrario, limitandosi a richiamare la circostanza di fatto che fin dal 1991 il Comune avrebbe rilasciato, su quelle stesse “zone bianche”, plurime concessioni edilizie contemplanti anche sopraelevazioni di piani.

Tale argomentazione appare però del tutto priva di rilevanza, dovendo innanzi tutto verificarsi la veridicità dell’assunto e l’esatta assimilabilità di siffatti interventi a quello per cui è causa;
in ogni caso, l’eventuale rilascio a terzi da parte del Comune di concessioni illegittime, per costante insegnamento giurisprudenziale, giammai potrebbe essere invocato a fondamento di un’aspettativa giuridicamente rilevante al conseguimento di analoghi titoli o della sussistenza del vizio di disparità di trattamento.

6.1.3. In terzo luogo, neanche il successivo rilascio della concessione edilizia nr. 349/2001 può essere di per sé addotto a elemento indicativo ex post dell’illegittimità dei precedenti dinieghi.

Al riguardo, senza voler approfondire l’argomentazione del Comune il quale si spinge a ipotizzare che possa essere detto ultimo titolo a essere illegittimo, è sufficiente osservare che esula dal perimetro delle questioni rilevanti in questa sede l’accertamento delle ragioni – anche in fatto – che possono aver indotto l’Amministrazione a rilasciare l’anzi detta concessione (ciò potendo esser stato indotto anche dal semplice intento di chiudere il presente contenzioso, prescindendo dal merito delle questioni ad esso sottese).

6.1.4. Per completezza espositiva, occorre aggiungere che negli scritti difensivi di primo grado i ricorrenti avevano richiamato a proprio favore anche il disposto dell’art. 51, comma 1, lettera n ), della legge regionale della Puglia 31 maggio 1980, nr. 56, che è però norma derogatoria del regime introdotto dall’art. 41- quinquies , comma 6, della l. nr. 1150/1942 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 maggio 2001, nr. 2606), e dunque attiene a problematica già superata con l’annullamento del primo diniego opposto all’istanza ad aedificandum e non incide affatto sul più generale regime di cui al più volte citato art. 4, l. nr. 10/1977.

6.1.5. Alla luce di tali considerazioni, emerge la non condivisibilità delle conclusioni del primo giudice, il quale ha basato il proprio accertamento incidentale di illegittimità del diniego impugnato, senza particolare approfondimento delle sue ragioni giuridiche, sul mero duplice (e fallace) rilievo che il provvedimento negativo dell’Amministrazione costituisse violazione della precedente sentenza nr. 759/1999 e che il sopravvenire della concessione nr. 349/2001 rilevasse ai fini della considerazione dell’illegittimità dei precedenti dinieghi.

6.2. Dalle conclusioni testé raggiunte discende a fortiori l’inconfigurabilità dell’illecito anche sotto il profilo soggettivo, dovendo ritenersi fondate le valutazioni inizialmente compiute dal Comune in senso ostativo all’intervento.

6.3. Quanto all’ultimo motivo dell’appello principale, relativo alla mancata prova del danno liquidato dal T.A.R., questo risulta evidentemente assorbito dai rilievi fin qui svolti.

7. L’acclarata fondatezza dell’appello del Comune comporta altresì l’improcedibilità dell’appello incidentale, essendo venuto meno il presupposto stesso – la sussistenza di un illecito aquiliano del Comune – sul quale gli istanti fondavano le proprie doglianze in punto di individuazione e quantificazione del danno risarcibile.

8. Alla luce di tutto quanto evidenziato, s’impone una pronuncia di parziale riforma della sentenza impugnata, con l’integrale reiezione della domanda risarcitoria formulata in prime cure.

9. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: cfr. ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

10. La peculiarità e complessità in fatto della vicenda esaminata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio;
resta a carico di ciascuna delle parti il contributo unificato rispettivamente versato.

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