Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-12-21, n. 202211175
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 21/12/2022
N. 11175/2022REG.PROV.COLL.
N. 01797/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1797 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati G C, A G B, R R e L L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio G C in Roma, via Cicerone 44;
contro
il Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
la Questura di Varese, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;
il Commissariato di Polizia di Stato di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito,
per la riforma
della sentenza del Tar Lombardia, sede di Milano, sez. I, n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di revoca della licenza di porto di fucile per uso a tiro a volo e contestuale diniego dell’istanza di rinnovo della stessa, emesso in data -OMISSIS- dalla Questura di Varese.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e la relativa memoria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con provvedimento del -OMISSIS- la Questura di Varese, ha disposto la revoca ed il contestuale rigetto della parallela istanza di rinnovo della licenza per il porto d’armi di fucile per uso tiro a volo nei confronti del sig. -OMISSIS- sulla base del complesso di circostanze a carico dello stesso, in base al quale ha ritenuto insussistente il requisito di affidabilità. Nel motivare circa il venir meno di tale requisito, il provvedimento ha tenuto conto dei seguenti elementi a carico dell’interessato:
- in data 27 luglio 2002 è estato denunciato per lesioni personali aggravate (art. 582 e 585 c.p.);denuncia conclusasi con decreto di archiviazione per prescrizione in data 13 marzo 2008. Il provvedimento ha valorizzato le modalità della condotta, in quanto le lesioni erano consistite nel ferimento con coltello il collo di un uomo che si era limitato a chiedere spiegazioni all’interessato in relazione al litigio avvenuto poco prima ai danni di un suo amico, malato di cuore;
- è stato denunciato all’Autorità giudiziaria dalla ex compagna in data 31 gennaio 2014 per diffamazione ex art 595 c.p., reato poi estinto per successiva remissione della querela;ed in data 4 aprile 2014, ex art. 627 c.p., dalla stessa per essersi appropriato dell’intero ammontare di un conto corrente cointestato.
- in seguito a perquisizione domiciliare eseguita in data 24 maggio 2019, ai sensi dell’art. 41 T.U.L.P.S., è stato denunciato per ricettazione in quanto trovato in possesso di sfollagente in uso alle forze di Polizia;reato successivamente archiviato;ed è stato altresì denunciato, ex art. 97 del Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S. in quanto trovato in possesso di n. 103 cartucce eccedenti il limite di detenzione previsto ex lege.
Tale provvedimento ha dato atto che alcune delle circostanze sopra riferite (in specie quelle relative ai fatti del 2002 e 2008) erano state oggetto di un precedente contenzioso avanti il Tar Milano e da questo ritenute non idonee in allora a sorreggere un giudizio di inaffidabilità dell’interessato (cfr. ordinanza cautelare n. 711 del 2014 e sentenza n. 151 del 2015). Tuttavia la Questura ha ribadito la permanenza del contesto di elevata conflittualità intercorrente con la ex compagna, attesa anche la recente l’emersione di una dichiarazione (24 maggio 2019) della stessa di aver interrotto la relazione a suo tempo intrattenuta con l’interessato a causa di comportamenti violenti e minacce con una pistola regolarmente detenuta.
Il provvedimento ha altresì valorizzato autonomamente le circostanze fattuali emerse a seguito della citata perquisizione effettuata in data 24 maggio 2019.
2. L’interessato ha impugnato con motivi aggiunti tale decreto avanti il Tar Milano, dove aveva nel frattempo già radicato un ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a. a fronte del perdurante silenzio della Questura di Varese circa l’istanza di rilascio della licenza del porto di fucile, contestandone la legittimità per violazione di legge nonché per eccesso di potere sotto molteplici profili, in quanto essenzialmente il provvedimento gravato si sarebbe basato su presupposti in parte errati, in parte irrilevanti tenuto conto delle positive risultanze dei giudizi penali e dell’attuale condizione di incensuratezza dell’interessato ed in parte già vagliati, e non ritenuti ostativi, dal precedente giudizio del Tar Milano nel 2015.
3. Il Tar Milano, dopo aver disposto la conversione del rito ex art. 117, comma 5 c.p.a., ha respinto il ricorso con la sentenza qui oggetto di gravame confermando la legittimità del provvedimento di revoca e contestuale diniego di rinnovo di licenza del porto di fucile, ritenendo in particolare esente da mende la valutazione compiuta dall’Amministrazione circa l’inaffidabilità ed il conseguente pericolo di abuso da parte dell’interessato alla luce del quadro complessivo di circostanze a suo carico.
4. Avverso la pronuncia del Tar, l’interessato ha proposto appello, con contestuale istanza sospensiva degli effetti della pronuncia di primo grado, notificato il 16 febbraio 2022 al Ministero dell’Interno, alla Questura di Varese ed al Commissario di Polizia di -OMISSIS-e depositato il successivo 1 marzo 2022, deducendo, in linea con le doglianze già esposte in primo grado rispetto al provvedimento, i seguenti motivi:
(i) Error in iudicando: violazione ed erronea applicazione degli artt. 11, 39 e 43 TULPS, RD 773/31 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione con conseguente violazione dell’art. 3 L. 241/90 – Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto – Illogicità manifesta – Contraddittorietà. Con tale motivo si è essenzialmente contestato che la sentenza di primo grado abbia posto a fondamento circostanze già valutate positivamente in sede del precedente contenzioso conclusosi nel 2015, affermando, fra l’altro, che “al netto del primo episodio, risalente al 2002, archiviato e già giudicato dal TAR con l’ordinanza n. -OMISSIS- indicata in narrativa come non ostativo al porto d’armi, tutti gli altri episodi elencati traggono origine da denunce della ex compagna del Sig. -OMISSIS-in contesti di rivendicazioni economiche, con querele successivamente rimesse (2014) e con archiviazioni immediate in difetto dei presupposti materiali per sostenere le accuse (2019)” (p. 13 appello).
(ii) Error in iudicando: ulteriore violazione degli artt. 11, 39 e 43 TULPS in relazione ad eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e difetto di motivazione ed istruttoria – pretestuosità. Con tale motivo, strettamente legato al precedente, si è contestato che le denunce sporte dalla sig.ra -OMISSIS-nel 2014, oltre ad essere state subito rimesse dalla stessa, sono intervenute antecedentemente al rilascio del porto d’armi originario e, dunque, non possono essere riutilizzate in sede di valutazione del rilascio del richiesto rinnovo (p. 18 appello). E si è altresì contestato, a differenza di quanto sostenuto dal provvedimento questorile, che l’interessato ha sporto espressamente querela nei confronti della ex moglie per calunnia, volta proprio a contestare l’insussistenza materiale dei fatti per i quali la stessa aveva inizialmente sporto denuncia-querela.
(iii) Error in iudicando: ulteriore violazione degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS in relazione ad eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria, illogicità manifesta e travisamento dei presupposti di fatto e diritto. Con tale motivo, anch’esso strettamente collegato ai precedenti, l’appellante ha sostenuto che il giudizio di affidabilità avrebbe dovuto basarsi unicamente sui fatti intervenuti successivamente (2019) alla precedente controversia e che questi sarebbero nel complesso inidonei a sorreggere il giudizio di inaffidabilità.
(iv) Error in iudicando: eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria – Omessa motivazione e violazione dell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990. Con tale ultimo motivo si è contestata la mancata valorizzazione delle diverse valutazioni, in ordine all’affidabilità, compiute dalla Prefettura ed esplicitate nel provvedimento del 22 gennaio 2020: pur trattandosi di provvedimenti con presupposti e finalità diverse il provvedimento non avrebbe in alcun modo esplicitato le ragioni che lo hanno portato a discostarsi dalle valutazioni prefettizie, né tale profilo sarebbe stato opportunamente chiarito dal Tar.
5. In data 6 aprile 2022 si è costituito, depositando memoria, il Ministero dell’Interno per resistere all’appello e contestarne la fondatezza nel merito.
6. Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS- la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione non ritenendone sussistenti i presupposti, soprattutto sotto il profilo del fumus boni iuris.
7. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
Ai fini della risoluzione della presente controversia giova ripercorrere brevemente i consolidati principi che regolano la materia in esame.
La materia del rilascio del porto d’armi è disciplinata dagli artt. 11 e 43, r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.). Il legislatore nella materia de qua affida all’Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all’affidamento che il soggetto richiedente può dare.
Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.
La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse». Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che «dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti».
Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del -OMISSIS-, che «deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi».
La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972;Cons. St., Sez. III, 7 giugno 2018, n. 3435).
Nello specifico, ed in linea con la ricostruzione sovra riportata, la giurisprudenza di questa Sezione ha più volte ribadito il principio per cui i provvedimenti concernenti le armi si ispirano ad una finalità preventiva e non sanzionatoria;pertanto, al fine di giustificare l'adozione dei provvedimenti medesimi, tanto di revoca e/o rifiuto quanto di divieto di detenzione, non è richiesto un comprovato abuso, ma è sufficiente un plausibile e motivato convincimento dell'autorità di polizia, attraverso un giudizio prognostico, circa la possibilità di un non appropriato utilizzo delle armi, tale da integrare una erosione anche minima del requisito della totale affidabilità del soggetto (Cons. Stato, Sez. III, n. 3341 del 2014). Per le medesime ragioni non è neppure richiesta la presenza di condanne penali o misure di sicurezza e le misure di revoca o diniego dell'autorizzazione alla detenzione di armi possono essere legittimamente adottate anche qualora la condotta dell'interessato presenti soltanto segni di pericolosità o semplici indizi di inaffidabilità (Cons. St., Sez. VI, 29 gennaio 2010 n. 379;Sez. III, 12 giugno 2020, n.3759).
La giurisprudenza ha altresì chiarito che la circostanza per cui eventuali controversie penali si concludano con sentenze di proscioglimento e/o assoluzione non risulti decisiva alla luce della diversa – e cautelativa – valutazione che spetta all’Autorità di pubblica sicurezza in tale materia. Infatti, l'Amministrazione mantiene il potere di valutare il fatto— reato nella sua obiettiva dimensione storica, indipendentemente dalla remissione della querela da parte della persona offesa ovvero dalla formale estinzione del reato (ovvero in ipotesi di archiviazione del procedimento penale), con la conseguenza che le stesse non sono circostanze decisive per desumere il venir meno del giudizio di pericolosità o di inaffidabilità del soggetto.
Parimenti, la giurisprudenza ha più volte ribadito come assuma rilevanza ai fini del rilascio e/o rinnovo delle licenze in materia di armi, così come del divieto di detenzione delle stesse il riscontro di situazioni di conflittualità familiari e di coppia, così come nell’ambito di separazioni familiari, caratterizzate da tensioni, litigi, minacce ed eventuali denunce. E dalla medesima giurisprudenza si evince come ciò che più rileva ai fini della specifica valutazione operata dall’Autorità in subiecta materia non sia il riscontro di condotte di rilievo penale, quanto piuttosto il coinvolgimento in un clima di conflittualità che possa favorire o anche solo dare adito a dubbi circa il pericolo di abusi delle armi (ex multis, Cons. St., Sez. III, 23 agosto 2022, n. 7410;id. 3 maggio 2016, n. 1700;id. 5 luglio 2016, n. 2990).
Alla luce delle suesposte coordinate ermeneutiche deve ritenersi che la valutazione complessiva svolta dal provvedimento questorile qui gravato risulta, come già correttamente rilevato dal giudice di prime cure, in linea con le finalità cautelari e preventive suesposte e non risulta affetta da profili di manifesta irragionevolezza e contraddittorietà.
Non può invero trovare accoglimento la tesi sottesa al primo, secondo e terzo motivo di gravame;e cioè, essenzialmente, volta a contestare la valutazione da parte della Questura anche delle circostanze pure già valutate positivamente in precedente giudizio avanti il Tar Milano nel 2015.
Invero, in linea con quanto già ritenuto dal giudice di prime cure, se è vero che alcune delle singole condotte valorizzate dal provvedimento qui gravato sono state già vagliate dal Tar nell’ambito di un precedente contenzioso, è altresì vero che lo stesso provvedimento, in sede motivazionale, non si è limitato, come sembra sostenere l’appellante, a riproporle acriticamente, ma ha provveduto a metterle in relazione agli ulteriori e più recenti episodi ed elementi di fatto a carico dell’interessato, nell’ambito dell’ampia discrezionalità che gli è propria in tale materia.
In questo senso meritano piena conferma le statuizioni del giudice di prime cure laddove ha ritenuto che il giudizio negativo della Questura si sia incentrato su di una valutazione complessiva della personalità del ricorrente, in un arco temporale di oltre un decennio, formatosi sull’insieme degli episodi richiamati nel provvedimento impugnato, che per quanto privi di rilievo penale, sono comunque idonei a far sorgere dubbi in ordine alla sua affidabilità al porto d’armi.
Non si tratta sic et simpliciter, come l’appellante sostiene, di una contraddittoria rivalutazione, quasi elusiva, di circostanze già vagliate in precedente controversia, bensì di una complessiva valorizzazione della condotta dell’interessato e del contesto in cui egli si muove. Da questo punto di vista, le circostanze pure già esaminate e, da sole, ritenute inidonee a scalfire il giudizio di affidabilità del soggetto, riacquistano tuttavia significato e rilevanza alla luce degli ulteriori e attuali elementi emersi e valorizzati dal provvedimento questorile e sono, da questo punto di vista, pienamente valutabili.
In particolare, il provvedimento ha valorizzato il permanere della situazione di conflitto tuttora esistente con la ex compagna ed ha correttamente rilevato come, in disparte gli esiti giudiziari delle vicende penali connesse ai singoli episodi ed in linea con quanto già affermato dalla richiamata giurisprudenza in materia, il riscontro di una tale situazione costituisca fattore già di per sé pienamente in grado di giustificare le valutazioni compiute dall’autorità procedente e sorreggere il provvedimento qui impugnato.
Peraltro, occorre sottolineare come, la permanenza ed anzi l’esasperazione di tale rapporto con la ex compagna sia stato, come esposto in narrativa, ripetutamente ed espressamente confermato dalle difese dell’appellante, con ciò corroborando la ragionevolezza del giudizio prognostico compiuto dalla Questura circa il rischio di abuso di armi da parte dello stesso. Tanto più ove si consideri che, come pure opportunamente valorizzato dal provvedimento in questione, egli si è comunque reso protagonista in passato di episodi di violenza, che seppur conclusisi con un decreto di archiviazione per prescrizione, consentono comunque di ritenere che, nel complesso, la sua condotta denoti segni di pericolosità ed indizi di inaffidabilità tali da giustificare il diniego/revoca qui in questione.
Proprio in quest’ottica, la presentazione di una querela per diffamazione da parte dell’appellante, come testimoniato nel terzo motivo di gravame non fa altro che confermare il quadro di permanente conflittualità fra i due ex coniugi che, come già chiarito, costituisce elemento ragionevolmente idoneo a sorreggere un giudizio prognostico di segno negativo.
Con riferimento, infine, alla contestata mancata valorizzazione del provvedimento prefettizio del 2020, vi è da dire, come pure riconosciuto dallo stesso appellante, che si tratta di provvedimenti autonomi emanati sulla base di diversi presupposti. Pertanto, in linea con le statuizioni sul punto del giudice di prime cure e senza che possa ravvisarsi al riguardo alcuna manifesta irragionevolezza, il Questore ben può ritenere che la condotta complessiva dell’interessato non garantisca, per tutte le ragioni sin qui esposte, una piena ed assoluta affidabilità, alla luce dei più stringenti parametri richiesi ai fini del rilascio/rinnovo di una licenza di porto d’armi.
2. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
3. Per tutte le suesposte considerazioni l’appello deve quindi essere respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare le spese e gli onorari del grado di giudizio nei confronti del Ministero dell’Interno;nulla nei confronti della Questura di Varese e del Commissario di Polizia di -OMISSIS-, non costituiti.