Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza breve 2016-09-19, n. 201603907
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
N. 03907/2016REG.PROV.COLL.
N. 00283/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 283 del 2016, proposto da:
A N, rappresentata e difesa dagli avvocati A S, S B, B C e A M, con domicilio eletto presso A S in Roma, Via F. Paulucci de' Calboli 9;
contro
Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, Anvur - Agenzia Nazionale di Valutazone Dl Sistema Universitario e della Ricerca, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Commissione nazionale di durata biennale Procedura di abilitazione scientifica nazionale settore Concorsuale 11/D2;
nei confronti di
Giovanni Moretti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 8260/2015, resa tra le parti, concernente mancato conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima fascia settore concorsuale 11/d2 - didattica pedagogia speciale e ricerca educativa
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e di Anvur - Agenzia Nazionale di Valutazione Dl Sistema Universitario e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2016 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per l’appellante l’avvocato Sandulli;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che l’appello è manifestamente fondato, onde ricorrono le condizioni per la definizione del giudizio con sentenza resa in forma semplificata come anticipato al difensore di parte appellante;
considerato che la Sezione ha già pronunciato sulla questione qui dedotta e controversa con sentenza 5 febbraio 2016 n.470 dalle cui conclusioni non si ravvisano ragioni per discostarsi;
considerato che in detta sentenza si è tra l’altro osservato che:
“- il regolamento di cui al d.P.R. n. 222 del 2011 è stato adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. 23 agosto 1988, n. 400, sulla base della disposizione di rango primario contenuta nell’art. 16, comma 2, l. n. 240 del 2010 che testualmente recita: «Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sono disciplinate le modalità di espletamento delle procedure finalizzate al conseguimento dell’abilitazione, in conformità ai criteri di cui al comma 3»;
- la censurata disposizione regolamentare, di cui all’art. 8, comma 5, d.P.R. n. 222 del 2011 – che, con evidente riferimento all’attribuzione dell’abilitazione di cui al precedente comma 4, stabilisce che «la commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti» –, non trova copertura alcuna nei «criteri» fissati alla potestà regolamentare governativa dall’art. 16, comma 3, della legge di delegificazione («criteri», da qualificare, con una più appropriata terminologia, come «norme generali regolatrici» ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988, le quali, secondo la giurisprudenza costituzionale, assolvono ad una funzione delimitativa stringente della potestà regolamentare governativa nelle materie delegificate: v. sent. Corte Cost. n. 303/2005), non risultandovi stabilito alcunché con riguardo ad un’eventuale maggioranza qualificata che debba assistere la deliberazione di abilitazione;
- come correttamente rilevato nell’impugnata sentenza, l’introduzione di una deroga talmente significativa alle regole generali che presiedono al funzionamento degli organi collegiali – infatti, generalmente ed in assenza di un’espressa previsione normativa, la volontà dell’organo collegiale si identifica con quella della maggioranza dei votanti (coincidente, negli organi collegiali perfetti, con la maggioranza dei componenti), corrispondente alla metà più uno dei votanti – necessitava di una previsione espressa nella legge autorizzativa, pena la violazione dell’art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988;
- quanto sopra vale, a maggior ragione, per le commissioni giudicatrici di procedure di abilitazione o concorsuali – quale la commissione nazionale di abilitazione delle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia, nominata secondo una complessa procedura per ciascun settore concorsuale, composta da cinque membri [v. artt. 3, lett. f), l. n. 240 del 2010 e 6 d.P.R. n. 22 del 2011] –, le cui valutazioni sono improntate esclusivamente a criteri di discrezionalità tecnica;
- nella fattispecie in esame – a differenza dalle ipotesi di organi collegiali muniti di poteri discrezionali amministrativi, in cui la maggioranza qualificata è, sovente, richiesta in relazione a determinate materie o in ragione della natura degli interessi rappresentati dai vari componenti dell’organo –, la previsione di una maggioranza qualificata, attributiva di un sostanziale potere di veto alla minoranza dissenziente in seno all’organo collegiale chiamato a formulare un giudizio prettamente tecnico sull’idoneità dei candidati (sotto il profilo della loro qualificazione scientifica, per l’accesso alla prima e seconda fascia dei professori, sulla base della valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche), non appare, comunque, sorretta da un’adeguata ratio giustificatrice;
- peraltro, anche nella disciplina pregressa del settore dei concorsi universitari era richiesta la maggioranza semplice delle commissioni giudicatrici per l’indicazione dei candidati ritenuti meritevoli dell’idoneità scientifica nazionale (v., da ultimo, l’art. 9, comma 9, d.lgs. 6 aprile 2006, n. 164 – abrogato dall’art. 29, comma 12, l. n. 240 del 2010 –, secondo cui «Al termine dei lavori la commissione, previa valutazione comparativa, con deliberazione assunta a maggioranza dei componenti, indica i candidati ritenuti meritevoli dell'idoneità scientifica nazionale nei limiti numerici fissati dal bando»), ad ulteriore rafforzamento della sopra enunciata esigenza di una disposizione derogatoria espressa di rango primario;
- la disposizione regolamentare qui impugnata appare, altresì, tendenzialmente incompatibile con la previsione di cui all’art. 16, comma 3, lett. a), l. n. 240 del 2010, secondo cui l’attribuzione dell’abilitazione deve essere sorretto da un «motivato giudizio fondato sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche», poiché nei casi, quale quello “sub iudice”, nei quali sia raggiunta la maggioranza semplice, la motivazione della mancata abilitazione espressa nell’atto collegiale conclusivo si risolve nella mera constatazione del mancato raggiungimento del prescritto quorum, la quale assorbe (e contrasta con) il motivato giudizio positivo formatosi in seno alla commissione con la maggioranza semplice dei componenti “;
considerato che, alla luce dei principi suindicati, si deve ritenere che il giudizio positivo espresso dalla commissione esaminatrice, sia pur a maggioranza semplice, sia funzionale all’ottenimento della abilitazione scientifica oggetto di concorso;
considerato in definitiva che l’appello va accolto e che pertanto, in parziale riforma della impugnata sentenza, va integralmente accolto il ricorso di primo grado dovendosi ritenere che l’originario ricorrente ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale nel settore concorsuale 11/D2;
considerato, quanto alle spese del doppio grado di giudizio, che ricorrono giusti motivi per far luogo alla compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio;