Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-09-15, n. 201006797
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N. 06797/2010 REG.DEC.
N. 04930/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 4930 del 2003, proposto da:
D’AGOSTINO Cinzia, rappresentata e difesa dagli avv. L L e S V, unitamente ai quali è elettivamente domiciliata presso il secondo, in Roma, alla Via Flaminia, n. 195;
contro
AZIENDA per i SERVIZI SANITARI n. 6 “Friuli occidentale”, in persona del Direttore Generale in carica, rappresentato e difeso dall’avv. V C, unitamente al quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Federico Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avv. A M;
GESTIONE LIQUIDATORIA della cessata USL n.10 del MANIAGHESE-SPILIMBERGHESE, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Crucil, dell’Avvocatura regionale, con domicilio eletto presso l’Ufficio Distaccato della Regione Friuli Venezia Giulia, in Roma, piazza Colonna, 355;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia - Trieste n. 01082/2002 del 21 dicembre 2002, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per il risarcimento del danno, conseguente al mancato conferimento all’appellante, nell’anno 1986, dell’incarico di medico di medicina generale nella zona, dichiarata carente, di Spilimbergo da parte del Presidente e del Comitato di gestione dell’U.S.L. n. 10, dichiarato illegittimo con sentenza del T.A.R. suddetto n. 595 del 10 maggio 1999;
nonché, previa istruttoria, per la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni conseguenti al mancato conferimento alla appellante di detto incarico, da quantificare nel complessivo importo di € 216.911,89 ovvero nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche mediante valutazione equitativa;oltre ad interessi e rivalutazione monetaria da calcolarsi dall’insorgenza del singolo credito fino al saldo effettivo;
in subordine per la fissazione dei criteri in base ai quali debba essere proposto alla appellante il pagamento di una somma risarcibile da parte di dette Amministrazioni.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli occidentale” e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;
Vista la memoria prodotta dall’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli occidentale” a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, nella udienza pubblica del 20.4.2010, il Consigliere Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Vacirca, Colò, Manzi e Crucil, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
A seguito di individuazione, nel Comune di Spilimbergo, di una zona carente di medici di medicina generale nel mese di maggio dell’anno 1985 e di dichiarazione di carenza da parte della U.S.L. n. 10 del Maniaghese e dello Spilimberghese, la dott. Cinzia D’Agostino ha presentato domanda per il conseguimento del relativo incarico di medico convenzionato, classificandosi al terzo posto nella graduatoria dei medici che avevano risposto all’interpello.
Poiché il primo graduato non aveva accettato l’incarico e il secondo lo aveva accettato senza però provvedere ad aprire un ambulatorio in Spilimbergo, in data 19.3.1986 la suddetta dottoressa ha presentato al Presidente della U.S.L. la richiesta di non effettuare una nuova dichiarazione di carenza, perché, se il secondo graduato fosse decaduto dall’incarico, non sarebbe sussistita la necessità di rinnovare dall’inizio la citata procedura di interpello, potendo esso incarico direttamente assegnato alla dott. D’Agostino.
Poiché il Comitato di Gestione della U.S.L. citata aveva già dichiarato nuovamente detta zona carente di medici convenzionati con deliberazione n. 159 del 13.3.1986, in data 29.3.1986 la suddetta dottoressa ha presentato reclamo all’Organo di controllo, che, tuttavia, in data 22.5.1986, pur con la prescrizione di avviare la relativa procedura il più presto possibile, ha, in base ai chiarimenti forniti in istruttoria dalla U.S.L., ritenuto legittimo il provvedimento.
Nel frattempo la dott. D’Agostino, che in data 14.4.1986 aveva presentato una diffida alla citata U.S.L. a interpellarla immediatamente per l’assegnazione dell’incarico nella zona carente di Spilimbergo, aveva proposto il ricorso n. 528 del 1986 dinanzi al T.A.R. Friuli Venezia Giulia, avverso il silenzio dell’Amministrazione sulla diffida stessa.
La dottoressa in questione ha anche impugnato, con ricorso straordinario al Capo dello Stato, la citata deliberazione del Comitato di Gestione, con la quale era stata di nuovo dichiarata la carenza della zona ed indetto un nuovo interpello.
Nelle more il procedimento amministrativo seguiva il suo corso e l’incarico nella medesima zona veniva conferito al dott. D P.
Anche l’assegnazione di detto incarico è stata impugnata dalla dott. D’Agostino con ricorso n. 784 del 1986 dinanzi al citato T.A.R..
Con sentenza n. 545 del 10.5.1999 il T.A.R. Friuli Venezia Giulia, riuniti i ricorsi, ha dichiarato l’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione, che aveva omesso di interpellare la ricorrente per il conferimento dell’incarico nella zona carente di cui trattasi, nonostante la decadenza del medico, collocato in posizione poziore nella graduatoria, che l’aveva accettato, fosse intervenuta prima del 31.3.1986, data di scadenza del semestre, trascorso inutilmente il quale sarebbe stato necessario provvedere a nuova dichiarazione di zona carente. L’omissione dell’interpello della ricorrente nel primo procedimento ha quindi determinato, ad avviso di detto Giudice, l’illegittimità del provvedimento di indizione di un secondo interpello, conclusosi con l’assegnazione dell’incarico al dott. D P, che è stato quindi annullato.
2.- Con ulteriore ricorso al T.A.R. Friuli Venezia Giulia la dott. D’Agostino ha chiesto il risarcimento del danno (conseguente all’illegittima attività della cessata U.S.L. n. 10 del Maniaghese e dello Spilimberghese) sia alla Gestione Stralcio che alla Regione Friuli Venezia Giulia, sostenendo che il complessivo comportamento dell’Amministrazione, consistente nell’omissione di atti dovuti e nell’adozione di provvedimenti illegittimi, le aveva impedito di ottenere l’incarico nella zona dichiarata carente, con conseguente perdita dell’acquisizione dei numerosi pazienti di altro sanitario convenzionato (da tempo assente per malattia e poi collocatosi in quiescenza, che essa all’epoca sostituiva), i quali per lo più avevano espresso la loro scelta a favore proprio del medico che aveva conseguito l’incarico stesso, mentre se la P.A. si fosse determinata legittimamente, essi avrebbero esercitata la scelta in suo favore.
Tanto avrebbe cagionato il danno, quantificabile nella misura differenziale fra il guadagno, che la dottoressa in questione avrebbe in tal modo ottenuto, e quello, assai più ridotto, acquisito con attività e incarichi di assai minor rilievo, che aveva dovuto di conseguenza accettare.
In via subordinata la suddetta ha chiesto il risarcimento a titolo di perdita di chance, perché il conferimento dell’incarico le avrebbe dato sicure opportunità di incrementare il numero dei pazienti e di svolgere ulteriori prestazioni e compensi, riservati ai medici incaricati, nonché di arricchimento professionale e di acquisizione di ulteriori contatti, suscettibili di apportare futuri aumenti di reddito.
3.- Il citato T.A.R., con sentenza n. 1082 del 2002, ha respinto il ricorso, ritenendo infondata la domanda principale (per carenza del nesso causale fra le illegittimità rilevate e il danno lamentato) e la richiesta subordinata della ricorrente (perché all’accoglimento di questo ulteriore capo di domanda ostava la mancata dimostrazione della colpa dell’Amministrazione).
4.- Con il ricorso in appello in epigrafe indicato la dott. D’Agostino ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza da ultimo indicata, nonché il risarcimento dei danni patiti e patiendi, deducendo i seguenti motivi:
1.- Contrariamente a quanto affermato nella gravata sentenza sussisteva il nesso causale tra le illegittimità rilevate con la citata sentenza n. 545del 1999 e il danno lamentato dalla appellante.
2.- Erroneamente con la impugnata sentenza è stata respinta la domanda di risarcimento del danno a titolo di perdita di chance per mancata dimostrazione della colpa dell’Amministrazione, nell’inesatto assunto che non era stata fornita la prova dell’annullamento della deliberazione n. 159 del 1986 con la quale il Comitato di Gestione aveva dichiarato la carenza sulla cui base era stato conferito l’incarico al dott. D P.
Con atto depositato il 17.10.2003 si è costituita in giudizio la Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli occidentale”, che ha contestato la fondatezza dei motivi di ricorso.
Con atto depositato il 25.6.2004 si è costituita in giudizio la Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia, che ha chiesto la reiezione dell'appello.
Con memoria depositata il 6.4.2010 la costituita Azienda ha dedotto la infondatezza del ricorso e contestato la determinazione della misura dei danni da parte della appellante, concludendo per la reiezione.
Con memoria depositata il 9.4.2010 parte ricorrente, evidenziato che con decreto del Presidente della Repubblica del 17.6.2009 è stato accolto il ricorso straordinario contro la deliberazione n. 159 del 1986, ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 9.4.2010 la Regione Autonoma Friuli- venzia Giulia ha riproposto la eccezione di inammissibilità della domanda risarcitoria per intervenuta prescrizione, già disattesa dal Giudice di prime cure, ed ha contestato la fondatezza del ricorso e della domanda di risarcimento del danno.
Alla pubblica udienza del 20.4.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.
DIRITTO
1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, la dott. Cinzia D’Agostino ha chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 1082 del 2002, di reiezione del ricorso proposto per il risarcimento del danno, conseguente al mancato conferimento, nell’anno 1986, dell’incarico di medico di medicina generale nella zona, dichiarata carente, di Spilimbergo da parte del Presidente e del Comitato di gestione dell’U.S.L. n. 10, omissione dichiarata illegittima con sentenza del T.A.R. suddetto n. 595 del 10 maggio 1999;ha inoltre chiesto, previa istruttoria, la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni conseguenti al mancato conferimento dell’incarico di medico di medicina generale, da quantificare nel complessivo importo di € 216.911,89 ovvero nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche mediante valutazione equitativa;oltre ad interessi e rivalutazione monetaria da calcolarsi dall’insorgenza del singolo credito fino al saldo effettivo. In subordine la appellante ha chiesto la fissazione dei criteri in base ai quali debba essere ad essa proposto il pagamento di una somma risarcibile da parte di dette Amministrazioni.
2.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che, contrariamente a quanto affermato nella gravata sentenza, sussisteva il nesso causale tra le illegittimità rilevate con la citata sentenza n. 545 del 1999 e il danno lamentato dalla appellante in via principale derivante dalla illegittimità del complessivo comportamento dell’Amministrazione, consistente nell’omissione di atti dovuti e nell’adozione di provvedimenti illegittimi, con conseguente perdita, da parte della dott. D’Agostino, dell’acquisizione di numerosi pazienti di altro sanitario convenzionato (prima assente e poi collocatosi in quiescenza);il relativo danno sarebbe quantificabile nella differenza tra il guadagno che la suddetta avrebbe in tal modo ottenuto e quello più ridotto di cui ha dovuto accontentarsi in conseguenza del comportamento dell'Amministrazione.
2.1.- Erroneamente il Giudice di prime cure avrebbe affermato che non sussisteva alcun collegamento fra l’illegittimità del silenzio rifiuto formatosi sulla domanda di incarico presentata dalla appellante in esito alla ancora precedente dichiarazione di zona carente del 1985 e la mancata acquisizione dei pazienti del sanitario (dott. D P), che la suddetta ha provvisoriamente sostituito, da cui sarebbe derivato il danno da lei illegittimamente subito.
La appellante ha sostituito il dott. D P a decorrere dal mese di febbraio dell’anno 1985 e da tale epoca ha avuto in cura i suoi pazienti (intessendo rapporti di fiducia fino a quando detto medico non è andato in quiescenza a fine anno 1986) sicché se la U.S.L. n. 10 avesse tempestivamente conferito l’incarico alla suddetta, la medesima avrebbe sostituito detto dott. D P.
Avrebbe errato il primo Giudice nel ritenere la sussistenza di preclusione o ostacolo tra titolarità di incarico e sostituzione di un collega, titolare, al pari del primo, di un rapporto convenzionale. Ciò sarebbe provato in punto di fatto dalla circostanza che l’appellante, dopo anni, ha ottenuto l’incarico di sostituire il dott. D P (che era stato nominato sulla nuova zona carente individuata dalla U.S.L. n. 10 nel mese di aprile 1986 a seguito di provvedimento annullato dal T.A.R. con sentenza n. 545 del 1999) ed in punto di diritto dal disposto dell’art. 32, IV c., del D.P.R. n. 882 del 1984, per il quale non è consentito al sostituto acquisire scelte del medico del quale viene effettuata la sostituzione durante la stessa;tanto dimostrerebbe che è consentita l’acquisizione delle scelte dopo la sostituzione.
L’appellante, una volta ottenuto l’incarico, avrebbe continuato nella sostituzione del dott. D P, mantenendo il rapporto di stima con i pazienti, che dopo la cessazione dall’incarico del dottore suddetto nel mese di ottobre 1986, avrebbero operato la scelta in suo favore invece che in favore del dott. D P.
2.1.1.- Osserva il Collegio che non risulta che il T.A.R. Friuli Venezia Giulia abbia formalmente affermato nella sentenza impugnata che sarebbe sussistita preclusione tra titolarità di incarico e sostituzione di un collega titolare di un rapporto convenzionale.
Il Tribunale ha infatti affermato che: “In primo luogo manca il nesso causale fra le illegittimità rilevate e il danno lamentato.
Invero l’incarico all’allora controinteressato D P, annullato dal T.A.R. con la ricordata sentenza, è avvenuto in esito al procedimento, aperto con la dichiarazione di zona carente del 13.3.1986, mentre, in seguito al collocamento in quiescenza del medico, che la ricorrente sostituiva, è stata deliberata una nuova dichiarazione di zona carente, appena nel 1987 e ne è seguito un diverso procedimento, con incarico a diverso sanitario.
Non vi è pertanto nessun collegamento fra l’illegittimo silenzio rifiuto sulla domanda di incarico della ricorrente, in esito alla ancora precedente dichiarazione di zona carente del 1985 e la mancata acquisizione, che secondo la ricorrente costituirebbe il danno da lei illegittimamente subito, dei pazienti del sanitario (dott. D P), che essa ha provvisoriamente sostituito”.
Solo successivamente il T.A.R. ha affermato che la appellante avrebbe dovuto provare che nonostante che l’incarico ad essa assegnato, che avrebbe dovuto intervenire nel primi mesi del 1986, avesse posto fine alla sostituzione (del dott. D P), i pazienti che afferivano a quest’ultimo, più di un anno dopo, non avrebbero operato la scelta in favore del medico che è stato incaricato al suo posto, o a favore di uno degli altri dieci medici di medicina generale, ma in favore della dott. D’Agostino.
Anche a voler aderire alla tesi della appellante che, nell’ipotesi che ad essa fosse stato legittimamente assegnato l’incarico sulla zona carente individuata nell’anno 1985, a seguito di domanda del mese di marzo 1986, e non al dott. D P, avrebbe potuto comunque continuare ad effettuare le sostituzioni del dott. D P in altra zona carente, secondo la Sezione tanto non è idoneo a dimostrare il nesso causale tra la riconosciuta illegittimità della mancata assegnazione della zona carente e la mancata acquisizione della clientela del dott. D P.
Infatti il provvedimento di dichiarazione di zona carente effettuato con deliberazione n. 159 del 13.3.1986 (con successiva assegnazione al dott. D P) è stato dichiarato illegittimo perché avrebbe invece dovuto essere interpellata la Dott. D’Agostino con riguardo alla zona carente individuata nel mese di maggio dell’anno 1985 (relativamente alla quale la suddetta aveva presentato domanda per il conseguimento dell’incarico di medico convenzionato, risultando terza nella graduatoria, e successivamente, poiché il primo graduato non aveva accettato l’incarico e il secondo lo aveva accettato senza aprire un ambulatorio, in data 19.3.1986 aveva fatto istanza al Presidente della U.S.L. di cui trattasi affinché non provvedesse ad una nuova dichiarazione di carenza, non sussistendo la necessità di rinnovare nuovamente dall’inizio la descritta procedura di interpello).
Se nel mese di marzo dell’anno 1986 alla appellante fosse stata attribuita la zona carente individuata nel mese di maggio 1985 ed ammesso che essa avesse potuto continuare le sostituzioni del dott. D P iniziate nel mese di febbraio 1985 (anche dopo la attribuzione della zona carente nel mese di marzo 1986 e fino alla cessazione dal servizio del dott. D P avvenuta a fine anno 1986), comunque, ad avviso della Sezione, l’appellante non ha fornito adeguata prova, come nel prosieguo sarà più diffusamente evidenziato, che gli assistiti del dott. D P nel 1986 avrebbero effettuato la scelta in favore della suddetta nei termini da essa indicati.
La censura in esame non può quindi essere positivamente apprezzata.
2.2.- Secondo il motivo di appello in esame la tesi sostenuta dal T.A.R. Friuli Venezia Giulia, che se la dott. D’Agostino avesse ottenuto l’incarico non avrebbe certo sostituito il dott. D P ma quello cessato nel 1985, sarebbe frutto di confusione tra la sostituzione del medico che si trovi nella impossibilità di prestare la propria opera (che ha carattere transitorio riferendosi alla persona del medico titolare dell’incarico) ed il conferimento dell'incarico (che presuppone l’avvenuta dichiarazione di zona carente).
2.2.1.- Considera la Sezione che la asserzione del T.A.R. appare pienamente condivisibile, considerato che, come in precedenza evidenziato, effettivamente se la zona carente originariamente individuata nell’anno 1985 fosse stata legittimamente attribuita alla dott. D’Agostino a seguito della sua domanda del mese di marzo dell’anno 1986 la stessa non avrebbe potuto succedere al dott. D P, cessato dall’incarico a fine anno 1986 ed al più avrebbe potuto sperare che i pazienti di esso medico, che avevano avuto modo di apprezzare le competenze della dottoressa appellante durante le sostituzioni di esso, effettuassero la scelta in suo favore.
Il Giudice di prime cure non ha quindi fatto alcuna confusione fra sostituzione del medico e conferimento dell’incarico, ma ha solo affermato che, ferma restando la effettuazione delle sostituzioni del dott. D P, la ricorrente non avrebbe poi potuto subentrare al posto di questi dopo la sua cessazione del servizio, se l’Amministrazione, invece di indire nuovo procedimento conclusosi con la nomina del dott. D P, a seguito di nuova procedura, avesse dato legittimamente seguito alla pretesa della ricorrente di essere nominata nella zona carente individuata nell’anno 1985.
Anche la censura in esame non è quindi suscettibile di condivisione.
2.3.- Prosegue il motivo di appello in esame con l’affermazione che erroneamente il Giudice di primo grado, obliterando la piena compatibilità tra titolarità di incarico e sostituzione di altro collega, ha sostenuto che il danno avrebbe dovuto essere dimostrato in rapporto ai pazienti che avevano operato la scelta in favore del sanitario cessato nell’anno 1985, e che la dott. D’Agostino avrebbe dovuto provare che, nonostante l’incarico alla stessa, che avrebbe dovuto esserle affidato nel primi mesi del 1986, avesse posto fine alla sostituzione, i pazienti che afferivano al dott. D P, più di un anno dopo, non avrebbero operato la scelta in favore del medico incaricato al suo posto, o a favore di uno degli altri dieci medici di medicina generale allora operanti nella zona Spilimbergo – S. Giorgio della Richinvelda, ma a favore della appellante, con la quale, a quel punto, i pazienti suddetti non avrebbero comunque avuto più rapporti per un periodo di tempo piuttosto ampio.
Espone al riguardo l’appellante che, se avesse potuto conseguire tempestivamente l’incarico relativo alla zona carente dichiarata nel 1985, avrebbe mantenuto il rapporto con i pazienti del dott. D P sino al momento della sua cessazione dall’incarico, dopo la quale, come previsto dall’art. 32 del D.P.R. n 882 del 1984, avrebbe potuto acquisire le relative scelte.
Non si sarebbe quindi verificata soluzione di continuità tra attività di sostituzione e conseguimento dell'incarico, sicché, secondo “id quod plerumque accidit”, tutti i pazienti curati dalla appellante come sostituta del dott. D P avrebbero optato in suo favore.
2.3.1.- Osserva la Sezione che la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa).
L'accertata illegittimità dell'azione amministrativa integra uno degli elementi costitutivi del fatto illecito, ex art. 2043 c.c., e il Giudice investito della domanda di risarcimento può e deve trarre elementi, circa la sussistenza della colpa dell'Amministrazione, proprio dal giudicato di annullamento dell'atto amministrativo.
Esso produce, inoltre, effetti riflessi anche sulla distribuzione dell'onere della prova, nel senso che sollecita l'Amministrazione convenuta a sottoporre al giudice del risarcimento concreti elementi di giudizio atti a dimostrare l'assenza di colpa, nonostante l'accertata illegittimità della propria condotta.
Il risarcimento del danno non è quindi una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica (oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento) della sussistenza della colpa (o del dolo) dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito.
In particolare il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse. Siffatto giudizio prognostico non può, tuttavia, essere consentito allorché detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà.
Tanto premesso secondo il Collegio l’assunto che tutti i pazienti curati dalla appellante come sostituta del dott. D P avrebbero optato per la medesima all’atto della cessazione dal servizio di questi appare una mera petizione di principio non assistita da validi elementi di prova, neppure presuntivi.
La censura in esame è quindi non suscettibile di assenso, non essendo stata fornita idonea dimostrazione di tutti i presupposti cui in precedenza si è fatto cenno.
2.4.- E’ ulteriormente evidenziato nell’atto di appello che, secondo il T.A.R. del Friuli Venezia Giulia, ulteriore riprova della mancanza di nesso causale fra mancato conferimento dell’incarico e danno lamentato in questa sede sarebbe stato il fatto che la maggior parte dei pazienti in questione ha operato la scelta in favore del dott. D P, estraneo a qualsiasi precedente rapporto con il medico collocato a riposo, così dimostrando l’ininfluenza di tale circostanza.
Secondo l’appellante non vi sarebbe invece ragione per non ritenere che i pazienti che avevano mantenuto la scelta per il dott. D P sarebbero stati acquisiti dalla appellante, che li aveva avuti in cura per più di un anno e mezzo;diversamente opinando, nelle more della sostituzione, essi avrebbero operato la scelta, come in parte è avvenuto, in favore di altro sanitario, ma non potrebbe comunque sottacersi che i 1.131 pazienti (su circa 1.600) rimasti “fedeli” al dott. D P, venuta meno la preclusione ex art. 32, IV c., del D.P.R. n. 882 del 1984, “avrebbero di certo esercitato la scelta in favore” della dott. D’Agostino.
Aggiunge l’appellante, con successiva censura, che il T.A.R. ha poi ritenuto che la circostanza che, durante l’assenza del dott. D P (quando lo sostituiva la ricorrente), circa 500 pazienti su 1400 (come ha documentato la gestione liquidatoria) avevano scelto di avvalersi di altro sanitario, rendeva superflua l’acquisizione di testi, volti a provare che “durante la sostituzione da parte della D’Agostino alcun paziente ha revocato la scelta”, come chiesto dalla ricorrente, e che tanto costituiva indubbiamente un elemento in compatibile con la tesi attorea.
Secondo la dott. D’Agostino andrebbe invece ritenuto che, se 1131 pazienti del dott. D P erano rimasti fedeli ad esso, una volta venuta meno la preclusione di cui al IV c. dell’art. 32 del D.P.R. n. 882 del 1984, quei pazienti avrebbero esercitato la scelta in favore della suddetta.
Inoltre è stato dedotto, con ulteriore argomentazione contenuta nel motivo in esame, che il T.A.R. ha ritenuto che la circostanza che la maggior parte di detti pazienti non si era affidata al medico che aveva ottenuto l’incarico in esito alla dichiarazione di carenza conseguente al pensionamento del medico di elezione, ma ad un altro, dimostrerebbe che il conferimento di un incarico di medico di medicina generale non comporta necessariamente l’acquisizione dei pazienti del precedente titolare dell’incarico stesso e nemmeno della gran parte di essi.
Ma, secondo l’appellante, il dott. D P aveva potuto acquisire 872 pazienti su 1131 solo perché la suddetta, che li aveva avuti in cura per più di un anno, non aveva potuto acquisire le loro scelte per illegittimo mancato conferimento di incarico.
2.4.1.- Ritiene la Sezione che tutte dette censure non siano suscettibili di positivo apprezzamento, stante la ultroneità delle argomentazioni del Giudice di prime cure rispetto alla mancata dimostrazione in giudizio da parte della appellante, con convincenti argomenti, della tesi che tutti i pazienti da essa curati come sostituta del dott. D P avrebbero sicuramente optato per la medesima all’atto della cessazione dal servizio di questi.
2.5.- E’ ulteriormente dedotto con il motivo in esame che, secondo il Giudice di primo grado, la facoltà di libera scelta del medico, legata a ragioni imponderabili di fiducia, e l’esistenza della concorrenza non consentirebbero di ritenere che sussista, in generale, un rapporto di causa ed effetto fra l’incarico e l’incremento del reddito incaricato, conseguente all’acquisizione dei pazienti del precedente incaricato;la miglior dimostrazione di quanto sopra sarebbe stata fornita dalla successiva attività della dott. D’Agostino, che pressoché mai aveva raggiunto, nei successivi incarichi ottenuti, il massimale previsto (nemmeno quando, anni dopo, aveva ottenuto un incarico a Spilimbergo quale quello a cui aspirava nel 1986);anzi, per sua dichiarazione, la suddetta dottoressa aveva visto esercitare in suo favore le scelte di non più di 200 assistiti.
Secondo l’appellante erroneamente sarebbe stato affermato da detto Giudice che ogni conferimento di incarico debba conseguire alla cessazione di incarico di altro medico e che il medico che subentra al primo possa conseguire un numero rilevante di scelte. Poiché la dichiarazione di zona carente non consegue necessariamente alla cessazione di incarico, ma viene deliberata ex art. 4 del DPR citato (a seguito della individuazione di un rapporto ottimale tra numero di pazienti e medici), sarebbe evidente che il medico che non abbia ricevuto l’incarico in base a zona carente deliberata per l’avvenuta cessazione di altro incarico è costretto a contendere scelte con colleghi che vantano rapporti consolidati con i clienti.
Diversamente opinando non si comprenderebbe perché il dott. D P, pur non avendo svolto attività di medico di medicina generale, abbia ottenuto, dopo il conferimento dell’incarico, 872 pazienti, sicché anche l’appellante, se avesse potuto ottenere l’incarico, avrebbe ottenuto, con ragionevole certezza, quantomeno eguale numero di pazienti.
2.5.1.- Secondo il Collegio la censura non coglie nel segno, considerato che il Giudice di primo grado non ha affermato che ogni conferimento di incarico debba conseguire dalla cessazione di incarico di altro medico e che il medico che subentra al primo possa conseguire un numero rilevante di scelte, ma ha solo, condivisibilmente, evidenziato che la facoltà di libera scelta del medico, legata a ragioni imponderabili di fiducia, e l’esistenza della concorrenza non consentono di ritenere che sussista un rapporto di causa ed effetto necessario fra l’incarico e l’incremento del reddito del medico.
3.- Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che erroneamente con la impugnata sentenza è stata respinta la domanda di risarcimento del danno a titolo di perdita di “chance” (richiesto in via subordinata perché il conferimento dell’incarico avrebbe dato alla appellante sicure opportunità di incremento del numero dei pazienti, di svolgimento di ulteriori prestazioni e compensi, riservati ai medici incaricati, nonché di arricchimento professionale e di acquisizione di ulteriori contatti, suscettibili di apportare futuri aumenti di reddito) per mancata dimostrazione della colpa dell’Amministrazione, per non essere stata fornita la prova dell’annullamento della deliberazione n. 159 del 1986 con cui il Comitato di Gestione aveva dichiarato la zona carente sulla cui base era stato conferito l’incarico al dott. D P.
3.1.- Deduce in particolare l’appellante che il T.A.R. ha respinto la domanda per la mancata dimostrazione della colpa dell’Amministrazione, cioè “della mancata prova dell’annullamento della deliberazione n. 156 del 13.3.1986” con cui il Comitato di gestione della U.S.L. n. 10 aveva dichiarato la zona carente affidando l’incarico al dott. D P, invece che nominare la dott. D’Agostino sulla zona carente individuata nell’anno 1985.
L’eventuale esito del ricorso straordinario al Capo dello Stato contro detta deliberazione, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., sarebbe stato ininfluente ai fini del decidere, perché da un lato il fatto causativo del danno (cioè il conferimento dell'incarico al dott. D P) era stato già oggetto di pronuncia giudiziale e dall’altro perché sussisteva la colpa dell’Amministrazione per la mancata assegnazione di detto incarico.
Infatti il T.A.R. con la sentenza n. 595 del 1999 aveva pronunciato l’annullamento dell'incarico al suddetto medico sul presupposto che la carenza andava dichiarata dopo aver esaurito l’interpello di tutti i soggetti utilmente collocati in graduatoria.
Tanto dimostrerebbe l’ininfluenza, ai fini della proposta azione risarcitoria, del previo annullamento dell'incarico al dott. D P.
3.1.1.- Secondo il Collegio, pur convenendo con l’appellante circa l’ininfluenza ai fini del decidere dell’esito di detto ricorso straordinario al Capo dello Stato (peraltro nelle more conclusosi favorevolmente per l’appellante), va rilevato che, ai fini del risarcimento del danno, la mera illegittimità del provvedimento amministrativo non è di per sé sola sufficiente a integrare il richiesto elemento soggettivo della condotta.
Infatti, allorché si deve vagliare la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa in capo all'Amministrazione, si deve rendere un giudizio prognostico, secondo l'"id quod plerumque accidit", facente riferimento esclusivamente all'epoca in cui la censurata condotta è stata resa (Consiglio Stato, sez. VI, 3 dicembre 2008, n. 5945).
La perdita di “chance”, diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio di là da venire soggetto a ristoro purché certo e altamente probabile e fondato su una causa efficiente già in atto, costituisce un danno attuale che non si identifica con la perdita di un risultato utile bensì con la perdita della possibilità di conseguirlo e richiede, a tal fine, che siano stati posti in essere concreti presupposti per il realizzarsi del risultato sperato, ossia una probabilità di successo maggiore del cinquanta per cento statisticamente valutabile con giudizio prognostico ex ante sulla base di elementi di fatto forniti dal danneggiato.
Spetta di norma alla parte ricorrente l’onere di fornire la puntuale dimostrazione almeno dell'esistenza del danno e del nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati;ciò conformemente al tradizionale assunto secondo cui il principio dispositivo opera sempre incondizionatamente qualora si tratti di materiale probatorio la cui produzione in giudizio rientri nella piena disponibilità della parte interessata.
Tale principio opera anche con riferimento al danno da perdita di chance, nel senso che, ai fini del risarcimento di essa, il ricorrente ha l'onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità che egli avrebbe avuto di conseguire il risultato sperato, atteso che la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell'art. 1226 c.c., presuppone che risulti comprovata l'esistenza di un danno risarcibile.
Secondo tradizionale giurisprudenza per il risarcimento del danno in relazione alla perdita di “chance”, la lesione della possibilità concreta di ottenere un risultato favorevole presuppone che sussista una probabilità di successo almeno superiore al 50 per cento, poiché, diversamente, diventerebbero risarcibili anche mere possibilità di successo, statisticamente non significative.
Al fine di ottenere il risarcimento per perdita di “chance”, è quindi necessario che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e provate, la sussistenza di un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno, e fornisca la prova, conseguentemente, della sussistenza in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.
Pertanto, la domanda di risarcimento del danno a titolo di perdita di “chance” non può essere accolta qualora il danneggiato non dimostri, anche in via presuntiva (ma in maniera adeguata), l'esistenza dei concreti presupposti per la realizzazione del risultato sperato, ossia una probabilità di successo maggiore del 50%, statisticamente valutabile con giudizio prognostico "ex ante", in base agli elementi di fatto forniti dal danneggiato.
Alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., atteso che l'applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l'esistenza di un danno risarcibile ed è diretta unicamente a fare fronte all'impossibilità di provare l'ammontare preciso del danno.
Nel caso di specie detti elementi di fatto non erano e non sono stati forniti dalla dott. D’Agostino, sicché la censura non appare alla Sezione idonea a comportare la dichiarazione della sussistenza del diritto della suddetta al risarcimento dei danni per perdita di “chance”.
3.2.- Critica inoltre l’appellante l’assunto del T.A.R. che il silenzio dell’Amministrazione, sia pur illegittimo, avrebbe trovato valida giustificazione, sotto il profilo dell’assenza di colpa, nel fatto che con la deliberazione n. 159 del 1986 era stata aperta una nuova procedura per l’incarico, che richiedeva nuove domande, onde ben poteva concludersi che non vi era obbligo di provvedere su quelle precedenti, se esso incarico fosse stato legittimo, perché non annullato e quindi valido al momento della diffida.
Secondo l’appellante la tesi sarebbe smentita dalle premesse della sentenza n. 595 del 1999, dove viene spiegato che, a seguito della individuazione della zona carente a Spilimbergo, erano state raccolte le domande degli aspiranti all’incarico per individuare il medico collocato in posizione poziore disposto ad accettarlo;a tanto conseguirebbe la colpa (dopo la non accettazione del primo e la mancata apertura dell’ambulatorio da parte del secondo che aveva accettato) dell’Amministrazione, che aveva ignorato la richiesta dell’appellante di non provvedere ad una nuova dichiarazione di urgenza e di dare anche a lei una opportunità .
E’ dedotto infine con l’appello che il T.A.R. aveva affermato che mancava la prova che l’illegittimo operato dell’Amministrazione fosse dovuto ad assenza di colpa, perché fondato su atto amministrativo valido ed efficace non dichiarato a sua volta illegittimo e non, allo stato, annullato.
Secondo l’appellante il Tribunale non avrebbe potuto sottrarsi al dovere di acquisire la documentazione circa la presentazione di ricorso giurisdizionale contro detto atto e circa il suo esito, o comunque mettere in condizione la ricorrente di poterla fornire.
3.2.1.- Ritiene il Collegio che le citare argomentazioni siano ultronee perché la eventuale colpa della Amministrazione è insufficiente a far radicare il diritto al risarcimento del danno per perdita di “chance”, in assenza di idonea prova della sussistenza nel caso di specie di concreti presupposti per la realizzazione del risultato sperato, ossia di una probabilità di successo maggiore del 50%.
4.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
5.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.