Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-05-29, n. 202305224

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-05-29, n. 202305224
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202305224
Data del deposito : 29 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/05/2023

N. 05224/2023REG.PROV.COLL.

N. 08604/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8604 del 2022, proposto dai signori L Q e G V, rappresentati e difesi dall’avvocato R D, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

- il Comune di Varazze, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato L V, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Segreteria del Consiglio di Stato;
- la Provincia di Savona, in persona del Presidente pro tempore , non costituita in giudizio;

nei confronti

dei signori Pier Maria Rossi, Arminio Franceschelli, Silvio Codazzi e Lidia Lo Bianco, non costituiti in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 agosto 2022, n. 7540 nella parte in cui, ha confermato la sentenza di primo grado resa dal TAR Liguria Sez. I, 17 settembre 2015, n. 737, ritenendo infondato il ricorso RGR n. 795/2011 inteso a conseguire l'annullamento del provvedimento in data 20 aprile 2011, con il quale il Comune di Varazze aveva respinto l’ultima istanza di riesame della sanatoria edilizia di un abbaino falda Nord-Est, richiesta dai signori G V e L Q.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Varazze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2023 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti gli avvocati R D e L V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in trattazione i signori G V e L Q hanno chiesto la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 agosto 2022, n. 7540, nella parte in cui il giudice di seconde cure ha confermato la sentenza di primo grado resa dal TAR Liguria, Sez. I, 17 settembre 2015, n. 737, ritenendo infondato il ricorso RGR n. 795/2011 inteso a conseguire l’annullamento del provvedimento in data 20 aprile 2011, con il quale il Comune di Varazze aveva respinto l’ultima istanza di riesame della sanatoria edilizia di un abbaino falda Nord-Est richiesta dai predetti.

1.1. In particolare parte ricorrente si duole della parte della pronuncia del Consiglio di Stato con la quale, in relazione al ricorso RGR 795/2011, il Giudice di seconde cure ha ritenuto di confermare la pronuncia di prime cure ove ha ritenuto nel caso de quo sussistere l’obbligo del consenso di tutti i comproprietari della copertura dell’edificio ai fini della regolarizzazione postuma del manufatto. Ciò in relazione alla ritenuta consistente dimensione dell’opera da regolarizzare. Secondo parte ricorrente la pronuncia in appello su tale profilo appare inficiata da un grave errore di fatto e da una omissione su parte rilevante del secondo motivo avente portata assorbente dell’intera controversia.

2. Parte ricorrente deduce pertanto:

I) QUANTO AL PROFILO RESCINDENTE. 1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e s.m.i. e 395, comma 1, n. 4 c.p.c.. Errore di fatto .

2.1. Si lamenta che il Consiglio di Stato non ha tenuto conto della relazione del Geom. P, prodotta per la prima volta in appello, da cui risulterebbe che “ al di sotto della falda di nord-est, ove è realizzato l’abbaino in questione, si sviluppa unicamente la proprietà degli appellanti, Sigg.ri Ventura-Quarantotto, odierni ricorrenti in via di revocazione. A fronte di ciò la pronuncia ha del tutto omesso il vaglio di tale rilevante produzione giudicando, pertanto, su di una asserita lesività data dalle dimensioni dell’abbaino in relazione alla falda ”.

2.2. Con il secondo motivo si deduce la “ Violazione e/o falsa applicazione degli artt.106 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e s.m.i. e 395, comma 1, n. 4 del c.p.c., in relazione agli artt. 88 e 101, del medesimo D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 ”. Parte ricorrente denuncia l’omesso vaglio da parte del giudice d’appello anche dell’altro profilo in cui si articolava la medesima censura. Segnatamente, sostiene che la pronuncia revocanda non avrebbe considerato “ il fatto che nel caso de quo l’abbaino realizzato dagli odierni ricorrenti è posto su di una modesta porzione della copertura sottostante alla quale si sviluppa unicamente la proprietà degli stessi e non anche altre ”.

3. Si costituisce il Comune di Varazze evidenziando che “ l’abbaino realizzato occupa la quasi totalità della falda su cui insiste, ma anche e soprattutto, per quanto qui rileva, perché l’entità dell’opera e, quindi, la sua incidenza sul tetto comune, oggetto di controversia tra le parti costituite in giudizio, è stata espressamente apprezzata e valutata, a discapito di quanto inspiegabilmente sostenuto in gravame, nella revocanda sentenza, sì da non potersi configurare alcun errore di fatto revocatorio ”. Il giudice di seconde cure si sarebbe esattamente soffermato sulla questione prospettata in ordine alle caratteristiche dimensionali dell’abbaino ed alle proprietà sottostanti.

3.1. Parte ricorrente contesta l’ammissibilità anche del secondo motivo, in quanto “ Il giudice di seconde cure ha, infatti, delibato anche su tale aspetto ”, rilevando che “ Il giudice di prime cure ha poi correttamente osservato che, in assenza di titolo contrario, il tetto conserva la natura di parte comune dello stabile, ai sensi dell’art. 1117 c.c., anche relativamente ai comproprietari privi della titolarità dei locali sottostanti, dal momento che essi ne fruiscono effettivamente e comunque in ordine alla sua funzione di copertura del cespite immobiliare ”.

4. All’udienza pubblica del 18 aprile 2023 il ricorso è stato introitato in decisione.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Giova ricostruire sinteticamente le coordinate normative e giurisprudenziali predicabili in tema di revocazione, alle quali ci si atterrà nello scrutinio della res iudicanda .

5.2. Com’è noto, l’art. 106 c.p.a. prevede che “ salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile ”. A sua volta, il citato art. 395 c.p.c., prevede, tra i casi di revocazione, quello in cui (n. 4), “ la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare ”.

5.3. La giurisprudenza amministrativa ha da tempo perimetrato i presupposti che identificano l’errore di fatto “ revocatorio ”, distinguendolo dall'errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione, evidenziando, in apice, che l’istituto della revocazione è rimedio eccezionale che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio.

5.4. Orbene, l’orientamento costante di questo Consiglio è nel senso che nel processo amministrativo il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e l’errore di fatto - idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c. - deve rispondere a tre requisiti:

a ) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b ) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c ) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

5.5. L’errore di fatto, idoneo a costituire un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., può anche tradursi nell’omessa pronuncia su una censura o su un’eccezione (v. Cons. Stato, A.p. 24 gennaio 2014, n. 5;
successivamente, ex multis , sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099), ancorché non rilevi la circostanza che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte a sostegno delle proprie censure (Cons. Stato, A.p., 27 luglio 2016, n. 21).

5.6. Infine, l’errore di fatto deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche;
esso è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.

5.7 Fatta questa necessaria premessa al fine di inquadrare l’errore revocatorio tracciandone i relativi confini, occorre rilevare che, con i due rilievi revocatori recati dal ricorso in esame, suscettibili per il loro tenore di trattazione congiunta, parte ricorrente lamenta che questo Consiglio sarebbe caduto in errore nello stabilire l’incidenza dell’abbaino sulle proprietà sottostanti non essendosi avveduto che in realtà insiste solo sull’abitazione dei ricorrenti e non anche su quelle degli altri condomini.

In particolare, parte ricorrente, in relazione alla necessità o meno del consenso degli altri comproprietari all’esecuzione e regolarizzazione dell’opera, e ciò con riferimento sia alla sua effettiva entità (“ meno della metà della falda ”) sia soprattutto alla distribuzione delle sottostanti proprietà, ha evidenziato che dalla relazione del Geom. P si “ rileva inequivocabilmente come al di sotto della falda di nord-est, ove è realizzato l’abbaino in questione, si sviluppa unicamente la proprietà degli appellanti, Sigg.ri Ventura-Quarantotto, odierni ricorrenti in via di revocazione ” (cfr. pagina 16 del ricorso). L’errore di fatto nel quale il giudice d’appello sarebbe incorso è consistito nel fatto che tale relazione, prodotta in seconde cure, sarebbe stata del tutto ignorata. Inoltre, come evidenziato con il secondo connesso motivo revocatorio, il giudice d’appello sarebbe incorso nel “ totale mancato apprezzamento di parte rilevante del secondo motivo, parte II di appello ” (cfr. pagina 21 del ricorso) preoccupandosi del solo profilo dimensionale “ senza darsi carico di verificare quello parimenti rilevante – in modo assorbente – della collocazione delle proprietà sotto la copertura comune ”.

L’inammissibilità del gravame si deve al fatto che, contrariamente a quanto dedotto, non si registra nel contesto motivazionale alcun abbaglio dei sensi o omessa pronuncia. Sotto tale ultimo profilo deve infatti rilevarsi che il Collegio di seconde cure ha mostrato di essersi esattamente soffermato sulla questione relativa alla necessità o meno del consenso degli altri condomini in relazione alla consistenza dell’intervento, avendo rilevato che “ L’abbaino così come realizzato occupa (cfr. le fotografie in atti: doc. n. 11 del fascicolo di primo grado), la quasi totalità della superficie della falda nord — est del tetto condominiale. È trascurabile, quindi, che la residua parte, non oggetto di occupazione per uso esclusivo, rimanga a disposizione della collettività condominiale. Come poi rimarcato dalla difesa comunale, è irrilevante che, con precedente permesso di costruire, fosse già stata assentita la realizzazione di questo tipo di intervento edilizio, poiché l’abbaino realizzato dagli appellanti, essendo assai più grande e collocato in diversa posizione rispetto a quello previsto (come si ricava dagli elaborati progettuali in atti: cfr. doc. n. 12 del fascicolo comunale di primo grado), si configura come nuovo elemento architettonico che, occupando quasi integralmente la corrispondente falda dello stabile, ha finito per sottrarre agli altri comproprietari l’utilizzo di tale porzione della cosa comune. Il giudice di prime cure ha poi correttamente osservato che, in assenza di titolo contrario, il tetto conserva la natura di parte comune dello stabile, ai sensi dell’art. 1117 c.c., anche relativamente ai comproprietari privi della titolarità dei locali sottostanti, dal momento che essi ne fruiscono effettivamente e comunque in ordine alla sua funzione di copertura del cespite immobiliare ” (cfr. § 8.2 della sentenza impugnata). Sulla questione sollevata in relazione alla effettiva estensione dell’abbaino ed alla sua esatta collocazione rispetto alle proprietà sottostanti il giudice della sentenza revocanda si è quindi esattamente soffermato, interrogandosi circa la sua attitudine ad interessare la falda del tetto con la conseguenza che va esclusa in radice la prospettata “ omissione di pronuncia ”.

5.8 Nemmeno persuade quanto dedotto a proposito di un possibile travisamento nel quale il giudice d’appello sarebbe incorso per non aver preso in esame l’elaborato peritale in grado di attestare le reali dimensioni e la collocazione dell’abbaino, atteso che il Collegio di seconde cure, nel soffermarsi specificamente sulla possibile incidenza dell’abbaino sulle proprietà sottostanti alla luce delle sue effettive dimensioni, si è avvalso della documentazione in atti, ivi compresa quella fotografica (doc. n. 11 del fascicolo di primo grado), mentre la perizia di parte, in disparte ogni considerazione circa la potenziale inammissibilità di tale produzione ex art. 104, comma 2, c.p.a., in quanto prodotta per la prima volta in appello (Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2022, n.9729), non è dotata di efficacia probatoria e, pertanto, non può essere qualificata come mezzo di prova (Cons. Stato, sez. II, 20 gennaio 2021, n.633). Ad ogni modo, secondo consolidato orientamento anche della Sezione, “ l’errore revocatorio non può riguardare l’attività di interpretazione e di valutazione del contenuto degli atti acquisiti al processo e non ricorre quindi nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, che danno luogo semmai a un ipotetico errore di giudizio non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio non previsto dall’ordinamento ” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 28 novembre 2022, n.10463). Ancora una volta occorre ribadire che il giudice di seconde cure si è esattamente soffermato sulla questione prospettata, ritenendo che “ la costruzione dell’abbaino in modo difforme rispetto al progetto assentito – intervento peraltro non riconducibile alla diversa fattispecie del diritto di sopraelevazione di cui all’art. 1127 c.c. – ha alterato unilateralmente la funzione e la destinazione del bene di proprietà comune (quale deve ritenersi, se non risulta il contrario dal titolo, il tetto dell’edificio, ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c.), assoggettandolo ad un uso estraneo a quello originario comune (avente mera funzione di copertura), che viene perciò soppresso, con violazione dei diritti di comproprietà e delle inerenti facoltà di uso e godimento spettanti agli altri condomini ”. Ne deriva che la disamina dei rilievi sollevati col gravame d’appello ha implicato il ricorso a notazioni di carattere prettamente giuridico che esulano, in quanto tali, dal perimetro del lamentato errore di fatto in grado di integrare il vizio revocatorio.

6. In conclusione, alla stregua di quanto esposto, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile per difetto del presupposto costituito dall’errore di fatto, ciò precludendo il riesame, in sede rescissoria, del merito della controversia già precedentemente decisa.

7. Le spese di giudizio, secondo il canone della soccombenza, sono da porre a carico di parte ricorrente nella misura stabilita in dispositivo.

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