Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-28, n. 202303188
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Pubblicato il 28/03/2023
N. 03188/2023REG.PROV.COLL.
N. 00012/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12 del 2021, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
la Questura Roma e il Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza Tar Lazio, sezione staccata di Latina, n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto di diniego dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, emesso dalla Questura di Roma in data 15 febbraio 2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Roma e del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2023 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale.
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con decreto reso il 15 febbraio 2019, notificato il successivo 16 marzo, la Questura di Roma ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato presentata in data 29 luglio 2017 dal signor -OMISSIS-, motivando il rigetto ai sensi degli artt. 4, comma 2, e 5, comma 8-bis, d.lgs. n. 286 del 1998, sulla scorta della ritenuta falsità della documentazione allegata a sostegno del requisito lavorativo e alloggiativo.
Nello specifico il provvedimento ha rilevato, che in data 2 febbraio 2017 il cittadino straniero era stato deferito all’Autorità Giudiziaria dai Carabinieri della Stazione di -OMISSIS-per il reato di falsità in documenti informatici previsto all’art. 491-bis c.p., avendo egli presentato documentazione attestante attività lavorativa prestata in qualità di colf presso la signora -OMISSIS-, la quale ha sporto denuncia il 29 ottobre 2016 sostenendo di non aver mai assunto il predetto alle proprie dipendenze.
2. Lo straniero ha impugnato tale diniego contestandone la legittimità avanti il Tar Lazio, sezione staccata di Latina, che, con sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso, atteso che dalla presentazione di documentazione fittizia discenderebbe l’inammissibilità dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno a norma dell’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998;
3. Con appello notificato il 15 dicembre 2020 e depositato il 3 gennaio 2021, il cittadino straniero ha impugnato detta sentenza, posto che il giudice di prime cure avrebbe errato nel non ricondurre alla ritenuta falsità della documentazione attestate il contratto di lavoro domestico la mera inutilizzabilità della stessa, con conseguente obbligo per l’amministrazione di valutare gli ulteriori elementi indicati nella memoria difensiva, depositata successivamente al preavviso di rigetto, comprovanti la percezione di redditi adeguati per il 2017 ed il 2018, derivanti da una diversa attività di lavoro autonomo nonché la nuova residenza presso il comune di Anzio. Si è altresì eccepito che la presunta fittizietà della documentazione afferente il rapporto di lavoro domestico, originariamente allegato alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, non sarebbe stata accertata in giudizio e che egli sarebbe esente da pregiudizi penali;
4. A seguito degli adempimenti istruttori, disposti dal Collegio con le ordinanze collegiali n. -OMISSIS-, volti a conoscere l’esito del procedimento penale, è emersa l’archiviazione dello stesso.
5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e la Questura di Roma, che hanno presentato una relazione scritta
6. All’udienza del 19 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Deve preliminarmente disporsi il rigetto dell’istanza di rinvio dell’udienza depositata dalla difesa dell’appellante in data 19 gennaio 2023 non ravvisandone i presupposti.
Il Collegio rileva altresì la tardività della memoria depositata lo stesso 19 gennaio 2023.
Infine, il Collegio ha comunicato (e dato atto a verbale) ex art. 73, comma 3, c.p.a., del tardivo deposito (in data 18 gennaio 2023), da parte dell’appellante, della memoria, di cui non terrà conto ai fini del decidere.
2. Ciò premesso, l’appello merita accoglimento nei sensi e nei limiti subito precisati.
Occorre in primo luogo ribadire che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998, “la presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l'inammissibilità della domanda”. Nella stessa ottica si pone altresì l’ipotesi di reato prevista in caso di contraffazione ex art. 5, comma 8-bis, del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998. Sul punto, anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che la produzione di documentazione falsa finalizzata a ottenere la permanenza nel territorio nazionale è sanzionabile con la perdita del titolo di soggiorno, indipendentemente dal tempo trascorso e dalla presenza di familiari conviventi (Cedu, sez. I, 14 febbraio 2012, Antwi, punti 90 e 104).
In questo senso, pertanto, deve essere respinta la tesi dell’appellante secondo cui dall’eventuale riscontrata falsità deriverebbe unicamente l’inutilizzabilità delle dichiarazioni e degli elementi presentati in istanza e poi rivelatisi falsi, dovendosi viceversa ribadire il carattere ostativo di una simile circostanza rispetto alla possibilità di conseguire il permesso di soggiorno.
Così come pure, in conformità con quanto richiamato dalla difesa dell’Amministrazione intimata, deve ribadirsi il principio per cui la falsa dichiarazione opera come fatto, a prescindere dall’elemento soggettivo di dolo o colpa del dichiarante, poiché altrimenti verrebbe meno la ratio della disciplina prevista dalla d.P.R. n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretta.
Tuttavia, questo non esclude ed anzi, in ossequio ai principi generali che regolano il riparto dell’onere probatorio, impone che l’amministrazione procedente debba dimostrare tale falsità, da cui discendono le summenzionate conseguenze negative.
Tale circostanza non risulta adeguatamente dimostrata nel caso di specie, posto che la stessa si fa essenzialmente discendere dalla denuncia della datrice di lavoro che però, in quanto tale, e tanto più a fronte della successiva archiviazione del procedimento, non pare costituire una prova decisiva in tal senso.
Su queste basi il provvedimento risulta illegittimo e merita di essere annullato, al fine di consentire un riesame complessivo della posizione, ferma restando l’autonomia in tale sede dell’amministrazione e la possibilità per questa di dimostrare la falsità con ogni mezzo.
3. Per queste ragioni, in riforma della sentenza gravata, l’appello merita accoglimento ai fini del riesame della posizione dello straniero.
La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese del giudizio.