Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-01-28, n. 202200621

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-01-28, n. 202200621
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200621
Data del deposito : 28 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/01/2022

N. 00621/2022REG.PROV.COLL.

N. 04890/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4890 del 2021, proposto dal signor F R, rappresentato e difeso dall’avvocato D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

l’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico Umberto I e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, non costituiti in giudizio,

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sede di Roma, Sezione Prima, 23 marzo 2021, n. 3536, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2021, il Cons. O F e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, il signor Romualdo Fattore impugna la sentenza 23 marzo 2021, n. 3536, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I, ha respinto il ricorso proposto avverso la decisione della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (CADA) 15 ottobre 2020, n. 132.

La Commissione ha dichiarato l’irricevibilità per tardività del ricorso presentato dal signor Fattore avverso il diniego tacito di accesso opposto dall’Azienda ospedaliera Policlinico Umberto I di Roma.

L’appellante, infermiere in servizio presso la predetta Azienda ospedaliera – come si evince dalla sentenza impugnata – “ a seguito di uno scambio di messaggi all’interno di una chat sulla piattaforma WhatsApp, si era ritenuto offeso nella propria onorabilità da alcuni messaggi inviati da due soggetti non meglio specificati e, conseguentemente, aveva chiesto in data 21 aprile 2020 all’Azienda di poter accedere ad una delibera aziendale nella quale si prendeva posizione su alcuni dipendenti non abilitati all’esercizio della professione infermieristica ”.

La richiesta veniva rinnovata in data 16 luglio 2020, senza ricevere riscontro.

Proposto ricorso al Difensore civico regionale per il Lazio, lo stesso veniva da questi trasmesso alla Commissione per l’accesso che, con la decisione impugnata, lo dichiarava irricevibile per tardività.

Ciò in quanto - posto che il ricorso avverso il diniego di accesso ovvero avverso il rigetto per silentium sull’istanza, deve essere proposto entro trenta giorni dalla piena conoscenza del provvedimento impugnato ovvero dalla formazione del silenzio – la Commissione rilevava che la prima richiesta di accesso era del 23 aprile 2020 e, non presentando la seconda elementi di novità, il termine di trenta giorni andava computato dalla data di formazione del silenzio sulla predetta prima istanza, di modo che il ricorso presentato al Difensore civico in data 16 luglio 2020 era da considerare tardivo.

Tale decisione è stata condivisa dalla sentenza impugnata, che, nel rigettare il ricorso, ha altresì precisato:

il termine di trenta giorni andava computato a decorrere dal 23 aprile 2020.

Di conseguenza, tenuto conto del fatto che l’art. 103 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18 (c.d,. Cura Italia) ha stabilito per il periodo dal 23 febbraio al 15 aprile 2020 la sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi, e che tale termine è stato prorogato al 15 maggio 2020 dall’art. 37 del d.l. 8 aprile 2020 n. 23 (c.d. decreto liquidità), il termine per la presentazione del ricorso andava a scadere, come correttamente ritenuto dalla Commissione, il 14 luglio 2020 (ovvero dopo 30 giorni dal perfezionamento del silenzio-rigetto, avvenuto in data 14 giugno 2020) ”.

Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a ) violazione art. 25 l. n. 241/1990;
art. 103, commi 1 e 5, d.l. n. 18/2020;
art. 37 d.l. n. 23/2020, per avere erroneamente ritenuto irricevibile per tardività la richiesta di riesame del diniego proposta alla CADA;
ciò in quanto il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza di accesso presentata il 23 aprile 2020 “ iniziava a decorrere dal 16 maggio 2020 e veniva a scadere il successivo 15 giugno 2020 ”;
da ciò “ ne deriva che il termine di trenta giorni per la presentazione della richiesta di riesame dinanzi alla CADA, dovendo essere computato a partire dal 16 giugno 2020, andava a scadere esattamente il 16 luglio 2020 ”;
erroneamente la sentenza impugnata ha fatto decorrere un unico termine di sessanta giorni dal 15 maggio 2020 (data che, peraltro, è ricompresa nel termine di sospensione straordinaria dettata dalla normativa emergenziale);

b ) error in iudicando ;
violazione e falsa applicazione artt. 22 e 25 l. n. 241/1990, in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 116 c.p.a.;
ciò in quanto il ricorrente aveva impugnato sia il provvedimento del CADA sia il diniego implicito di accesso, posto che “ l’impugnazione e il successivo annullamento in sede giurisdizionale del solo provvedimento emesso all’esito della procedura di riesame non consentirebbero in ogni caso al richiedente di accedere all’atto per il quale aveva formulato istanza di accesso ”;
di qui l’erroneità della sentenza, che ha considerato solo la pronuncia sul rimedio giustiziale.

Esposti i motivi afferenti alla erroneità della sentenza impugnata, l’appellante si riporta ai motivi proposti con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado, ed in particolare al sesto di essi, evidenziando che:

l’ostensione della versione integrale (senza omissis) della delibera n. 31 del 24 gennaio 2020 del Direttore generale, nella quale sono indicati i nominativi dei 23 infermieri mai iscritti all’OPI, costituisce un passaggio necessario per il sig. Fattore per denunciare all’Azienda le disparità di trattamento rispetto a quei colleghi (attinti dal provvedimento di sospensione) che, pur in assenza di un requisito ineludibile per l’esercizio della professione, sono entrati in servizio insieme al ricorrente, ma hanno avuto un percorso professionale caratterizzato da mansioni superiori, incarichi di coordinamento infermieristico e retribuzioni più elevate ”.

L’appellante sottolinea inoltre (v. pag. 18 app.) come l’ostensione del documento è necessaria al fine dell’esercizio del proprio diritto alla tutela giurisdizionale “ in sede civile e giuslavoristica ”, nonché per “ dimostrare che gli autori dei messaggi diffamatori . . . hanno leso ingiustamente l’onore e la reputazione del ricorrente ”, e a ciò non si può opporre la tutela della riservatezza dei dipendenti interessati dal provvedimento.

Le Amministrazioni appellate non si sono costituite in giudizio.

Dopo il deposito di memorie, all’udienza in camera di consiglio, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, previa concessione all’appellante della rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell’art. 37 c.p.a.

3.1. Giova, innanzi tutto, precisare in fatto che l’istanza di accesso è stata presentata dall’appellante in data 23 aprile 2020, mentre una seconda istanza (reiterazione della prima) è stata giudicata dalla sentenza impugnata irrilevante, ai fini del computo dei termini (senza che tale punto della decisione abbia formato oggetto di impugnazione).

Alla data di presentazione dell’istanza di accesso, i termini dei procedimenti amministrativi – già sospesi per il periodo 23 febbraio 2020 – 15 aprile 2020, ai sensi dell’art. 103 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27 - erano ulteriormente sospesi fino al 15 maggio 2020, dall’art. 37 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. in l. 5 giugno 2020, n. 40.

Più in particolare, il citato art. 102 del d.l. n. 18/2020, prevede, per quel che interessa nella presente sede, al comma 1:

Ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020. Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati. Sono prorogati o differiti, per il tempo corrispondente, i termini di formazione della volontà conclusiva dell’amministrazione nelle forme del silenzio significativo previste dall'ordinamento ”.

Il successivo art. 37 d.l. n. 23/2020 prevede:

Il termine del 15 aprile 2020 previsto dai commi 1 e 5 dell’articolo 103 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, è prorogato al 15 maggio 2020 ”.

Secondo la sentenza impugnata, il termine di presentazione del ricorso avverso il diniego di accesso, pur computando il periodo di sospensione dei termini è scaduto il 14 luglio 2020, “ ovvero dopo 30 giorni dal perfezionamento del silenzio-rigetto, avvenuto in data 14 giugno 2020 ”.

Al contrario, secondo l’appellante, il termine di trenta giorni concesso all’Amministrazione per pronunciarsi “ iniziava a decorrere dal 16 maggio 2020 e veniva a scadere il successivo 15 giugno 2020 ”;
di qui la scadenza del termine per l’impugnazione al 16 luglio 2020.

3.2. Nel caso di specie, dunque (e questo ne costituisce la particolarità), non si tratta di verificare gli effetti di una sospensione del termine già pendente (quando è intervenuta la sospensione ex lege l’istanza di accesso non era stata ancora presentata), ma si tratta di verificare se e quali siano gli effetti di una istanza presentata in una data nella quale i termini procedimentali – e dunque anche di avvio del procedimento conseguente all’istanza – siano già sospesi.

Orbene, precisato che il ricorrente ha trasmesso il ricorso al difensore civico in data 16 giugno 2020 occorre osservare che:

- la conclusione cui perviene la sentenza impugnata presuppone, a tutta evidenza, che la data di presentazione dell’istanza costituisca dies a quo per il computo del termine di trenta giorni per la formazione del silenzio-rigetto, ancorché tale termine non corra, per effetto della sospensione, cominciando invece a correre dal giorno in cui viene meno il fatto impeditivo. In questo senso, il 16 maggio 2020, non costituendo dies a quo non computabile, costituisce già il primo giorno del termine di trenta giorni entro il quale l’Amministrazione deve pronunciarsi. In definitiva, l’istanza “incardina” il procedimento ed è astrattamente idonea a dargli avvio, ma questo (e i relativi termini per la sua conclusione, con gli effetti a questa connessi) non può avviarsi stante la sua sospensione ex lege ;

- al contrario, la prospettazione dell’appellante presuppone (ancorché ciò non sia esplicitato), che l’istanza presentata in data 24 aprile 2020, stante la sospensione dei termini, non “incardini” il procedimento e quindi non integri il dies a quo di decorrenza del termine, se non nel giorno in cui cessa l’effetto sospensivo. In questo senso, il 15 maggio costituirebbe l’ultimo giorno della sospensione ed il 16 maggio 2020 il primo giorno di effettivo “incardinamento” dell’istanza, con contestuale decorrenza del termine per provvedere, e quindi dies come tale non computabile. In altre parole, la sospensione produrrebbe l’effetto di dover considerare, in pratica, l’istanza di accesso “come se” venisse presentata in data 16 maggio 2020, venendo così il termine a scadere il successivo 15 giugno 2020.

Orbene, in disparte ogni considerazione sul più corretto metodo di calcolo, occorre rilevare che, pur seguendo la tesi dell’appellante, l’intervenuta formazione del silenzio rigetto in data 15 giugno 2020 comporta che il termine di trenta giorni per la proposizione di ricorso giurisdizionale ovvero (come nel caso di specie) di ricorso al difensore civico (e dunque al CADA), venga a scadere il 15 luglio 2020.

Ne consegue che il ricorso al difensore civico (e poi da questi inoltrato al CADA), proposto in data 16 luglio 2020, risulta comunque tardivo, pur laddove si voglia aderire alla più favorevole ipotesi di computo formulata dall’appellante;
di modo che il ricorso amministrativo andrebbe comunque dichiarato irricevibile, sia pure con motivazione parzialmente diversa.

Alla luce di quanto esposto, il primo motivo di appello deve essere rigettato.

3.3. Alla medesima conclusione deve pervenirsi anche per il secondo motivo, poiché la decisione assunta dal primo giudice – di conferma di quella di irricevibilità del ricorso per tardività pronunciata dal CADA – esclude la possibilità di esame dell’istanza “nel merito”.

Ed infatti, il ricorso amministrativo, ai sensi dell’art. 25, co.4, l. n. 241/1990 è rimedio alternativo a quello del ricorso giurisdizionale, da proporsi nel rispetto delle norme procedimentali previste, ivi compreso il rispetto dei termini decadenziali per la sua proposizione.

E’ pur vero che il giudice amministrativo conserva il sindacato giurisdizionale di legittimità sulla decisione assunta dall’organo amministrativo, estendendo l’esame al “merito” della controversia, ma è altrettanto vero che intanto il giudice può procedere a tale esame nella misura in cui le norme procedimentali proprie del rimedio amministrativo, ed i termini decadenziali all’uopo previsti, siano stati rispettati.

4.1. Fermo quanto innanzi esposto, il Collegio ritiene che ricorrano nel caso di specie le condizioni per disporre di ufficio la rimessione in termini dell’odierno appellante.

Come è noto, l’art. 37 c.p.a. prevede che “ il giudice può disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto ”.

La giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 23 agosto 2021, n. 5985, e 14 giugno 2021, n. 4584;
sez. IV, 19 luglio 2021, n. 5793;
sez. V, 3 giugno 2021, n. 4257) ha più volte affermato che l’istituto della rimessione in termini costituisce un istituto di carattere eccezionale, in quanto deroga alla generale perentorietà dei termini processuali, prevista a tutela del pubblico interesse al tempestivo e celere svolgimento del giudizio, oltre che della parità di trattamento delle parti, da sottoporre ai medesimi termini processuali.

Ciò comporta che l’operatività dell’istituto deve ritenersi limitata alle ipotesi in cui sussista effettivamente un impedimento oggettivo ovvero un errore scusabile in cui sia incorsa la parte processuale, determinato da fatti oggettivi, rappresentati - di regola - dall’oscurità del testo normativo, dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali o da erronee rassicurazioni fornite da soggetti pubblici istituzionalmente competenti all’applicazione della normativa violata.

Come è stato precisato (Cons. Stato, sez. IV, 19 settembre 2019, n. 6242), “ tale istituto riveste carattere eccezionale (cfr. Ad. plen., nn. 22 del 2016, 33 del 2014, 32 del 2012, 10 del 2011, 3 del 2010), risolvendosi in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, ed è soggetto a regole di stretta interpretazione. Infatti, i termini in generale, e quelli dei riti speciali abbreviati in particolare, sono stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale e hanno applicazione oggettiva. In definitiva, i presupposti per la concessione dell’errore scusabile sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo, nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell’amministrazione, nell’ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza maggiore ”.

In applicazione dei suddetti principi è stato riconosciuto l’errore scusabile:

- nel caso in cui vi fosse oggettiva incertezza della normativa applicabile ratione temporis , avvalorata dal successivo intervento chiarificatore del legislatore (Cons. Stato, sez. II, 10 maggio 2021, n. 3690);

- in caso di sussistenza di contrasti giurisprudenziali su una determinata questione giuridica, quale l’oggettiva incertezza sulla spettanza della giurisdizione (Cons. Stato, sez. II, 5 febbraio 2021, n. 1111);

- in caso di mancata indicazione nell’atto impugnato di termine ed autorità cui ricorrere e in assenza in capo al ricorrente di specifiche competenze giuridiche, e ciò in presenza di contrasto giurisprudenziale in ordine alla giurisdizione (Cons. giust. amm., 18 novembre 2020, n. 1065);

- nel caso in cui sussista una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenta il carattere dell’assolutezza, come quello relativo al Covid, e non già un’impossibilità relativa, né tantomeno una mera difficoltà (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2633;
Cass. civile, sez. un., 4 dicembre 2020, n. 27773).

4.2. Nel caso di specie, ricorrono i presupposti perché questo Collegio, in applicazione dei pur rigorosi criteri individuati dalla giurisprudenza, possa concedere l’errore scusabile. Ed infatti:

- per un verso, l’istanza di accesso è stata proposta nel pieno della nota emergenza sanitaria, tale da comportare, tra gli altri, la sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi e ciò, per di più, nell’ambito di una amministrazione particolarmente esposta, quale quella sanitaria;

- per altro verso, i termini di sospensione dovuta ad eventi eccezionali sono stati sospesi per ben due volte con decretazione d’urgenza;

- per altro verso ancora, ricorre un caso affatto particolare, quale è quello degli effetti, ai fini del computo del termine decadenziale, della presentazione di una istanza in data per la quale i termini procedimentali sono sospesi.

Per queste ragioni, il Collegio ritiene di dover disporre la rimessione in termini del ricorrente, con riferimento al ricorso proposto innanzi al difensore civico (e poi alla CADA), il che comporta il superamento della pronuncia di irricevibilità di cui alla sentenza impugnata.

La formulazione dell’art. 37 c.p.a. non osta al potere di rimessione in termini per errore scusabile, anche nei casi in cui tale errore si sia verificato non già nel grado di giudizio innanzi al giudice che esercita tale potere, ma anche nel grado precedente ovvero ancora in sede di proposizione di ricorsi amministrativi, poi sfociati in sede giurisdizionale, laddove l’errore (scusabile) – individuato sulla base di un esame rigoroso delle circostanze - incida sull’accesso stesso alla pronuncia giurisdizionale o giustiziale “nel merito” e si risolva, quindi, in un vulnus alla tutela giurisdizionale.

5. La disposta rimessione in termini rende necessario l’esame dei motivi di impugnazione, come proposti alle pagg. 15 – 19 dell’appello.

5.1. In sostanza, l’appellante lamenta che, durante una discussione tra oltre 150 dipendenti dell’Azienda sanitaria su un gruppo WhatsApp nel corso della quale aveva difeso la legittimità della decisione dell’Azienda sanitaria di sospendere cautelativamente dal servizio alcuni colleghi perché non iscritti all’Ordine delle Professioni Infermieristiche, era stato oggetto di “ un attacco diffamatorio, ingiurioso e calunnioso ”.

Al fine di poter consapevolmente procedere nei confronti dei soggetti autori dell’“ attacco ”, il ricorrente aveva richiesto l’ostensione della delibera 24 gennaio 2020, n. 31, del Direttore Generale, con la quale era stata disposta la sospensione cautelativa dei non iscritti all’OPI (già pubblicata con oscuramento dei nominativi di tali soggetti), onde verificare l’inserimento tra i sospesi dei colleghi “ che lo avevano diffamato ”, oltre a poter agire stante “ la disparità di trattamento (a livello retributivo e di mansioni) rispetto ai dipendenti dell’AOU Policlinico Umberto I che, pur essendo entrati in servizio nello stesso periodo del sig. Fattore ma non possedendo il requisito dell’iscrizione all’Albo, avevano incarichi di coordinamento infermieristico ”.

Su tale istanza, stante l’inerzia dell’Amministrazione, si è formato il silenzio rigetto, successivamente impugnato come innanzi descritto.

5.2. Come è dato osservare, nel caso di specie ricorre l’ipotesi di accesso cd. “difensivo”, di cui all’art. 24, comma 7, della legge n. 241/1990.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze 25 settembre 2020 nn. 19, 20 e 21, e 16 marzo 2021, n. 4, ha già avuto modo di affermare, quanto al cd. accesso difensivo, che “ il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso difensivo rispetto all’accesso “ordinario”, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990), in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite ”.

A tali fini, occorre che “ le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione ”, non essendo a tal fine sufficiente “ un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento passa attraverso un rigoroso vaglio circa l’appena descritto nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale controvers a”.

Il diritto di accesso difensivo, in particolare, ai sensi dell’art. 24, co. 7, l. n. 241/1990, subisce “un’esclusione basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango.

Devono essere a tali fini valutati:

- i “dati sensibili” definiti dall’art. 9 del Regolamento n. 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio e, cioè, dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica;

- i dati “giudiziari” di cui al successivo art. 10 e, cioè, i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza;

- i dati cc.dd. supersensibili di cui all’art. 60 del d. lgs. n. 196 del 2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona).

Laddove non ricorrano le ipotesi ora descritte, non trovano “applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell'indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. supersensibili), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali . . . dell’accesso documentale di tipo difensivo ”.

5.3. Nel caso di specie, non ricorre alcuna delle ipotesi (dati sensibili, giudiziari, supersensibili) che impone all’Amministrazione e successivamente al giudice una più stringente valutazione comparativa dei contrapposti interessi, bensì una generica tutela della riservatezza dei soggetti contemplati nel documento per il quale si è proposta l’istanza di accesso, rispetto alla quale il diritto di accesso difensivo, salvo particolari ragioni addotte dall’Amministrazione, deve essere giudicato prevalente, afferendo alla concreta attuazione del diritto alla tutela giurisdizionale, costituzionalmente tutelato.

In tale contesto:

- per un verso, l’attuale appellante ha diffusamente esplicitato le ragioni che rendono necessario il documento per il quale si è esercitato l’accesso ai fini della propria tutela in sede giudiziaria;

- per altro verso l’Amministrazione, restando inerte e, dunque, consentendo la formazione del rigetto per silentium , non ha fornito alcuna ragione valutabile dal giudice e tale da consentire la eccezionale prevalenza dell’ordinario diritto alla riservatezza rispetto al diritto di accesso difensivo.

Come ha avuto modo di sottolineare l’Adunanza plenaria n. 4/2021, soltanto attraverso l’esame della motivazione è possibile comprendere se il collegamento tra situazione legittimante e documento “ esista effettivamente e se l’esigenza di difesa rappresentata dall’istante prevalga o meno sul contrario interesse alla riservatezza nel delicato bilanciamento tra i valori in gioco ”.

Di modo che, nei casi come quello di specie, in cui l’Amministrazione rimasta silente nulla ha argomentato in ordine alla sussistenza del collegamento ed alla prevalenza (o meno) del diritto di accesso - e non ricorrendo alcuna ipotesi di tutela della riservatezza rispetto a dati sensibili, giudiziari o supersensibili – non può che essere affermato senz’altro prevalente il diritto di accesso.

6. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado e, pertanto, annullata la decisione della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (CADA) 15 ottobre 2020, n. 132.

Di conseguenza, deve essere ordinato alla Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I di consentire l’accesso del signor Romualdo Fattore ai documenti di cui alla sua istanza del 23 aprile 2020, anche mediante estrazione di copia degli stessi.

Stante la particolarità e complessità del presente giudizio, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.

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