Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-05-22, n. 201202941

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-05-22, n. 201202941
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201202941
Data del deposito : 22 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00191/2005 REG.RIC.

N. 02941/2012REG.PROV.COLL.

N. 00191/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 191 del 2005, proposto da:
S C, rappresentato e difeso dagli avv. C S, Michele D'Alterio, con domicilio eletto presso C S in Roma, piazza di Spagna, 35;

contro

Comune di Giugliano in Campania, rappresentato e difeso dall'avv. R M, con domicilio eletto presso studio Napolitano in Roma, via Sicilia, 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 10239/2004, resa tra le parti, concernente DINIEGO CONCESSIONE EDILIZIA PER REALIZZAZIONE .FABBRICATO DA DESTINARE A CIVILE ABITAZIONE


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per il Comune l’avvocato Andrea Abbamonte in sostituzione di Riccardo Marone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza 15 luglio 2004, n. 10239, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Napoli, Sezione II, respingeva il ricorso proposto dal signor Carmine Sepe contro il diniego opposto dal Comune di Giugliano in Campania alla richiesta di concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato da destinare a civile abitazione.

L’Amministrazione comunale aveva preso in considerazione la circostanza che nel lotto di circa 1000 mq. (dal quale, per frazionamenti successivi, è derivata la particella per cui è stata richiesta la concessione edilizia) con successive licenze edilizie, a partire dal 1968, era stata autorizzata l’edificazione di un albergo-ristorante e, all’esito di una articolata istruttoria, aveva rigettato la richiesta sul presupposto che, per accertare la volumetria edificabile sulla particella in questione, fosse necessario scorporare la volumetria già edificata sul lotto unico originario.

Contro la sentenza interponeva appello il Sepe.

In primo luogo, la sentenza impugnata avrebbe trascurato che l’albergo-ristorante costruito sul lotto originario non sarebbe stato oggetto di alcun asservimento, mancando qualunque atto formale in tal senso, quale un impegno preso in sede di rilascio della licenza o una clausola apposita. Il giudice di primo grado avrebbe errato nell’aver sottovalutato sia il carattere necessariamente formale dell’asservimento, sia il fatto che, rientrando l’albergo-ristorante in una tipologia di costruzioni all’epoca ricondotte all’edilizia di tipo produttivo assoggettata - ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967 - esclusivamente al limite della superficie coperta (nella misura di un terzo), non potrebbe comunque essere considerato quale volumetria preesistente all’atto di richiesta della concessione edilizia.

Erroneamente, inoltre, la sentenza appellata avrebbe affermato l’irrilevanza, rispetto alla lamentata illegittimità del diniego, della mancata comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e della omessa acquisizione della proposta di provvedimento da parte di quest’ultimo.

Il Comune di Giugliano si costituiva in giudizio per resistere all’appello e, in vista della pubblica udienza, depositava memoria.

Alla udienza pubblica del 24 aprile 2012, l’appello veniva chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Come ricordato in narrativa, l’area alla quale si riferisce la concessione edilizia, richiesta dalla parte privata e negata dall’Amministrazione, deriva per successivi frazionamenti da un lotto originario, su cui è stato costruito un albergo-ristorante. Si controverte sul rilievo che, ai fini del rilascio del titolo edilizio, debba riconoscersi il volume relativo all’opera già edificata.

Al riguardo il Giudice amministrativo ha più volte avuto modo di affermare che, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2004, n. 5039;
Id., Sez. III, 28 aprile 2009, n. 965).

Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 settembre 2009, n. 5637).

Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della volumetria assentibile su una determinata area secondo l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche la costruzione realizzata prima della legge 17 agosto 1942, n. 1150, quando cioè lo "ius aedificandi" era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante (Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2009, n. 3).

Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata con riguardo al lotto originario. Il che nella fattispecie il Sepe non contesta, concentrando piuttosto il primo motivo dell’appello sul profilo – del tutto giuridico e non fattuale – della mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato e di un diverso rilievo di quest’ultimo secondo la normativa urbanistica dell’epoca. Circostanze queste che, per le ragioni sopra dette, devono considerarsi ininfluenti, non ritenendo il Collegio di doversi discostare da una giurisprudenza cospicua e consolidata.

Neppure sono fondati i due profili dell’ulteriore motivo dell’appello.

Non ha pregio il rilievo relativo alla mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento ex art. 4, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241. A questo proposito, la giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che tale omissione costituisce in linea di principio (e cioè salve le ipotesi in cui sia dimostrato un concreto pregiudizio, il che nella specie non è avvenuto) semplice irregolarità, che non refluisce in illegittimità del provvedimento finale. Trova infatti applicazione la norma suppletiva recata dal successivo art. 5, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990, secondo il quale, in difetto di tale designazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa competente (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. II, 16 maggio 2007, n. 866;
Id., Sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 6242;
Id., Sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2910;
Id., Sez.V, 20 giugno 2011, n. 3681).

Neppure è fondato l’altro rilievo, concernente la mancanza di una proposta del responsabile del procedimento. Dal combinato disposto degli artt. 4 e 6 della citata legge n. 241 del 1990 risulta che il compito essenziale di quest’ultimo è quello di accertare i fatti "disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari";
pertanto la legge affida all'apprezzamento del responsabile del procedimento il compito di individuare i mezzi istruttori più idonei per l'accertamento dei fatti da porre a fondamento del provvedimento conclusivo. La scelta dei mezzi può ritenersi viziata sotto il profilo della legittimità solo allorché appaia incongrua rispetto al fine voluto dal legislatore ovvero porti a risultati aberranti o a travisamento dei fatti (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 2009, n. 3097). Il Giudice di primo grado ha correttamente osservato che, nel caso in questione, l’Amministrazione ha posto in essere un’ampia e approfondita istruttoria (del che peraltro il Sepe, almeno nel ricorso di primo grado, sembra con qualche contraddizione dolersi). Il vizio denunciato perciò non sussiste.

Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto.

Conformemente alla legge le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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