Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-07-18, n. 202307046
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Testo completo
Pubblicato il 18/07/2023
N. 07046/2023REG.PROV.COLL.
N. 04994/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 4994 del 2021, proposto dalla signora -OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avvocato M S, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Oreste Tommasini, n. 20,
contro
il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, in persona del Ministro
pro tempore
e il Corpo Forestale dello Stato - oggi Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri - , Comando provinciale di -OMISSIS- e Comando regionale della Calabria, in persona dei rispettivi Comandanti
pro tempore
, rappresentati e difesi
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione staccata di -OMISSIS-, -OMISSIS- resa tra le parti, concernente risarcimento danni da provvedimenti di trasferimento illegittimi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e del Corpo Forestale dello Stato;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc.amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023, per la quale la difesa dell’appellante ha presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione orale, il Cons. Antonella Manzione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’odierna appellante, arruolata nel Corpo Forestale dello Stato nel 2000 con la qualifica di agente e assegnata alla sede di -OMISSIS- ha adito il T.a.r. per la Calabria, sede di -OMISSIS-, per vedersi riconoscere i danni asseritamente subiti a causa di un trasferimento presso la sede di -OMISSIS- dichiarato illegittimo con sentenza del medesimo Tribunale, n. -OMISSIS- passata in giudicato.
1.1. Essa denuncia una serie ininterrotta di atteggiamenti vessatori, che avrebbero avuto origine da un episodio di aggressione fisica perpetrato nei suoi confronti da un collega e superiore gerarchico (accertato con sentenza del Giudice di Pace di -OMISSIS- del 21 marzo 2007, confermata in appello dal Tribunale di -OMISSIS-, 13 febbraio 2009, n. 9, nonché, da ultimo, dalla Corte di Cassazione, -OMISSIS-), protraendosi senza soluzione di continuità fino alle contestate scelte allocative. In maggior dettaglio, dopo essere stata trasferita per incompatibilità ambientale a -OMISSIS- unitamente agli altri protagonisti della vicenda, ovviamente destinati ad altre sedi, si vedeva esposta ad una serie di oscillazioni decisionali, conseguite in verità anche a sue specifiche richieste, giusta la lamentata ostilità ambientale riscontrata pure nella nuova sede.
1.2. In particolare, sopraggiunte le richiamate sentenze di primo e secondo grado del giudice penale, in data 25 novembre 2009 veniva assegnata temporaneamente al Comando regionale del Corpo per trenta giorni, successivamente prorogati di altri sessanta.
1.3. Essendo stato medio tempore il comando di -OMISSIS- sede effettiva dell’appellante, attratto nella competenza territoriale del Parco Nazionale d’-OMISSIS- per operare in abbinamento con altri limitrofi, tra i quali quello di -OMISSIS-, ove era stato trasferito il suo aggressore, la ricorrente, ritenendo di non potervi prestare più servizio - recte , di non potervi rientrare- chiedeva, in data 8 settembre 2010, di essere sottoposta a visita medica. Chiedeva, altresì, con istanza del 22 ottobre 2010, che venisse revocato l’originario provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale dalla stazione di -OMISSIS- essendo venuti meno i presupposti e i requisiti, come definitivamente accertato dal giudice penale, che avevano indotto a suo tempo il trasferimento presso il comando di-OMISSIS-
1.4. Con decreto del 30 novembre 2010 il Capo del Corpo Forestale dello Stato ne assecondava la richiesta, disponendone il reintegro presso la sede di -OMISSIS- successivamente sospeso in data 14 dicembre 2010 per la riscontrata permanenza di cause di incompatibilità ambientale evidenziate nella nota del Comando regionale del 13 dicembre 2010 nella quale si rappresentava « la fortissima inopportunità a che la -OMISSIS- torni a prestare servizio con ben cinque soggetti con i quali ha avuto in passato i conflitti ampiamente documentati in atti ».
1.5. In effetti, all’opzione richiesta si opponevano in blocco tutti i colleghi già in servizio presso la stazione di -OMISSIS- che con nota del 9 dicembre 2010 ne evidenziavano l’inopportunità preso atto delle denunce per mobbing presentate dalla ricorrente anche nei loro confronti.
1.6. A partire da tale momento, si susseguiva una congerie di provvedimenti, la cui cronologia, seppure utile a fini ricostruttivi, mette in luce la non piena coerenza delle scelte effettuate, all’apparenza ispirate talvolta ad astratte velleità legalistiche in senso formale, talaltra a tutelare l’interessata, talaltra ancora semplicemente a cercare un punto di equilibrio tra contrapposte situazioni di non agevole gestibilità. Segnatamente:
- con atto del 14 febbraio 2011, revocato il reintegro a -OMISSIS- veniva disposta l’assegnazione definitiva al Comando di -OMISSIS-
- con nuova istanza del 30 giugno 2011 l’interessata chiedeva di permanere nell’assegnazione provvisoria, di cui continuava a fruire;
- con nota del 29 luglio 2011 l’Ispettorato Generale del Corpo riscontrava negativamente tale richiesta, ritenendola non conforme al quadro regolamentare;
- in data 14 ottobre 2011, la -OMISSIS-, rifiutandosi di fatto di prendere servizio a -OMISSIS- si presentava nuovamente presso la sede del Comando provinciale di -OMISSIS-;
- in data 14 dicembre 2011 il Comandante regionale, facendo seguito a numerose note di analogo tenore del Comandante provinciale, diffidava l’agente a prendere servizio presso la sede formalmente assegnatale (-OMISSIS-), ove non si era ancora presentata;
- in data 20 dicembre 2011 il Comandante provinciale, a fronte del malore accusato dalla -OMISSIS- al momento della notifica della diffida, la inviava per accertamenti presso la C.m.o. e la collocava in aspettativa d’ufficio;
-in data 14 marzo 2013, il medesimo Comandante provinciale, alla luce delle certificazioni mediche medio tempore acquisite, nonché della circostanza che dal 4 marzo 2013 era stato nominato Comandante della Stazione di -OMISSIS- un sovrintendente che in passato aveva avuto problemi con la -OMISSIS-, ne chiedeva l’assegnazione definitiva presso la sua struttura ovvero presso l’Ufficio per le biodiversità;
- con nota del 30 maggio 2013 il Comandante regionale, riscontrando negativamente la proposta, riferiva di ritenere cessate le (ulteriori) condizioni di incompatibilità ambientale, giusta il nuovo trasferimento del Sovrintendente da -OMISSIS- evidenziando peraltro che la dipendente aveva volontariamente preso parte ad un’operazione (denominata “Adorno”), svoltasi proprio nei luoghi soggetti alla segnalata limitazione da parte dei medici competenti;
- con provvedimento del Comandante regionale del 19 luglio 2013, prot. n. 533, veniva quindi definitivamente affermato che la permanenza della -OMISSIS- presso il Comando provinciale violava le disposizioni sugli spostamenti temporanei del personale e nello specifico contravveniva anche al provvedimento del 14 febbraio 2011, di annullamento del trasferimento presso la sede di-OMISSIS- e assegnazione definitiva a quella di -OMISSIS-
- con atto prot. n. 87 del 24 luglio 2013, il Comandante provinciale disponeva in conformità.
2. Occorre ancora precisare che a fronte di tali ipotesi di spostamenti, e segnatamente della paventata prospettiva di essere incardinata a -OMISSIS- con conseguente possibilità di interfaccia con il proprio aggressore del 2003, giusta la sua presenza nell’organico di Comando destinato a collaborare nell’ambito del Parco secondo il nuovo assetto delle competenze, l’appellante:
- otteneva una prima certificazione del medico legale del Corpo, -OMISSIS- in data 10 febbraio 2011, che alla luce dei disturbi psico-fisici diagnosticati ne suggeriva l’impiego « in località diverse da quelle che, per fatti e persone, sono ricollegabili alla nota vicenda subita dalla ricorrente, al fine di evitare, per quanto possibile, ulteriori elementi di usura dal punto di vista del fattore del rischio stress lavoro-correlato (-OMISSIS- e sedi limitrofe con -OMISSIS-) » ( e sulla base della stessa avanzava la sopra richiamata istanza del 30 giugno 2011 di permanere nell’assegnazione provvisoria);
- in data 14 dicembre 2011, all’atto della notifica della diffida del Comandante regionale, accusava malore, tanto da indurre il Comandante provinciale a mandarla a visita presso la C.m.o.;
- in data 20 dicembre 2012, rientrata in servizio dopo l’aspettativa, a seguito di visita presso il (nuovo) medico del lavoro, -OMISSIS- veniva riconosciuta idonea all’impiego, ribadendo tuttavia la limitazione « per lo svolgimento di attività in ambienti che per luoghi persone e circostanze, considerati i precedenti, possono determinare condizioni di stress lavoro correlato con sofferenza psico-fisica ».
3. Avverso il provvedimento del 24 luglio 2013 la -OMISSIS- esperiva dapprima ricorso gerarchico, e avverso quello del 19 luglio 2013, ricorso in opposizione al Comando regionale della Calabria, entrambi respinti.
3.1. Proponeva quindi ricorso al T.a.r. per la Calabria, sede di -OMISSIS-, n.r.g.-OMISSIS- che con sentenza n. -OMISSIS- annullava entrambi i provvedimenti in quanto «[…] intimando nuovamente alla ricorrente di prendere servizio presso la sede di -OMISSIS- nonostante l’emissione di ben tre certificati del medico competente che pongono espressamente una limitazione all’impiego della stessa in ambienti che per luoghi persone e circostanze possano determinare sofferenza psico-fisica - tale essendo, in primo luogo, proprio l’assegnazione presso la sede di -OMISSIS- come peraltro anche attestato espressamente dal dott. -OMISSIS- nel certificato di idoneità da lui emesso il 10.2.2011- sono, dunque, illegittimi, per violazione delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, di cui agli artt. 38 ss., d. lgs. n. 81/2008 ». La sentenza argomentava altresì in ordine alla ritenuta sussistenza del vizio di eccesso di potere per manifesta ingiustizia affermando: « L’amministrazione, eccezion fatta per l’operato del comandante provinciale che ha cercato in ogni modo di tutelare la salute della ricorrente secondo le prescrizioni dei medici competenti, non ha, di fatto, posto in essere le misure che, in considerazione della vicenda di cui la ricorrente è stata vittima e delle conseguenze subite sul piano della salute psico-fisica, sarebbero state non solo opportune ma doverose, stante l’obbligo gravante sul datore di lavoro di tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore ». Ciò a maggior ragione tenendo conto che dall’episodio di violenza subito (8 luglio 2003) la -OMISSIS- non aveva ancora ottenuto una « definitiva assegnazione della ricorrente in luogo lavorativo idoneo a garantire la tutela del proprio fondamentale diritto, costituzionalmente garantito, alla salute (art. 32 cost.) ».
4. Con successivo ricorso n.r.g. 66 del 2016 innanzi al medesimo T.a.r. per la Calabria, la -OMISSIS- ha, quindi, proposto la domanda di risarcimento di cui è causa, rivendicando il rimborso delle spese, sanitarie e legali, affrontate a partire dal 2003, e così per un totale di euro 20.660,77;nonché la somma di euro 266.837, 68, a titolo di danno biologico e morale, sulla base di una percentuale di invalidità del 25 % (euro 183.891,60) e di una inabilità temporanea quantificata in euro 82.966,08 in apposita consulenza di parte.
4.1. A sostegno della domanda, espressamente ricondotta all’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa ai sensi dell’art. 30 c.p.a., ha dedotto che la sentenza del T.a.r. per la Calabria n. -OMISSIS- passata in giudicato, cristallizza una serie di eventi causali, ovvero l’aggressione subita nel 2003, già oggetto peraltro di accertamento definitivo da parte del giudice penale, e la circostanza che il medico legale del Corpo, in conseguenza di tale episodio e del contesto lavorativo fortemente ostile nei suoi confronti, prescriveva in più occasioni di limitarne l’impiego in ambienti « che per luoghi, persone e circostanze, considerati i precedenti, possano determinare condizioni di stress lavoro correlato con sofferenza psico fisica » (così testualmente la già ricordata prescrizione del 20 novembre 2012). Essa stigmatizzava dunque il comportamento dell’Amministrazione come contrario agli obblighi datoriali di cui segnatamente all’art. 42 del d.lgs. n. 81 del 2008, che impone di attenersi alle prescrizioni cautelative indicate dal medico competente.
4.2. Si costituiva in giudizio l’Amministrazione, eccependo in via preliminare la tardività della richiesta rispetto ai termini decadenziali dettati dall’invocato art. 30, c.p.a., comma 5 ( 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza demolitoria). Nel merito, evidenziava come le richieste risarcitorie da provvedimento illegittimo si riferiscono tutte a atti o comportamenti antecedenti lo stesso (arco temporale dal 2003 al 2013). Nessun rilievo si sarebbe dovuto dare poi in termini di danno emergente al rimborso delle spese legali, in quanto riferite all’assistenza tecnica che la parte aveva deciso di acquisire, laddove l’ordinamento le consentiva di tutelarsi personalmente. Eccepiva altresì la prescrizione di tutti i danni riferibili al periodo antecedente i cinque anni dalla notifica del ricorso, avvenuta il 5 febbraio 2016, e quindi per il lasso di tempo precedente il 5 febbraio 2011, dovendo trovare applicazione il termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c., giusta la natura extracontrattuale della responsabilità da provvedimento amministrativo illegittimo. In denegata ipotesi, ovvero accedendo all’inquadramento della fattispecie quale responsabilità contrattuale, sarebbero comunque prescritti i danni maturati fino al 5 febbraio 2006. Evidenziava altresì come risulterebbe dalla documentazione in atti che la -OMISSIS-, almeno fino alla data del 22 ottobre 2010, considerava legittimo e giustificato il proprio trasferimento presso la stazione di -OMISSIS- di cui chiedeva la revoca con rientro a -OMISSIS- oppure altra sede concordata solo sulla base della considerazione che il definitivo accertamento della responsabilità penale dell’agente scelto che l’aveva aggredita nel 2003 avesse determinato il venir meno dei presupposti di incompatibilità alla base del primo spostamento subito. Il contenzioso che ha portato poi alla sentenza del T.a.r. per la Calabria n. -OMISSIS-, è sorto quindi nel momento in cui l’Amministrazione si è vista costretta a rivedere il trasferimento verso -OMISSIS- richiesto dalla stessa dipendente, e disposto in data 30 novembre 2010, prima sospendendolo e poi revocandolo. Quanto detto troverebbe conferma nella richiesta del 30 giugno 2011, nella quale la -OMISSIS- contestava l’ipotizzato rientro presso -OMISSIS- non per ragioni di tutela della salute, bensì perché lo considerava una forma di ingiustizia nei suoi riguardi alla luce delle risultanze disciplinari e giudiziarie a carico dei colleghi. Rimarcava che la dipendente non ha mai in concreto preso servizio presso la sede di -OMISSIS- stante anche l’esito favorevole del giudizio cautelare nell’ambito del procedimento n.r.g. 675 del 2013. Negava infine sia stata provata in alcun modo la presenza di danni invalidanti permanenti.
5. Il Tribunale adito, con la sentenza n.-OMISSIS- segnata in epigrafe, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa erariale giusta la tempestività della richiesta risarcitoria rispetto ai tempi di pubblicazione della sentenza n. -OMISSIS- lo ha respinto nel merito, argomentandone l’infondatezza sia ove riferibile ad una richiesta danni da atto amministrativo illegittimo (art.30, comma 2, c.p.a.), sia ove riqualificato come istanza risarcitoria da comportamento illecito della P.A. ex art. 2043 c.c.
5.1. Nella prima direzione, sussisterebbe infatti « una “sfasatura” logica e cronologica tra i fatti costitutivi della domanda ( causa petendi : illegittimità del trasferimento della ricorrente presso il comando di -OMISSIS- adottato il 24.07.2013) e i danni patrimoniali e non patrimoniali ( petitum ) in massima parte ricondotti, nonché ipotizzati dalla stessa sentenza di annullamento, ad un lasso temporale anteriore e non successivo al trasferimento illegittimo ». Le uniche voci di danno patrimoniale riferite ad epoca posteriore al trasferimento, ovvero le spese legali sostenute per l’assistenza nel ricorso gerarchico e in opposizione e nel procedimento disciplinare (pari ad € 7016,80) non appaiono ristorabili, in quanto derivanti da attività che non richiedevano necessariamente l’assistenza di avvocato;le altre (spese sanitarie per € 7.265, 60) non appaiono, o comunque non è stato dimostrato, che siano strettamente collegabili al fatto illecito rappresentato dalla decisione adottata il 24 luglio 2013, di fatto mai attuata. Quanto ai danni di natura non patrimoniale, la ricorrente, come già detto, avrebbe documentato attraverso perizia medico-legale soltanto quelli dichiaratamente maturati fino al 2013, e dunque essi pure antecedenti agli atti poi riconosciuti illegittimi.
5.2. Nella seconda direzione, ha ritenuto insussistenti gli estremi sia del mobbing che dello straining, in quanto non sarebbe emerso « con carattere di immediatezza e profilo di causalità adeguata, alcuna modalità fattuale nel comportamento del datore di lavoro pubblico tale da poter essere valutato come di obiettiva natura vessatoria o comunque ostruzionistica della normale attività lavorativa della ricorrente ». In sintesi: « Al di fuori di questo evento increscioso per cui fu risarcita al termine di un processo penale, la ricorrente non ha fornito prove sufficienti in ordine al comportamento con finalità colpevolmente vessatoria e/o lesiva intrapreso dall'ambiente di lavoro nei suoi confronti, limitandosi ad una contestazione dei fatti generica e non priva di contraddizioni, come puntualmente rilevato dalle amministrazioni resistenti ».
6. Avverso tale sentenza è stato proposto l’appello in epigrafe.
6.1. Con un primo motivo di gravame, l’interessata contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata la domanda di risarcimento danni da atto amministrativo illegittimo. La ricostruzione del primo giudice non terrebbe conto dei danni conseguiti alla minaccia dell’evento (il trasferimento a -OMISSIS-), poi giudizialmente riconosciuto illegittimo. Ristorabili sarebbero altresì sia le spese legali, il cui importo di euro 7.265,60 è erroneamente riferito in sentenza a quelle sanitarie, sia quest’ultime, riconducibili alle cure cui la dipendente è stata costretta a causa dell’insorgenza dello stato d’ansia reattiva correlata all’aggressione del 2003.
6.2. Con un secondo motivo, censura invece la parte della sentenza in cui si esclude anche il comportamento illecito non attizio della P.A. ex art. 2043 c.c. La ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza del T.a.r. per la Calabria del 2015, infatti, avrebbe al contrario fatto emergere per tabulas la scorrettezza dell’approccio datoriale alla vicenda, eccezion fatta per il Comandante provinciale, unico superiore gerarchico che si è preoccupato della tutela della salute dell’interessata, di fatto mantenendola presso la propria sede. Il vizio di cui sono stati ritenuti affetti gli atti impugnati, infatti, è stato giudicato ancor più grave e palese, « ove solo si consideri l’arco temporale intercorso dall’episodio di violenza subito (8 luglio 2003) - e per il quale, la ricorrente, ancorché vittima, è stata sottoposta dalla stessa amministrazione anche a procedimento disciplinare - e la mancata, a tutt’oggi, definitiva assegnazione della ricorrente in luogo lavorativo idoneo a garantire la tutela del proprio fondamentale diritto, costituzionalmente garantito, alla salute (art. 32 cost.) ». Pertanto non vi sarebbe soluzione di continuità tra il danno alla salute conseguito all’episodio del 2003 e lo stato ansioso reattivo perdurante negli anni successivi, seppure non riconosciuto come invalidante a fini di servizio. Ciò riceverebbe un’indiretta conferma in quanto da ultimo riportato nel quadro “A” del verbale del 2019 di inidoneità al servizio militare incondizionato ed idoneità ai ruoli civili, nonché nel conseguente giudizio diagnostico di idoneità ai ruoli civili del 2020, che da un lato confermano il disturbo dell’adattamento, dall’altro lo collocano causalmente nel 2003.
7. Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e il Comando Forestale dello Stato, versando in atti la documentazione già prodotta nel giudizio di primo grado, alle cui conclusioni si sono sostanzialmente riportati.
7.1. La parte appellante ha presentato memoria di replica, insistendo sulla fondatezza delle proprie richieste risarcitorie.
8. All’udienza pubblica del 20 giugno 2023 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
9. L’appello è fondato, nei soli limiti di seguito precisati.
10. In via preliminare, il Collegio rileva come per mettere ordine nella complessa vicenda di cui è causa è necessario esaminare congiuntamente i due distinti motivi di censura, che paiono rispondere piuttosto all’esigenza di contrapporsi ad entrambe le scelte ricostruttive avanzate dal T.a.r. per la Calabria, che ad una precisa opzione sistematica, di fatto non presente nel ricorso di primo grado.
11. Appare dunque opportuno provare a ricostruire il percorso ermeneutico seguito dal primo giudice al fine di individuare il corretto paradigma definitorio cui ricondurre le richieste della parte, superando la inequivoca connotazione formale del petitum in termini di danno da provvedimento illegittimo, di cui la ricorrente prova ad ampliare le coordinate applicative.
12. Occorre dunque premettere che la ricorrente, invocando esclusivamente l’art. 30 c.p.a., ma poi enfatizzando taluni passaggi dell’impalcatura motivazionale della sentenza che ha annullato i trasferimenti del 2013, tenta di (ri)dare rilievo a tutto quanto accaduto prima degli stessi, a far data dall’episodio aggressivo del 2003, a prescindere peraltro dalle questioni di prescrizione, a quel punto correttamente evocate dalla difesa erariale. Da qui una richiesta risarcitoria per così dire “ibrida”, che attinge al modello dell’illecito aquiliano in ragione del rilievo, sintomatico dell’eccesso di potere, che il giudice del 2015 ha inteso dare alle condotte anteatte rispetto ai provvedimenti annullati poste in essere dall’Amministrazione di appartenenza.
La sentenza impugnata, quindi, nell’apprezzabile sforzo di ricostruzione dogmatica, accomuna in un’unica ipotesi alternativa a quella da danno da provvedimento illegittimo la complessa rivendicazione aggiuntiva avanzata dalla dipendente in relazione a tutto il periodo precedente, richiamando indistintamente sia l’art. 2043 c.c., che l’art. 2087 c.c., ovvero lo schema del c.d. mobbing o straining , senza porsi il problema della sua ascrivibilità all’uno o all’altro modello.
13. Fatte tali premesse, allo scopo di circoscrivere il perimetro attuale delle possibili rivendicazioni di parte, l’affermazione ivi contenuta in forza della quale « dalla documentazione acquisita agli atti di causa e tenuto conto del principio di cui al comma 1 dell’art.2697 c.c. relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, non emerge, con carattere di immediatezza e profilo di causalità adeguata, alcuna modalità fattuale nel comportamento del datore di lavoro pubblico tale da poter essere valutato come di obiettiva natura vessatoria o comunque ostruzionistica della normale attività lavorativa della ricorrente », può essere condivisa limitatamente agli accadimenti antecedenti il febbraio 2011. Se si eccettua, infatti, l’episodio, incontestato, dell’aggressione del 2003, per il quale peraltro l’appellante è stata autonomamente risarcita, lo sviluppo successivo della narrazione si concretizza in un’elencazione, non sempre ordinata, delle varie scelte adottate dall’Amministrazione, volutamente stralciate da qualsivoglia aggancio al contesto, salvo richiamare in maniera del tutto generica ostilità generalizzate e malessere diffuso correlato alle stesse. Manca cioè finanche un’analisi obiettiva dei percorsi che hanno portato all’adozione di taluni provvedimenti, che per quanto ex post rivelatisi inadeguati, sul momento costituivano una plausibile risposta alle esigenze logistiche che l’Amministrazione era chiamata ad affrontare, che non consta sia stata oggetto di reclamo nell’immediato da parte dell’interessata. In tale perimetro si colloca ad esempio il primo trasferimento a -OMISSIS- tempestivo rispetto all’episodio dell’aggressione e equidistante dalle posizioni di tutte le parti in causa, egualmente allontanate, nelle more dell’accertamento della realtà fattuale (il che peraltro contestualizza anche il procedimento disciplinare e l’informativa all’Autorità giudiziaria, comunque risoltisi in brevissimo tempo). Ma vi si colloca anche la richiesta di reintegro a -OMISSIS- che proviene dalla medesima appellante, e che l’Amministrazione vuole assecondare, salvo trovarsi di fronte alla levata di scudi generalizzata di tutti i futuri colleghi, che esprimono preoccupazione, prima ancora che ostilità, a condividere un percorso lavorativo con una persona che li ha denunciati per mobbing . Da qui la nota del Comandante regionale, costretto a disporre un’inversione di rotta a tutela del clima aziendale dell’intera stazione di riferimento.
14. Peraltro, proprio la singolarità dell’episodio da ultimo rappresentato induce ad una riflessione aggiuntiva circa la necessità di approcciare la delicata tematica del mobbing da una prospettiva il più possibile scevra da suggestioni emotive, stante che la percezione dei fatti ben può risultare alterata, in perfetta buona fede, dalla visione soggettiva di chi li subisce, a maggior ragione ove destinatario in passato di condotte violente, come tali psicologicamente impattanti.
15. Come la Sezione ha già avuto modo di chiarire in analoghe fattispecie, cioè, l’analisi del mobbing , proprio per la particolare sensibilità che la connota, impone al giudice di evitare di assumere acriticamente l’angolo visuale del lavoratore che asserisce di esserne vittima: da un lato, infatti, è possibile che i comportamenti del datore di lavoro (cui siano imputabili in ipotesi le condotte illecite di altri dipendenti) non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica;dall’altro, che gli atti relativi siano di per sé ragionevoli e giustificati, in quanto indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo, o da difficoltà caratteriali. In altre parole, non si deve sottovalutare l’ipotesi che l’insorgere di un clima di cattivi rapporti umani e l’insorgere di comportamenti oggettivamente sgraditi derivi, almeno in parte, anche da responsabilità dell’interessato;tale ipotesi può, anzi, deve essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale, pur non essendo tale. Tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando l’ambiente di lavoro presenta delle peculiarità, come nel caso delle Amministrazioni militari o gerarchicamente organizzate, quali i Corpi di Polizia, caratterizzate per definizione da una severa disciplina e nelle quali non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate (v. Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 591).
16. Con ciò non si vuole in alcun modo disconoscere l’effetto impattante che l’episodio del 2003 ha avuto sul benessere psicologico della lavoratrice, bensì imporre comunque una lettura degli accadimenti successivi che prescinda da tale ipotetico angolo visuale, e si ancori ad un piano di rigorosa obiettività e documentazione. Il lavoratore, infatti, non può limitarsi davanti al giudice a genericamente dolersi di esser vittima di un illecito (ovvero ad allegare l’esistenza di specifici atti illegittimi), ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale lo stesso possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione (v. Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4135;sez.VI, 12 marzo 2012, n. 1388).
17. Per contro, nel caso di specie, solo una volta ottenuta la sentenza favorevole del 2015 che ha censurato in generale il comportamento della P.A., seppure al limitato scopo di inferirne una figura sintomatica di eccesso di potere degli atti impugnati, l’appellante ha “riesumato” la sua intera vicenda lavorativa, costruendola come una sorta di climax ascendente che dall’aggressione del 2003 è arrivato, attraverso una serie ininterrotta ( e imprecisata) di atti e comportamenti persecutori, al trasferimento del 2013. Dimenticando perfino che in realtà esso ha finito per rimanere sostanzialmente sulla carta, che già da prima si erano cercate soluzioni-tampone per scongiurare un’assegnazione comunque rivelatasi sgradita, infine assecondando l’idea di un rientro su -OMISSIS- ritenendo così di aver risolto, col beneplacito di tutti, la questione della sede definitiva dell’appellante. Manca dunque la prova sia della concatenazione finalistica persecutoria di ridetti comportamenti e atti, peraltro mettendo insieme rimedi, per quanto errati, e cause ( il clima comunque ostile) ascrivibili ai soggetti più disparati, così come manca la prova dell’autonoma idoneità lesiva di tali sopravvenienze, anche in termini di accentuazione delle problematiche preesistenti in quanto causalmente riconducibili all’aggressione del 2003.
18. Quanto sopra detto non appare smentito neppure dai contenuti della consulenza di parte, siccome preteso dall’appellante. Dopo essersi ampiamente diffusa (pagg. 1-11) ancora una volta sugli effetti dell’aggressione subita nel 2003, nonché sull’errata (ma non per questo volutamente persecutoria) reazione dell’Amministrazione alla stessa nell’immediato, risoltasi anche, come già detto, nell’attivazione di un procedimento disciplinare, prontamente archiviato nel 2004, nonché nell’inoltro di informativa alla Procura della Repubblica - che vede peraltro molti colleghi avallare la tesi difensiva dell’aggressore - nulla riferisce in ordine alle conseguenze di ulteriori e specifici fatti lesivi, obiettivamente e soggettivamente circostanziati, quanto meno fino all’anno 2011. L’analitica elencazione, infatti, delle prescrizioni mediche di ansiolitici e/o antidepressivi (dal 2006), ovvero la diagnosi di disturbi di origine nervosa, quali gastroduodenite, colite spastica, cefalea, ecc., seppure indicati come « correlati a stress per conflitti interpersonali sul posto di lavoro e cambiamenti d’ambiente », non implicano ex se la prova della loro novità e consistenza in termini vessatori, ovvero travalicanti una dialettica, seppure esasperata, tra le parti, e soprattutto della loro riconducibilità alla responsabilità dell’Amministrazione di appartenenza.
19. Al di fuori pertanto del grave episodio del 2003, la ricorrente non ha effettivamente fornito prove sufficienti in ordine ai comportamenti con finalità colpevolmente vessatoria e/o lesiva intrapreso nell’ambiente di lavoro nei suoi confronti, limitandosi ad una contestazione dei fatti generica e non priva di contraddizioni, come puntualmente rilevato dalle amministrazioni resistenti.
20. Il Collegio ritiene tuttavia che quanto detto valga solo fino al momento dell’avvenuta certificazione da parte del medico del lavoro, non tanto della situazione psicologica della -OMISSIS-, ma soprattutto delle cautele necessarie ad evitarne l’aggravamento, che i superiori gerarchici della stessa erano obbligati a rispettare, siccome imposto dalla normativa di settore. Una volta, cioè, che lo stesso sanitario della struttura ha individuato le situazioni dalle quali il dipendente deve essere salvaguardato, non è giustificabile in alcun modo una scelta di senso opposto da parte dell’Amministrazione, quali che ne siano le ragioni giustificative e a maggior ragione laddove le stesse siano da ravvisare soltanto nella necessità di far rientrare la situazione specifica nel normale assetto regolatorio. Né può sostenersi che essa non ne avesse percepito l’esatta portata precettiva, se si tiene conto che il Comandante regionale, nella nota del 30 maggio 2013, valorizza la circostanza che la dipendente aveva già scelto volontariamente di disattendere proprio tali indicazioni del medico del lavoro prendendo parte all’operazione “Adorno” :richiesta che caso mai l’Amministrazione avrebbe dovuto non assecondare, piuttosto che tentare di trarne un’indicazione caducante della forza cogente delle prescrizioni.
21. Ad avviso del Collegio, dunque, l’errore di fondo nel quale incorre il primo giudice, pur nell’apprezzabile sforzo di dare veste giuridica tipica alle generiche rivendicazioni di parte, consiste nel non avere operato alcun distinguo nelle condotte del Ministero tra prima e dopo l’avvenuta certificazione del medico del lavoro, limitandosi ad escludere l’esistenza di quel disegno persecutorio unitario che costituisce elemento costitutivo del mobbing . Egli finisce in tal modo per dimenticare che la violazione di un obbligo imposto al datore di lavoro da una specifica disposizione di legge è elemento costitutivo di quella distinta e generale forma di responsabilità contrattuale che grava sullo stesso nei confronti dei propri dipendenti. E nel caso di specie che tale violazione ci sia stata è ormai cristallizzato nel giudicato del T.a.r. per la Calabria del 2015, che l’ha correttamente individuata nell’art. 41 del d.lgs. n. 81 del 2008, che non consente di ignorare le indicazioni del medico della struttura.
22. E’ infatti incontestato tra le parti che nell’imminenza del paventato reintegro definitivo a -OMISSIS- la -OMISSIS- otteneva la certificazione del 10 febbraio 2011 del medico legale del Corpo, -OMISSIS- recante l’inequivoca indicazione di evitarne l’impiego in località che « per fatti e persone, sono ricollegabili alla nota vicenda subita dalla ricorrente », al dichiarato fine di scongiurare « per quanto possibile, ulteriori elementi di usura dal punto di vista del fattore di rischio stress lavoro-correlato (-OMISSIS- e sedi limitrofe con -OMISSIS-) ». La scelta, a distanza di pochi giorni (14 febbraio 2011), di (ri)assegnarla proprio a -OMISSIS- seppure in conseguenza della revoca del reintegro a-OMISSIS- appare dunque ictu oculi quanto meno inopportuna, e non può trovare alcuna giustificazione in qualsivoglia oggettiva difficoltà organizzativa specifica, peraltro non palesata. La sua reiterata insistenza risponde alla medesima logica di formalistico, quanto ottuso nel caso di specie, ossequio al quadro ordinamentale, evidentemente messo in discussione dalla sostanziale inottemperanza agli ordini della dipendente, determinata a difendere la propria assegnazione provvisoria e con essa a tutelare la propria salute. La sintesi degli accadimenti può essere mutuata integralmente per comodità espositiva dai relativi passaggi della sentenza n. -OMISSIS- cui sul punto può farsi integrale rinvio: « Il medico competente ai sensi degli artt. 38 ss. d lgs. n. 81/2008, con i certificati del 20.11.2012, del 20.11.2013 e del 7.11.2014, ha riconosciuto alla ricorrente, nell’ambito dello svolgimento della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41, d. lgs. n. 81/2008, l’idoneità alle mansioni con prescrizioni e limitazioni (art. 41, comma 6, lett. b), certificando che la stessa è idonea allo svolgimento delle proprie mansioni lavorative con il limite dell’impiego “per lo svolgimento di attività in ambienti che, per luoghi, persone e circostanze, considerati i precedenti, possano determinare condizioni di stress lavoro correlato con sofferenza psicofisica”.L’art. 42, d. lgs. n. 81 cit. statuisce, dunque, che “ Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all'articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente”. L’assegnazione della ricorrente alla sede di -OMISSIS- è stata una delle concause atte a determinare la situazione di stress come certificata dal medico competente, causa del malore che ha determinato l’invio dapprima al pronto soccorso (si veda referto del 15.12.2011) e poi alla competente commissione sanitaria da parte del comandante provinciale al fine di valutarne l’idoneità psico - fisica al servizio (si veda relazione redatta dallo stesso comandante provinciale il 15.12.2011, in occasione della notifica alla -OMISSIS- dell’atto di diffida a prendere servizio presso la sede di -OMISSIS-).In conseguenza dell’accaduto, il comandante provinciale provvedeva a collocare la -OMISSIS- in aspettativa sino all’esito dell’accertamento medico disposto. Accertamento che, come già sopra riferito, culminava con il primo certificato del 20.11.2012 che nel porre limitazioni all’impiego rispetto a luoghi, circostanze e persone che possano determinare situazioni di stress, non può che essere riferito all’assegnazione presso la sede di -OMISSIS- quale ultimo evento scatenante la situazione di stress su riferita ».
23. Risolta positivamente, nei limiti precisati, la questione dell’ an debeatur , circoscritto al periodo successivo al 10 febbraio 2011, occorre ora valutare il quantum debeatur , alla luce della prospettazione ricostruttiva fornita dall’appellante.
24. Relativamente al danno non patrimoniale, non può accedersi alla richiesta percentuale di invalidità permanente del 25 %, in quanto non solo genericamente affermata (nella relazione del consulente di parte del 30 gennaio 2016), ma anche in contrasto con i fatti e atti di causa per come succedutisi nel tempo. Innanzi tutto la presunta stabilizzazione della situazione (per cui la lesione si sarebbe “cronicizzata” nel 2011, non è chiaro se anche in relazione alle riferite somatizzazioni a carico dell’apparato digerente, per le quali vi è certificazione medica risalente di anni) non è comprovata in alcun modo e va comunque raccordata con la documentata pluriennale somministrazione di ansiolitici e antidepressivi. Inoltre, sembrerebbe contrastare con la invocata portata menomante, per giunta nell’entità ipotizzata, la riconosciuta idoneità al servizio attivo fino all’anno 2019, seppure con le cautele logistiche e/o relazionali richiamate nelle varie certificazioni mediche.
25. Quanto al danno morale, senza attingere alla complessa tematica, neppure lambita dall’appellante, delle nuove frontiere della personalizzazione del danno non patrimoniale, avuto riguardo in particolare a tale tipologia di pregiudizio, va ricordato come il relativo accertamento e liquidazione secondo gli ultimi arresti dei giudici di legittimità sono riservati all’istruttoria del caso « nella sua concreta, multiforme e variabile fenomenologia » (cfr. Cass., sez. III, n. 3505 del 2022, sui profili di autonomia tra danno morale e danno biologico, con esclusione di qualunque automatismo risarcitorio laddove si accerti che i due profili coesistono; id ., sez. lavoro, n. 35237 del 2022 alla stregua della quale il danno esistenziale « all’integrità dinamico-relazionale dell’esistenza, quello biologico all’integrità psico-fisica medicalmente accertabile e quello morale all’integrità e serenità interiori sarebbero voci autonome di danno che vanno ristorate, senza che ciò determini una “duplicazione” di poste risarcitorie. La natura unitaria della categoria del danno non patrimoniale, riconosciuta a partire dalle c.d. sentenze di San Martino, non va intesa nel senso di escludere la possibilità di rilevare, all’interno di essa, le diverse componenti riconosciute dalle stesse Sezioni Unite. Non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica, rappresentati dalla sofferenza interiore »).
26. Nel caso di specie l’appellante si è limitata a lamentare genericamente un danno alla propria serenità psicologica, sempre abbracciando lo sviluppo dell’intera vicenda a partire dal 2003, e su tale affermazione ha costruito la propria distinzione tra danno biologico e danno morale, quantificando quest’ultimo nella misura del 35 % in ragione del « pluriennale calvario » (così testualmente la relazione consulenziale) affrontato: ma non ha soddisfatto in tal modo l’onere della prova (art. 2697 c.c.) che comunque sovrintende a tale richiesta di personalizzazione aggiuntiva, così da supportare il potere /dovere del giudice di liquidare equitativamente il danno ex art. 1126 c.c. riferendosi agli elementi forniti.
27. Quanto ai danni non patrimoniali, essi vengono ricondotti sostanzialmente a due voci: le spese sanitarie e quelle legali. Il primo giudice, ritenendo che solo le seconde sarebbero astrattamente meritevoli di valutazione, in quanto effettivamente correlate all’annullamento degli atti illegittimi, ne ha escluso la risarcibilità in quanto l’assistenza legale cui fanno riferimento è il risultato di una libera scelta della parte, e non di un obbligo di legge. Il Collegio ritiene invece di avallare tale voce di danno, limitatamente agli esborsi correlati alla gestione del ricorso gerarchico e del ricorso in opposizione avverso i provvedimenti poi annullati dal T.a.r. nel 2015 (euro 2.516,80, risultanti dalla somma della fattura riferita all’acconto e al saldo), essendo del tutto comprensibile che la situazione di difficoltà psicologica nella quale si trovava abbia indotto l’appellante ad accedere al patrocinio forense, giusta la tipologia di interessi in gioco.
27.1. Quanto invece alle spese sanitarie, ricomprese in un’elencazione che vi fa rientrare ogni genere di prestazione medica di supporto psicologico a far data, ancora una volta, dal 2003, non essendo stato provato il nesso causale con gli episodi lesivi riferibili al periodo individuato (ovvero successivo al 10 febbraio 2011), va condivisa l’affermazione del primo giudice che ne ha escluso l’avvenuta prova dello stretto collegamento al fatto illecito, seppure esteso a tutte le condotte prodromiche e preparatorie del trasferimento del 2013.
28. Per tutto quanto sopra detto, il ricorso deve essere accolto nei sensi e limiti sopra precisati e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per la Calabria n.-OMISSIS- in accoglimento parziale del ricorso di primo grado n.r.g. 66 del 2016, deve essere riconosciuto all’appellante, a titolo di danno non patrimoniale da provvedimento illegittimo, la somma di euro 2.516,80, oltre interessi, dal ricorso di primo grado al saldo. Deve essere altresì riconosciuto il danno non patrimoniale riveniente dalle lesioni conseguite agli atti/comportamenti della P.A. posti in essere a far data dal 10 febbraio 2011, come sopra ampiamente descritti, in quanto assunti in violazione dell’obbligo di attenersi alle cautele imposte dal medico del lavoro a tutela della salute della dipendente.
29. Ai fini della quantificazione di tale voce di danno, il Collegio ritiene necessario nominare un verificatore, ai sensi dell’articolo 66 cod. proc. amm., individuandolo nella persona del Direttore generale dell’INAIL, con facoltà di delega a un medico legale della struttura in possesso di specifica competenza.
29.1. Il verificatore provvederà, assicurando il contraddittorio tra le parti, ad accertare l’effettiva sussistenza di una situazione invalidante permanente cronicizzatasi, insorta o comunque aumentata a partire dal febbraio 2011, con la valutazione in termini di punteggio o di percentuale dell’incidenza sulla integrità psico-fisica dell’interessata, nonché a quantificarlo, in termini monetari, facendo applicazione delle attuali tabelle predisposte dal Tribunale di Milano.
29.2. Nella quantificazione del danno valuterà altresì l’incidenza e la risarcibilità dei periodi di inabilità temporanea lamentati nella misura di 130 giorni al 50 % nel 2011 e 170 giorni al 70 % nel 2012.
29.3. La Segreteria metterà a disposizione del verificatore, anche per via telematica, il fascicolo di causa, con facoltà di estrarre copia degli atti.
30. La verificazione dovrà svolgersi nel rispetto dei seguenti termini:
a) il verificatore designato comunicherà all’appellante la data di inizio delle operazioni, da avviare entro 60 giorni dalla comunicazione della presente sentenza, con un preavviso di almeno quindici giorni;
b) ai fini dell’espletamento dell’incarico, il verificatore dovrà sottoporre la parte ricorrente a visita medica specialistica, in data da concordare con la stessa (direttamente o per il tramite del suo difensore) con un congruo preavviso;
c) le parti potranno designare un proprio consulente tecnico sino alla data di inizio delle operazioni;
d) il verificatore trasmetterà ai consulenti di parte (ove designati) uno schema della propria relazione;
e) entro 10 giorni dalla ricezione dello schema di relazione predisposto dal verificatore, il consulente di parte trasmetterà al verificatore le proprie eventuali osservazioni e conclusioni;
f) entro i 30 giorni successivi alla scadenza del termine di cui al punto precedente, il verificatore depositerà presso la Segreteria della Sezione Seconda del Consiglio di Stato la propria relazione finale, nella quale darà conto delle osservazioni e delle conclusioni del consulente di parte e prenderà specificamente posizione su di esse, formulando conclusioni chiare e sintetiche su ciascuno dei quesiti posti.
31. Il Collegio ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 66, comma 3, c.p.a., prevedere un anticipo sul compenso spettante al verificatore, quantificato in euro 2.000/00 (duemila/00), ponendolo provvisoriamente a carico dell’appellante, ferma restando la liquidazione dell’importo complessivo, in esito alla definizione della causa, con la sentenza o con separato provvedimento monocratico, previa presentazione, unitamente alla relazione, di apposita nota da parte del verificatore medesimo.
32. Demanda all’esito della verificazione come sopra disposta la definizione di tale residuo aspetto della controversia.
32.1. Alla definizione integrale del giudizio è altresì riservata ogni decisione sulle spese di lite.