Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-09-07, n. 201504147
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N. 04147/2015REG.PROV.COLL.
N. 06685/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6685 del 2005, proposto da:
COMUNE DI ROMA, ora ROMA CAPITALE, in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa dagli avv. A C e D R, con i quali è elettivamente domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove, n- 21;
contro
SQUARCIA FILOMENA, VITALI CHIARI, VITALI MAURIZIO, VITALI PAOLA, VITALI SONIA (quali eredi sel signor G V), GALEOTTI ROBERTO, G KIA, GALEOTTI MONICA e GALEOTTI ROBERTA (quali eredi della signora Maria V), tutti rappresentati e difesi e difesi dagli avvocati Matteo Spatocco, Stefano Mineo e Sveva Bernardini, con i quali sono elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio di quest’ultima, via Cicerone, n. 49;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sez. bis, n. 3484 del 10 maggio 2005, resa tra le parti, concernente espropriazione immobili per realizzazione parco pubblico;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio, originariamente dei signori Maria V, F S, Chiara V, Maurizio V, Sonia V e Paola V, che hanno spiegato anche appello incidentale, e e successivamente, a titolo di prosecuzione del giudizio anche dei signori R G, K G, M G e R G;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2015 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati D R e Fabrizio De' Marsi, su delega dell'Avv. Sveva Bernardini;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con decreto n. 3024 del 9 dicembre 1992 il Presidente della Giunta regionale del Lazio ha pronunciato in favore del Comune di Roma l’espropriazione di immobili necessari per la realizzazione del Parco Pubblico di Primavalle (area 61), tra cui, per quanto qui interessa, quello iscritto al catasto del Comune di Roma, al foglio 357, mappali 104, mq. 2580;378, mq. 1020, e 105/p, mq. 65 [indennità di esproprio determinata in £. 73.300.000, depositata presso la Cassa DD-PP- di Roma], intestato ai signori Maria V, G V e Natalina V.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II bis, con la sentenza n. 3484 del 10 maggio 2005, nella resistenza del Comune di Roma, accogliendo il ricorso proposto dai signori Anna Maria V, F S ved. V, Chiara V, Maurizio V, Sonia V e Paola V, quali eredi di G V, ha annullato il ricordato decreto di espropriazione.
Respinta sostanzialmente per carenza di prova l’eccezione di tardività dell’ impugnativa sollevata dall’amministrazione capitolina, il predetto tribunale ha ritenuto fondata la censura con cui era stata dedotta la violazione dell’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, non essendo state ultimate le espropriazioni entro il 13 aprile 1989, come stabilito dall’art. 3 del decreto del Presidente della Giunta regionale per il Lazio n. 16 del 13 gennaio 1988 (“Comune di Roma – Realizzazione del parco pubblico di Primavalle (area 61) – Dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e determinazione indennità di esproprio”, con conseguente sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
3. Il Comune di Roma ha chiesto la riforma di tale sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due sostanziali motivi, con il primo dei quali ha reiterato l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado, inaspettatamente respinto dai primi giudici senza tener nella giusta considerazione la documentazione prodotta, mentre con il secondo ha dedotto la violazione, falsa interpretazione e applicazione della disposizione di cui all’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, giacché, suo avviso, solo la scadenza del termine finale per il compimento dell’opera, che nel caso di specie non erano ancora spirati al momento dell’emissione del decreto di espropriazione, avrebbero potuto determinare la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità.
I signori Maria V nonché S F ved. V, Chara V, Maurizio V, Sonia V e Paola V, oltre a resistere all’avverso gravame, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza ed instando per il suo rigetto, spiegando appello accidentale, con cui sono stati sollevati alcuni ulteriori rilievi (argomentazioni) a sostegno dell’illegittimità del provvedimento di espropriazione.
4. Con decreto del Presidente della Quinta Sezione di questo Consiglio di Stato n. 451 dell’8 marzo 2012 l’appello in questione è stato dichiarato perento, ai sensi dell’art. 1, comma 1, dell’allegato 3 (“Norme transitorie”) al D. Lgs. 2 luglio 2010, n, 104;ma, a seguito della dichiarazione formulata dall’amministrazione appellante, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del citato allegato 3 al D. Lgs. 2 luglio 2010, n, 104, con atto notificato il 12 giugno 2012 (recante contestuale richiesta di fissazione dell’udienza di trattazione), ne è stata disposta la resicrizione sul ruolo di merito, giusta decreto n. 1985 del 4 luglio 2012, depositato il successivo 31 luglio 2012.
5. Con ordinanza n. 469 del 24 gennaio 2013 questa Sezione ha dichiarato inammissibile in rito l’opposizione proposta dai signori Maria V, F S, Chiara V, Maurizio V, Sonia V e Paola V avverso il decreto n. 1985 del 4 luglio 2012 (di revoca del precedente decreto n. 451 dell’8 marzo 2012, di perenzione dell’ appello in trattazione), fermo restando che le questioni sollevate dagli opponenti circa la validità, efficacia e ritualità della nuova istanza di trattazione del ricorso avanzata da Roma Capitale (già Comune di Roma, che aveva determinato la reiscrizione del ricorso sul ruolo di merito, sarebbero state esaminate in occasione della trattazione dell’appello.
6. Essendo successivamente intervenuto il decesso della signora Maria V ed avendo cessato la propria attività professionale il difensore degli appellati, questi ultimi ed esattamente i signori F S, Chiara V, Maurizio V e Sonia V, quali eredi del sig. G V, nonché i signori R G, K G, M G e R G, quali eredi della signora Maria V, con atto ritualmente notificato hanno dichiarato di proseguire il giudizio, a mezzo di nuovi difensori.
7. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive, replicando anche a quelle avverse.
All’udienza pubblica del 19 maggio 2015, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
8. Occorre preliminarmente rilevare che, anche a seguito dell’atto di prosecuzione del giudizio, parti appellate – e appellanti incidentali - sono da considerarsi soltanto i signori F S, Chiara V, Maurizio V e Sonia V, quali eredi del sig. G V, nonché i signori R G, K G, M G e R G, quali eredi della signora Maria V.
La qualità di parte processuale non può invece essere riconosciuta ai signori D G, i cui nominativi, quali eredi della signora Maria V, compaiono per la prima volta nell’epigrafe dell’atto di deposito documenti in data 26 marzo 2015, non risultano indicati nell’atto di prosecuzione del giudizio depositato il 19 dicembre 2013 e per i quali inoltre non vi è prova di rilascio del mandato in favore dei nuovi difensori.
8. Prima di passare all’esame del merito del gravame, devono essere esaminati i motivi attraverso i quali gli appellati hanno sostenuto che il gravame sarebbe da ritenere definitivamente perento, essendo erroneo sul punto il decreto n. 1985 del 4 luglio 2012 che, revocando la perenzione pronunciata col decreto n. 451 dell’8 marzo 2012, ha disposto la reiscrizione del ricorso sul ruolo del merito.
Detti motivi dono infondati.
8.1. Con il primo di essi è stato dedotto che la nuova istanza di fissazione dell’udienza di merito formulata dall’appellante Comune di Roma, ai sensi dell’art. 1, comma 2, dell’allegato 3, del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, a seguito del citato decreto di perenzione del ricorso n. 451 dell’8 marzo 2012, non era stata notificata anche alla Regione Lazio, parte necessaria del giudizio (in quanto autorità emanante l’impugnato provvedimento di espropriazione, a nulla rilevando che essa non fosse costituita neppure nel primo grado di giudizio).
Al riguardo deve rilevarsi che nel procedimento espropriativo in questione il ruolo svolto dal Presidente della Giunta regionale è stato del tutto identico a quello del Prefetto secondo le disposizioni della legge fondamentale in materia di espropriazione (art. 47 della legge 25 giugno 1865, n. 2359): egli infatti ha pronunciato l’espropriazione degli immobili necessari per la realizzazione del Parco Pubblico di Primavalle, su richiesta dal Comune di Roma, dopo aver verificato la regolarità formale del procedimento seguito.
La predetta autorità, così come la Regione Lazio, è pertanto da considerarsi del tutto estranea al giudizio di cui si discute, tanto più che, per un verso, nessun specifico potere di controllo è ad essa attribuito (così come al Prefetto) in relazione alla corretta esecuzione del provvedimento espropriativo (esecuzione che incombe all’ente in favore del quale l’espropriazione è stata pronunciata) e, per altro verso, nessun vizio di legittimità è appuntato nei confronti dell’operato dell’amministrazione regionale e del suo presidente.
Del resto è stato affermato che in materia di espropriazione per pubblica utilità, sia pur con specifico riferimento ai giudizi di opposizione alla stima dei relativi indennizzi ovvero a quello per ottenere il risarcimento del danno da opposizione acquisitiva, il Prefetto, il Presidente della giunta regionale o il Sindaco, che pure hanno emesso il decreto di espropriazione e quello di occupazione d’urgenza, sono estranei a quei giudizi, tali autorità non essendo identificabili con l’espropriante, né la relativa attività potendo essere riferibile, in base ad un rapporto di immedesimazione organica, all’amministrazione di appartenenza (Cass. Civ., sez. VI, 2 luglio 2012, n. 11053).
Anche in ragione di tale convincente indirizzo giurisprudenziale deve ritenersi che il Presidente della Regione Lazio non è parte necessaria del giudizio in questione, la relativa notifica dell’atto introduttivo del giudizio atteggiandosi quale mera litis denuntiatio, con la conseguenza che la sua mancata evocazione nel giudizio di appello è da considerarsi irrilevante e che ugualmente priva di effetti decadenziali (id est, di perenzione) è la mancata notifica nei suoi confronti della nuova domanda del Comune di Roma per la fissazione dell’udienza di trattazione (a seguito dell’originario decreto di perenzione n. 451 dell’8 marzo 2012).
8.2. Ugualmente infondati sono gli altri due motivi, con i quali gli appellanti hanno sostenuto, con riferimento alla nuova domanda di fissazione dell’udienza di trattazione dell’appello formulata dal Comune di Roma, ai sensi dell’art. 1, comma 2, dell’allegato III c.p.a., l’invalidità della procura, sia perché apposta su un atto diverso da quelli elencati nell’art. 83 c.p.c., sia perché carente della certificazione da parte del difensore dell’autografia della sottoscrizione del sindaco pro.
Quanto al primo aspetto è sufficiente ricordare che la nomina di un nuovo difensore in sostituzione di un altro in corso di causa può essere fatta anche su un atto diverso da quelli indicati nell’invocato art. 83, comma 3, c.p.c. purchè sia idoneo ad evidenziare inequivocabilmente la volontà della parte di conferire la procura e purchè costituisca un atto anche latu sensu processuale (Cass., civ., sez. I, 3 agosto 2012, n. 13912;29 agosto 2011, n. 17693), requisiti tutti che si rinvengono, al di là di ogni ragionevole dubbio, nel caso di specie.
Quanto al secondo profilo deve sottolinearsi che, secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, non è configurabile la nullità della procura alle liti nella ipotesi in cui essa, conferita in calce o a margine di uno degli atti indicati dall'art. 83 c.p.c., sia carente della certificazione (da parte del difensore) della autografia della firma del conferente, purchè la sottoscrizione del difensore abilitato sia apposta in calce all'atto medesimo: ciò in quanto deve ritenersi che tale sottoscrizione, essendo la procura alle liti incorporata nell'atto per il quale è conferita, certifichi anche la autografia del conferente la procura medesima (Cass. 31 gennaio 2008, sez. I, n. 2397;10 aprile 2000, n. 4498;Cass. 18 dicembre 2001, n. 15977, nonchè con riguarda all'ipotesi reciproca, Cass. 23 marzo 2005, n. 6225;Cass. 22 novembre 2004, n. 22025;Cass. 6 marzo 2004, n. 4617;Cass. 3 novembre 1999, n. 12261;Cass. 20 giugno 1996, n. 5711);è stato anche rilevato (Cass., sez. I, 23 maggio 2011, n. 11345) che solo “…che…la contemporanea mancanza della sottoscrizione del difensore sia in calce al ricorso per equa riparazione, sia in calce alla sottoscrizione delle parti conferenti la procura ad litem impedisce di applicare quel consolidato orientamento della Corte, secondo cui, allorquando tale elemento formale, cui l'ordinamento attribuisce la funzione di nesso tra il testo ed il suo apparente autore, sia desumibile da altri elementi emergenti nello stesso atto, non ricorre alcuna invalidità dell'atto medesimo, come nel caso in cui…la sottoscrizione del difensore, pur mancando in calce al ricorso, risulti tuttavia apposta per certificare l'autenticità della sottoscrizione di conferimento della procura ad litem redatta nelle forme di cui all'art. 83, comma 3, c.p.c., giacchè, in tal caso, la firma del difensore realizza lo scopo non solo di certificare l’autografia della sottoscrizione di conferimento del mandato, ma anche di sottoscrivere la domanda…e di assumerne, conseguentemente, la paternità”.
Nel caso di specie alcuna nullità della procura è configurabile, giacché la firma apposta dal difensore della parte in calce alla domanda ex art. 1, comma 2, allegato III, c.p.a. (peraltro immediatamente al di sotto della sottoscrizione della stessa anche da parte del sindaco pro – tempore) è idonea a certificare anche l’autentica della sottoscrizione del mandato da parte del sindaco (mandato posto a margine dell’atto stesso).
9. Il ricorso in appello non può pertanto ritenersi perento e deve essere esaminato.
9.1. E’ fondato il secondo motivo di gravame, che comporta la riforma della sentenza impugnata ed il rigetto del ricorso di primo grado, potendo prescindersi dall’eccezione di tardività di quest’ultimo, riproposta con il primo motivo di gravame.
Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.
9.1.1. In tema di espropriazione per pubblica utilità deve ricordarsi che la legge 25 giugno 1865, n. 2359 del 1865, art. 13, per evitare che si protragga indefinitamente l’incertezza sulla sorte dei beni espropriandi, e nel contempo, che si eseguano opere non più rispondenti, per il decorso del tempo, all’interesse generale, ha attribuito ai proprietari una garanzia fondamentale, in omaggio al principio di legalità e tipicità del procedimento ablativo, disponendo al primo comma che nel provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’opera devono essere fissati quattro termini (e cioè quelli di inizio e di compimento della espropriazione e dei lavori), e stabilendo altresì al terzo comma 3 che "trascorsi i termini, la dichiarazione di pubblica utilità diventa inefficace": la funzione garantistica assegnata a tale disposizione al fine non lasciare il privato indefinitamente esposto alla vicenda ablatoria postula che i predetti termini siano chiari e certi fin dall’inizio della procedura e che il periodo di compressione del diritto domenicale sia conseguentemente determinato o quanto meno determinabile con certezza fin dall’inizio, non potendo ammettersi che lo stesso sia rimesso o subordinato ad eventi futuri ed incerti ovvero a comportamenti discrezionali dell’amministrazione espropriante (Cass., sez. I, 28 luglio 2010, n. 17677), con conseguente radicale nullità ed inefficacia del provvedimento che sia privo dell’indicazione di tali termini (Cassazione, SS.UU., 14 febbraio 2011, n. 3569).
E’ stato tuttavia rimarcato che il ricordato terzo comma dell’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 deve essere interpretato nel senso che solo la scadenza del termine finale di compimento dell'opera determina la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e, di conseguenza, la perdita del potere espropriativo, mentre agli altri termini (riguardanti l'inizio e la fine del procedimento espropriativo e l'inizio dei lavori) deve riconoscersi natura ordinatoria e acceleratoria, sicchè la loro inosservanza non dà luogo a carenza di potere, deducibile innanzi al giudice ordinarie, ma a vizi di legittimità del procedimento, che vanno fatti valere innanzi al giudice amministrativo (ex multis, Cass., sez. un., 20 dicembre 2006, n. 27190;9 febbraio 2010, n. 2788;sez. I, 11 febbraio 2010, n. 3177).
9.1.2. Nel caso in esame, pertanto, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici la circostanza che il decreto di espropriazione, emanato dal Presidente della Giunta regionale del Lazio in data 9 dicembre 1992, non siano intervenuto entro il 13 aprile 1989, come disposto dall’art. 3 del precedente decreto del Presidente della Giunta regionale del Lazio n. 16/88 del 13 gennaio 1988 (recante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare, Parco pubblico di Primavalle) non determina affatto la inefficacia della predetta dichiarazione pubblica utilità e la carenza di potere (di espropriare), trattandosi di un termine di natura ordinatoria ed acceleratoria.
Ai fini della sussistenza del potere espropriativo è invece necessario che non sia scaduto il termine per l’esecuzione dei lavori, circostanza che nel caso di specie non si era verificata: infatti il citato articolo 3 del decreto n. 16/88 del 13 gennaio 1988 stabiliva che i lavori di realizzazione dell’opera, da iniziarsi “entro mesi 24 da oggi”, cioè entro il 13 gennaio 1990, avrebbero dovuto concludersi “entro i successivi 36 mesi”, cioè entro il 13 gennaio 1993, termine che non era pertanto ancora spirato al momento dell’emanazione del contestato decreto di espropriazione.
9.1.3. A ciò consegue la piena legittimità di quest’ultimo.
10. L’indirizzo giurisprudenziale ricordato sub.