Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-13, n. 202106261

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-13, n. 202106261
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106261
Data del deposito : 13 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/09/2021

N. 06261/2021REG.PROV.COLL.

N. 03123/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3123 del 2013, proposto dal Comune di Calabritto, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato D C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S B in Roma, via Alberto Guglielmotti, n. 2

contro

la signora G M, rappresentata e difesa dall’avvocato V E, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G P S in Roma, via dell’Elettronica, n. 20

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, sezione seconda, n. 58/2013.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio della signora G M;

visti tutti gli atti della causa;

relatore il consigliere F F nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2021, svoltasi con modalità telematica;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellata ha proposto il ricorso di primo grado n. 796 del 2011 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale causatole dal Comune di Calabritto per l’occupazione ed irreversibile trasformazione di un suo terreno agricolo, sito in località Serrarota.

In particolare, con tale ricorso è stata ritualmente riassunta una causa proposta dinanzi al Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi e rubricata al numero di registro generale 377 del 2007, per cui, con sentenza n. 654/2010, era stato dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in favore del giudice amministrativo.

1.1. Il Comune di Calabritto si è costituito nel giudizio di primo grado, eccependo l’inammissibilità del ricorso in riassunzione sotto tre profili e chiedendone comunque il rigetto.

2. Con l’impugnata sentenza n. 58 dell’11 gennaio 2013, il T.a.r. per la Campania, sezione staccata di Salerno, sezione seconda, ha accolto il ricorso e ha compensato tra le parti le spese di lite.

Segnatamente il collegio di primo grado ha imposto « all’amministrazione di rinnovare, entro trenta giorni dalla notificazione della presente sentenza, la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione dei fondi per cui è causa, adottando, all’esito di essa, un provvedimento col quale gli stessi, in tutto od in parte, siano alternativamente: a) acquisiti non retroattivamente al patrimonio indisponibile comunale;
b) restituiti in tutto od in parte al legittimo proprietario entro novanta giorni, previo ripristino dello stato di fatto esistente al momento dell’apprensione
» secondo una serie di modalità delineate e ha altresì statuito che « Sia nel caso a) che nel caso b), il provvedimento da emanarsi dovrà contenere la liquidazione, in favore dei ricorrenti ed a titolo risarcitorio, di una somma in denaro pari all’applicazione del saggio di interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell’intero bene occupato per tutto il periodo di occupazione senza titolo, che decorre dalla scadenza del termine finale per l’espropriazione ».

3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 11 aprile 2013 e in data 26 aprile 2013 – il Comune di Calabritto ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando sei motivi.

4. La parte privata si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.

5. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 2 marzo 2021, svoltasi con modalità telematica.

6. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.

7. Tramite il primo motivo d'impugnazione, l’appellante ha lamentato l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui il T.a.r. avrebbe posto a base della propria decisione una questione rilevabile di ufficio, senza aver previamente sollecitato il contraddittorio delle parti sul punto.

Segnatamente, ad avviso del Comune, in particolare, il collegio di primo grado avrebbe violato il disposto di cui all’art. 73, comma 3, del codice del processo amministrativo, nell’applicare nel caso di specie l’art. 42- bis , del d.P.R. n. 327/2001.

Tale doglianza è infondata, poiché il T.a.r. ha applicato una norma inerente alla fattispecie concreta, dopo aver verificato la fondatezza dei motivi formulati e dedotti in ricorso.

Mediante l’imposizione della scelta tra restituzione del bene e acquisizione in base al citato art. 42- bis , infatti, il collegio di primo grado non ha rilevato d’ufficio alcuna questione, ma si è limitato alla verifica della fondatezza della costruzione giuridica prospettata dall’interessata.

In proposito va precisato che l’espressione « questione rilevata d’ufficio » non può essere intesa in modo atecnico ed omnicomprensivo, facendovi rientrare ogni valutazione del giudice che, per il sol fatto di non aver recepito argomentazioni di parte, avrebbe violato l’art. 73, comma 3, del codice del processo amministrativo. Ed invero, la « questione rilevata d’ufficio » riguarda fatti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa, ulteriori rispetto a quelli prospettati dalle parti e, quindi, ultronei rispetto al thema decidendum di diritto sostanziale ad essi rispettivamente inerente.

Pertanto nel caso di specie non vi è stata alcuna decisione “a sorpresa” assunta sulla base del rilievo d’ufficio di una questione nuova per le parti, ma una conseguenza accessoria alla effettuata disamina nel merito dei motivi di ricorso ed alla corretta applicazione delle norme di diritto violate, tenuto conto che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, cosicché soltanto il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.

8. Mediante la seconda doglianza, la parte privata ha reiterato l’eccezione di inammissibilità e/o improponibilità e/o improcedibilità e/o nullità del ricorso in riassunzione, in quanto asseritamente veicolato in violazione degli articoli 59, comma 2, della legge n. 69/2009 e 40 del codice del processo amministrativo.

Siffatto motivo è infondato.

Al riguardo si osserva innanzitutto che il ricorso in riassunzione è stato non soltanto notificato, ma anche depositato entro il termine dei tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con lo strumento processuale previsto per l’introduzione del giudizio innanzi al T.a.r., nel rispetto, dunque, del termine e delle modalità statuite dal citato art. 59, comma 2.

Ciò posto, in un’ottica sostanzialistica, l’esposizione sommaria dei fatti imposta dall’art. 40, comma 1, lettera c), del codice del processo amministrativo, è stata soddisfatta nel ricorso in riassunzione con il richiamo e l’allegazione della sentenza del Tribunale ordinario, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione e aveva esposto compiutamente la vicenda.

9. Attraverso il terzo motivo di gravame, l’appellante ha censurato la sentenza gravata laddove il T.a.r. ha respinto l’eccezione, formulata dall’amministrazione in primo grado, relativa alla mancata impugnazione di tre pregressi provvedimenti amministrativi comunali.

Questa contestazione è infondata, in quanto, come correttamente evidenziato dal T.a.r., « la natura risarcitoria del presente giudizio prescinde dall’impugnativa degli atti fondativi della procedura espropriativa, posto che quel che viene censurato non è la legittimità dei medesimi, ma il danno che è stato cagionato dalla loro esecuzione e dal mancato compimento dell’intera procedura ».

Ad ogni modo, si rileva che le deliberazioni comunali n. 57 del 22 febbraio 2003 di « approvazione progetto preliminare e definitivo » e n. 60 del 12 aprile 2005 di « approvazione progetto esecutivo », prevedevano la sistemazione della strada rurale “Varlaffa-Cannogne”, posta lungo il confine sud della particella dell’odierna appellata, senza preventivare alcun esproprio. Successivamente, con la deliberazione della giunta comunale di Calabritto n. 208 del 24 novembre 2005 è stata approvata una variante, con inclusione nell’ambito dell’intervento porzioni di terreno prima escluse, con la previsione anche dell’occupazione del bene di proprietà dell’interessata per una superficie di circa 600 metri quadrati. Tuttavia, nel procedere alle operazioni materiali, il Comune, in luogo della superficie prevista, ha occupato la maggiore superficie di 3.368 metri quadrati.

Ne discende che l’interesse al ricorso non è scaturito dai tre su citati provvedimenti amministrativi, bensì dalla materiale e illegittima occupazione del bene.

10. Il Comune di Calabritto, mediante il quarto motivo, ha lamentato il rigetto da parte del T.a.r. dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata prova della proprietà dei terreni in capo all’odierna appellata;
con il quinto motivo ha riproposto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, non espressamente esaminata dal collegio di primo grado.

I due suddetti motivi, stante la loro stretta embricazione, vanno vagliati congiuntamente, essendo, in sostanza, la medesima censura vista sotto il profilo processuale (inammissibilità) e sotto il profilo sostanziale (infondatezza).

Essi sono infondati, poiché nel caso di domanda di risarcimento danni la proprietà del terreno non costituisce l’oggetto della pretesa, ma deve essere dimostrata solo al fine di individuare, nell’effettivo titolare del bene, l’avente diritto al risarcimento del danno. A tal fine non è richiesta la prova rigorosa della proprietà, potendo il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza della predetta legittimazione formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo, sufficiente ad escludere una erronea destinazione del pagamento dovuto. La natura personale dell’azione di risarcimento del danno, infatti, non presuppone un approfondito accertamento del diritto dominicale, come, per contro, occorre nell’azione di rivendica, non trattandosi di accertare principaliter fra le parti l’appartenenza di un immobile, bensì di individuare gli elementi di riferimento del danno al patrimonio della parte che insta per il risarcimento.

In sostanza, in sede di accertamento della legittimazione a chiedere il risarcimento dei danni da occupazione illegittima, il giudice amministrativo non è tenuto a svolgere complessi accertamenti istruttori, né a sostituirsi al giudice civile in caso di contestazioni, dovendo accertare il diritto di proprietà in via meramente incidentale ex articolo 8, comma 1, del codice del processo amministrativo, considerando eventualmente anche la disponibilità materiale dell’immobile in capo al richiedente.

Tanto premesso, nel caso di specie l’interessata ha prodotto già in sede ordinaria sufficiente documentazione a dimostrare il proprio diritto di proprietà, nonché l’effettivo possesso, dell’area oggetto di occupazione. Alcun rilievo ha inoltre la circostanza che « le visure catastali delle particelle di asserita proprietà dell’appellata evidenziano l’intestazione dei cespiti a favore di tutt’altri soggetti », atteso che tra costoro vi è il defunto padre dell’odierna appellata e che comunque i dati catastali non assurgono a prova della titolarità di beni immobili.

11. Tramite il sesto motivo di gravame, il Comune ha riproposto l’eccezione di mancata prova dei danni, formulata in primo grado e non espressamente valutata dal T.a.r..

Questa censura è infondata, in quanto la sussistenza di un danno, a prescindere dalla sua concreta quantificazione, da illegittima occupazione è in re ipsa e comunque nel caso di specie l’interessata ha allegato i pregiudizi subiti.

Si osserva inoltre che il T.a.r. non ha quantificato numericamente i danni, ma ha rinviato all’amministrazione, in sede di adozione dei successivi provvedimenti imposti, la concreta liquidazione del danno sulla base di parametri forfetariamente determinati dal legislatore (articolo 42- bis , commi 1 e 3, del d.P.R. n. 327/2001), ovverosia tanto in caso di acquisizione ex art. 42- bis (in cui occorrerà corrispondere all’interessata il valore venale del bene più un indennizzo per il danno non patrimoniale pari al 10% di tale valore), quanto in caso di restituzione del bene « una somma in denaro pari all’applicazione del saggio di interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell’intero bene occupato per tutto il periodo di occupazione senza titolo, che decorre dalla scadenza del termine finale per l’espropriazione ».

12. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

13. La particolarità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

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