Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-11-23, n. 201705470
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Pubblicato il 23/11/2017
N. 05470/2017REG.PROV.COLL.
N. 01080/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1080 del 2016, proposto dalla -OSIS-., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato F L, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. G. Belli, n. 39;
contro
Il Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI - SEZIONE III, n. 5874 del 2015, resa tra le parti, concernente una revoca di agevolazioni finanziarie;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 5 ottobre 2017 il cons. M B e uditi per le parti l’avvocato Francesco Mangazzo, su delega dell’avvocato F L, per la società appellante, e l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il MISE;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il decreto del Direttore generale (DDG) del MISE. n. 2944 del 29 ottobre 2013, è stata disposta nei confronti della -OSIS-- con sede in Marano di Napoli, ed esercente attività di “frantumazione di inerti lapidei” - la revoca di un contributo in conto impianti, a fondo perduto, di circa 210.755 €, concesso in precedenza con decreti del 9 aprile 2001 e del 24 novembre 2004, e ciò sul presupposto che la Prefettura di Napoli, con prefettizia riservata del 6 ottobre 2011, aveva informato l’Amministrazione appellata di avere ravvisato, con riferimento alla società beneficiaria della provvidenza, tentativi di infiltrazione mafiosa, da parte della criminalità organizzata, in grado di condizionare gli indirizzi e le scelte imprenditoriali della società stessa.
Dalla revoca è conseguito l’ordine di recupero dell’agevolazione concessa.
Con l’appello in epigrafe, la società ha impugnato la sentenza n. 5874 del 2015, con la quale la III Sezione del TAR Campania – Napoli ha respinto il suo ricorso di primo grado.
L’istanza cautelare presentata dalla -OSIS-è stata accolta da questa Sezione con l’ordinanza n. 1696 del 2016 e, per l’effetto, sono state sospese l'esecutività della sentenza impugnata e l’esecuzione del provvedimento contestato in primo grado.
Le parti hanno presentato memorie e si sono scambiate repliche.
All’udienza del 5 ottobre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2. Appare opportuno premettere una ricostruzione della vicenda sulla quale si è innestata la controversia.
Con decreti del MISE del 9 aprile 2001 e del 24 novembre 2004, è concesso alla -OSIS-un contributo in conto impianti di € 210.755.
La somma suindicata è erogata in diverse quote, tra il dicembre del 2001 e il febbraio del 2005.
Con nota in data 6 ottobre 2011, la Prefettura di Napoli informa la Banca concessionaria, e quest’ultima, con nota in data 12 dicembre 2011, ragguaglia il MISE, che sono stati ravvisati tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti della società beneficiaria (v. informativa interdittiva del Prefetto di Napoli del 5 ottobre 2011, emessa ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998, applicabile ratione temporis ).
In particolare, dagli atti si ricava che la Prefettura di Napoli ha comunicato che a carico del socio accomandatario, signor -OSIS-., risultavano varie pendenze di carattere penale.
In particolare, lo stesso risultava rinviato a giudizio per i reati, tra gli altri, di cui agli articoli 260 del d. lgs. n. 152 del 2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, con l’aggravante di cui all’art. 7 del d. l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991), e 640, 476 e 479 cod. pen., in relazione ad attività rivolte a favorire un clan camorristico nell’attività di riciclaggio dei proventi illeciti convogliati nel settore dei rifiuti.
Non è stato precisato se il riferimento alle « varie pendenze penali di interesse » riguardasse anche la imputazione ex art. 256, comma 3, del d. lgs. n. 152 del 2006, con riguardo alla realizzazione e alla gestione di una discarica non autorizzata nel periodo 2003 -2005, in relazione alla quale il signor -OSIS-. è stato condannato in primo grado con sentenza del Tribunale di Napoli – sezione distaccata di Pozzuoli, del 22 febbraio - 6 giugno 2013, depositata in giudizio dall’Amministrazione (v. pagine 202 ss. sent. cit.). Si tratta, comunque, di una circostanza che non risulta risolutiva ai fini della decisione.
In data 6 dicembre 2011 il signor -OSIS-. cede le quote societarie al signor -OSIS-. e viene estromesso dalla società. Il signor -OSIS-. è nominato nuovo amministratore.
Il MISE viene a conoscenza della informativa prefettizia verso la fine del 2011.
Nel giugno del 2013 la società presenta, al Prefetto di Napoli, una istanza di riesame e di aggiornamento della informativa del 2011 (informativa che era stata contestata, con ricorso e motivi aggiunti, dinanzi al Tar Campania, con ric. n. R. G. 2050 del 2012, ricorso che verrà dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse con la sentenza n. 1195 del 2017).
Nel giugno del 2013 il MISE comunica alla società l’avvio del procedimento diretto alla revoca del contributo.
In data 29 ottobre 2013, come detto, il MISE dispone la revoca del contributo e il recupero dell’agevolazione.
Nelle premesse e nella motivazione del decreto impugnato, si rileva che il decreto di concessione del contributo in via definitiva è stato adottato sotto condizione risolutiva, per cui l’Amministrazione concedente può revocare la concessione anche qualora le cause ostative ai sensi della legislazione antimafia emergano successivamente (condizione risolutiva che la società beneficiaria non ha impugnato), e che vi è stata la cessione delle quote societarie da parte del signor -OSIS-., con conseguente mutamento della ragione sociale, avvenuta in data 6 dicembre 2011, vale a dire dopo l’informativa prefettizia, il che non consente di considerare superato il pericolo di tentativo di infiltrazione mafiosa: di qui, la revoca dell’agevolazione e il recupero dell’importo corrispondente alle somme rese disponibili e non più spettanti.
3. La società ha impugnato il decreto con quattro motivi.
Con la sentenza appellata il TAR ha, anzitutto, considerato irrilevante la cessione delle quote sociali, effettuata dal signor -OSIS-. in data 6 dicembre 2011, atteso che siffatto fenomeno societario è avvenuto due mesi dopo l’informativa prefettizia del 6 ottobre 2011 e quindi è da ritenere che sia stato determinato proprio da tale informativa.
Inoltre, all’epoca della percezione dei finanziamenti, tra il 2001 e il 2005, il signor -OSIS-. rivestiva il ruolo di socio accomandatario, figura che, nella s.a.s., esercita la funzione di amministratore, ragion per cui non può essere riconosciuto alcun rilievo legittimante alla variazione societaria, in quanto posteriore all’epoca della erogazione della provvidenza.
Con riguardo alla deduzione incentrata sulla impossibilità, per il MISE, di valutare gli effetti della informativa prefettizia, il TAR ha rilevato che nel decreto impugnato il Ministero non ha operato alcuna valutazione di questo tipo, essendosi limitato, sul punto, a valutare non l’informativa prefettizia quanto, invece, la variazione societaria e la relativa cessione di quote, correttamente giudicandola ininfluente, data la sua collocazione temporale successiva di anni rispetto al periodo di percezione delle somme erogate.
Né – soggiunge il TAR - il MISE avrebbe dovuto sospendere la determinazione di revoca, poiché nel frattempo era stato proposto ricorso al Tar avverso l’informativa prefettizia antimafia, e questo perché nell’ambito del giudizio n. R. G. 2050 del 2012 – TAR Campania – Napoli, la parte ricorrente aveva rinunciato alla istanza cautelare sicché, se la parte che avrebbe dovuto manifestare maggior interesse alla decisione cautelare ha rinunciato alla stessa, non si vede perché il Ministero avrebbe dovuto sospendere il procedimento di revoca a fronte di un provvedimento presupposto efficace e non sospeso dal TAR.
Il Tribunale ha poi considerato insussistente la violazione dell’art. 21 – quinquies della l. n. 241 del 1990, dedotta con riferimento alla mancanza, nel decreto impugnato, di qualsiasi motivazione in ordine al prevalente interesse pubblico, idoneo a ledere l’aspettativa creata dal lungo periodo di tempo intercorso tra la erogazione dei finanziamenti e il loro ritiro, oltre alla violazione del termine ragionevole per l’adozione degli atti di ritiro, e alla asserita mancata considerazione degli interessi dei destinatari.
In sentenza si legge che il ritiro di provvidenze pubbliche in casi come quello in esame è un atto dovuto, essendo l’interesse pubblico in re ipsa . Sul carattere consequenziale e necessitato della determina di revoca, rispetto alla informativa prefettizia interdittiva, la giurisprudenza è costante. Per giustificare la revoca del contributo, per effetto dell’avverarsi della condizione risolutiva , basta il rinvio alla informativa prefettizia. Il TAR soggiunge che l’elemento della tutela dell’affidamento è stato valutato ex ante dal Legislatore ed è stato contemperato con l’interesse pubblico primario alla concessione di provvidenze soltanto a soggetti scevri da pregiudizi di polizia e immuni da sospetti di infiltrazioni mafiose. Quanto alla dedotta violazione del termine ragionevole entro il quale poter revocare un precedente provvedimento ampliativo, il TAR ritiene di condividere la giurisprudenza che considera operante, nel settore dell’annullamento o della revoca dei finanziamenti pubblici, specie a causa di sopravvenute interdittive antimafia, una deroga al principio del termine ragionevole, rilevando come tale principio non operi laddove la P. A. revochi contributi pubblici per l’accertata insussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge.
4. La società-OSIS-ha impugnato la sentenza con tre motivi.
Sub 1), l’appellante sostiene, in sintesi, che la sentenza impugnata avrebbe errato nel considerare perdurante la portata di una informativa i cui effetti, al momento della decisione appellata, erano stati “paralizzati” per mezzo di una successiva informativa c. d. “liberatoria”, rilasciata dalla medesima Autorità prefettizia nel giugno del 2014. L’errore commesso con la sentenza consiste nell’avere confermato la legittimità e, quindi, conservato un atto, ossia il decreto di revoca del MISE, fondato su un presupposto ormai rimosso dal mondo giuridico e superato da una rinnovata e positiva valutazione prefettizia sulla posizione antimafia della società appellante. L’emissione della informativa liberatoria e la sentenza del 31 ottobre 2013 della II sezione penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la quale il signor -OSIS-. è stato assolto dai reati ascrittigli, che avevano indotto la Prefettura a emettere la informativa interdittiva nel 2011, non sono state adeguatamente vagliate dal TAR, che avrebbe dovuto considerare favorevolmente la sopravvenuta cessazione di condizioni ostative alla conservazione dell’agevolazione finanziaria. Si soggiunge che la variazione societaria, sopravvenuta nel dicembre del 2011, sarebbe tutt’altro che irrilevante ai fini della risoluzione della controversia, posto che la cessione della intera quota di partecipazione societaria al signor -OSIS-., e l’estromissione di -OSIS-. dalla s.a.s., avevano fatto venire meno il presupposto del pericolo di condizionamento mafioso. Il TAR, inoltre, non avrebbe preso in considerazione il fatto che, all’epoca della percezione del finanziamento, al signor -OSIS-. nulla era stato contestato. Del resto, la legittimità di un provvedimento amministrativo dev’essere accertata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione. Alla informativa prefettizia del 2011 ha poi fatto seguito la citata sentenza penale di assoluzione del 2013. Ancora, il giudice di primo grado non avrebbe valutato, con la necessaria attenzione, la vicenda processuale di cui al giudizio n. R. G. 2050 del 2012, relativo alla impugnazione della presupposta informativa prefettizia, e questo perché nelle more della definizione del giudizio suddetto era stata depositata la sentenza del TAR Campania n. 1174 del 2014, con la quale era stato ordinato alla Prefettura di aggiornare la posizione antimafia, e il Prefetto, nel giugno del 2014, aveva rilasciato alla società una apposita ‘informativa liberatoria’, sicché l’impresa aveva perduto interesse alla prosecuzione del giudizio n. 2050/2012. Una volta sopravvenuta la ‘liberatoria antimafia’, il TAR avrebbe dovuto considerare comprovata l’avvenuta rimozione degli effetti della misura interdittiva del 2011, elemento ormai svuotato di significato e rilevanza. Già nella fase di avvio del procedimento preordinato alla adozione del decreto di revoca (giugno del 2013), il Ministero avrebbe dovuto ritenere superate, e non più opponibili alla impresa, le ragioni in base alle quali era stato considerato sussistente il rischio di infiltrazioni della s.a.s. da parte della criminalità organizzata.
Sub 2), parte appellante ritiene la sentenza erronea poiché il giudice di primo grado non avrebbe considerato che nei confronti dell’ex socio accomandatario, -OSIS-., nell’ottobre del 2013, era stata formulata sentenza di assoluzione –per non aver commesso il fatto, e perché il fatto non sussiste- per i reati ascritti, il che a suo tempo aveva indotto il Prefetto a emanare l’interdittiva antimafia su cui si fonda la revoca dell’agevolazione. Il Tar non ha nemmeno richiamato la ‘liberatoria antimafia’ del 6 giugno 2014. Poiché l’interdittiva prefettizia era fondata sulla sottoposizione a giudizio penale, logica e coerenza avrebbero imposto al MISE e al TAR di dare rilievo alla sentenza di assoluzione sopravvenuta.
Sub 3), per l’appellante, la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui qualifica il ritiro di provvidenze pubbliche come atto dovuto e fa riferimento a un interesse pubblico alla revoca dell’agevolazione in re ipsa : le “controindicazioni antimafia”, all’atto dell’adozione del decreto di revoca, non esistevano, come avrebbe confermato la Prefettura in sede di aggiornamento della posizione della società e di rilascio della ‘liberatoria antimafia’.
Il TAR ha ignorato il giudicato penale, che esclude qualsivoglia situazione di illiceità penale opponibile alla impresa.
Il decorso del tempo aveva “consolidato” la posizione della impresa che, inoltre, aveva interamente investito l’importo erogato dall’Amministrazione, avendo realizzato il progetto imprenditoriale. Di qui, la censura di illegittimo esercizio del potere di revoca, sotto i profili della razionalità e della proporzionalità.
5. Le censure riassunte sopra possono essere esaminate in modo congiunto, dato che pongono questioni identiche o connesse.
Ritiene la Sezione che la sentenza impugnata vada confermata.
In via preliminare, va rilevato, anche se a questo riguardo non vi è contestazione alcuna da parte della società appellante, che l’ammissibilità degli aiuti di Stato e pubblici, anche di livello regionale, alle imprese (in questo caso, ai sensi della l. n. 488 del 1992 e del d. m. di attuazione n. 527 del 1995, modificato col d. m. n. 133 del 2000, a fini di sviluppo delle aree svantaggiate e di crescita degli investimenti), pone una deroga alla regola della loro contrarietà al diritto della concorrenza (v. Commissione europea, decisione del 12 luglio 2000).
Da ciò, l’obbligo di interpretare in maniera rigorosa e restrittiva le condizioni di ammissibilità, e di mantenimento, degli aiuti suddetti.
Ancora in via preliminare, pur nella consapevolezza che la presente controversia non si incentra in via diretta sulla verifica della legittimità della informativa prefettizia del 5 ottobre 2011 (anzi, l’appellante argomenta in più punti muovendo dal presupposto che la informativa interdittiva del 2011 è stata superata con la ‘liberatoria’ del 2014;del resto, il ricorso n. R. G. 2050/2012 avverso l’informativa prefettizia interdittiva è stato dichiarato improcedibile dal TAR nel 2017), va ribadito che la informativa antimafia di tipo interdittivo, di cui al combinato disposto degli articoli 4 del d. lgs. n. 490 del 1994 e 10 del d.P.R. n. 252 del 1998, disposizioni applicabili ratione temporis alla fattispecie, ricadono in una normativa di settore che attribuisce rilievo alla pericolosità in senso oggettivo, la quale prescinde dalla individuazione di responsabilità di rilevanza penale.
La c. d. informativa antimafia interdittiva non richiede cioè la prova della intervenuta infiltrazione mafiosa, né presuppone l'accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell'impresa sospettata. Basta invece che dalle informazioni acquisite tramite gli organi e le indagini di polizia si ricavi un quadro fattuale indiziario sintomatico anche del solo pericolo di collegamento o di contiguità tra l'impresa e la criminalità organizzata.
La valutazione del Prefetto richiede dunque soltanto la presenza di elementi in base ai quali non sia illogico o inattendibile, o manifestamente infondato, ritenere sussistente un collegamento dell'impresa con organizzazioni mafiose, e un condizionamento dell'impresa da parte di queste. In sostanza, la normativa in materia (v., in particolare, ratione temporis , l’art. 10, comma 7, lett. c) del d.P.R. n. 252/98) introduce forme di “ tutela avanzata ” nel contrasto della criminalità organizzata, così da anticipare ogni altra misura preventiva, oltre che la fase della repressione penale. In giurisprudenza e in dottrina si è parlato di valutazione dei tentativi di infiltrazione mafiosa secondo una « logica di massima anticipazione della tutela antimafia » propria della normativa di riferimento, tenendo conto delle caratteristiche sociologiche del fenomeno mafioso, potendo assumere rilievo preponderante semplici fattori induttivi, « di non manifesta infondatezza del giudizio prognostico », purché ragionevole e circostanziato, espresso dal Prefetto, al quale è riservato un margine amplissimo di discrezionalità valutativa giustificato.
L'emergere di tentativi di infiltrazione mafiosa può dunque essere desunto da fatti di per sé privi del carattere della certezza, ma che, nel loro insieme, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa agevoli, anche in maniera indiretta, le attività criminali, o ne sia in qualche modo condizionata.
In presenza di una informativa interdittiva, il recepimento della informativa e la revoca del beneficio finanziario da parte del Ministero integra un atto dovuto, sicché, come si dirà più in dettaglio in appresso, in sede di confutazione del terzo motivo di appello, non viene in considerazione un obbligo di motivazione « rinforzata » o, comunque, specifica sull’interesse pubblico all’adozione dell’atto di revoca, giacché tale interesse è da considerarsi in re ipsa .
In concreto, nei casi come quello in esame, una volta ricevuta l’informativa prefettizia, la Banca concessionaria comunica i risultati degli accertamenti svolti al MISE, il quale non potrà che prendere atto di quanto segnalato dalla Banca, sulla base di quanto da quest’ultima appreso dalla Prefettura, uniformandosi alle risultanze della informazione interdittiva.
Questo è il contesto all’interno del quale vanno esaminate le deduzioni svolte con l’appello.
In proposito, è anzitutto corretta la tesi del MISE, condivisa dal TAR, in base alla quale l’avvenuta cessione delle quote sociali, da parte dell’accomandatario -OSIS-., estromesso dalla compagine societaria nel dicembre del 2011, ossia due mesi dopo l’emissione della interdittiva antimafia, deve considerarsi irrilevante ai fini della verifica della legittimità del decreto di revoca del contributo.
Tale mutamento sopravvenuto di compagine sociale non consente di ritenere superato il pericolo di infiltrazioni mafiose ravvisato dalla Prefettura con riferimento alla attività della impresa nella quale il signor -OSIS-. rivestiva la qualità di socio accomandatario e con riferimento all’epoca (2001 -2005) corrispondente all’incirca a quella dell’adozione dei decreti concessivi delle provvidenze economiche e della erogazione delle somme di cui è stato poi disposto il recupero.
Al riguardo, l’Amministrazione appellata ha correttamente osservato come non si possa tenere distinta la posizione della società appellante da quella della persona fisica dell’amministratore, pur se tale persona è stata allontanata dalla compagine societaria, posto che egli ha avuto un ruolo di primo piano nella società proprio quando è stato concesso il contributo, e non può bastare la cessione di quote societarie per fare venire meno il rischio di infiltrazioni mafiose.
Dagli atti si ricava che le risultanze dell’indagine penale, per quanto riguarda la posizione del signor -OSIS-., si riferiscono proprio al periodo (2001 - 2005) durante il quale la società si è vista concedere il contributo e ha percepito le somme.
All’epoca, il signor -OSIS-. rivestiva ancora la qualità di socio accomandatario: la variazione societaria mediante la estromissione e la surroga del Lic. è sopravvenuta alla informativa antimafia ed è stata provocata proprio dalla informativa prefettizia del 5 ottobre 2011.
Sul dedotto rilievo da riconoscere – il che non è stato fatto dal TAR - alla informativa prefettizia liberatoria (a seguito peraltro di proposta favorevole ma ”con monitoraggio” –v. fasc. P. A.) sopraggiunta nel giugno del 2014, vale a dire alcuni mesi dopo l’adozione del decreto di revoca, il Collegio considera decisivo osservare che trova applicazione il principio tempus regit actum (su cui v., ex plurimis , Corte costituzionale, n. 224 del 2016).
La legittimità del provvedimento amministrativo dev’essere verificata avendo cioè riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione del provvedimento stesso.
Non risultano quindi addebitabili alla sentenza impugnata carenze valutative in ordine a elementi sopraggiunti alla revoca del contributo, alla luce del principio generale anzidetto.
Né vi sono in materia disposizioni che attribuiscano rilevanza, con riflessi anche sugli esiti dei contenziosi, a nuovi elementi o a elementi sopraggiunti rispetto al momento di emanazione del provvedimento sfavorevole, anche se non può escludersi, in termini generali, che il sopravvenire di elementi favorevoli al privato consenta a quest’ultimo di domandare alla P. A. il riesame della propria posizione: ma ciò fuoriesce dal thema decidendum .
La “liberatoria prefettizia” del 2014 non può ritenersi idonea a riabilitare la ditta ai fini del mantenimento del contributo in questione (in disparte il fatto che, come risulta dai verbali del Gruppo Ispettivo Antimafia – GIA, in atti, « si segnala una concreta attività di collaborazione con la giustizia del -OSIS-. e del fratello M.» e che la proposta di liberatoria era stata avanzata « con monitoraggio »).
Inoltre, non è vero che il TAR avrebbe mancato di valutare, con la necessaria attenzione, la vicenda processuale di cui al giudizio n. R. G. 2050 del 2012, sulla impugnazione della presupposta informativa prefettizia.
Dalla lettura della sentenza impugnata si ricava che, nel corso del giudizio n. R. G. 2050 del 2012, parte ricorrente, nella camera di consiglio del 12 settembre 2012, ben prima quindi della sentenza penale di assoluzione, del ricorso sul silenzio e della ‘liberatoria’ del 2014, aveva rinunciato alla istanza cautelare, sicché, « se la parte che maggiore interesse aveva alla decisione cautelare ha rinunciato alla stessa, non si vede perché il Ministero avrebbe dovuto sospendere il procedimento di revoca a fronte di un provvedimento presupposto valido e non sospeso » dal TAR. Diversamente da quanto si afferma nell’appello risulta dunque evidente che da parte del TAR è stata compiuta una valutazione adeguata del giudizio n. R. G. 2050 del 2012.
Con riguardo, infine, alla necessità, o meno, di un obbligo di motivazione specifica e rinforzata, sull’interesse pubblico, a sostegno della determinazione di revoca del contributo in una fattispecie come quella per cui oggi è causa, si ritiene utile fare richiamo anzitutto alla – condivisibile - sentenza di questa Sezione Sesta, n. 6188 del 2007, secondo cui « in assenza dei presupposti di legge, la revoca del contributo costituisce un vero e proprio dovere dell'amministrazione che è tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivate all'erario per effetto di una erogazione non dovuta di contributi pubblici, non sussistendo in questo caso uno specifico obbligo di motivazione, atteso che l'interesse pubblico all'adozione dell'atto è “in re ipsa” quando ricorre un indebito esborso di denaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato» .
Anche nel ricorso odierno l’interesse pubblico è rilevante e in re ipsa .
Ancora, su fattispecie, intuitivamente analoghe, relative al dovere, per la stazione appaltante, di disporre la revoca dell’aggiudicazione o il recesso dal contratto in presenza di una interdittiva antimafia, venendo in considerazione l’esercizio di un potere vincolato, che non necessita di alcuna specifica motivazione, va richiamata la sentenza Cons. Stato, sez. III, n. 1292 del 2015.
In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado va confermata.
Tuttavia, le peculiarità della situazione di fatto e delle questioni esaminate giustificano senz’altro in via eccezionale la compensazione delle spese del grado del giudizio tra le parti.
Poiché sussistono i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi della società appellante e del signor -OSIS-., si richiede alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.