Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2021-12-13, n. 202108309
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Testo completo
Pubblicato il 13/12/2021
N. 08309/2021REG.PROV.COLL.
N. 08150/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 8150 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno e Ufficio Territoriale del Governo di Latina, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio D'Alessio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi n. 99;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo di Latina e del -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2021 il Cons. Ezio Fedullo e dato atto, quanto ai difensori e alla loro presenza, di quanto indicato a verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza appellata, il T.A.R. per il Lazio, -OMISSIS-, ha respinto il ricorso proposto dal -OMISSIS-, per l’annullamento dell’informazione antimafia -OMISSIS-/-OMISSIS-/-OMISSIS-, emessa dal Prefetto di Latina, nonché del provvedimento adottato dal -OMISSIS-, con il quale è stato inibito l’accesso alla -OMISSIS- all’interno del -OMISSIS-.
Va precisato che il provvedimento interdittivo scaturisce dal fatto che, negli anni -OMISSIS-, la -OMISSIS- aveva avuto alle sue dipendenze soggetti gravati da situazioni ostative ai fini antimafia, ed in particolare -OMISSIS-.
Il T.A.R., con la sentenza appellata, ha respinto i motivi di doglianza formulati, con il ricorso introduttivo ed i successivi motivi aggiunti, dalla -OMISSIS-, inerenti da un lato alla dedotta insussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere interdittivo antimafia, sul rilievo che la sua attività non sarebbe svolta in forza di contratti pubblici o provvedimenti amministrativi, bensì in virtù di incarichi assunti a seguito di accordi con gli operatori commerciali privati che svolgevano attività nel -OMISSIS-, dall’altro lato all’omissione della comunicazione di avvio del procedimento.
Ai fini reiettivi, il giudice di primo grado ha posto l’accento, quanto al primo ordine di censure, sul “ carattere di ente di pubblica utilità del -OMISSIS-, in quanto tale vincolato all’attuazione delle informazioni antimafia prefettizie e a escludere i soggetti destinatari dalle attività d’interesse pubblico cui detti enti sono preposti, tra cui non soltanto la contrattazione ma anche l’accesso a strutture che tale interesse rivestono. E tale è il -OMISSIS-, a termini del regolamento di gestione adottato, ex L.R. n. 74/1984, con DD.G.R. 8.11.2005 n. 946 e 22.3.2006 n. 152 ”, nonché, quanto all’aspetto del contraddittorio procedimentale, sul fatto che “ la stessa norma che in via generale riconosce agli interessati il diritto a ricevere le comunicazioni di avvio procedimentale (art. 7 della L. n. 241/1990) pone deroga per i procedimenti sorretti da particolari esigenze di celerità, nel cui ambito vanno inquadrati per costante indirizzo giurisprudenziale i procedimenti interdittivi di cui al D.Lgs. n. 159/1991 ”.
Infine, ha evidenziato il T.A.R. che “ non è riconoscibile, come diversamente affermato dalla ricorrente in memoria conclusionale, la decadenza dell’interdittiva per il decorso del termine annuale di durata ai sensi dell’art. 86, comma 2, del codice delle leggi antimafia (D.Lgs. n. 159/1991), considerato che la pubblica amministrazione è tenuta ad emettere una informativa liberatoria nei confronti dell’impresa solo ove sopraggiungano elementi nuovi, capaci di smentire o, comunque, di superare gli elementi che hanno giustificato l’emissione del provvedimento interdittivo, essendo irragionevole, e contrario alla ratio della normativa antimafia, sostenere che gli elementi valutati per l’adozione dell’informativa perdano di efficacia indiziante solo perché l’informativa è scaduta decorso un anno dalla sua emanazione, con la conseguenza che l’attualità degli elementi indizianti, posti a fondamento di un’informativa interdittiva, permane inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi e ulteriori rispetto alla precedente valutazione, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo (T.A.R. Emilia-Romagna, -OMISSIS-). Elementi che reggono e giustificano la legittimità del provvedimento interdittivo, la cui revisione è rimessa alla esclusiva competenza del Prefetto che potrà essere esercitata a seguito di una domanda di riesame che dimostri il venir meno degli originari presupposti ”.
Mediante i motivi di appello, l’originaria ricorrente si prefigge di conseguire la riforma della sentenza appellata, mentre si oppone al loro accoglimento l’appellato Ministero dell’Interno.
Con l’ordinanza -OMISSIS-, questa Sezione, in riforma dell’ordinanza -OMISSIS-, ha accolto l’appello cautelare proposto dal Ministero dell’Interno, sulla scorta della seguente motivazione:
“ Premessa la comproprietà pubblica e l’attività di servizio pubblico del -OMISSIS- richiedente l’informativa antimafia;
Considerata l’attualità della esigenza, rappresentata dall’Amministrazione, di contrastare il predominio economico-commerciale di una consorteria mafiosa che avrebbe annoverato membri di spicco fra i dipendenti della appellante;
Rilevato che, nel predetto contesto ambientale, il successivo licenziamento dei sopraindicati dipendenti non ha fatto venir meno le ragioni addotte dall’Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado ”.
Prima di esaminare le censure attoree, deve osservarsi che non merita di essere accolta l’istanza di cancellazione della causa dal ruolo della camera di consiglio, presentata dalla parte appellante -OMISSIS-, attesa la sussistenza dei presupposti per la definizione della controversia ex art. 60 c.p.a. e dovendo escludersi il dedotto rapporto di pregiudizialità tra la causa in esame e quella che la parte appellante ha dichiarato di essere in procinto di introdurre dinanzi al T.A.R. avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione in relazione all’istanza di riesame del provvedimento impugnato da essa presentata -OMISSIS-: ciò senza omettere di evidenziare che, come si dirà meglio infra , la presente sentenza è suscettibile di assumere, per il profilo in esame, rilievo sollecitatorio a vantaggio della parte appellante.
Ciò premesso, il primo motivo di appello si rivolge avverso il capo della sentenza appellata inteso, come si è detto, ad affermare l’insussistenza dei presupposti per sostenere l’intervenuta decadenza dell’interdittiva impugnata, sulla scorta del decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, del codice delle leggi antimafia (D.Lgs. n. 159/1991), deducendo la parte appellante che la norma citata, affermando la validità annuale dell’informazione antimafia, non farebbe menzione della necessità dell’adozione di un’informazione di tipo liberatorio.
Allega inoltre la parte appellante, richiamando i principi sanciti al riguardo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 57 del 29 gennaio 2020, che “ alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva ”, lamentando che nella specie è mancato ogni approfondimento istruttorio a seguito dell’immediato licenziamento dei soggetti attenzionati.
Evidenzia altresì la parte appellante che, una volta spirato il termine di validità annuale dell’interdittiva, non è necessaria la prova di sopravvenienze idonee ad ottenere un’informazione liberatoria (onere che, peraltro, l’appellante avrebbe pienamente assolto mediante la dimostrazione della immediata cessazione di ogni qualsiasi rapporto con i soggetti che la Prefettura aveva ritenuto in “odore di mafia”, facendo così venir meno ogni possibile pericolo di infiltrazione nel mercato delle commesse pubbliche), ma, al contrario, spetta alla P.A. dimostrare la persistenza delle ragioni che hanno condotto all’adozione del provvedimento interdittivo per procedere al suo rinnovo.
Il motivo non può essere accolto.
Deve premettersi che la dedotta decadenza del provvedimento interdittivo non potrebbe assurgere a ragione invalidante dei provvedimenti impugnati in primo grado, sia per motivi di carattere processuale, essendo stata rappresentata in quella sede solo con memoria -OMISSIS- (ed esulando quindi dal perimetro del thema decidendum , così come ritualmente delimitato con i motivi del ricorso introduttivo ed i successivi motivi aggiunti), sia per ragioni di ordine sostanziale, essendo la valutazione di legittimità del provvedimento impugnato ancorata ai presupposti di diritto e di fatto esistenti alla data della sua adozione (e come tali concorrenti ad integrare il quadro giuridico e fattuale alla cui stregua valutare la conformità legale e la ragionevolezza sostanziale dell’assetto di interessi delineato dall’Amministrazione).
Cionondimeno, non potrebbe escludersi – come del resto implicitamente ritenuto dal T.A.R. – la rilevanza dell’ipotizzata sopravvenuta caducazione ex lege del provvedimento impugnato ai fini dell’esito della controversia, riflettendosi essa nella sopravvenuta carenza dell’interesse alla decisione (di merito) in capo alla parte ricorrente, sulla scorta dell’eliminazione dell’ostacolo, frapposto dal provvedimento interdittivo, allo svolgimento dell’attività di sua pertinenza imprenditoriale nell’ambito del -OMISSIS- (e quindi al rilascio del relativo atto di assenso al suo accesso presso -OMISSIS-).
Ciò premesso, la disposizione rilevante è contenuta nell’art. 86, comma 2, d.lvo n. 159/2011, ai sensi del quale, nella versione vigente ratione temporis , “l’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione, salvo che non ricorrano le modificazioni di cui al comma 3” (il comma è stato così sostituito dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218).
Ritiene il Collegio di rifarsi, ai fini della determinazione della portata della norma in relazione alla incidenza della maturazione del previsto termine annuale sulla efficacia interdittiva del provvedimento antimafia, sulla elaborazione in precedenza maturata dalla Sezione, anche alla luce delle indicazioni fornite sul punto dalla giurisprudenza costituzionale.
Viene in rilievo, in primo luogo, la pronuncia -OMISSIS-, di cui è opportuno riportare i paragrafi rilevanti:
“ 10. Vero è, infine, che in svariati precedenti di questa Sezione ricorre l’affermazione secondo cui il "venir meno delle circostanze rilevanti" di cui all’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, non dipende dal mero trascorrere del tempo in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica, in quanto ne controbilanciano, smentiscono e superano la forza indiziante (v. Cons. Stato, -OMISSIS-).
10.1. Tuttavia, la messa a tema del fattore "temporale" deve tenere conto della oggettiva necessità (di recente posta in rilievo dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 57/2020) che, in accordo al limite di validità dell’informativa ostativa fissato dall’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 in dodici mesi, la Prefettura provveda ad una rivalutazione aggiornata del quadro istruttorio, sul presupposto che questo non può conservare piena e immutata concludenza oltre detto limite temporale ”.
Meritevole di menzione, per la sua pertinenza al tema dell’odierna decisione, è anche la pronuncia della Sezione -OMISSIS-, con la quale è stato affermato che “ la Corte costituzionale nella sentenza citata ( n. 57/2020, n.d.e. ) ha altresì posto l’accento sul carattere temporaneo della valutazione dell’autorità prefettizia, affinché essa, agganciata com’è al rischio (e non già all’infiltrazione), non rimanga cristallizzata in aeternum, ma sia funzionale a prevenire e reindirizzare l’impresa verso schemi pienamente leciti e lealmente concorrenziali, nell’interesse dell’imprenditore a riprendere le redini dell’impresa e di quello, generale, a restituire al mercato una risorsa sana e produttiva quanto mai preziosa. È questo il senso della disposizione dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo il quale l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, decorsi i quali occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva con specifico riferimento all’attualità, in guisa da prevenire minacce reali e presenti e non pericoli ipotetici o pregressi ”.
Infine, non può non richiamarsi la pronuncia costituzionale che ha fornito l’abbrivio alla successiva elaborazione giurisprudenziale sull’argomento, rappresentata come si è detto dalla sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, con la quale è stato affermato che “ il dato normativo, arricchito dell’articolato quadro giurisprudenziale, esclude, dunque, la fondatezza dei dubbi di costituzionalità avanzati dal rimettente in ordine alla ammissibilità, in sé, del ricorso allo strumento amministrativo, e quindi alla legittimità della pur grave limitazione della libertà di impresa che ne deriva. In particolare, quanto al profilo della ragionevolezza, la risposta amministrativa, non si può ritenere sproporzionata rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo quel fenomeno mafioso, sulla cui gravità e persistenza - malgrado il costante e talvolta eroico impegno delle Forze dell’ordine e della magistratura penale - non è necessario soffermarsi ulteriormente. In questa valutazione complessiva dell’istituto un ruolo particolarmente rilevante assume il carattere provvisorio della misura. È questo il senso della disposizione dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo il quale l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, cosicché alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva, con l'effetto, in caso di conclusione positiva, della reiscrizione nell’albo delle imprese artigiane, nella specie, e in generale del recupero dell’impresa al mercato. E va sottolineata al riguardo la necessità di un'applicazione puntuale e sostanziale della norma, per scongiurare il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile ”.
Ebbene, deve evidenziarsi, alla stregua delle convergenti indicazioni fornite dalla richiamata giurisprudenza, costituzionale ed amministrativa, che il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lvo n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, il quale, una volta spirato il termine suindicato, dovrebbe considerarsi tamquam non esset , ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distilllato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva.
Tale conclusione interpretativa, del resto, è l’unica coerente con l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario.
Ragionando diversamente, ovvero attribuendo al decorso del predetto termine annuale l’effetto automatico di “azzerare” gli effetti interdittivi dell’informativa, si imporrebbe alla Prefettura – cui sarebbe precluso determinare, con la sua inerzia, lacune temporali nella frontiera che l’interdittiva erige all’accesso dell’impresa contaminata o contaminabile ai rapporti con la P.A. – di procedere costantemente (o, almeno, al decorso del termine annuale) alla verifica della persistenza dei presupposti per la protrazione del regime inibitorio, anche quando nessun elemento nuovo (tale, cioè, da giustificare la sua revisione) si sia verificato (o sia stato addotto dal soggetto interessato), con la conseguente ineluttabilità della sua conferma.
Discende dai rilievi che precedono che al decorso del suddetto termine annuale non può essere attribuito l’effetto di determinare automaticamente la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, ma quella di legittimare il soggetto interdetto a presentare un’istanza volta a sollecitare il riesame del provvedimento medesimo, alla luce delle circostanze sopravvenute alla sua adozione e tali da giustificare la rivalutazione da parte della Prefettura dei relativi presupposti, ovvero consentire recta via alla Prefettura di procedere alla attualizzazione della prognosi infiltrativa, laddove sia venuta a conoscenza di circostanze suscettibili di estinguere o attenuare il pericolo di condizionamento mafioso.
Deve solo aggiungersi che l’interpretazione che precede è sintonica con il dettato normativo richiamato, in quanto la “validità” a termine dell’informativa antimafia che esso prevede può essere correttamente riferita alla prognosi interdittiva (che dell’informativa costituisce il fondamento legittimante), la cui intangibilità resta circoscritta al suindicato orizzonte temporale, con la conseguente esigenza del suo aggiornamento laddove si siano verificate circostanze meritevoli di considerazione ai fini della verifica della sua persistente attualità, ferma restando l’efficacia, nelle more e fino alla sua formale revoca, del provvedimento interdittivo e del connesso regime inibitorio (all’intrattenimento da parte dell’impresa interdetta di rapporti con la P.A. o comunque allo svolgimento di attività in settori cui sia estesa la vigenza della normazione antimafia).
Consegue, da quanto fin qui detto, che il decorso del termine annuale, invocato dalla parte appellante, non è suscettibile di determinare la caducazione immediata del provvedimento interdittivo impugnato in primo grado (né dei provvedimenti ad esso consequenziali), ma genera il dovere dell’Amministrazione, anche alla luce dell’istanza di riesame presentata dalla parte appellante -OMISSIS- e ribadita in data -OMISSIS-, di valutare la sussistenza dei presupposti per la liberazione dell’-OMISSIS- dal regime interdittivo imposto con il provvedimento -OMISSIS-.
Con ulteriore motivo di appello, la parte appellante censura la sentenza appellata laddove ha statuito la reiezione del motivo di ricorso inteso a lamentare la violazione delle regole del contraddittorio procedimentale, non avendo la Prefettura proceduto nei confronti della stessa alla comunicazione di avvio del procedimento preventivo.
La parte appellante richiama essenzialmente, ai fini della riforma in parte qua della sentenza appellata, la giurisprudenza della Sezione secondo la quale “ un quantomeno parziale recupero delle garanzie procedimentali, nel rispetto dei diritti di difesa spettanti al soggetto destinatario del provvedimento, sarebbe auspicabile, de iure condendo, in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali, rispetto alle quali l’apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire utili elementi a chiarire alla stessa autorità procedente la natura dei rapporti tra il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale … L’incisività delle misure interdittive, come mostra anche l’aumento dei provvedimenti prefettizi negli ultimi anni, richiede che la lotta della mafia avvenga senza un sacrificio sproporzionato dei diritti di difesa, anzitutto, e della libertà di impresa, perché solo la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa ed evita che la normativa di contrasto all’infiltrazione mafiosa purtroppo endemica nel nostro ordinamento, come ogni altro tipo di legislazione emergenziale, si trasformi in un diritto della paura, secondo quanto questa Sezione ha già affermato nella sentenza -OMISSIS- ” (Consiglio di Stato, -OMISSIS-).
Il motivo non può essere accolto, dal momento che la giurisprudenza citata dalla parte appellante, da un lato, si colloca in una prospettiva de iure condendo (cui, peraltro, il legislatore ha dato seguito con la modifica recentemente apportata dall’art. 48, comma 1, lett. a), n. 2), d.l. n. 152 del 6 novembre 2021 all’art. 92, comma 2 bis, d.lvo n. 159/2011), dall’altro lato, fa riferimento (sempre, si ripete, in una prospettiva di auspicabile riforma legislativa) a “tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali”, sul cui effettivo ricorrere, nella fattispecie in esame, alcuna concreta e specifica deduzione viene formulata dalla parte appellante.
Questa lamenta ancora che il giudice di primo grado non si è espressamente pronunciato in ordine alla indeterminatezza dei presupposti normativi che legittimano l’emissione delle misure di prevenzione personali, e in particolare dello strumento dell’informativa, non considerando il recente arresto giurisprudenziale della Corte EDU nel caso De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017.
Essa deduce quindi che, ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo il Prefetto deve valutare in modo unitario e non parcellizzato l’insieme degli elementi emersi nel corso del procedimento, laddove nella specie dal provvedimento prefettizio impugnato, “ in relazione all’immediato licenziamento dei soggetti attenzionati non risulta alcun indizio di vicinanza della ditta ricorrente ad ambienti mafiosi, per cui risulterebbe che il Prefetto avrebbe fatto applicazione della regola in base a cui <<“se un imprenditore conosce un mafioso è anche lui mafioso e di conseguenza lo sono anche i suoi parenti” >> ”.
Nessuno dei così sintetizzati motivi di censura può essere accolto.
A prescindere dall’assenza, nel ricorso introduttivo e nei successivi motivi aggiunti, di censure intese a contestare la compatibilità europea dell’impianto normativo nazionale in ordine ai presupposti legittimanti l’esercizio del potere interdittivo, deve osservarsi che, come chiarito da questa Sezione in merito alla tematica sollevata, “ la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di "tentativi" di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una "norma in bianco" né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi "tipizzati" (quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica. L'annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell'informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa. Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio ai principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando "tipizzati" dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111). Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame. Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una "pena del sospetto" e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio. La funzione di "frontiera avanzata" dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., -OMISSIS-). Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi "atipici", dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel "tenere il passo con il mutare delle circostanze" secondo una nozione di legittimità sostanziale. Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché "il presupposto per l'applicazione di una misura di prevenzione è una "condizione" personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale" (Cass. pen., sez. II, 9 luglio 2018, n. 30974) ” (cfr. Consiglio di Stato, -OMISSIS-).
Quanto infine alla deduzione secondo cui il Prefetto avrebbe desunto il pericolo infiltrativo da una valutazione atomistica e non unitaria degli elementi indiziari posti a fondamento dell’impugnato provvedimento interdittivo, deve osservarsi, da un lato, che essa ha carattere meramente assertivo, dall’altro lato, che fa leva su circostanze (ovvero, il sopravvenuto licenziamento dei dipendenti controindicati) sopravvenuti all’informativa impugnata e, per questa caratteristica, irrilevanti, secondo le considerazioni in precedenza formulate, a concorrere alla valutazione sub specie legitimitatis del provvedimento interdittivo.
Deve solo aggiungersi che la valutazione prefettizia risulta corroborata da una lettura complessiva e non frammentaria dei dati indiziari acquisiti in sede procedimentale, atteso che gli stessi, essenzialmente relativi all’assunzione alle dipendenze dell’impresa interdetta di soggetti controindicati, risultano caratterizzati da una unitaria e convergente direzionalità sintomatica, avendo la Prefettura non irragionevolmente dedotto, dalla instaurazione di plurimi rapporti lavorativi con soggetti contigui alla criminalità organizzata ed, in particolare, ad -OMISSIS- che esercita il suo potere intimidatorio proprio all’interno del -OMISSIS- ed al fine di monopolizzare le attività economiche ad esso connesse, la permeabilità criminale della -OMISSIS-: sì che la suddetta prognosi si fonda su elementi affatto risolvibili, come dedotto dalla parte appellante, in meri e generici rapporti di conoscenza tra -OMISSIS- e soggetti mafiosi.
L’appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto.
L’originalità dell’oggetto della controversia giustifica nondimeno la compensazione delle spese del giudizio di appello.