Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-08-26, n. 201404293
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Testo completo
N. 04293/2014REG.PROV.COLL.
N. 08701/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 8701 del 2012, proposto da
Ministero della giustizia e Consiglio superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;
contro
G T, rappresentato e difeso dall’avv. A T, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, largo dei Lombardi n. 4, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
nei confronti di
M P, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 7474 del 3 settembre 2012, resa tra le parti e concernente la conferma nelle funzioni di procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Catania
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di G T;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2014 il Cons. Diego Sabatino e udito per le parti l’avvocato dello Stato Frigida;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 8701 del 2012, il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della Magistratura propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 7474 del 3 settembre 2012 con la quale è stato accolto, nei limiti espressi in motivazione, il ricorso proposto da G T contro gli appellanti e M P per l'annullamento della deliberazione 5 ottobre 2011 del Plenum del Consiglio superiore della magistratura la quale ha confermato M P nelle funzioni di procuratore aggiunto presso il tribunale di Catania;dell’eventuale atto di concerto del Ministro della giustizia;della (non conosciuta) proposta di deliberazione della VII commissione del C.S.M.;se ed ove occorre della (non conosciuta) deliberazione del Consiglio superiore della magistratura del 10 dicembre 2008, richiamata dalla deliberazione 5 ottobre 2011del Plenum del consiglio superiore della magistratura;e per l’accertamento del diritto del ricorrente di reggere l'ufficio della Repubblica di Catania, nelle more della nomina e dell'insediamento del nuovo Procuratore della Repubblica di Catania, ex art.109.R.D. n. 12/1941;nonché del diritto al risarcimento del danno c.d. curriculare, all'immagine ed al prestigio professionale del ricorrente derivato dall'adozione degli atti e dei provvedimenti impugnati.
La vicenda trae origine dalla nomina di M P e G T a procuratori aggiunti presso la procura della Repubblica di Catania, con deliberazioni rispettivamente del 12 marzo e 2 aprile 2009, dal Plenum del Consiglio superiore della magistratura. Le dette nomine furono impugnate da un altro giudice innanzi al T.A.R. Lazio che, con sentenza 24 agosto 2010, n. 31280, annullò, dei due, soltanto la nomina di P (oltre a quella di un terzo giudice). La sentenza è stata poi confermata in grado d’appello con decisione 13 settembre 2011, n. 5119, della IV Sezione del Consiglio di Stato.
Lo stesso P, subito dopo la nomina ad aggiunto, era stato designato dal procuratore della Repubblica in carica come proprio vicario, competendogli, pertanto, ex art. 1, III comma, del d. lgs. 106/06, di esercitare “le medesime funzioni del procuratore della Repubblica per il caso in cui sia assente o impedito ovvero l'incarico sia rimasto vacante”.
Così era avvenuto anche dopo il 28 febbraio 2011, quando il procuratore titolare era stato collocato in quiescenza, ed il dott. P aveva iniziato a svolgere le funzioni di procuratore vicario-reggente l’Ufficio: la sentenza 31280/10 del T.A.R. era stata infatti sospesa (per “assicurare, nelle more del giudizio, lo svolgimento della funzione giurisdizionale”, come si legge nella motivazione) con l’ordinanza 19 gennaio 2011, n. 139 del Consiglio di Stato.
Dopo che la sentenza di I grado fu nel merito confermata dal secondo giudice, il T ritenne che il collega fosse senz’altro cessato dalle funzioni vicarie, e, nel settembre 2011, inviò una richiesta di chiarimenti al C.S.M., il quale rispose con la nota del seguente 7 ottobre, a firma del segretario generale, qui di seguito integralmente riprodotta.
«Comunico che il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 5 ottobre 2011, ha adottato la seguente delibera:
“1. Con nota del 17 settembre 2009, pervenuta al Consiglio in data 20 settembre 2011, il Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Catania, dott. G T, chiedeva al C.S.M. di pronunciarsi sull'individuazione del magistrato reggente l'ufficio.
A sostegno della richiesta esponeva che con sentenza n. 31280/2010 del TAR Lazio erano state annullate le delibere del C.S.M., del 12 marzo 2009, di conferimento degli incarichi di Procuratore aggiunto presso la Procura di Catania ai dottori M P e Marisa Scavo.
La sentenza era stata confermata dal Consiglio di Stato con decisione del 13 settembre 2011, n. 5119. In forza dell'immediata esecutività ex lege delle decisioni del giudice amministrativo, il dott. P, nel frattempo nominato Procuratore vicario, doveva considerarsi decaduto ope legis dalle funzioni di Procuratore aggiunto e, dunque, da quelle di Procuratore reggente.
Riteneva il dott. T, in qualità di Procuratore aggiunto più anziano in servizio nell'ufficio, di dover assumere la reggenza della Procura di Catania ai sensi dell'art. 109 O.G., nelle more della nomina e dell'insediamento del nuovo Procuratore della Repubblica, previa delibera del C.S.M., in tal senso sollecitata, nell'interesse del buon andamento dell'amministrazione e per evitare il compimento di atti viziati da parte del dott. P.
Con delibera del 10 dicembre 2008 il Consiglio ha chiarito che le sentenze di annullamento del giudice amministrativo, relative agli incarichi direttivi non sono auto esecutive, non si sostituiscono cioè in modo automatico all'azione amministrativa, e rimandano a ulteriori interventi attuativi del Consiglio.
La caratteristica propria delle decisioni del giudice amministrativo, nel caso in cui venga accolto il ricorso, consiste, infatti, nella circostanza che "essa non determina ex se la regolamentazione esaustiva della fattispecie amministrativa" (Cons. Stato sez. V 31 marzo 1992 n. 269), ma si sostanzia in un comando rivolto all'amministrazione che presuppone l'esplicazione di una nuova attività da parte di quest' ultima.
Del resto, anche le sentenze del Consiglio di Stato possono considerarsi definitive solo quando sia spirato il termine per un eventuale ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione, come più volte affermato dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007 n. 4112).
Alla stregua di quanto precede va ribadito che le funzioni di Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Catania sono legittimamente svolte dal dott. P e che nessuna modifica di detta situazione si è verificata in conseguenza delle decisioni del giudice amministrativo in precedenza citate che, in ogni caso, richiedono, per la loro operatività, conseguenti delibere del Consiglio superiore.
Tanto premesso, il Consiglio delibera di rispondere alla nota del dott. G T nel senso che le funzioni di Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Catania sono ancora legittimamente svolte dal dott. M P"».
Avverso la riprodotta deliberazione 5 ottobre 2011, del Plenum del Consiglio superiore della magistratura, il T ha proposto il ricorso in prime cure;con lo stesso ha anche richiesto sia accertato il suo diritto a reggere l'ufficio, nelle more della nomina e dell'insediamento del nuovo procuratore della Repubblica, ex art.109 r.d. 12/41, nonché il suo diritto al risarcimento del danno c.d. curriculare, all'immagine ed al prestigio professionale, derivato dall'adozione degli atti e dei provvedimenti impugnati.
Costituitosi il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della Magistratura, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata, redatta in forma semplificata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, sottolineando la perplessa ricostruzione dell’efficacia delle sentenze amministrative operata dal C.S.M.
Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le proprie doglianze.
Nel giudizio di appello, si è costituito G T, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Alla pubblica udienza del 10 giugno 2014, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello non è fondato e va respinto, meritando l’impugnata sentenza piena conferma.
2. - La valutazione operata dal primo giudice sulla reale efficacia delle sentenze del giudice amministrativo è del tutto condivisibile, mentre il gravame muove da un’erronea prospettazione giuridica, ossia quella per cui le sentenze di annullamento del giudice amministrativo delle delibere del C.S.M. relative al conferimento di uffici direttivi magistratuali non avrebbero natura autoesecutiva.
In sostanza, a parere delle parti appellanti, la sentenza demolitoria del giudice amministrativo, sebbene non sospesa, non produrrebbe alcun effetto diretto sui provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura che essa abbia annullato, finché l’organo di autogoverno non abbia autonomamente deciso di assumere atti di tipo conformativo e sostitutivo. Da tale erroneo convincimento è viziata la delibera del CSM del 10 dicembre 2008, annullata dal TAR.
Alla luce della citata delibera, il dott. P non sarebbe cessato dalle funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, ma avrebbe potuto, anzi dovuto continuare a svolgerle. L’odierno appellato, dunque, non avrebbe potuto invocare l’art. 109 D. 30 gennaio 1941, n. 12 Ordinamento giudiziario in forza del quale: “In caso di mancanza o di impedimento del procuratore della Repubblica, regge l'ufficio il procuratore aggiunto o il sostituto anziano”.
La detta ricostruzione non può essere accettata e, pertanto, ben a ragione il giudice di prime cure l’ha stigmatizzata, annullando la delibera del C.S.M. qui gravata.
L’effetto delle sentenze di annullamento del giudice amministrativo nella materia qui in scrutinio comportano l’eliminazione della delibera gravata dal mondo giuridico e, in parte qua, sono senz’altro autoesecutive: l'effetto giuridico si realizza immediatamente ed esclusivamente mediante l'emanazione della statuizione di annullamento da parte del giudice, senza bisogno che l'Amministrazione compia una consequenziale attività, materiale ovvero giuridica. Il principio trova un preciso addentellato normativo negli articoli 33, comma 2 c.p.a., che scolpisce il carattere dell’esecutività delle sentenza di primo grado e 111 c.p.a., che consente allo stesso Consiglio di Stato, in caso di eccezionale gravità ed urgenza, di sospendere gli effetti della sentenza impugnata.
Dalla sentenza di annullamento possono certamente discendere anche obblighi ripristinatori e conformativi per l’Amministrazione, derivanti dall'annullamento giurisdizionale dell'atto illegittimo, ma tali effetti sono un quid pluris rispetto all’effetto demolitorio, per ciò stesso autoesecutivo. Il T.A.R. non manca di rilevare in modo lineare come tali effetti si aggiungano eventualmente al primario effetto demolitorio, e non comportino certo la sospensione di quest’ultimo derivante ex lege dalla sentenza, in attesa che la parte resistente si determini a dare osservanza agli ulteriori suoi obblighi.
La delibera del CSM annullata dal T.A.R. è invece fondata sul convincimento che l’effetto demolitorio che discende della sentenza di annullamento del giudice amministrativo non sia in grado di prodursi autonomamente, ma necessiti sempre e comunque di una consequenziale attività da parte dell’Amministrazione. In concreto, il Consiglio superiore della Magistratura utilizza un’affermazione valevole in relazione all’eventuale fase successiva dell’esecuzione del giudicato per eliminare anche gli effetti immediati della pronuncia demolitoria, che invece non necessitano di alcun adempimento amministrativo. Affermare ciò equivale a svuotare le sentenze di annullamento del giudice amministrativo del loro contenuto precettivo, e costruire un effetto demolitorio come un quid pluris rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione, con la conseguenza che una simile statuizione, incapace di spiegare autonomamente la propria forza demolitoria, sarebbe con tutta evidenza inutiliter data. Se poi tale affermazione fosse circoscritta, come pare esserlo, alle sole delibere del CSM di annullamento del conferimento di uffici direttivi magistratuali, ciò significherebbe ritagliare un effetto demolitorio ad hoc solo per tali atti, sottraendoli in sostanza al sindacato del giudice amministrativo.
Gli effetti conformativi e ripristinatori non sono dunque effetti indefettibili della sentenza di annullamento, che ben può esaurirsi, come è accaduto per la sentenza di questa Sezione n. 5119 del 2011, nel mero effetto demolitorio, di talchè l’annullamento non potrà che essere ex se operante, non dovendo attendere alcuna successiva attività conformativa o ripristinatoria. In seguito alla pubblicazione di tale sentenza, la nomina del dott. P a Procuratore aggiunto è stata senz’altro annullata ed ha cessato dunque di operare, e ciò con effetto retroattivo. Nelle more per il conferimento del nuovo incarico il dott. T ha così correttamente invocato l’art 109 O.G. D’altronde, la ratio di tale norma nell’ordinamento giudiziario è chiaramente quella di sopperire ad un vuoto regolatorio, un vacuum normativo- che nella fattispecie si è creato in conseguenza del disposto annullamento- in nome e in applicazione del principio di continuità e buon andamento dell’azione amministrativa.
Alla stregua di quanto esposto, la delibera del CSM, confermando illegittimamente il dott. P nelle sue precedenti funzioni ha manifestamente disatteso il giudicato di annullamento del giudice amministrativo, con macroscopica violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa (artt. 97 e 98 e 28 Cost.), nonché del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt., 24, 101, 103 e 113 Cost.), posti correttamente a fondamento dell’annullamento nella sentenza gravata. D’altronde, l’insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza 8 settembre 1995 n. 419), quanto mai vivo ed attuale, ricorda che “una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell'esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un'inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto;e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta, pur se adottato da un organo avente rilievo costituzionale qual è il C.S.M. In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria”.
Priva di pregio è poi l’affermazione delle parti pubbliche appellanti secondo la quale la delibera impugnata, lungi dal disattendere, avrebbe prestato ossequio alla statuizione di codesto Consiglio di Stato riesercitando il potere, atteso che, nella fattispecie de qua, il C.S.M. non ha riesercitato alcun potere (vicenda che potrebbe emergere con l’emanazione di una nuova delibera di nomina) ma si è limitato a chiarire o, testualmente, “ribadire”, in risposta alla nota dell’odierno appellato, “che le funzioni di Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Catania sono legittimamente svolte dal dott. P”. In concreto, non vi è stata una nuova edizione del potere amministrativo, ma la perpetuazione della situazione di mancata ottemperanza alla sentenza di annullamento.
Pertanto, la sentenza del T.A.R. va pienamente confermata, in merito all’accertata illegittimità dell’azione del Consiglio superiore della Magistratura.
3. - Per completezza di esame, occorre evidenziare come la decisione qui assunta si pone in un ambito diverso da quello di applicazione dell’art. 2, comma 4, del decreto legge 24 giugno 2014 n.90 “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari”, attualmente in corso di conversione, che, modificando il secondo comma dell'articolo 17 della legge 24 marzo 1958 n. 195, dopo le parole: "del processo amministrativo", aggiunge i seguenti periodi: "Contro i provvedimenti concernenti il conferimento o la conferma degli incarichi direttivi e semi direttivi, il controllo del giudice amministrativo ha per oggetto i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere manifesto. Per la tutela giurisdizionale nei confronti dei predetti provvedimenti si segue, per quanto applicabile, il rito abbreviato disciplinato dall'articolo 119 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Nel caso di azione di ottemperanza, il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina l'ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere. Non si applicano le lettere a) e c) del comma 4 dell'articolo 114 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo n. 104 del 2010."
La detta disciplina non è infatti connessa alla vicenda in esame, atteso che, da un lato, non si verte in tema di conferimento o conferma degli incarichi direttivi e semi direttivi, in quanto si verte su funzioni di reggenza, mentre la vicenda del conferimento è stata già risolta con sentenza passata in giudicato e quindi intangibile;dall’altro, l’illegittimità in esame è quella di violazione di legge, stante la lesione della previsione degli articoli 33, comma 2, e 111 c.p.a., e quindi non oggetto di previsioni limitative.
L’inapplicabilità alla fattispecie in esame esime parimenti la Sezione dallo scrutinio, allo stato attuale, della compatibilità ordinamentale di norme di favore, derogatorie del principio di cui all’art. 113 della Costituzione.
4. - Venendo al profilo risarcitorio (e tralasciando la domanda di accertamento del diritto in capo all’originario ricorrente di reggere l'ufficio di procuratore della Repubblica di Catania a partire dal settembre 2011, che non è stata riproposta in secondo grado in quanto correttamente il T.A.R. aveva evidenziato la sua natura di diritto potestativo autonomo, conseguente alla pronuncia di annullamento), va parimenti ribadita la correttezza della decisione gravata, anche di fronte alle censure operate dalla parte appellata ed appellante incidentale, in rapporto alla mancata considerazione del danno subito.
Come correttamente evidenziato dal primo giudice, è evidente che il mancato svolgimento delle funzioni direttive, in via effettiva o vicaria, costituisca una lesione alla possibilità di fruire dello specifico parametro attitudinale, valutato nei concorsi per il conferimento d’incarichi direttivi o semidirettivi, ed è quindi corretto affermare che il provvedimento gravato gli ha arrecato un danno curriculare, all’immagine ed al profilo professionale.
Va peraltro evidenziato come “all'azione di risarcimento danni proposta dinanzi al giudice amministrativo si applica, ai sensi dell'art. 64 comma 1, c.p.a., il principio dell'onere della prova previsto nell'art. 2697 c.c., in virtù del quale spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni non sia corredata dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta” (C.d.S., III, 30 novembre 2011, n. 6342).
Nel caso in specie, la parte appellante in via incidentale ha unicamente fatto riferimento a generici criteri equitativi, richiamando giurisprudenza antecedente alla svolta del 2006 in tema di danno esistenziale, ed ha quindi fondamentalmente eluso la tematica probatoria.
5. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali, parzialmente compensate stante la reciproca soccombenza, sono liquidate in dispositivo in ragione della sola parte residua.