Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-07-02, n. 201503291

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-07-02, n. 201503291
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201503291
Data del deposito : 2 luglio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00317/2014 REG.RIC.

N. 03291/2015REG.PROV.COLL.

N. 00317/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 317 del 2014, proposto da:
Autorità garante della concorrenza e del mercato in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Metalmeccanica Fracasso s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati V C I, Maurizio Dell'Unto, A Mani, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Francesco Massi, 12;

nei confronti di

Marcegaglia Spa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 8674/2013, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione pecuniaria amministrativa per comportamento restrittivo della concorrenza.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale di Metalmeccanica Fracasso s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2015 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino e gli avvocati V C I e Maurizio Dell'Unto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti: Autorità), chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo del Lazio ha ridotto l’importo della sanzione irrogata alla Metalmeccanica Fracasso s.p.a., in relazione alle intese restrittive della concorrenza contrarie all'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, poste in essere con altre imprese attive nel mercato nazionale dei dispositivi metallici di sicurvia dal gennaio 2003 al maggio 2007.

La medesima società ha proposto avverso la sentenza appello incidentale, volto a chiedere la totale riforma della sentenza.

I) Con il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado (deliberazione 28 settembre 2012, n. 23931) l’Autorità ha concluso il procedimento iniziato, su segnalazione della Guardia di Finanza, il 13 gennaio 2010 nei confronti di Metalmeccanica Fracasso s.p.a., Varricchio – I.Me.Va. s.p.a., Tubosider s.p.a., Car s.r.l., San Marco s.p.a., Ilva Pali s.r.l. e Steam s.r.l., nonché del Consorzio Manufatti Stradali Metallici – Comast, costituito, ai sensi degli artt. 2612 segg. c.c., il 30 settembre 1994 con il dichiarato obiettivo di istituire e realizzare "una comune organizzazione volta a garantite la ricerca ed il mantenimento di standard qualitativi e produttivi" delle barriere stradali metalliche e posto in liquidazione a partire dal 17 maggio 2007. L’Autorità ha ritenuto sussistente un’intesa, sotto forma di accordo o pratica concordata, tra i principali produttori di barriere stradali finalizzata ad evitare un corretto confronto concorrenziale tra operatori e a condizionare, anche in maniera significativa, le dinamiche concorrenziali presenti non solo nel mercato dei prodotto in questione, ma anche a valle nel mercato della posa in opera delle barriere di sicurezza. Le riunioni del Comast sarebbero dunque servite a ripartire le vendite tra gli associati, con la suddivisione e l’indicazione delle commesse spettanti a ciascuno dei partecipanti, e a definire e aggiornare periodicamente un listino prezzi di riferimento.

Le imprese coinvolte nel procedimento sono state quindi sanzionate ai sensi dell’art. 15 della legge 10 ottobre 1990, n.287 ( Norme per la tutela della concorrenza e del mercato );
per quanto qui interessa, per la Metalmeccanica Fracasso s.p.a. la sanzione è stata quantificata in euro11.013.165,40.

II) La sentenza impugnata ha rilevato che:

a) l’art. 31 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 prevede espressamente che “ per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge novembre 1981, n. 689 ”;
tra queste, l’art. 28 pone il termine di prescrizione quinquennale , decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione, per la riscossione delle somme dovute, richiamando la disciplina civilistica per quanto riguarda l’interruzione delle prescrizione stessa. Nella fattispecie in esame, pur tenendo fermo l’inizio della decorrenza non oltre il maggio 2007, quando il Comast si è sciolto, l’atto di contestazione, notificato nel gennaio 2010 costituisce atto idoneo all’interruzione del termine;

b) poiché l’art. 31 della legge n. 287 del 1990 prevede l’applicazione delle norme generali di cui alla legge n. 698 del 1981 « in quanto applicabili », l'arco di tempo entro il quale l’Amministrazione deve provvedere alla notifica della contestazione va collegato non alla data di commissione della violazione, ma al tempo di accertamento dell'infrazione: di conseguenza, non sussiste la violazione dell’art. 14 della suddetta legge n. 689 del 1981, per il quale la contestazione delle violazioni assoggettata a sanzione amministrativa deve essere notificata "immediatamente", e comunque non oltre 90 giorni dalla data dell'accertamento. La segnalazione da parte della Guardia di Finanza è, infatti, pervenuta all’Autorità il 19 ottobre 2009, e il 13 gennaio 2010 l’Autorità ha deliberato l’avvio del procedimento, con una decisione comunicata il 21 gennaio, 94 giorni dopo, quindi entro un termine del tutto ragionevole in relazione alla complessità della fattispecie;

c) l’Autorità ha validamente utilizzato documenti acquisiti nel corso di un’indagine penale e trasmessi con l’assenso del magistrato penale;
l’istruttoria è stata particolarmente accurata, come si evince dall’appendice A al provvedimento impugnato, dove sono dettagliatamente descritti i documenti probatori acquisiti;

d) l’illiceità dell’intesa discende dall’oggettiva idoneità ad alterare o falsare la concorrenza, mentre gli effetti realmente prodotti sul mercato potranno rilevare in termini di gravità della stessa e, di conseguenza, di quantificazione della sanzione pecuniaria (la norma di cui all’art. 2 della l. n. 287 del 1990 è chiara nel richiedere la sola presenza dell'oggetto anticoncorrenziale, e non anche necessariamente dell'effetto);
l’Autorità ha legittimamente definito l’ambito del mercato rilevante, (la cui estensione, nell'ipotesi di un’intesa restrittiva della concorrenza, è successiva all'individuazione dell'intesa), identificandolo nel mercato nazionale dei prodotti metallici di sicurvia che, almeno nel periodo in riferimento, era caratterizzato dalla presenza di rilevanti ostacoli in ingresso, in particolare per le imprese straniere;

e) con lo strumento del Consorzio le imprese aderenti si prefiggevano di evitare un corretto confronto concorrenziale tra operatori, come emerge con insuperabile evidenza dalla massa di elementi documentali e di dichiarazioni testimoniali raccolte dall’Autorità;

f) accertata dunque la responsabilità della ricorrente, la quantificazione della sanzione in asserita applicazione degli “ orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'art. 23, par. 2, lett. a) del regolamento CE n. 1/2003 ” (di cui alla comunicazione della Commissione 2006/C, 210/02), appare commisurata alla gravità della sanzione sia in relazione alla dimensione geografica dell’intesa, sia al grado di partecipazione all’intesa, ma non, come avrebbe dovuto, al fatturato della società sanzionata: la Meccanica Fracasso ha conferito nel dicembre 2007 ad una diversa società (la Fracasso s.p.a.) non coinvolta nel procedimento, il ramo di azienda relativo alla produzione di cui trattasi, ed è il fatturato di quest’ultima che l’Autorità ha preso erroneamente in considerazione per commisurarvi l’importo della sanzione irrogata, che ha così abbassato a € 324.141,29 dagli originari € 11.013.165,40;.

III) Avverso la sentenza così riassunta hanno proposto appello sia l’Autorità, sia, via incidentale autonoma, la società Meccanica Fracasso.

La sentenza merita conferma per la parte relativa all’accertamento della condotta anticoncorrenziale, contestate con l’appello incidentale, che, per la parte relativa, deve essere respinto.

a.1) Innanzitutto, non è fondata la censura tesa a dimostrare l’intervenuta prescrizione della pretesa impositiva.

In punto di diritto, va considerato che, come ha rilevato il primo giudice, in coerenza con la giurisprudenza formatosi sul punto (cfr. le considerazioni di Cons. Stato, VI, 29 settembre 2009, n. 5864), la maggior durata dei procedimenti a tutela della concorrenza, derivante dalla complessità degli accertamenti richiesti, e la possibilità che la scoperta degli illeciti avvenga anche a distanza di tempo rispetto ai fatti sono elementi di difficile compatibilità con la fissazione di un termine massimo da riferire alla condotta: dunque anche per l'applicazione della sanzione.

A norma dell’art. 31 l. 10 ottobre 1990, n. 287 «per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689» .

La clausola legislativa di compatibilità ( «in quanto applicabili» ) impone di considerare che l’obiettiva difficoltà di accertare siffatte violazioni e l'esigenza di ricondurre a ordine i comportamenti anticoncorrenziali, specie se gravi o molto gravi, in modo tale da rendere effettivo il precetto di legge, insieme alla considerazione che le misure in questione hanno normalmente non solo una funzione, de praeterito , retributiva di sanzione ma anche la caratteristica de futuro , primaria ed essenziale, di regolazione pubblica di attività economiche a tutela delle condizioni generali di concorrenza (Cons. Stato, VI, 22 luglio 2014, n. 3893, dove si evidenzia che “l’attività accertativa non è istantanea, ma presuppone una serie di atti conoscitivi, a finalità patentemente regolatoria, nell’ambito dei quali non è individuabile quello a cui attribuire con la dovuta certezza l’effetto di costituire il momento iniziale della decorrenza del termine decadenziale” ) portano a considerare che è difficilmente compatibile con le misure medesime la rigida previsione di un termine di cinque anni, come quello individuato dall'art. 28 della legge n. 689 del 1981 per «le violazioni indicate dalla presente legge» quale termine di prescrizione «dal giorno in cui è stata commessa la violazione» per «il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni» , funzionale alla mera retribuzione sanzionatoria di comportamenti individuali e priva di apprezzamenti proporzionali a un dato mercato rilevante.

A ciò si accompagnano la considerazione del carattere tendenzialmente permanente dell’illecito anticoncorrenziale, dal carattere ripetuto dell’azione e dal bene protetto essenzialmente immateriale (e la prescrizione decorre dalla cessazione della permanenza: art. 158, primo comma, Cod. pen.);
come la considerazione che lo stesso evento (da cui decorre il termine) non è facilmente identificabile nel tempo.

Segue da tutto ciò che l’indagine circa la portata interruttiva o meno degli atti infraprocedimentali intervenuti nella fattispecie in esame risulta essenzialmente, ininfluente.

b.1) Infondata è anche la censura che ribadisce la decadenza dal potere di esercizio dell’attività sanzionatoria, in forza dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981.

La giurisprudenza afferma che l’art. 14 l. n. 287 del 1990 non prevede un termine di inizio del procedimento e non opera l’art. 14 l. n. 689 del 1981: infatti il richiamo, pur nei termini dell’applicabilità, delle disposizioni del Capo I, Sez. I e II, l. n. 689 del 1981 vale ai soli fini delle sanzioni amministrative pecuniarie, ma non per la disciplina della fase istruttoria del procedimento. (Cons. Stato, VI, 26 luglio 2001, n. 4118;
3 aprile 2009, n. 2092), in relazione alla quale la fattispecie è distintamente e autonomamente regolata (Cons. Stato, VI, 22 luglio 2014, n. 3893). Comunque, a tutto concedere, il tempo entro cui l'AGCM deve notificare la contestazione dell'art. 14 è collegato non alla commissione della violazione, ma al tempo di accertamento dell'infrazione, pertanto non già alla notizia del fatto sanzionabile, ma all'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita, implicante il riscontro dell'esistenza e della consistenza della infrazione e dei suoi effetti;
quindi dal compimento dell'attività di verifica dell'esistenza dell'infrazione, comprensiva delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi (Cons. Stato, VI, 2 febbraio 2012 n. 582;
5 agosto 2013 n. 4085;
22 luglio 2014, n. 3896). Anche sotto questo aspetto la particolare complessità del procedimento, e la conseguente necessità di modulare la scansione delle relative fasi, rende evidente come il preteso superamento (e per soli quattro giorni) del termine previsto dall’art. 14 sia ampiamente giustificato dalla considerazione che la decorrenza deve aver riguardo alla completa acquisizione, da parte dell’Autorità, della piena conoscenza della condotta illecita.

c.1) Pretestuoso appare il motivo dell’appello incidentale che si appunta sulla pretesa carenza di istruttoria, sia per avere l’Autorità utilizzato prove assunte nel procedimento penale, sia, conseguentemente, per mancanza di un autonoma attività valutativa. Come ha evidenziato il primo giudice, la mole dei riscontri documentali allegati agli atti del procedimento vale, da sola, a disattendere la fondatezza della censura, insieme all’evidente irragionevolezza della pretesa mirante a sminuire la portata degli elementi probatori assunti in sede penale. Non si tratta, invero, di dare automatici effetti alle valutazioni penali di quelle acquisizioni, ma di ritenerle utilizzabili nel procedimento qui in esame: per il che la legge non prevede preclusioni.

d.1 e.1) L’Autorità prima, e la sentenza impugnata poi, hanno esattamente delineato l’ambito del mercato nel quale ha avuto rilevanza l’intesa, e la natura anticoncorrenziale delle intese che hanno costituito l’oggetto effettivo dell’attività del Consorzio.

Vale, a questo proposito, rilevare come, per costante e condivisa giurisprudenza, l'individuazione del mercato rilevante , nel caso di intesa restrittiva della concorrenza vietata dall'art. 2 della legge n. 287 del 1990, è funzionale alla delimitazione dell'ambito nel quale l'intesa stessa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale (da ultimo, Cons. Stato, VI, 26 gennaio 2015, n. 334), e che la relativa estensione e definizione spetta all'Autorità nella singola fattispecie, all’esito di una valutazione non censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca.

Nel caso in esame, nella valutazione dell’Autorità non è dato rilevare aporie logiche, per le ragioni tutte evidenziate dalla sentenza impugnata, che ripercorre il percorso argomentativo secondo il quale il mercato rilevante è stato correttamente definito come quello delle barriere metalliche di sicurvia, aventi caratteristiche non fungibili da parte di analoghi dispositivi in altri materiali, avente estensione nazionale, in forza delle particolari difficoltà di ingresso da parte di imprese straniere.

Quanto alla natura delle decisioni assunte durante le riunioni del Consorzio, alle quali ha partecipato l’appellante, è sufficiente ricordare che frutto ne è stata la definizione e l’aggiornamento di un apposito prezziario al quale adeguare le offerte da proporre nelle future gare: tale considerazione è sufficiente a riconoscere la portata delle intese così raggiunte, in forza delle quali veniva posto nel nulla qualsiasi confronto quantomeno tra le partecipanti (che esaurivano in pratica l’ambito dei soggetti agenti nel mercato di riferimento), con evidenti effetti distorsivi del meccanismo concorrenziale.

Rispetto a una tale evidenza nessun valore possono assumere né il concreto esito delle gare, né gli ulteriori sviluppi dell’azione o dei fatturati delle imprese partecipanti. Infatti, come bene ricorda il Tribunale amministrativo, la qualificazione in termini di illiceità della condotta esaminata prescinde dagli effetti concreti della stessa, discendendo dalla sua oggettiva idoneità ad alterare la concorrenza.

In presenza di un oggetto anticoncorrenziale non è, in altre parole, indispensabile ai fini sanzionatori anche l'individuazione degli effetti restrittivi, come si desume anche dal tenore letterale dell'art. 2 della legge n. 287 del 1990 secondo cui sono vietate le intese che hanno « per oggetto o per effetto » una restrizione della concorrenza.

Perciò la sola partecipazione di un'impresa alle riunioni nel corso delle quali sono stati definiti gli elementi dell'intesa vietata rappresenta un dato che non consente a tale impresa di invocare poi la propria estraneità rispetto alla fattispecie oggetto di sanzione: a meno che essa non si sia manifestamente opposta alla pratica che si andava in modo evidente delineando, ovvero riesca persuasivamente a dimostrare che la sua partecipazione alle riunioni non si sia connotata di alcuno spirito anticoncorrenziale (per tutte, Cons. Stato, VI, 4 settembre 2014, n. 4506), il che, nella fattispecie in esame, non si è verificato.

Per la parte esaminata l’appello incidentale è dunque infondato.

IV) Restano da esaminare le censure, pure contenute nell’appello incidentale, relative alla quantificazione della sanzione.

Poiché questa parte della sentenza forma anche l’oggetto (esclusivo) dell’appello proposto dall’Amministrazione, il Collegio esamina congiuntamente le censure svolte con entrambi i gravami.

1) Sostiene l’Amministrazione che la sentenza avrebbe errato nell’accogliere la censura secondo la quale l’Autorità avrebbe commisurato l’importo della sanzione al fatturato realizzato dalla Fracasso s.p.a., alla quale il ramo d’azienda era stato conferito dalla società Metalmeccanica Fracasso nel dicembre 2007.

In realtà, secondo il primo giudice, il fatturato da prendere in considerazione avrebbe dovuto essere quello di quest’ultima società, di ben minore consistenza nel 2011.

La censura svolta sul punto dall’Amministrazione è fondata.

E’ evidente, infatti, che, essendosi svolta l’attività sottoposta ad indagine dal gennaio 2003 al maggio 2007, legittimamente l’Autorità ha parametrato la sanzione sul fatturato della società attiva nell’ultimo anno in cui è avvenuta l’infrazione, e sul fatturato della Fracasso s.p.a. per l’anno 2011, coerentemente con quanto prevedono l’art. 15 della legge n. 287 del 1990 e il punto 13 degli Orientamenti per il calcolo delle ammende di cui alla comunicazione della Commissione 2006/C 210/02. Del resto, ammettere che attraverso cessioni del tipo di quella posta in essere dalla Metalmeccanica Fracasso si possa influire sull’intera entità del provvedimento sanzionatorio significherebbe avallare comportamenti elusivi del portato normativo: l’importo della sanzione va parametrato ai dati oggettivi dell’attività di impresa indipendentemente dalle sue successive ripartizioni formali. Diversamente, la determinazione della sanzione rimarrebbe retrospettivamente condizionata, e per opzione del soggetto da sanzionare, dal velo del nuovo organismo societario con il suo minor fatturato. Il che sarebbe sproporzionato e irragionevole, perché sottrarrebbe un parametro di riferimento essenziale del calcolo della sanzione, posto che – a bene considerare l’effettività economica - del comportamento anticoncorrenziale beneficia l’intera impresa, non la singola società: il che del resto è confermato dal fatto che qui rimane in vita la società madre, che pure ha partecipato agli accordi illeciti.

Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata merita la riforma chiesta con l’appello principale.

2) Peraltro, anche l’appello incidentale è, sul punto, fondato.

L’indubbia gravità del comportamento sanzionato non sminuisce il dovere, per l’Autorità, di considerare l’effettività dei ricavi conseguiti dal soggetto che tale comportamento ha posto in essere per effetto dell'illecito contestato, nonché l’entità del suo eventuale apporto all'intesa stessa.

Se tali elementi, come detto, non influiscono sull’imputabilità dell’illecito e sulla definizione dell’intesa nei termini che si sono visti, rilevano tuttavia ai fini della quantificazione della concreta sanzione da irrogare al soggetto attore dell’intesa. Nella fattispecie in esame, non risultano adeguatamente specificati dall’Autorità, appunto, i ricavi conseguiti dalla società sanzionata per effetto del comportamento illecito, e l’apporto della stessa alla formazione dell’intesa illecita

In tali termini l’appello incidentale è fondato. Ne consegue l’annullamento dell’ammontare della sanzione impugnata in primo grado.

Tuttavia il Collegio, anche se nella controversia in oggetto esercita giurisdizione di merito ai sensi dell’art. 134, comma 1, lettera c) del Codice del processo amministrativo, ritiene opportuno demandarne la concreta nuova quantificazione all’Autorità, in rinnovazione del procedimento per la parte in esame, per modo che siano presi in dettagliata considerazione tutti gli elementi rilevanti.

V) In conclusione, gli appelli sono in parte fondati e vanno accolti nei sensi e nei limiti di cui sopra.

Il senso della decisione giustifica la compensazione delle spese di lite anche per questo secondo grado del giudizio.

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