Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-06-11, n. 202405183

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-06-11, n. 202405183
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202405183
Data del deposito : 11 giugno 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/06/2024

N. 05183/2024REG.PROV.COLL.

N. 07410/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7410 del 2023, proposto da
Borgo Monte Pugliano s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati V D V e G V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero delle Imprese e del Made in Italy , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Intesa Sanpaolo s.p.a. (già Ubibanca s.p.a.), Agenzia delle Entrate - Riscossione, Agenzia delle Entrate - Riscossione - Provincia di Napoli, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 3257/2023, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Imprese e del Made in Italy ;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. G P e udito per la parte appellante l’avvocato G V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso del 2019 la società Borgo Monte Pugliano s.r.l. ha chiesto al Tar per la Campania l’annullamento:

- della delibera n. 4273 del 28.03.2019 del Ministero dello Sviluppo Economico avente ad oggetto la revoca del provvedimento n. 0105897 del 30.11.2001 di concessione provvisoria delle agevolazioni in favore della ricorrente;

- della nota del Ministero dello Sviluppo Economico del 2 aprile 2019, di trasmissione del predetto decreto n. 4273 del 28.3.2019;

- della comunicazione, a mezzo pec del 05.04.2019, della Ubi Banca – Unione di Banche Italiane s.p.a. avente ad oggetto il decreto di revoca n. 4273 del 28.03.2019, nonché dell’allegato decreto di revoca delle agevolazioni;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente e successivo e/o comunque connesso.

1.1 Veniva altresì chiesta la declaratoria dell’avvenuta prescrizione del diritto di esigere la somma alla cui restituzione erano preordinati i provvedimenti impugnati.

1.2 Con ricorso per motivi aggiunti la società Borgo Monte Pugliano s.r.l. ha chiesto anche l’annullamento:

-della cartella di pagamento n. 071 2019 01342630 81 000 emessa dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, Agente della Riscossione Prov. di Napoli e notificata in data 20.12.2019, per il recupero coattivo di crediti anno 2019 del Ministero dello Sviluppo Economico, e con la quale si ingiunge al Borgo Monte Pugliano s.r.l. il pagamento, entro 60 gg. dalla notifica, della somma complessiva di € 701.101,50;

-di ogni altro atto presupposto, conseguente e successivo e/o comunque connesso.

1.2.1 Veniva altresì ribadita la richiesta di declaratoria dell’avvenuta prescrizione del diritto di esigere la somma alla cui restituzione erano preordinati i provvedimenti impugnati.

2. Parte appellante così sintetizza le premesse in fatto:

- in data 31.5.2001 l’appellante presentava la domanda n. 86606/11 di ammissione alle agevolazioni di cui alla l. n. 488/1992 per lo sviluppo delle attività produttive nelle aree depresse del territorio nazionale al fine di realizzare un programma di investimenti nel settore turistico alberghiero, e precisamente per la realizzazione di un complesso immobiliare denominato “Aquapetra”, con sede in Telese Terme (BN);

- a seguito del positivo esito dell’istruttoria condotta da Ubibanca (già Centrobanca s.p.a.) – cui il d.m. 527 del 20.10.1995 (Regolamento delle modalità di erogazione delle agevolazioni previste dalla l. n. 488/1992) ha demandato in qualità di banca concessionaria, funzioni istruttorie, di acquisizione documentale e di verifica – con decreto n. 105897 del 30.11.2001 il Ministero ammetteva l’appellante alle agevolazioni richieste, concedendo in via provvisoria un contributo di L. 3.733.050,00 (€ 1.927.959,42), da erogarsi in tre quote annuali, pari a L. 1.244.350,00 (€ 642.653,14);

- in data 18.3.2003 veniva erogata in favore dell’appellante, a titolo di anticipazione, la prima quota annuale, pari ad € 642.653,14 e, in data 30.4.2004, la banca concessionaria dava inizio alle prime attività di verifica;

- in data 16.12.2005 l’appellante comunicava al Ministero e alla banca di aver ultimato, alla data del 25.11.2005, il programma di investimenti incentivato, inoltrando in data 1.6.2006 la relativa documentazione finale di spesa;

- in data 4.9.2006 l’appellante comunicava alla banca di voler rinunciare alle agevolazioni erogate ai sensi della l. n. 488/1992, chiedendo contestualmente di conoscere l’ammontare degli importi da restituire, comprensivi di interessi legali;

- in data 13.9.2006, a riscontro della rinuncia formulata dall’appellante, la banca, in nome e per conto del Ministero, chiedeva all’appellante di procedere alla restituzione dei contributi percepiti nell’importo di € 735.233,22 di cui € 642.653,14 a titolo di contributo erogato, € 37.678,26 a titolo di rivalutazione ISTAT e € 54.901,82 a titolo di interessi legali maturati sugli importi dalla data di erogazione della prima quota di finanziamento;

- con nota del 20.10.2006 l’appellante chiedeva alla banca e al Ministero di poter effettuare la restituzione della quota in 24 rate mensili di pari importo a partire dal 30 novembre 2006 e sino al 31 ottobre 2008;

- a tale richiesta non seguiva alcun riscontro da parte né della banca né del Ministero;

- soltanto in data 2.4.2019, e dunque 13 anni dopo l’intervenuta rinuncia alle agevolazioni formalizzata dall’appellante, in assenza di qualsivoglia preventivo avviso e/o comunicazione, il Ministero notificava a quest’ultima il decreto n. 4273 del 28.3.2019 di revoca delle agevolazioni concesse in via provvisoria con il D.D. n. 0105897 del 30.11.2001;

- in particolare, con il decreto, il Ministero disponeva la revoca delle agevolazioni concesse nell’importo di € 642.653,14 oltre rivalutazione e interessi dalla data dell’erogazione alla data della restituzione;

- facendo seguito al decreto di revoca, con comunicazione del 5.4.2019 la banca chiedeva la restituzione, entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione, della somma complessiva di € 1.013.988,67, da maggiorarsi di ulteriori € 17,49 per ogni giorno di ritardo nel versamento.

3. A sostegno dell’impugnativa venivano formulati i seguenti motivi di ricorso:

I. Con il primo motivo di ricorso veniva dedotta la nullità del decreto ai sensi dell’art. 21- septies della l. n. 241/1990 per carenza dei requisiti essenziali o comunque la sua illegittimità per l’inesistenza del suo oggetto, ovvero il rapporto concessorio tra il Ministero e l’appellante, venuto meno con la rinuncia alle agevolazioni da parte dell’appellante. Oltre a ciò, veniva dedotta l’illegittimità del decreto per intervenuta prescrizione del diritto alla riscossione del Ministero.

II. Con il secondo motivo di ricorso l’appellante censurava il decreto per la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.m. 527 del 20.10.1995 nella parte in cui ha ritenuto inefficace la rinuncia all’agevolazione in ragione della mancata restituzione delle somme, non ravvisandosi alcuna norma di legge che subordini la validità ed efficacia dell’atto di rinunzia alle agevolazioni al rimborso delle somme finanziate o ad altre specifiche condizioni. Veniva altresì dedotta la violazione del legittimo affidamento.

III. Con il terzo motivo di ricorso si censurava la violazione del principio di correttezza, buon andamento e trasparenza, nonché il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.

IV. Con il quarto motivo di ricorso venivano dedotti il vizio di motivazione e la carenza di istruttoria del decreto, stante l’infondatezza dei motivi posti a fondamento del medesimo basati su presunti inadempimenti in realtà inesistenti.

V. Con il quinto motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione e la carenza di istruttoria del decreto nella parte in cui era stata allegata la mancata trasmissione della dichiarazione finale di spesa, regolarmente trasmessa in data 1.6.2006.

VI. Con il sesto motivo di ricorso si deduceva l’illegittimità del decreto perché la sua adozione non era stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento.

3.1 Con ricorso per motivi aggiunti l’appellante impugnava la cartella di pagamento con la quale le veniva ingiunto il pagamento della somma complessiva di € 701.101,50, comprensiva di oneri di riscossione e diritti di notifica, deducendo motivi di illegittimità derivata nonché violazione dei principi di correttezza e buona fede, non essendo l’Amministrazione legittimata a procedere alla riscossione coattiva di un presunto credito, sulla base di un titolo esecutivo ancora sub iudice .

4. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Ministero dello Sviluppo Economico rilevando l’infondatezza della domanda.

5. Con sentenza n. 3257/2023 il Tar per la Campania: a) ha respinto il ricorso principale e quello per motivi aggiunti, nella parte in cui deduce vizi di illegittimità derivata della cartella di pagamento;
b) ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione per la restante parte il ricorso per motivi aggiunti.

6. Avverso la citata sentenza n. 3257/2023 del Tar per la Campania ha proposto appello la società Borgo Monte Pugliano s.r.l. per i motivi che saranno più avanti esaminati.

7. Si è costituito in giudizio il Ministero delle Imprese e del Made in Italy chiedendo il rigetto dell’appello.

8. Con ordinanza n. 4137/2023 la Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata subordinandola alla condizione risolutiva della prestazione di idonea cauzione pari al totale delle somme richieste alla parte appellante.

9. All’udienza del 16 maggio 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo . Violazione e falsa applicazione degli artt. 29, 31 e 34 c.p.a., dell’art. 21- septies della l. n. 241/1990 e/o dell’art. 21- octies della legge n. 241/1990, nonché degli artt. 1334, 1335, 2033, 2946 c.c. Contraddittorietà intrinseca della motivazione. Erronea valutazione degli atti e dei documenti di causa.

L’appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto i primi due motivi di ricorso in primo grado dopo: a) aver riconosciuto la natura concessoria del rapporto sorto a seguito della erogazione delle agevolazioni;
b) aver escluso che la rinuncia potesse acquisire valore di atto unilaterale recettizio idoneo a produrre un effetto estintivo del rapporto;
c) aver ritenuto sussistenti e tempestivi i poteri esercitati dall’Amministrazione.

1.1 Secondo l’appellante il Tar ha commesso un primo errore nel ritenere la rinuncia inidonea a produrre effetti.

In particolare si sostiene che:

- la qualificazione pubblicistica o privatistica del rapporto in esame è irrilevante ai fini del perfezionamento e dell’efficacia dell’atto di rinuncia formalizzato dall’appellante, il quale si risolve in un atto giuridico unilaterale (a) con il quale un soggetto (il rinunciante) esercita il potere (unilaterale) di abdicare alla situazione giuridica soggettiva sostanziale di cui è titolare e (b) per il cui perfezionamento non sono richiesti né l’intervento, né l’espressa accettazione, né una valutazione riservata dell’Amministrazione;

- la rinuncia alla agevolazione costituisce manifestazione del principio dispositivo sostanziale, che è a sua volta espressione del potere esclusivo della parte di disporre del suo interesse materiale sotto ogni aspetto (Ad. Plen. n. 5/2015) e che trova applicazione a prescindere dalla qualificazione – in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo – dell’interesse materiale oggetto dell’atto dispositivo compiuto dal privato;

- trattasi di un atto unilaterale recettizio a destinatario determinato che rientra nella più ampia categoria di « ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona »;
categoria, quest’ultima, cui trova applicazione la disciplina generale dettata dal codice civile agli artt. 1334 e 1335 di cui è in questa sede censurata la violazione e falsa applicazione;

- ai sensi dell’art. 1334 c.c. gli atti unilaterali producono effetto « dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati » e, ai sensi del successivo art. 1335 c.c., tali atti si « reputano conosciuti nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario »;

- quanto detto vale anche nei procedimenti amministrativi e, più in generale, nei rapporti giuridici pubblicistici avviati su istanza dei privati che intendano conseguire un vantaggio dalla P.A. (ed è questo il caso), come chiaramente evincibile anche dall’art. 2 della legge n. 241/1990, il cui comma 1 dispone che il procedimento amministrativo può essere avviato su istanza di parte e il cui successivo comma 6 dispone, a sua volta, che « i termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte »;

- se il procedimento può essere avviato su richiesta del privato, allora non v’è dubbio che lo stesso procedimento avviato su impulso del privato possa essere anche rinunciato dal rispettivo istante con atto unilaterale recettizio;

- e, allo stesso modo, non v’è dubbio che oggetto di analoga rinuncia possa essere anche il provvedimento favorevole che l’Amministrazione abbia assunto nei confronti del rispettivo istante. Quanto detto trova conferma: (i) nel fatto che diritto soggettivo e interesse legittimo costituiscono situazioni giuridiche soggettive pari ordinate;
(ii) nel caso di specie, nell’art. 2 del Regolamento e nell’art. 5, lett. d) della Circolare n. 900315 del 14 luglio 2000, i quali, con specifico riferimento alle agevolazioni di cui alla l. n. 488/1992, contemplano espressamente il diritto, per il rispettivo richiedente/beneficiario, di rinunciarvi, senza subordinare l’esercizio della rinunzia ad alcuna peculiare formalità e, men che meno, all’accettazione da parte dell’ente erogante;
(iii) nel fatto che la pretesa originariamente azionata ha ad oggetto interessi economici (come tali disponibili), non anche interessi morali o personalissimi, rispetto ai quali il bene oggetto di protezione è indisponibile.

1.2 L’appellante continua sostenendo che:

- a sostegno della tesi opposta non può argomentarsi, come fa il primo giudice, che l’inidoneità della rinuncia ad incidere sul rapporto concessorio sarebbe corroborata dalla circostanza che la ditta non ha provveduto in alcun modo alla restituzione delle somme stesse;

- con tale statuizione il Tar ha anzitutto introdotto ‘in via pretoria’ un requisito da cui far dipendere il perfezionamento dell’efficacia dell’atto di rinuncia (ovvero: la restituzione delle somme) che non è contemplato da nessuna vigente disposizione normativa;

- il Tar ha commesso l’ulteriore errore di non considerare che l’obbligo di restituzione delle somme concesse in via provvisoria è la conseguenza dell’effetto giuridico prodotto dall’atto unilaterale di rinuncia al contributo inizialmente concesso, il cui perfezionamento fa sorgere un nuovo e diverso rapporto giuridico, nell’ambito del quale la P.A. non esercita alcun potere autoritativo, ma dispone di un diritto (di credito) alla ripetizione delle somme inizialmente corrisposte (a titolo di indebito oggettivo) il cui esercizio è sottoposto all’ordinario termine decennale di prescrizione di cui agli artt. 2033-2946 c.c.

1.3 L’appellante sostiene, quindi, l’erroneità anche della parte della sentenza in cui il Tar ha motivato il rigetto del ricorso di primo grado affermando che « il precedente invito alla restituzione rivolto alla ditta subito dopo la dichiarata rinuncia, nel 2005, ha avuto una valenza di mera diffida alla restituzione del contributo in quanto ormai indebito, stante la inidoneità della rinuncia ex se a determinate il venir meno del rapporto concessorio » e che « tale considerazione è corroborata dalla circostanza che la ditta non ha provveduto in alcun modo alla restituzione delle somme stesse » (p. 12 della sentenza), non essendo il comportamento inerte del debitore idoneo a evitare il maturarsi del termine di prescrizione, che dipende unicamente dal mancato esercizio del diritto da parte del rispettivo titolare.

1.4 Sotto un ulteriore profilo l’appellante censura la sentenza anche perché assunta su presupposti giuridici e fattuali erronei. In particolare si sostiene che:

- il decreto di revoca avrebbe dovuto essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 21- septies della legge n. 241/1990 e/o avrebbe dovuto essere annullato ai sensi dell’art. 21- octies della legge n. 241/1990, in quanto: (i) era privo di oggetto (essendo il rapporto venuto meno per effetto della rinuncia);
(ii) era privo dei presupposti (rapporto giuridico rinunciato);
(iii) adottato in violazione e falsa applicazione degli artt. 2033-2946 c.c. e viziato da sviamento di potere, in quanto il diritto alla riscossione delle somme, che l’asserita revoca è preordinata a recuperare, si è prescritto per decorrenza dell’ordinario termine decennale di prescrizione.

1.4 L’appellante, infine, sostiene che quanto dedotto vale anche in relazione al capo della sentenza che ha rigettato i motivi aggiunti nella parte in cui censuravano i vizi di illegittimità derivata della cartella di pagamento.

2. Il motivo è infondato.

È pacifica in giurisprudenza la configurazione dell'atto amministrativo di erogazione della sovvenzione come provvedimento di natura concessoria, con cui la P.A. attribuisce al destinatario vantaggi economici, al termine di un procedimento amministrativo finalizzato all'accertamento della sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per la corresponsione del beneficio. Alla base si pone una valutazione discrezionale dell'Amministrazione, svolta comunque non solo a tutela dei singoli interessi privati, ma anche e soprattutto in vista della tutela di interessi collettivi di promozione economica e sociale.

L'effetto tipico della concessione è l'attribuzione al privato di utilità patrimoniali o anche non patrimoniali, rispetto alle quali il privato in origine non vanta alcun diritto. Egli è titolare di interessi legittimi che nascono in conseguenza della presentazione della domanda di concessione e vivono nel relativo procedimento.

Si discute molto sulla natura giuridica della concessione, anche considerandone i molteplici esempi o le molteplici figure, in relazione alla diversità dell’oggetto. Con particolare riferimento alle concessioni di beni, figura cui è ricondotta (sebbene con delle peculiarità –v. Cons. St., Ad. plen. 6 del 2014) la concessione di un contributo ovvero di denaro pubblico, secondo una nota teoria essa ha natura mista di concessione-contratto. Secondo un diverso orientamento, le dichiarazioni di volontà della P.A. e del singolo si concretano in due atti distinti unilaterali, dei quali è solo l'atto espressione della volontà dell'Amministrazione a far sorgere il rapporto concessorio mentre l’atto del privato costituisce un semplice presupposto che ne condiziona l’efficacia a seconda che intervenga prima o dopo l'atto di concessione.

In ogni caso, senza entrare nel merito dei diversi orientamenti, la fattispecie concessoria risulta dalla combinazione di due momenti giuridici. Uno di assenso identificabile nell'atto unilaterale mediante il quale l'Amministrazione accerta la rispondenza della concessione al pubblico interesse. L’altro paritetico rappresentato da una convenzione bilaterale di diritto privato, integrativa del contenuto della determinazione unilaterale della P.A. in relazione ai profili patrimoniali.

Di fatto le erogazioni di sovvenzioni sono disciplinate come provvedimenti, con tutto ciò che ne consegue, sia sul piano del diritto sostanziale sia su quello del diritto processuale.

Il rapporto oggetto della presente controversia ha natura concessoria e la finalità pubblica, per la quale è erogato il contributo, ne pervade anche la fase successiva al momento dell’erogazione.

In questa prospettiva, è quanto meno dubbio che la mera rinuncia del privato alla sovvenzione sia sufficiente a porre nel nulla l’intero rapporto. Il rapporto concessorio, come si è visto, nasce dall’atto autoritativo dell’Amministrazione e può sciogliersi unicamente in presenza di una nuova determinazione della stessa Amministrazione.

Tale conclusione è implicitamente confortata dalla recente statuizione della Sezione (Cons. Stato, Sez. VI, 03/05/2024, n. 4031) secondo la quale la revoca di un contributo per il mancato rispetto del termine di rendicontazione non ha natura automatica, ma deve essere disposta con provvedimento avente effetti costitutivi, in conformità con le disposizioni normative vigenti.

La concessione di un contributo ha natura costitutiva. Per porla nel nulla occorre un provvedimento, di segno opposto, che abbia ugualmente valore costitutivo. Il mero silenzio non ha tale valore.

Il discorso investe il tema delle vicende giuridiche e il problema, che ciclicamente riaffiora, della (ir)rinunciabilità dell’interesse legittimo.

2.1 Risulta incompatibile con i principi esposti, la ricostruzione di parte appellante volta a qualificare la comunicazione del 4.9.2006 come atto di rinuncia risolventesi in un atto giuridico unilaterale con il quale è stato esercitato il potere (unilaterale) di abdicare alla situazione giuridica soggettiva sostanziale di cui è titolare.

Come detto, non è possibile che un atto del genere produca effetti senza che l’Amministrazione torni sull’originario potere concessorio esercitato per porlo nel nulla alla luce di precise condizioni.

Né tale atto può essere ricondotto alla disciplina degli artt. 1334 e 1335 del codice civile. Tali articoli, nel disciplinare gli effetti degli atti unilaterali, si riferiscono agli effetti che l’atto produce nei confronti dell’emittente. Gli effetti rispetto al destinatario sono quelli previsti dai principi appena richiamati in materia di concessioni amministrative e, in particolare, di concessione di agevolazioni (nella specie: l’avvio di un procedimento che porti a rivedere i contenuti dell’originario potere concessorio esercitato).

2.2 Ma anche a voler seguire l’impostazione di parte appellante, che riconduce la fattispecie alle categorie del diritto privato e che ricostruisce la fattispecie nei termini della rinuncia (non di un interesse legittimo ma) di un diritto soggettivo, occorre rilevare che la comunicazione del 4.9.2006 potrebbe, al più, assumere la funzione di un recesso dalla convenzione bilaterale di diritto privato, integrativa del contenuto della determinazione unilaterale della P.A. Ma un diritto di recesso (argomentando ex art. 1373 del codice civile) avrebbe trovato eventualmente spazio prima dell’inizio dell’esecuzione del rapporto: ma non è questo il caso visto che la comunicazione del 4.9.2006 è stata inviata 3 anni dopo l’erogazione delle somme. In ogni caso, quand’anche ipotizzabile, l’esercizio del diritto di recesso non fa venir meno la necessità che l’Amministrazione rivedesse i contenuti dell’originario potere concessorio esercitato.

2.3 Sempre a voler seguire l’impostazione di parte appellante, occorre in ogni caso rilevare che l’atto definito come “rinuncia” non può essere considerato come rinuncia, ai fini che in questa sede rilevano, perché mancava l’offerta di restituzione delle somme.

Nel decreto impugnato si legge testualmente: « considerato che la predetta rinuncia non è stata perfezionata in quanto l’impresa non ha provveduto a restituire contestualmente le somme percepite nel corso dell’iter agevolativo ».

La comunicazione del 4.9.2006, da sola considerata, non era in grado di sortire alcun effetto. Sarebbe stata necessaria quanto meno un’offerta reale delle somme dovute (argomentando ex art. 1209 del codice civile) fino a giungere alla messa in mora del creditore (art. 1206 del codice civile).

L’appellante si è adagiato sulla non risposta della banca alla richiesta di rateizzazione. Ma questo non è sufficiente a produrre l’effetto di tenere per sé quanto riscosso malgrado l’avvenuta “rinuncia” alle stesse.

Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, il Tar non ha introdotto ‘in via pretoria’ un requisito da cui far dipendere il perfezionamento dell’efficacia dell’atto di rinuncia. Ha esplicitato le condizioni che avrebbero reso accettabile, in linea di principio, la ricostruzione di natura meramente privatistica operata da parte appellante.

2.4 Mette conto notare che nella specie non può invocarsi la prescrizione del credito (essendo trascorsi circa tredici anni tra il decreto di concessione del contributo provvisorio e la revoca dello stesso).

La prescrizione inizia a decorrere solo dalla data del provvedimento di revoca ed il relativo termine è decennale.

Come chiarito, in motivazione, da Cass. civile, sez. III, 04/05/2009, n. 10205 « il termine di prescrizione del diritto del Ministero alla restituzione dei contributi non può farsi ovviamente decorrere dalla data del versamento dei contributi medesimi -come asserito dalla ricorrente - bensì dalla data in cui si siano verificate le circostanze di diritto e di fatto da cui deriva il diritto richiederne la restituzione (nella specie, dalla data del provvedimento di revoca del contributo) ».

Nel caso di specie, evidentemente, si applica il termine ordinario di prescrizione decennale vigente nell’ordinamento italiano che, come emerge dagli atti, alla data di emissione del decreto di revoca non era ancora spirato. Sul punto si veda l’insegnamento di Cass., sez. VI, 09/10/2017, n. 23603: In tema di contributi pubblici, qualora il difetto della “ causa solvendi ” sopravvenga all’erogazione del contributo, il diritto dell’Amministrazione alla restituzione non può sorgere nel momento della percezione del contributo da parte del privato, ma solo nel momento della revoca in cui, a seguito della scoperta e dell’accertamento dell’illegittimità dell’erogazione, l’indebito si è concretizzato, sicché è da tale momento che decorre il termine decennale di prescrizione dell'azione di ripetizione.

2.5 Quanto esposto toglie fondamento alle tesi di parte appellante secondo cui il decreto di revoca avrebbe dovuto essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 21- septies della legge n. 241/1990 e/o avrebbe dovuto essere annullato ai sensi dell’art. 21- octies della legge n. 241/1990, in quanto privo di oggetto, privo dei presupposti, adottato in violazione e falsa applicazione degli artt. 2033-2946 c.c. e viziato da sviamento di potere, in quanto il diritto alla riscossione delle somme che l’asserita revoca è preordinata a recuperare si sarebbe prescritto per decorrenza dell’ordinario termine decennale di prescrizione.

2.6 Quanto esposto esclude l’esistenza di in fondamento dei vizi di illegittimità derivata della cartella di pagamento.

3. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo . Violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 34 c.p.a., degli artt. 21- quinquies , 21- octies e 21- nonies della legge n. 241/1990, del principio generale di tutela del legittimo affidamento. Contraddittorietà intrinseca della motivazione. Erronea valutazione degli atti e dei documenti di causa.

L’appellante sostiene che:

- il provvedimento di revoca del beneficio deve essere inquadrato quale annullamento d’ufficio, soggetto ai limiti di cui all’art. 21- nonies della l. n. 241/1990, ovvero: le ragioni di pubblico interesse, la ponderazione di tutti gli interessi in gioco ed il limite temporale del termine ragionevole;

- l’Amministrazione ha avuto contezza della causa della (presunta) revoca del beneficio a far data dalla comunicazione, da parte dell’appellante, dell’esercizio della revoca avvenuta in data 4.9.2006;
comunicazione, quest’ultima, che è stata riscontrata dalla banca, “in nome e per conto del Ministero”, con nota del 13.9.2006;

- l’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione erogante è avvenuto ben 13 anni dopo la conoscenza, da parte di quest’ultima, della causa ostativa alla corresponsione del contributo;

- l’Amministrazione ha agito in violazione del principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo;

- i principi enucleati dalla giurisprudenza a con specifico riguardo alla revoca di benefici erogati ai sensi della l. n. 488/1992, trovano applicazione anche con riferimento alla c.d. “clausola di provvisorietà”, che connota la concessione di tali contributi e che equivale ad una “condizione risolutiva” che si risolve, infatti, nel potere pubblico di ripetere, in caso di controllo culminante in una valutazione negativa (in ordine alla sussistenza e persistenza di determinati requisiti e/o all’adempimento di taluni obblighi), le somme già erogate. Tale clausola: (i) non ammette un suo utilizzo contrario al principio di buona fede e correttezza;
(b) non può essere utilizzata dall’Amministrazione come strumento per procrastinare sine die il suo potere di controllo.

3.1 L’appellante censura la sentenza anche nella parte in cui ha sancito che il recupero di somme pubbliche erogate indebitamente dall’Amministrazione è un atto dovuto a fronte del quale non è invocabile un legittimo affidamento, dovendo l’interesse alla stabilità ritenersi totalmente recessivo rispetto all’esigenza di ripristinare la legalità violata, nell’interesse pubblico e degli eventuali controinteressati.

L’appellante sostiene che:

- nel caso di specie non vi è stata alcuna legalità violata;

- è principio consolidato nella giurisprudenza quello secondo cui non sussiste, ex se, un interesse pubblico al mero ripristino della legalità violata, con la conseguenza che il decorso del tempo onera l’Amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto ed attuale in quanto il tempo dell’agire amministrativo non può essere indifferente rispetto all’affidamento ingenerato;

- non è rilevante il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 8/2023, resa specificamente con riferimento alla ripetibilità di prestazioni previdenziali, pensionistiche e assicurative e a ipotesi non sovrapponibili al caso in esame;

- il decorso di oltre 13 anni dall’atto di rinuncia (e di 18 dal decreto di concessione delle agevolazioni) ha comportato l’illegittimità della revoca del beneficio in violazione del principio del legittimo affidamento.

3.2 L’appellante conclude sostenendo che le argomentazioni esposte valgono anche in relazione al capo della sentenza che ha rigettato i motivi aggiunti nella parte in cui censuravano i vizi di illegittimità derivata della cartella di pagamento.

4. Il motivo è infondato.

Cons. Stato, sez. VI, 20/10/2023, n. 9115 ha chiarito che ai fini del recupero da parte della P.A. di contributi erogati assenza del presupposto, non è necessaria l'indicazione nel provvedimento della motivazione specifica sulle eventuali ragioni d'interesse pubblico concreto e attuale o di comparazione con quello del debitore, in quanto la ripetizione dell'indebito non costituisce una funzione d'autotutela ex artt. 21- quinquies o 21- nonies della l. n. 241 del 1990, ma doveroso esercizio di un potere vincolato.

La decisione appena richiamata, afferma chiaramente che non può essere accolta la tesi di parte appellante secondo la quale l’impugnato atto di revoca del beneficio avrebbe dovuto fare applicazione dei principi contenuti negli articoli 21- quinquies o 21- nonies della l. n. 241 del 1990

Nella specie l’esercizio di un potere vincolato ha trovato origine nella comunicazione del 4.9.2006 con la quale la stessa appellante beneficiaria dichiarava di non voler più usufruire del finanziamento: per cui non ha fondamento sostenere che l’Amministrazione avrebbe dovuto ponderare l’interesse pubblico e gli interessi in gioco. L’Amministrazione ha dato seguito (nelle forme necessitate) alla manifestazione di volontà giunta da parte appellante (che aveva autonomamente valutato che il proprio interesse era quello a non ricevere più il contributo).

Non può neanche invocarsi una asserita violazione di limiti temporali: i termini previsti per la conclusione dell’iter procedimentale non possono essere considerati perentori e il loro mancato rispetto non costituisce una violazione grave e non inficia la legittimità del provvedimento.

Ancora una volta (fermo restando che nella specie non ricorre alcuna prescrizione del credito): parte appellante doveva attendersi il provvedimento di revoca del contributo visto che era stata lei stessa a comunicare di non volerne usufruire.

Quanto detto esclude che ci sia stato un comportamento in mala fede dell’Amministrazione.

4.1 Correttamente il primo giudice ha sancito che il recupero di somme pubbliche erogate indebitamente dall’Amministrazione è un atto dovuto a fronte del quale non è invocabile un legittimo affidamento, dovendo l’interesse alla stabilità ritenersi totalmente recessivo rispetto all’esigenza di ripristinare la legalità violata, nell’interesse pubblico e degli eventuali controinteressati.

4.2 Quanto esposto esclude l’esistenza di in fondamento dei vizi di illegittimità derivata della cartella di pagamento.

5. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo . Violazione e falsa applicazione dell’art. 34 c.p.a., nonché degli artt. 39 c.p.a. e 112 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del regolamento, degli artt.

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