Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-17, n. 201003127

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-05-17, n. 201003127
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201003127
Data del deposito : 17 maggio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02143/2008 REG.RIC.

N. 03127/2010 REG.DEC.

N. 02143/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso in appello nr. 2143 del 2008, proposto dai signori A B e A M, rappresentati e difesi dall’avv. C D S, con domicilio eletto presso l’avv. Filippo Lubrano in Roma, via Flaminia, 79/A,

contro

il COMUNE DI SEZZE, in persona del Sindaco pro tempore, e il signor V C, rappresentati e difesi dall’avv. S C, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Belsiana, 100,

nei confronti di

signor V AZZATO, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Nascani, con domicilio eletto presso l’avv. Marcello Cardi in Roma, viale B. Buozzi, 51,

avverso e per l’annullamento, e/o la integrale riforma,

previa misura cautelare,

della sentenza del T.A.R. del Lazio, sezione staccata di Latina, del 19 gennaio 2007, nr. 44/07, non notificata, emanata a definizione del giudizio proposto dagli stessi appellanti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata e dei signori V C e V A;

Viste le memorie prodotte dagli appellanti (in data 15 aprile 2010), dall’Amministrazione (in date 1 aprile 2008 e 16 aprile 2010) e dal signor V C (in date 1 aprile 2008 e 16 aprile 2010) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2010, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. De Simone per gli appellanti, l’avv. Crapolicchio per l’Amministrazione e per il sig. Carlesimo e l’avv. Nascani per il sig. Accapezzato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I signori A B e A M hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale la sezione di Latina del T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso dagli stessi proposto avverso il provvedimento con il quale il Comune di Sezze aveva ingiunto la sospensione e la demolizione delle opere intraprese presso un esercizio commerciale di pasticceria di cui è titolare la signora M.

A sostegno dell’impugnazione, gli appellanti hanno dedotto:

1) error in judicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e segg. della legge 7 agosto 1990, nr. 241;
motivazione erronea e inconferente;
violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. (in relazione alla ritenuta natura non viziante della mancata comunicazione agli interessati dell’avvio del procedimento amministrativo conclusosi con l’impugnato provvedimento);

2) error in judicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c.;
motivazione difettosa (in relazione alla trattazione congiunta e cumulativa di numerosi motivi di ricorso da parte del primo giudice);

3) error in judicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 31, lettera d), della legge 5 agosto 1978, nr. 457, e della normativa in materia di pertinenze edilizie;
violazione dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’avere il T.A.R. ritenuto necessario il permesso di costruire per l’intervento per cui è causa);

4) error in judicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 31, lettera d), della legge nr. 457 del 1978;
contrasto con più atti e provvedimenti dell’A.G. penale;
violazione dell’art. 88 c.p.c., cagionata dalla omessa allegazione in atti di tutti i provvedimenti emanati dall’A.G. ordinaria in sede penale (per avere il primo giudice totalmente ignorato le determinazioni della detta A.G., la quale ha archiviato il procedimento penale inizialmente iscritto per le opere in questione);

5) error in judicando: violazione e falsa applicazione del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e s.m.i.;
motivazione erronea (per avere il primo giudice ritenuto non applicabile alla fattispecie il predetto d.P.R.).

Il Comune di Sezze, costituitosi, ha diffusamente replicato ai motivi di impugnazione, concludendo per la reiezione dell’appello e per la conferma della sentenza di primo grado.

Si sono altresì costituiti gli appellati signori V C e V A, entrambi opponendosi all’accoglimento del gravame e il secondo, inoltre, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

Alla camera di consiglio del 10 aprile 2008, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, questa è stata differita su richiesta delle parti, per essere abbinata alla trattazione del merito.

All’udienza del 27 aprile 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va innanzi tutto esaminata l’eccezione preliminare sollevata dall’appellato signor V A, il quale ha chiesto la propria estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva.

L’eccezione è fondata, e va disposta l’estromissione anche dell’ulteriore appellato signor V C.

Ed invero, il signor Accapezzato è stato destinatario della notifica del ricorso di primo grado in quanto autore dell’esposto sulla base del quale il Comune di Sezze ha ritenuto di dover sanzionare le opere edili realizzate dagli odierni appellanti: tuttavia, è pacifico in giurisprudenza che tale circostanza non vale ex se a far assumere al soggetto denunciante la qualità di controinteressato, in quanto l’esposto si atteggia quale semplice notizia per l’Amministrazione, la quale poi attiva in piena autonomia i poteri che l’ordinamento le attribuisce e rispetto ai quali il soggetto esponente non assume alcun carattere concorrente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, nr. 7417;
Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2002, nr. 5411).

Quanto al signor Carlesimo, lo stesso è stato evocato in giudizio nella propria qualità di Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale di Sezze, e quindi di funzionario estensore del provvedimento impugnato;
siffatta qualità non è però sufficiente a far assumere la posizione di parte del processo amministrativo, in quanto questo è necessariamente promosso nei confronti di una pubblica amministrazione intesa nella sua autonoma e globale soggettività, con la quale le persone fisiche dei suoi funzionari e agenti finiscono per immedesimarsi.

Né le conclusioni appena esposte mutano per il solo fatto, evidenziato nell’atto introduttivo del giudizio, che i soggetti in questione sarebbero corresponsabili del danno del quale gli appellanti hanno chiesto il risarcimento in via accessoria e consequenziale rispetto alla domanda principale di annullamento: infatti, deve ritenersi che nel giudizio amministrativo, essendo la domanda risarcitoria sempre connessa al cattivo esercizio del potere autoritativo della p.a., la stessa può essere proposta solo nei confronti di quest’ultima, restando irrilevante per il privato danneggiato il rapporto interno tra essa e il funzionario agente.

2. Nel merito l’appello è fondato, nei limiti appresso precisati.

3. In primo grado, i signori A B e A M hanno impugnato l’ordinanza con la quale il Comune di Sezze ha loro imposto la sospensione e la successiva demolizione delle opere edili realizzate presso un esercizio di pasticceria gestito dalla seconda appellante, costituite dalla sostituzione di una preesistente tenda parasole con una struttura in legno infissa alla facciata dell’edificio a mezzo di una trave e ancorata alla facciata medesima nonché, in proiezione anteriore, al muretto antistante l’accesso dell’esercizio.

Il T.A.R. di Latina, pur non ritenendo dimostrato quanto addotto dall’Amministrazione in ordine al fatto che le opere in questione insistevano in area sottoposta a vincolo di interesse paesaggistico, ha giudicato legittimo l’ordine di demolizione sul rilievo che l’intervento de quo, per entità e caratteristiche, non potesse assimilarsi né a manutenzione straordinaria né a restauro e risanamento conservativo, e pertanto ai sensi della normativa anteriore al d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, dovesse essere preceduto da concessione edilizia anziché da mera comunicazione di inizio dell’attività.

4. Tanto premesso, la Sezione reputa invece fondato e assorbente il quarto motivo di appello, con il quale le parti appellanti censurano proprio l’assunto del primo giudice in ordine alla necessità della concessione edilizia per le opere per cui è causa.

Infatti, dall’esame della documentazione fotografica versata nel giudizio di primo grado si evince che la struttura realizzata, pur essendo indubbiamente più stabile e “pesante” rispetto alla tenda parasole di cui ha preso il posto, è palesemente destinata ad assolvere alla medesima funzione di essa, non essendo per entità e caratteristiche idonea a integrare la nozione di “porticato” o di “veranda”;
in particolare, detta struttura è insuscettibile di costituire un volume autonomo e aggiuntivo rispetto all’esercizio commerciale cui accede.

Ne discende che è condivisibile l’impostazione di parte appellante, che qualifica l’opera in questione come mera pertinenza rispetto all’edificio ospitante la pasticceria, in quanto tale non necessitante il previo rilascio di concessione edilizia (oggi permesso di costruire).

Al riguardo, giova richiamare il consolidato orientamento che riconosce il detto carattere pertinenziale alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (cfr. Cass. pen., sez. III, 27 novembre 1997, nr. 2660;
Cons. Stato, sez. V, 7 dicembre 2002, nr. 6126;
id., 30 novembre 2000, nr. 6538).

5. Se pertanto, alla luce di quanto sopra, la sentenza impugnata va riformata con l’accoglimento della domanda di annullamento dell’atto impugnato, non altrettanto può dirsi per la domanda risarcitoria (non riproposta espressamente con l’appello, ma sulla quale questo Collegio deve pronunciarsi in virtù dell’effetto devolutivo del medesimo).

Infatti, oltre a non essere stata adeguatamente “coltivata” nel corso del giudizio, detta domanda non risulta assistita dal benché minimo principio di prova in ordine sia all’ an che al quantum del pregiudizio asseritamente derivato all’esercizio commerciale gestito dalla signora M per effetto della censurata ordinanza di sospensione e demolizione (al di là dell’assunto generico e indimostrato secondo cui lo stesso esercizio ne avrebbe patito “ nocumento in termini vuoi di sensibile decremento delle vendite vuoi di pernicioso sviamento della clientela ”).

Ne consegue che la domanda di risarcimento danni va respinta.

6. In considerazione del solo parziale accoglimento delle istanze di parte ricorrente, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

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