Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-11-08, n. 201205685

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-11-08, n. 201205685
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201205685
Data del deposito : 8 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04993/2012 REG.RIC.

N. 05685/2012REG.PROV.COLL.

N. 04993/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4993 del 2012, proposto da:
Codacons, rappresentato e difeso dagli avv. C R, M R, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 73;

contro

Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri;

nei confronti

Ministero della Salute, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Prof . -OMISSIS-;

per l'annullamento

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZ . III QUA n. -OMISSIS-, resa tra le parti, che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo su Provvedimento Ordine Medici di archiviazione richiesta apertura procedimento disciplinare nei confronti di medico .


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Salute;

Visti tutti gli atti della causa;

visti gli artt. 105, co. 2 e 87, co. 3, cod. proc. amm.;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e uditi per le parti l’ avv. Selmi su delega di Rienzi e l’Avvocato dello Stato Soldano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso trae origine dalle iniziative intraprese in varie sedi e in varie forme dall’appellante Codacons (associazione per la tutela dei consumatori) per ottenere dalle autorità pubbliche competenti una penetrante regolamentazione dell’impiego degli appositi “occhiali” per la visione dei film 3D (tridimensionali) nelle sale cinematografiche.

In sostanza, ad avviso del Codacons, l’impiego di quei dispositivi rappresentava un pericolo per la salute dei cittadini sotto un duplice profilo: primo, la possibilità di disturbi alla vista a causa degli effetti ottici;
secondo, la possibilità di infezioni derivanti dal reiterato passaggio degli occhialini nell’avvicendarsi degli spettatori.

Con circolare del 17 marzo 2010 il Ministero della Salute ha dettato prescrizioni cautelative con riferimento ad entrambi i profili. Nel presente giudizio si discute tuttavia (indirettamente) solo del profilo igienico.

2. Inizialmente il Ministero, con la suddetta circolare, aveva dato istruzioni nel senso dell’impiego di occhiali monouso (ossia usa e getta).

In seguito è stato rappresentato che gli occhiali monouso avrebbero comportato un costo insostenibile dallo spettatore. In considerazione di ciò, con una nuova circolare del 6 agosto 2010, il Ministero ha espresso l’avviso che una valida alternativa fosse la sottoposizione degli occhiali ad appropriati processi di pulizia e di disinfezione.

Le circolari del Ministero sono state oggetto di molteplici impugnative da parte del Codacons, in quanto ritenute non sufficientemente rigorose e potenzialmente dannose per la salute pubblica.

Per quanto qui interessa, fra le reazioni del Codacons alla emanazione della seconda circolare (che ha modificato, come si è detto, le prescrizioni dettate per prevenire il rischio di infezioni) vi è stata la presentazione di un esposto al Consiglio dell’Ordine provinciale dei medici-chirurghi e degli odontoiatri di Roma.

L’esposto sollecitava l’adozione di sanzioni disciplinari nei confronti del prof. M.S., oftalmologo di grande fama, delle cui consulenze il Ministero si era avvalso per la emanazione delle circolari: in sostanza il Codacons deduceva che le opinioni espresse dal prof. S. (e recepite dal Ministero) non fossero tecnicamente condivisibili e che nel formularle l’autore fosse incorso in molteplici violazioni della deontologia professionale.

3. Il Consiglio dell’Ordine, prima con nota del 25 maggio 2011 e di poi con nota del 14 settembre 2011 (quest’ultima emessa in sede di riesame a seguito di un nuovo esposto del Codacons), ha comunicato di ritenere non comprovata, a carico del prof. S., alcuna fattispecie sanzionabile in sede disciplinare.

Quest’ultima nota è stata impugnata dal Codacons davanti al T.A.R. Lazio con ricorso n. 9820/2011.

Il T.A.R. Lazio, con sentenza n. -OMISSIS- pubblicata il 20 dicembre 2011, si è pronunciato come segue:

«Considerato che, ai sensi dell’art. 3, d.lgs. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, il provvedimento impugnato, id est l’archiviazione dell’esposto, inoltrato dal Codacons, disposta dall’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri è impugnabile solo dinanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie;

«Considerato che tale profilo preliminare ed assorbente preclude al Collegio l’esame delle eccezioni in rito sollevate dalle parti resistenti costituite;

«Considerato invece, quanto al profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 6, l. n. 409 del 1985, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., che lo stesso è manifestamente infondato atteso che la competenza giurisdizionale speciale della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie e la conformità della stessa a principi costituzionali relativamente alla sua composizione costituiscono un principio da tempo enunciato dal giudice delle leggi (23 dicembre 1986 n. 284) e fermo nella giurisprudenza del giudice della giurisdizione (Cass civ., sez. III, 19 maggio 2003 n. 7760);

«Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione ma che sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio ..... dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito. Compensa tra le parti in causa le spese della presente fase di giudizio».

4. Il Codacons impugna la sentenza del T.A.R. davanti a questo Consiglio.

L’appellante non nega, in linea di principio, che gli atti dei Consigli degli Ordini Professionali in materia disciplinare siano impugnabili unicamente davanti alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie;
e che in questa materia le attribuzioni della Commissione centrale siano di natura giurisdizionale. L’appellante evidenzia, peraltro, che il regolamento approvato con d. P. R. n. 221/1950, art. 53, dispone che il ricorso alla Commissione centrale può essere proposto soltanto dall’interessato (cioè dal sanitario soggetto a procedimento disciplinare), dal Prefetto e dal Procuratore della Repubblica, dunque non da terzi.

Ciò premesso, il Codacons sostiene che ai terzi, non legittimati a ricorrere alla Commissione centrale, si deve riconoscere la legittimazione ad impugnare davanti al T.A.R. gli atti dei Consigli dell’Ordine in materia disciplinare. Questa tesi viene sviluppata con ampie argomentazioni e corredata anche con la prospettazione di questioni di costituzionalità.

Il Ministero della Salute si è costituito con atto di mera forma;
le altre parti non si sono costituite.

5. Come è noto, il principio che la Commissione centrale per le professioni sanitarie (istituita dal d.lgs. C.P.S. n. 233/1946, art. 17, e poi riordinata dalla legge n. 409/1985, art. 6) abbia funzioni giurisdizionali come (unico) giudice delle impugnazioni contro gli atti degli Ordini provinciali in materia disciplinare non è controverso e del resto è confermato, fra l’altro, da Cass. Sezioni Unite, sent. 6 novembre 1998 n. 11213;
mentre la compatibilità di tale giudice speciale con i principi costituzionali in tema di giurisdizione è stata affermata da Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2006, n.8958, nonché, con particolare riferimento al profilo dell’indipendenza e della terzietà, da Cass. civ., Sez. III, 21 maggio 2004, n.9704. Ciò potrebbe apparire sufficiente per confermare la sentenza del TAR ..

6. Quanto all’argomento che il Codacons, nella qualità di autore dell’esposto, non sia legittimato a ricorrere alla Commissione, si osserva che a ben vedere quello così sollevato non è un problema di giurisdizione, ma di legittimazione.

Peraltro, una volta che si sia individuato il giudice fornito di giurisdizione per un certo tipo di azioni in una determinata materia, spetta esclusivamente a quel giudice verificare se chi agisce sia legittimato o meno, e risolvere tutti i problemi connessi a tale verifica: dalla individuazione delle fonti normative (che in questo caso sarebbero rappresentate dal regolamento approvato con d.P.R. n. 221/1950, art. 53), alla loro interpretazione più o meno estensiva ed all’eventuale applicazione analogica, sino alla formulazione di ipotetiche questioni di costituzionalità o se del caso alla disapplicazione ove si tratti (come nella specie) di norme regolamentari.

Infine, trattandosi di un giudice speciale, le sue decisioni sarebbero soggette all’impugnazione per violazione di legge davanti alla Corte di Cassazione e in quella sede sarebbero riproponibili tutte le questioni attinenti alla legittimazione.

Nella misura in cui si possa sostenere che il Codacons, in quanto autore dell’esposto, abbia titolo ad impugnare il provvedimento di archiviazione, ogni questione in proposito deve essere portata al giudice naturale di quelle impugnazioni, che è la Commissione centrale e, in ultima istanza, la Corte di Cassazione.

7. Si comprende, tuttavia, dalle sue difese che il Codacons non è interessato a rimuovere gli ostacoli che gli impediscono di ricorrere alla Commissione centrale, anzi considererebbe lesivo doversi sottoporre a quella che chiama la “giurisdizione domestica” dei professionisti sanitari.

Nella sua prospettazione, pertanto, il ricorso al T.A.R. non sarebbe una soluzione di ripiego, bensì la via maestra per tutelare i propri interessi nel contenzioso che lo contrappone non solo e non tanto al prof. S., quanto all’Ordine professionale cui egli appartiene.

Il Collegio non ritiene di poter condividere queste tesi.

8. In prima approssimazione può apparire quanto meno anomala l’ipotesi che azioni del medesimo tipo e del medesimo oggetto debbano proporsi davanti a giurisdizioni diverse, a seconda del soggetto che le propone, quasi che il riparto delle giurisdizioni seguisse un criterio soggettivo (o personale) anziché oggettivo (o reale, o per materia).

Ma, al di là di questo, non è senza motivo e senza significato che il regolamento approvato con d.P.R. n. 221/1950 neghi la legittimazione a ricorrere alla Commissione centrale a qualsiasi privato diverso dal professionista interessato. La citata disposizione non è che l’espressione e la logica conseguenza del fatto che nell’ambito del procedimento disciplinare, e nei confronti dei provvedimenti che lo definiscono, non emergono situazioni giuridiche soggettive tutelabili (se non, appunto, quella del professionista inquisito, qualificabile come interesse oppositivo).

9. Ed, invero, il procedimento disciplinare non ha la funzione di tutelare le situazioni giuridiche soggettive dei terzi, e del resto è strutturalmente inidoneo a farlo.

Eventuali lesioni ai diritti ed agli interessi legittimi dei terzi derivano dal comportamento del professionista, o anche, eventualmente, dai provvedimenti amministrativi che da quel comportamento siano scaturiti;
tali lesioni debbono ricevere dall’ordinamento le appropriate tutele restitutorie ovvero ripristinatorie o risarcitorie, ma la sanzione disciplinare non è lo strumento appropriato per produrre effetti di questo genere e in realtà non li produce.

Il terzo leso può ottenerli, semmai, agendo davanti al giudice competente a darli;
e cioè il giudice civile, ove si assuma che il comportamento del professionista ha prodotto danni risarcibili ex art. 2043 c.c., ovvero il giudice amministrativo, ove si assuma che quel comportamento si è tradotto (direttamente o indirettamente) in provvedimenti amministrativi illegittimi. L’applicazione di una sanzione disciplinare non è un presupposto necessario, né di diritto né di fatto, per l’esperibilità di tali azioni .

10. In realtà il Codacons ha impugnato davanti al giudice amministrativo gli atti ministeriali derivati dall’attività consultiva del prof. S., dando vita a procedimenti che senza dubbio sono autonomi rispetto al procedimento disciplinare e non condizionati all’esito di questo. Nella misura in cui le circolari ministeriali presentassero vizi di legittimità (originati dalle consulenze del prof. S. o da qualsivoglia altra causa) le impugnazioni del Codacons potrebbero essere accolte, ancorché non siano intervenuti procedimenti disciplinari.

Infatti, così come l’applicazione di una sanzione disciplinare non produce effetti utili per i terzi, allo stesso modo non ne produce l’impugnazione dell’atto dell’autorità disciplinare che abbia prosciolto il professionista inquisito.

11. Non rileva in senso contrario il fatto che il terzo (nella specie il Codacons) possa presentare, e di fatto abbia presentato, un esposto inteso a fornire la notitia criminis e a sollecitare l’esercizio dell’azione disciplinare. La presentazione di un esposto non costituisce di per sé atto d’impulso procedimentale e non fa assumere al suo autore la qualità di parte del procedimento che eventualmente venga iniziato (d’ufficio) in conseguenza dell’esposto stesso.

Al riguardo non è determinante la circostanza che ( per costante giurisprudenza) al presentatore dell’esposto viene riconosciuto il diritto di ottenere l’accesso agli atti del procedimento disciplinare e che vi sono precedenti favorevoli al Codacons in vicende analoghe alla presente: infatti, se, da un lato, la legge n. 241/1990 riconosce il diritto all’accesso agli atti amministrativi a chiunque ne abbia l’esigenza per la tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti, dall’altro, è pacifico che non debba necessariamente trattarsi di interessi pertinenti a quello specifico procedimento.

La legittimazione all’accesso non coincide (nel senso che è più estesa) con quella all’impugnazione dell’atto che concluderà il procedimento: il fatto che ad un soggetto venga riconosciuto il diritto all’accesso non è indizio sufficiente dell’esistenza di un interesse legittimo tutelabile mediante l’impugnazione dell’atto terminale.

12. Riassumendo: l’ipotizzata impugnazione degli atti dell’Ordine non è necessaria per garantire tutela al Codacons, e, quand’anche fosse ammessa, non sarebbe utile in quanto non ne deriverebbe alcun effetto giuridico rilevante nella sfera del Codacons.

Pertanto la prospettata necessaria sindacabilità di tale tipologia di atti innanzi alla A G A non ha base legale;
analogamente tutte le questioni di costituzionalità prospettate o prospettabili contro tale (supposto) limite al diritto di difesa sono manifestamente infondate e/o inammissibili per difetto di rilevanza.

13. In conclusione l’appello va respinto e, per l’effetto, la decisione del T.A.R. va confermata.

Si giustifica la compensazione delle spese in considerazione del fatto che il Ministero (unica parte costituita) ha limitato le proprie difese ad un atto di mera forma.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi