Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-11-30, n. 200907486
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N. 07486/2009 REG.DEC.
N. 05612/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5612 del 2009, proposto da M d A, rappresentato e difeso dagli avv.ti A M e G M, ed elettivamente domiciliato, unitamente ai difensori, presso l’avv. F Gaetano Scoca in Roma, via Paisiello n. 55;
contro
Equitalia E.Tr. s.p.a. (già Equitalia Foggia s.p.a.), in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. I C, ed elettivamente domiciliata, unitamente al difensore, presso l’avv. A Fiorini in Roma, via XXIV maggio;
per l’annullamento
visto il ricorso in appello, con i relativi allegati,
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
relatore alla Camera di Consiglio del giorno 29 luglio 2009 il Consigliere Diego Sabatino;
uditi l’avv. Mescia e l’avv. Carso;
considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 5612 del 2009, M d A ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione prima, n. 1307 del 29 maggio 2009 con la quale era stato dichiarato improcedibile per cessata materia del contendere il ricorso proposto contro Equitalia Foggia s.p.a. (poi incorporata in Equitalia E.Tr. s.p.a.) per l’accesso ai documenti indicati nell’istanza proposta in data 5 febbraio 2009.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva premesso:
- di aver saputo, da visure effettuate presso Equitalia Foggia s.p.a., della pendenza di una cartella esattoriale, dallo stesso mai ricevuta, e di aver richiesto alla concessionaria di ottenere copia conforme della detta cartella con relativa relata di notifica, al fine di poter opporre la cartella in sede giurisdizionale;
- che, riscontrando la richiesta, la concessionaria inviava unicamente l’estratto della cartella, precisando che da tale documento si evinceva la data di notifica dello stesso;
-che, ritenendo insufficiente tale produzione, il D A agiva dinanzi al T.A.R. per sentir dichiarare il proprio diritto all’ostensione degli atti.
Costituitasi Equitalia Foggia s.p.a., che provvedeva al deposito agli atti del giudizio dell’estratto della cartella esattoriale e della copia della relata di notifica, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. dava atto del deposito dei detti atti, riteneva improcedibile il ricorso per cessata materia del contendere e condannava la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio per “abuso dello strumento processuale”.
Contestando le statuizioni del primo giudice, l’appellante D A ha evidenziato come gli atti esibiti non fossero per nulla idonei a far ritenere cessata la materia del contendere.
Si è costituita in giudizio Equitalia E.Tr. s.p.a. (già Equitalia Foggia s.p.a.), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare l’appello.
Alla Camera di Consiglio del 29 luglio 2009, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello è fondato e merita accoglimento.
2. - In via preliminare, la Sezione ritiene di dover superare le eccezioni preliminari proposte dalle parti.
In merito all’eccezione di tardività del ricorso di primo grado, come sollevata anche in grado di appello da Equitalia E.Tr. s.p.a., deve confermarsi la bontà della decisione del T.A.R. che ha sottolineato come il termine decadenziale sia stato rispettato, in quanto veniva a scadere in giorno festivo, ossia il 22 marzo 2009, ed è quindi stato correttamente notificato il giorno successivo, giusta il disposto dell’art. 155, comma 4, c.p.c..
In merito all’eccezione di mancata costituzione della effettiva resistente Equitalia Foggia s.p.a., va evidenziato come questa sia stata correttamente presente nel giudizio in primo grado e che invece in grado di appello sia stata sostituita dalla Equitalia E.Tr. s.p.a., società incorporante e quindi ex lege succeduta nel rapporto controverso. La legittimazione dell’attuale appellata non appare quindi dubbia.
3. - Affrontando le questioni sostanziali, ritiene la Sezione di dover immediatamente soffermarsi sulle ragioni della sentenza di rito emessa dal T.A.R. per la ritenuta cessata materia del contendere. Va infatti sottolineato come la cartella di pagamento, ossia l’atto di cui il ricorrente ha chiesto l’ostensione, ed il documento ricevuto, intestato “estratto cartella” e stampigliato come “copia conforme dell’estratto di ruolo”, siano documenti diversi. In particolare, la cartella esattoriale è prevista dall'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli e deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle Finanze (attualmente, il modello vigente è quello approvato dall’Agenzia delle entrate con provvedimento del 22 aprile 2008). Il documento ricevuto dal ricorrente è invece un elaborato informatico formato dall’esattore, sebbene sostanzialmente contenente gli stessi elementi della cartella originale.
La differenza ontologica tra i due documenti non può però essere superata dall’omogeneità contenutistica, omogeneità che peraltro non è stata messa in dubbio dalle parti. La ragione per cui non è permesso all’amministrazione, ed al privato che esercita funzioni pubbliche, di sostituire arbitrariamente il documento richiesto con altro sebbene equipollente deriva espressamente dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, che all’art. 22 lett. d) fornisce la nozione di documento amministrativo e nello stesso contesto, alla lett. a) precisa come il diritto di accesso sia “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”, ossia un diritto di acquisizione di quegli stessi documenti o delle loro copie e non di succedanei. In questa ottica, questa Sezione ha già evidenziato come elemento fondante dell’actio ad exhibendum sia la conformità del documento esibito al privato all’originale, non avendo neppure rilievo scusante l’esistenza per la pubblica amministrazione di impedimenti tecnici (Consiglio di Stato, sez. IV, 10 aprile 2009, n. 2243). A maggior ragione, l’accesso documentale non può essere soddisfatto dall’esibizione di un documento che l’amministrazione, e non il privato ricorrente, giudica equipollente.
Pertanto, deve ritenersi che, in sede di giudizio di primo grado, la concessionaria non abbia esibito il documento richiesto dalla parte privata e che quindi la declaratoria di cessazione della materia del contendere si sia fondata su una valutazione errata degli atti acquisiti al fascicolo processuali.
Per tali ragioni, l’appello va accolto.
4. - L’accoglimento dell’eccezione di illegittimità della pronuncia in rito comporta l’applicazione della giurisprudenza di questo Consiglio (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 17 ottobre 1988, n. 1152;id., 24 febbraio 1981, n. 84;id., 30 settembre 1980, n. 794;Consiglio di Stato, sez. IV, 11 febbraio 2005, n. 399;id., 19 febbraio 2008, n. 546;id., 2 ottobre 2008, n. 4774) per cui l'erronea declaratoria da parte del giudice di primo grado dell’improcedibilità del ricorso non costituisce un vizio di forma od un difetto di procedura che, ai sensi dell'art. 35, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, comporta l'annullamento della sentenza con rinvio dell'affare al giudice di primo grado, così che il giudice di appello deve trattenere la causa e deciderla nel merito.
Venendo quindi alla questione dell’esistenza della situazione soggettiva che legittima il privato a richiedere l’accesso, occorre evidenziare come la difesa di Equitalia E.Tr. s.p.a. si sia soffermata diffusamente sul fatto che gli atti già esibiti fossero comunque in grado di consentire la tutela giurisdizionale e che in ogni caso erano atti già in possesso del ricorrente, in quanto notificatigli. Fondamentalmente, le eccezioni proposte da Equitalia E.Tr. s.p.a. evidenziavano l’inesistenza dell’interesse ad ottenere l’ostensione sia perché erano stati forniti al privato documenti aventi la stessa valenza, sia perché gli originali gli erano stati effettivamente notificati che quindi non li deteneva più unicamente per propria colpa.
4.1. - Entrambe le ragioni devono essere disattese.
In merito al primo profilo, questo Consiglio ha già indicato i limiti intrinseci alla sindacabilità delle ragioni poste a fondamento dell’accesso. Si è affermato (Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55) che l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l'accesso non solo non deve necessariamente consistere in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, dovendo solo essere giuridicamente tutelato purché non si tratti del generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa e che, accanto a tale interesse deve sussistere un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l'ostensione. Questo rapporto di strumentalità deve però essere inteso in senso ampio, ossia in modo che la documentazione richiesta deve essere mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse. Pertanto, l'interesse all'accesso ai documenti deve essere considerato in astratto, escludendo che, con riferimento al caso specifico, possa esservi spazio per apprezzamenti in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale proponibile. La legittimazione all'accesso non può dunque essere valutata facendo riferimento alla legittimazione della pretesa sostanziale sottostante, ma ha consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata.
Pertanto le osservazioni di Equitalia E.Tr. s.p.a. sono del tutto inconferenti, atteso che non è dubitabile che la copia della cartella di pagamento ex se costituisca strumento utile alla tutela giurisdizionale delle ragioni della ricorrente e che la concessionaria non ha quindi alcuna legittimazione a sindacare le scelte difensive eventualmente operate dal privato. Questo significa che è ben vero, come afferma Equitalia E.Tr. s.p.a., che i due distinti documenti sono praticamente identici dal punto di vista contenutistico (e di questa sostanziale identità e dell’utile conseguito dal privato nell’ottenere la cartella anziché l’estratto la Sezione terrà conto per valutare la ripartizione delle spese processuali), ma questa valutazione non incide sulla fondatezza del diritto all’accesso.
In merito al secondo profilo, l’appellata Equitalia E.Tr. s.p.a. introduce un profilo di meritevolezza soggettiva per l’accesso ai documenti, affermando che “non può ritenersi serio l’interesse dell’appellante all’acquisizione di un documento di cui lo stesso è già inconfutabilmente in possesso”. In concreto, trasponendo in termini organizzativi l’affermazione della concessionaria appellata, una volta notificato un documento, l’amministrazione non sarebbe tenuta alla esibizione, avendo adempiuto ai propri doveri.
L’assunto è del tutto sconfessato a livello normativo, sotto un duplice profilo, uno di carattere generale, l’altro più legato alla funzione del concessionario delegato per la riscossione. In relazione al primo aspetto, non può che rimarcarsi come la valutazione di meritevolezza proposta dall’appellata sia del tutto estranea alla previsione di legge, che ha invece come presupposti per l’accesso unicamente l’esistenza di una situazione giuridica tutelabile e il nesso di strumentalità astratto sopra evidenziato. Il comportamento del privato, quand’anche pretestuoso, non è considerato dalla norma e si colloca all’esterno all’area di rilevanza delineata dalla legge. Non ha quindi alcun rilievo se il privato ha perso, ha distrutto o semplicemente dimenticato il documento, ciò che conta è che sussistano le condizioni oggettive per ottenere l’ostensione del documento.
Dall’altro punto di vista, di carattere più particolare, occorre rimarcare come per i concessionari viga la norma dell’art. 26 comma 4 del d.P.R. 602 del 1973 che li obbliga a “conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”. Come si vede, in relazione alla particolare tipologia di atti detenuti, il legislatore individua direttamente un obbligo di custodia degli atti ed un dovere di ostensione su mera richiesta del contribuente. Le disposizioni sul diritto di accesso risultano pertanto di maggiore definizione e speciali rispetto alla disciplina generale del procedimento amministrativo in quanto, in questo caso, la valutazione sulla sussistenza di un interesse all’esibizione è fatta direttamente dalla legge, e non va più svolta caso per caso. A maggior ragione, quindi, la richiesta del ricorrente non poteva essere valutata sotto il profilo della meritevolezza soggettiva da parte del concessionario, obbligato ex lege alla custodia ed all’esibizione, senza che allo stesso residui alcun margine di scelta.
4.2. - Le dette considerazioni consentono di superare anche le eccezioni di Equitalia E.Tr. s.p.a. in merito al carattere pretestuoso ed emulativo della domanda. Si tratta di questioni palesemente infondate se solo si tiene conto che la documentazione richiesta dall’attuale appellante appartiene al novero di quelle di cui il concessionario è tenuto alla custodia ed all’esibizione e che le spese sostenute (per costi di riproduzione, diritti di ricerca e visura o imposte di bollo) vanno riversate sul richiedente.
Anche questa eccezione va quindi respinta.
5. - Infine, ritiene la Sezione di doversi soffermare sulla condanna alle spese che, nel giudizio di primo grado, è stata adottata contro il ricorrente. Il T.A.R. della Puglia, ritenendo che lo strumento processuale sia stato azionato in modo abusivo perché teso a conseguire l’ostensione di un atto già ricevuto in notifica, ha condannato l’attuale appellante al pagamento delle spese processuali.
La soluzione adottata dal giudice di prime cure è del tutto incompatibile con il vigente sistema giuridico ed espressione di una concezione sanzionatoria della determinazione sulle spese che non ha alcun fondamento normativo e va decisamente disattesa.
Va innanzi tutto evidenziato come l’originario ricorrente ha ricevuto gli atti da lui richiesti in sede giudiziaria, come affermato dallo stesso T.A.R. che ha parlato di deposito da parte di Equitalia E.Tr. s.p.a. ed ha conseguentemente dichiarato la cessata materia del contendere. Pertanto, seguendo il ragionamento del giudice di primo grado, l’azione giudiziaria è stata correttamente avviata e la pretesa avanzata è stata soddisfatta, a giudizio iniziato, da un comportamento della parte resistente che avrebbe dovuto aver luogo fuori e prima del processo. In casi analoghi, la giurisprudenza, applicando correttamente il concetto di soccombenza, ha ritenuto di poter condannare, anche nei casi di cessata materia del contendere, la parte vincitrice virtuale, ossia colui che chiedeva l’ostensione. Nel caso in esame, invece, nonostante la situazione di pregresso inadempimento di Equitalia E.Tr. s.p.a. e nonostante che questa fosse stata sanata solo a seguito del giudizio, e nonostante che vi fosse una palese situazione di soccombenza della stessa concessionaria, il T.A.R. ha ritenuto di condannare alle spese la parte vincitrice, in palese e diametrale contrasto con la disciplina di legge.
Per altro verso, anche facendo risaltare il profilo dell’abuso dello strumento processuale, va rimarcato che nel nostro ordinamento non esistono sanzioni atipiche per il distorto uso dello strumento processuale, come pure non trova spazio il cd. “contempt of court”, in cui altri ordinamenti fanno ricadere simili ipotesi, fattispecie che comunque importa altre conseguenze e non provoca il sovvertimento delle rispettive posizioni in relazione al pagamento delle spese processuali. Nel nostro sistema, al contrario, l’espressa previsione di legge, che impone che le spese non possano essere messe in carico alla parte vincitrice, può dar vita al massimo ad una compensazione, compensazione che può anche esserci qualora lo strumento processuale sia stato utilizzato per conseguire risultati minimi, sproporzionati rispetto alla rilevanza dello strumento stesso (vedi in particolare, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598).
È del tutto palese, quindi, come la condanna alle spese della parte ricorrente e virtualmente vittoriosa in primo grado sia del tutto illegittima, ponendosi in diametrale contrasto con le previsioni di legge e va pertanto, come tutta la sentenza, va conseguentemente annullata.
6. - L’appello va quindi accolto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste (secondo la già citata, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598).