Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-07-17, n. 202306995

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-07-17, n. 202306995
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202306995
Data del deposito : 17 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/07/2023

N. 06995/2023REG.PROV.COLL.

N. 03484/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3484 del 2019, proposto da C C, rappresentato e difeso dall'avvocato F B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

contro

Comune di Salve, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Terza) n. 1470/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 maggio 2023 il Cons. S Z;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 56 del 18 ottobre del 2010 emessa dal comune di Salve, relativa ad opere abusive realizzate in località “Macchia La Musa”, di quel comune.

Sono sollevati i seguenti motivi di appello avverso la decisione gravata:

a) Violazione e falsa applicazione di Legge: art.7 legge 7/08/1990 n.241 e successive modifiche ed integrazioni. Violazione delle garanzie partecipative, Eccesso di potere per carenza di istruttoria ed errata presupposizione in fatto e in diritto.

b) Eccesso di potere per carenza di istruttoria ed errata presupposizione in fatto e in diritto. Inesistenza e/o nullità dell’atto di accertamento. Difetto di motivazione. Violazione e falsa applicazione art.31, 2° comma, D.P.R. n.380/01.

c) Violazione e falsa applicazione art.31, 3° comma, D.P.R. n.380/01. Eccesso di potere.

2. Benché fosse stato ritualmente citato, non si è costituito in giudizio il Comune di Salve.

3. L’ordinanza impugnata ha disposto la demolizione di opere abusivamente realizzate, sul terreno sito in agro del Comune di Salve, Contrada San Lasi, località “Macchia La Musa”, (provincia di Lecce) insistente su un fondo esteso complessivamente 6600 mq, distinto nel catasto fabbricati al Foglio 28, particella 1403, e contraddistinto al Catasto terreni al Foglio 28, particella 1402 (ex particelle 575 e 139).

Il lotto è inserito in un comparto qualificato, nelle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Salve, come zona E.

2 -Verde Agricolo, sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi della legge n. 1479/1939 (ora del codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo n. 42/2004) e normato dal previgente P.U.T.T.P della Regione Puglia come ambito territoriale esteso di tipo “D” (valore distinguibile).

Il fabbricato, realizzato in virtù di concessione edilizia n. 1/2001, originariamente si componeva di un vano cucina, due camere da letto, un bagno, una scala esterna, lastrico solare, per una superficie pari a mq 64,00 ed un volume di mc 190.

Quanto alle opere sanzionate dal provvedimento impugnato, si tratta sia di interventi in ampliamento realizzati in difformità dal titolo, come di opere totalmente abusive.

Innanzitutto il fabbricato in muratura e solaio in latero cementizio presenta una superficie complessiva di mq. 135,52 ed un volume complessivo di mc.342,00, rispetto, come detto, ad autorizzati mq. 64,00 e mc. 190,00.

In assenza di titolo edilizio risultano realizzati un porticato con pilastri in tufi e copertura di travi in legno lamellare, più coppi, per una superficie complessiva di mq.135,00. Un terrazzo praticabile della superficie complessiva di mq.331,00 pavimentato con piastrelle in gres, un ripostiglio in muratura, con solaio della superficie di mq.6,70 e volume pari a mc. 16,75.

La rampa d’accesso all’area pertinenziale realizzata in battuta di cemento della superficie complessiva di mq.65,00

Docce esterne.

Infine è stata anche accertata la costruzione della pianta piano Terra (“B”) dell’immobile, composta da:

- Cellule abitative della superficie complessiva di mq. 121,87 per un volume complessivo di mc. 396,00 con relativa pertinenza del cortile. Struttura in muratura e solaio latero cementizio;

- Deposito della superficie complessiva di mq. 35,00 per un volume complessivo di mc. 75,25. Struttura in muratura e solaio latero cementizio;

- Piazzale antistante le cellule abitative della superficie complessiva di mq. 403,00 in ghiaietto.

4. Il primo motivo di appello contesta la violazione dell’articolo 7 della Legge n.241 del 1990.

La parte appellante deduce di non aver ricevuto alcuna comunicazione di avvio del procedimento, aggiungendo che, sebbene il provvedimento faccia cenno ad un accertamento dell’U.T.C. del comune di Salve non vi sarebbe né data né numero di protocollo né verbale d’accesso che certifichi l’avvenuta esecuzione (ed il contenuto) del sopralluogo.

La violazione, oltre a conculcare le sue prerogative defensionali, le avrebbe lese anche da un punto di vista sostanziale, dal momento che, se opportunamente notiziata, la parte appellante avrebbe potuto validamente controdedurre alle contestazioni sollevate.

3.1. II motivo è infondato.

Innanzitutto, l’atto introduttivo del procedimento va individuato nell’accesso/ispezione eseguito il 30 settembre del 2010 da Agenti ed Ufficiali della Guardia di Finanza della Tenenza di Leuca, che avevano constatato gli abusi e le difformità esistenti in loco.

Anche quest’atto, che ha data certa, fa fede fino a querela di falso di quanto ivi rappresentato.

D’altronde, la parte non contesta di essere venuta a conoscenza di quest’ultimo, dal quale ha avuto evidentemente preliminare cognizione di quali fossero gli abusi contestati e che può valere, quale atto equipollente, alla comunicazione di avvio.

Venendo all’accesso dei funzionari dell’UTC, ai relativi atti si riferisce il provvedimento impugnato, anch’esso, in parte qua fidefaciente né impugnato con querela di falso dalla parte. Dunque l’ an del detto sopralluogo ed il suo contenuto possono dirsi certezze processualmente acquisite.

Ed anche in questo caso può dirsi che quell’atto ha valore di equipollenza – attesane la finalità – alla comunicazione ex art.7 della L. 241 del 1990.

3.2. La parte aggiunge ancora che il non aver potuto conoscere la data del ridetto sopralluogo, l’avrebbe comunque danneggiata, ma neppure questa obiezione è persuasiva.

Infatti, le opere abusive sono state accertate il 30 settembre del 2010, il provvedimento di demolizione è intervenuto il 18 ottobre successivo, l’accertamento dell’UTC si colloca, ragionevolmente, in questo ridotto arco temporale, il che esclude che la non conoscenza del giorno preciso in cui esso fu eseguito possa essere minimamente rilevante a fini difensivi.

Oltre tutto la parte appellante non ha fornito nel corso del giudizio elementi idonei ad inficiare l’abusività delle opere e la doverosità della loro demolizione, anche considerando che l’area su cui insistono è paesaggisticamente vincolata. Dunque, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ai sensi dell’art.21 octies della L. 241 del 1990, norma che definitivamente dequota la doglianza in analisi.

5. Il secondo motivo di appello, riproponendo un motivo di illegittimità sollevato in primo grado, contesta la violazione degli articoli 31, 34 e 37 del D.P.R. n.380 del 2001, per il travisamento dei presupposti nel quale sarebbe incorso il provvedimento impugnato e, per esso, la sentenza di primo grado.

La parte appellante segnala in proposito che tra le opere abusive realizzate erano stati inseriti alcuni manufatti (come il terrazzo, il porticato, le cellule abitative poste al di sotto del piano di campagna, di cui al piano terra che, non costituendo volumetrie, sarebbero state assentibili mediante Dichiarazione di Inizio Attività, ex artt.22, e 37 del D.P.R. 380 del 2001, e, come tali, non sanzionabili con la demolizione.

4.1. Il motivo è infondato innanzitutto in diritto perché l’area sulla quale le opere insistono è paesaggisticamente vincolata, quindi la DIA, a tutto concedere, avrebbe in ipotesi richiesto l’acquisizione del parere di cui al comma 6 dell’art.22 L.241 del 1990.

In ogni caso le opere indicate dalla parte non rientrano, contrariamente a quanto dedotto, nelle previsioni di cui al comma 2 dell’art.22 del Testo Unico: il terrazzo è stato infatti realizzato al di sopra del volume abusivo, rappresentato dalle cellule abitative del piano-terra, che, avendo aumentato il volume assentito, per questo solo fatto, non potevano essere edificate ricorrendo alla DIA.

Il medesimo terrazzo ha del resto, insieme alle ridette unità, alterato la sagoma del fabbricato ed essendo abitabile, ha creato una nuova destinazione, dunque anche per questi due ulteriori profili, non avrebbe potuto essere assoggettato a DIA ex comma 2 dell’articolo 22 citato.

Lo stesso dicasi del porticato, anch’esso alterativo della sagoma del fabbricato originariamente assentito.

È infine del tutto inconfigurabile la natura pertinenziale di dette opere che, anche solo ponendo mente alle loro caratteristiche, sono suscettibili di essere oggetto di autonoma ed individua fruizione.

Né vale, ai fini della configurazione, un nesso di pertinenzialità derivante da una destinazione soggettiva, impressa sul bene da parte del proprietario – peraltro solo dichiarata in questo caso – dovendo la stessa ricorrere in termini oggettivi.

4.2. Il motivo è altresì infondato perché, una volta che l’amministrazione abbia accertato la costruzione di opere abusive queste ultime, ai fini della riduzione in pristino, sono oggetto di una valutazione unitaria.

La pretesa della parte, onerando l’amministrazione di un incombente disfunzionale ed eccessivo, quale quello di procedere all’applicazione di sanzioni, per così dire, “dedicate” a ciascun abuso , è infondata, solo che si pensi che il presupposto di fatto del procedimento è un illecito commesso dal cittadino che dunque si trova già in una condizione di difetto.

Del resto, la legge comunque mette a disposizione del trasgressore la suddetta possibilità, dandogli modo di richiedere un accertamento in sanatoria, opportunamente differenziato, giuste le previsioni degli articoli 36 e 37 del D.P.R. n.380 del 2001, a seconda del titolo edilizio riferibile a ciascuno degli abusi. Rimedi che non risulta che la parte appellante abbia azionato nel caso di specie.

4.3. Infine l’analitica descrizione degli abusi riscontrati e l’indicazione delle norme violate, compiutamente contenute nel provvedimento escludono che quest’ultimo sia affetto da difetto di motivazione.

5. Il terzo motivo contesta al provvedimento gravato di non aver precisamente individuato l’area di sedime, da acquisire al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, rendendo anche in questo modo difficile l’articolazione di difese sul punto e complessivamente illegittima la relativa determinazione.

5.1. Il motivo è infondato innanzitutto perché, come indirettamente ammesso dalla stessa parte appellante, l’ordinanza si è limitata a preannunciare l’ulteriore provvedimento ablatorio, il che significa che, a tutto concedere, l’omessa precisa individuazione dell’area non ha effetto ai fini del perfezionamento (e della validità) della fattispecie demolitoria, con conseguente carenza di interesse della parte appellante, a far valere il relativo motivo.

Quando, e se, il Comune appellato deciderà di provvedere in tal senso, procederà ai relativi adempimenti, che, a quel punto, potranno essere oggetto di una contestazione più compiuta.

5.2. In ogni caso la censura è anche infondata nel merito, perché per individuare l’area di sedime di un fabbricato è sufficiente declinare un mero calcolo basato su criteri geometrici ed aritmetici, che non richiedono l’esercizio di discrezionalità e che sono applicabili, e soprattutto conoscibili da chiunque.

Il che significa che la parte appellante, se lo volesse, potrebbe avere, fin da ora, una pressoché precisa cognizione di quale sia la porzione del terreno di sua proprietà che rischia di essere coattivamente acquisita al patrimonio pubblico, attivando eventuali contestazioni in merito.

6. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Non vi è pronuncia sulle spese, mancando la costituzione della parte appellata.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi