Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-12-13, n. 201605256

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-12-13, n. 201605256
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201605256
Data del deposito : 13 dicembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/12/2016

N. 05256/2016REG.PROV.COLL.

N. 08572/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8572 del 2015, proposto dalla Edil Market sas e dalla Ma.Do.Gio Immobiliare srl, in persona dei legali rappresentanti “pro tempore”, rappresentati e difesi dall'avvocato A D V, con domicilio eletto presso l’avv. Federica Scafarelli in Roma, via Giosuè Borsi, 4;

contro

il Comune di Vietri sul Mare, non costituitosi in giudizio;

nei confronti di

C D D, rappresentato e difeso dagli avvocati G A e F G, con domicilio eletto presso il Consiglio di Stato –Segreteria della VI sezione, in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA -SEZ. STACCATA DI SALERNO -SEZIONE I, n. 1790/2015, resa tra le parti, concernente ingiunzione di demolizione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi;


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di C D D;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’ordinanza della sezione n. 5082 del 2015 di accoglimento dell’istanza cautelare e di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata;

Relatore nell'udienza pubblica del 17 novembre 2016 il cons. Marco Buricelli e udito per la parte appellante l’avv. Scafarelli, su delega dell’avv. De Vivo;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza in epigrafe il Tar di Salerno ha respinto il ricorso promosso dalla s.a.s. Edil Market e dalla s.r.l. Ma.Do.Gio. Immobiliare avverso il provvedimento prot n. 23 del 28 aprile 2015 con il quale il Comune di Vietri sul Mare aveva ingiunto alla Edil Market e alla Ma.Do.Gio. la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi con riferimento a un capannone in ferro, della superficie di mq. 176, situato in località frazione Molina, lungofiume Bonea, Via Arbosto, su suolo privato, adibito a deposito di materiale edilizio.

Sull’area ove si trova il manufatto di cui è stata ordinata la rimozione l’Amministrazione comunale, con atto n. 100 del 25 luglio 2001, aveva emesso un’autorizzazione edilizia a installare un “chiosco provvisorio” delle dimensioni di circa 50 mq, con validità dell’autorizzazione limitata a 12 mesi e con l’obbligo del proprietario dell’area di ripristinare lo stato dei luoghi alla data della scadenza dell’autorizzazione.

Successivamente, con “permesso in sanatoria di costruire” n. 1 del 18 luglio 2003, il Comune aveva assentito il mantenimento di una “struttura provvisoria e temporanea”, nel frattempo ampliata fino agli attuali 176 mq. , con un’altezza media di mt. 4,20, con validità del permesso stabilita in dodici mesi dalla data dell’accertamento della avvenuta installazione e con scadenza, pertanto, al 30 ottobre 2003.

Con ordinanza n. 72 del 3 novembre 2011 il Responsabile del Settore Edilizia – Urbanistica del Comune aveva disposto la rimozione delle opere realizzate.

L’ordinanza era stata impugnata da Edil Market e dalla Ma.Do.Gio. Immobiliare, e con sentenza in forma semplificata n. 1050 del 2012 il Tar di Salerno aveva annullato l’ordinanza riscontrando i seguenti vizi di legittimità:

-omissione dell’avviso di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, posto che la comunicazione di avvio del procedimento era da considerarsi doverosa anche in relazione al tempo in cui le opere erano state realizzate;

-incompletezza dell’istruttoria e genericità della motivazione, poiché non risultava essere stata individuata con esattezza l’area da acquisire né risultava indicata la natura delle opere realizzate, né, inoltre, era stata fornita una chiara qualificazione del regime giuridico delle stesse;
e invero, l’ordine di ripristino aveva a oggetto l’intero immobile, senza distinguere le opere originarie (edificate nel 2001) da quelle successive (del 2003), delle quali l’Amministrazione comunale asseriva il carattere abusivo;

-insufficiente motivazione sul permanere dell’interesse pubblico specifico riferito all’ordine di demolire il manufatto, quantunque fosse trascorso un periodo di tempo significativo da quando l’opera era stata realizzata.

Con ordinanza n. 23 del 28 aprile 2015 il Responsabile del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune ha ordinato nuovamente, e motivatamente, la demolizione della struttura e il ripristino dei luoghi.

Dall’esame del provvedimento emerge tra l’altro che il capannone, presente sull’area senza alcun idoneo titolo edilizio sin dal novembre del 2003, essendo la validità del permesso in sanatoria n. 1/2003 scaduta alla data del 30.10.2003, si trova in area soggetta a rischio idrogeologico molto elevato (c. d. zona rossa), nella specie a meno di 10 metri dalla sponda del torrente Bonea, in violazione dell’art. 33 delle NTA del Piano dell’Autorità di Bacino il quale prevede una distanza minima dei manufatti pari in questo caso ad almeno 20 metri. Emerge inoltre che la struttura insiste in parte su un tracciato di viabilità comunale “e in particolare sulla via vicinale pedonale di collegamento della frazione Molina con la frazione Benincasa tra l’altro a servizio per l’accesso all’acquedotto comunale”. Ciò avvalora il permanere dell’interesse pubblico alla demolizione della struttura e al ripristino dei luoghi.

In calce all’ordinanza impugnata n. 23/2015 le parti sono state avvertire che potrà essere ottenuta la concessione in sanatoria sempre che le opere abusivamente realizzate risultino conformi agli strumenti urbanistici generali o di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione delle opere e sia al momento della presentazione della domanda.

Edil Market e Ma.Do.Gio. Immobiliare hanno quindi proposto nuovamente ricorso davanti al Tar di Salerno il quale, con la sentenza n. 1790 del 2015, qui impugnata, ha respinto il ricorso a spese compensate.

In particolare, la sentenza di primo grado ha:

-giudicato infondata la censura di difetto di istruttoria e di motivazione dell'ordinanza di rimozione in relazione al ritenuto contrasto con i titoli edilizi provvisori e temporanei rilasciati nel 2001 e nel 2003 e con il giudicato formatosi sulla sentenza n. 1050 del 2012, non appellata, e ciò sull’assunto che i titoli edilizi n. 100/2001 e n. 1/2003 non sono idonei a fondare la legittimità della struttura della cui rimozione si tratta (come detto, capannone della superficie di 176 mq), essendo entrambi i titoli edilizi subordinati alla riconosciuta precarietà del manufatto e alla previsione della eliminazione del medesimo entro dodici mesi;

-rilevato che l’omessa rimozione del manufatto dopo la scadenza dei termini indicati nei titoli del 2001 e del 2003 e nonostante fossero trascorsi più di dieci anni dal rilascio dei titoli suddetti ha fatto perdere alla struttura ogni caratteristica di precarietà, alla quale era condizionata la sua lecita permanenza, determinandone l'abusività o, meglio, il carattere di permanenza in assenza di titolo;

-considerato che non sussiste alcun contrasto tra l'ordinanza di demolizione impugnata e la citata sentenza n. 1050 del 2012 posto che con l’ordinanza n. 23/2015 e a seguito della rinnovazione dell’istruttoria il Comune ha rimosso i vizi rilevati dalla sentenza n. 1050/2012 con riferimento alla precedente ordinanza n. 72/2011 ovvero, in particolare:

-la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, che risulta regolarmente eseguita in vista dell’adozione dell’ordinanza impugnata con il ricorso in esame;

-la mancata esatta individuazione dell’area da acquisire, trattandosi di adempimento proprio della fase successiva all’avvenuto accertamento della inottemperanza all’ordinanza di demolizione;

-la omessa esatta individuazione della natura delle opere realizzate e la mancata chiara qualificazione del relativo regime giuridico, essendo stato precisato nell’ordinanza impugnata che il decorso del termine stabilito per la permanenza legittima del deposito ha determinato il venire meno della sua lecita permanenza e conseguentemente il suo carattere abusivo;

-la mancata distinzione delle opere originarie, edificate nel 2001, da quelle successive, realizzate nel 2003, riguardando indistintamente l’ordinanza n. 72/2011 l’intero immobile, avendo l’amministrazione chiarito, mediante l’ordinanza del 2015, che il manufatto deve considerarsi attualmente privo di ogni titolo edilizio, essendo l’efficacia legittimante di entrambi i citati provvedimenti autorizzatori “ad tempus” e risultando quindi irrilevante distinguere le opere assentite con l’autorizzazione del 2001 rispetto a quelle autorizzate con il permesso del 2003;

-la mancata indicazione dell’interesse pubblico idoneo a legittimare la demolizione, nonostante il decorso di un periodo di tempo significativo dalla data di realizzazione delle opere, essendo il provvedimento impugnato finalizzato, tra l’altro, a ripristinare le condizioni di sicurezza idraulica, compromesse dalla presenza del manufatto a meno di dieci metri dalla sponda del torrente Bonea, ovvero in zona rossa così come definita sulla scorta della riparametrazione delle zone a rischio idrogeologico eseguita nel 2011 dall’Autorità di Bacino Destra Sele, in contrasto con l’art. 33 delle relative N.T.A. (senza che rilevi il carattere sopravvenuto del vincolo suddetto rispetto alla realizzazione delle opere, dovendo l’interesse pubblico essere valutato alla luce delle circostanze presenti al momento dell’esercizio del potere demolitorio);

-statuito l'infondatezza del motivo basato sulla mancata valutazione della previa verifica di conformità urbanistica dell’opera, posto che l'ordinanza impugnata risulta sufficientemente motivata in ordine al carattere abusivo del manufatto;

-respinto il profilo di censura col quale era stata lamentata l’atipicità del termine di 30 giorni, in luogo di quello di 90, previsto per procedere al ripristino dello stato dei luoghi, al fine di determinare l’annullamento dell’ordinanza impugnata, dovendo il termine suddetto “ritenersi eterointegrato” sulla base della pertinente disposizione di legge;

-compensato le spese di causa.

2.Con ricorso ritualmente notificato e depositato la Edil Market e la Ma.Do.Gio. Immobiliare hanno proposto appello censurando statuizioni e argomentazione della sentenza sopra riassunta e formulando in particolare i seguenti motivi di gravame:

1)“error in judicando et in procedendo – violazione e falsa applicazione di legge (art. 74 c.p.a. in relazione agli artt.1, 2, e 3 c.p.a e in relazione agli artt. 2909 c. c. e 324 c.p.c.)”;

2)“error in judicando et in procedendo – violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 l. n. 241/1990 in relazione all'art. 31 d.P.R. n. 380/01) – violazione e/o elusione del giudicato (sentenza n. 1050/12) – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria e di motivazione -erroneità – contraddittorietà – perplessità – arbitrarietà – sviamento )”;

3)“error in judicando et in procedendo – violazione e falsa applicazione di legge (art.3 l. n. 241/1990 in relazione all'art. 31 d.P.R. n.380/01) – violazione e/o elusione del giudicato (sentenza n. 1050/12) – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria e di motivazione -erroneità – contraddittorietà – perplessità – arbitrarietà – sviamento)”;

4)“error in judicando et in procedendo – violazione di legge (art. 31 d.P.R. n. 380/01 in relazione all'art. 3 l. n. 241/90) – violazione e/o elusione del giudicato (sentenza n. 1050/12) – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere (difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione – apoditticità – genericità – perplessità)”;

5)”error in judicando et in procedendo – violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 l. 241/90 in relazione agli artt. 27 e 31 d.P.R. n. 380/01) – violazione e/o elusione del giudicato (sentenza n. 1050/12) – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto e di motivazione – arbitrarietà – sviamento)”;

6)“error in judicando et in procedendo – violazione di legge (31 d.P.R. n. 380/01) – violazione e/o elusione del giudicato (sentenza n. 1050/12) – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto e di istruttoria – erroneità)”.

In particolare, con il primo motivo di appello la sentenza viene censurata per violazione dell'articolo 74 c.p.a. . Ad avviso degli appellanti il Tar, con la sentenza in forma semplificata impugnata, avrebbe violato il giudicato formatosi sul proprio precedente di cui alla sentenza n. 1050/2012 decidendo la controversia in senso diametralmente opposto a quanto fatto in passato invece che aderire al precedente conforme. In particolare il giudice di primo grado avrebbe errato nel “rimodulare” le motivazioni della prima sentenza e nell'integrare la motivazione del provvedimento impugnato asserendo tra l'altro che il decorso del termine annuale indicato nei titoli edilizi rilasciati oltre dieci anni prima aveva reso le opere abusive e che il permanere dell’interesse pubblico a demolire era ricavabile della collocazione del manufatto in zona a rischio idrogeologico molto elevato (zona rossa). Nell'atto di appello si sostiene tra l’altro che il tempo trascorso dalla scadenza del termine annuale suindicato (più di dieci anni) avrebbe ingenerato un affidamento del privato sulla stabilità / legittimità della situazione edilizia e delle opere realizzate. Né l'abusività potrebbe farsi discendere dalla sopravvenuta apposizione del vincolo idrogeologico di cui all'art. 33 delle NTA del piano di riperimetrazione delle zone a rischio idrogeologico, e ciò in quanto detto vincolo sarebbe inapplicabile al caso di specie perché, da un lato, esso è successivo alla realizzazione delle opere e come tale è inapplicabile e, dall'altro, il manufatto, come risulta da una perizia tecnica di parte del settembre del 2015, risulta localizzato oltre la fascia di rispetto dei 10 metri dalla sponda del torrente Bonea, quindi al di fuori dell'area di vincolo.

Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui sono stati giudicati infondati i profili di censura, dedotti a suo tempo, di difetto di istruttoria e di motivazione e di contraddittorietà con i precedenti titoli edilizi rilasciati nel 2001 e nel 2003 e di contrasto col giudicato di cui alla sentenza del Tar n. 1050/2012. Le opere asseritamente abusive sarebbero state infatti legittimamente realizzate a seguito delle autorizzazioni del 2001 e del 2003;
né il carattere provvisorio dei provvedimenti abilitativi risalenti determinerebbe l'abusività in sé del manufatto poiché l'Amministrazione non avrebbe mai ritirato le autorizzazioni o richiesto la rimozione delle opere per ragioni di interesse pubblico. L'interesse pubblico alla rimozione non sarebbe neanche giustificato dalla riperimetrazione delle zone a rischio idrogeologico effettuata nel 2001 posto che si tratta di vincolo sopravvenuto e successivo rispetto alle opere preesistenti, come tale inapplicabile alla fattispecie. Considerazioni analoghe valgono con riguardo all'asserita insistenza delle opere, in parte, su un tracciato di viabilità comunale, che collega la frazione Molina con la frazione Benincasa, in quanto il tracciato “de quo” sarebbe stato consensualmente modificato nel 1998 dai danti causa degli attuali proprietari e la strada sarebbe comunque accessibile a tutti.

Con il terzo motivo di gravame l'appellante deduce ancora l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto l'ordinanza n. 23/2015 non in contrasto con il precedente giudicato di cui alla sentenza n. 1050/2012. Ad avviso dell'appellante, l’ordinanza comunale impugnata ripropone i medesimi vizi già stigmatizzati dal giudice di primo grado nel 2012. In particolare, l'istruttoria non risulta rinnovata e rimane incompleta, così come qualificata dal Tar;
la motivazione sulla qualificazione giuridica delle opere rimane generica e continua a mancare una motivazione congrua sul permanere dell’interesse pubblico specifico alla rimozione delle opere stesse a distanza di più di dieci anni dalla loro realizzazione, non potendosi considerare sufficiente a questo scopo il vincolo di inedificabilità sopravvenuto nel 2011, né la pretesa insistenza del manufatto su parte della viabilità comunale.

Con il quarto motivo di appello è ribadita la genericità della motivazione dell’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado, in particolare perché ci si limita a una descrizione delle opere senza individuare la qualificazione giuridica e il regime giuridico delle stesse, nonostante quanto stabilito dal Tar con la sentenza n. 1050/2012. L'ordine di demolizione del 2015 sanziona inoltre l’opera senza distinguere tra quanto realizzato nel 2001 e quanto eseguito nel 2003, in ragione della ritenuta temporaneità delle costruzioni e quantunque le stesse siano state realizzate in maniera conforme alla strumentazione urbanistica. Tra l’altro non risultano specificate le prescrizioni urbanistiche che si assumono violate in concreto, pur essendo stata applicata una precisa sanzione.

Con il quinto motivo si censura ulteriormente la sentenza nella parte in cui il Tar non ha ritenuto sussistente alcun contrasto con il giudicato di cui alla ripetuta sentenza n. 1050/2012 sotto il profilo della (mancanza di un’) adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico concreto e attuale, prevalente sull’interesse contrario del privato al mantenimento delle opere realizzate, alla demolizione, non essendo come noto sufficiente allo scopo il riferimento al mero ripristino della legalità violata. La motivazione sull’interesse pubblico mancherebbe nella rinnovata ordinanza di demolizione, tanto più considerando che le opere sono pacificamente risalenti nel tempo e hanno una scarsa incidenza urbanistica. Il riferimento operato al vincolo idrogeologico risulta errato sia perché il preteso vincolo è inapplicabile in quanto sopravvenuto e sia perché esso è insussistente posto che il manufatto per cui è causa non rientra nella fascia di rispetto dei dieci metri dalla sponda del torrente Bonea.

Con il sesto e ultimo motivo di appello si deduce infine l'erroneità della sentenza con riferimento alla questione relativa alla mancata indicazione, nell'ordinanza di demolizione contestata, dell'estensione dell'area da acquisire al patrimonio comunale. Inoltre l’ordinanza di demolizione non reca l’analitica indicazione dell’area da acquisire. Tale vizio risulta oggetto del giudicato del 2012 e non risulta rimosso dal Comune.

Il Comune, benché ritualmente intimato, non si è costituito.

Si è invece costituito per resistere il signor C D D, proprietario, a quanto consta, di un fondo retrostante all’area ove si trova il capannone.

L’istanza cautelare è stata accolta e all’udienza del 17 novembre 2016, dopo uno scambio di memorie tra la parte appellante e il signor Di Donato, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3.L'appello è infondato. La sentenza del Tar è corretta e va confermata.

I motivi d’appello riassunti sopra al p.

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