Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-01-24, n. 201300465

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-01-24, n. 201300465
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300465
Data del deposito : 24 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10118/2008 REG.RIC.

N. 00465/2013REG.PROV.COLL.

N. 10118/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10118 del 2008, proposto da:
Emambiente s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. P P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F G, in Roma, viale dell'Arte, n. 85;

contro

Comune di Giugliano in Campania, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. A R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. E L, in Roma, via Michele Mercati, n. 51;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, Sezione I, n. 6506/2008, di reiezione del ricorso proposto per l’accertamento del diritto alla revisione del corrispettivo dell’appalto nella misura richiesta e per la condanna del Comune al pagamento di € 3.692.397,57, ovvero di quanto accertato all’esito del giudizio, oltre ad interessi e rivalutazione;
in subordine, previo accertamento dell’ingiustificato arricchimento dell’Ente, per la condanna del Comune ad indennizzare la Emambiente s.r.l. della perdita patrimoniale subita, di pari entità rispetto a quella in precedenza indicata, o di quanto accertato all’esito del giudizio, oltre ad interessi e rivalutazione, nonché al risarcimento dei danni da specificare in corso di causa;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio e di proposizione di appello incidentale del Comune di Giugliano in Campania;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2012 il Cons. Antonio Amicuzzi e udito per la parte resistente l'Avv. Zuppardi, per delega dell'Avv. Romano;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

La Emabiente s.r.l. ha espletato il servizio di igiene urbana sul territorio del Comune di Giugliano in Campania nel periodo dal 18.10.1001 al maggio del 2004 e, assumendo di aver sopportato maggiori oneri nell’esercizio del servizio, che avevano reso il corrispettivo pagato dal Comune inferiore alla attività effettivamente svolta, ha adito (dopo che il Tribunale civile ha declinato la giurisdizione in materia) il T.A.R. Campania, Napoli, Sezione I, per ottenere la revisione del corrispettivo, o l’indennizzo della perdita patrimoniale subita e il risarcimento del danno, nei termini in epigrafe indicati.

Il Tribunale ha respinto il ricorso con la sentenza in epigrafe indicata, che è stata impugnata con il ricorso in appello in esame dalla citata s.r.l., che ne ha chiesto l’annullamento o la riforma deducendo i seguenti motivi:

1.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 244, comma 3, del d. lgs. n. 163/2006, violazione del principio di giurisdizione esclusiva, violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della l. n. 537/1993, come modificato dall’art. 44 della l. n. 724/1994. Eccesso di potere, sviamento, erroneità dei presupposti ed “errores in iudicando”.

1.1.- Il T.A.R. ha erroneamente asserito che la controversia va definita secondo una indagine di tipo bifasico (una prima volta all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso, ed una seconda volta alla verifica del quantum debeatur secondo meccanismi propri del diritto soggettivo) e che, potendosi il contraente avvalere ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della spettanza della revisione prezzi solo dei rimedi e delle forme di tutela dell’interesse legittimo, avrebbe dovuto previamente attivare ad istanza di parte un procedimento amministrativo in cui svolgere attività istruttoria volta all’accertamento di detti presupposti: attività non demandabile al Giudice, che non può sostituirsi all’Amministrazione.

1.2.- Nel merito la pretesa fatta valere in giudizio si fonda su vari presupposti che la giustificherebbero, come: 1) valutazione della incongruenza tra consistenza territoriale risultante dai documenti forniti dall’Ente e quella effettiva;
2) calcolo delle differenze dovute per il mutato dato demografico conseguito alla circostanza che il Comune è caratterizzato da alto livello di speculazione edilizia realizzazione di numerosi insediamenti abusivi, con conseguente numero di residenti maggiore di quanto risultante ufficialmente;
3) integrazione degli automezzi impiegati effettivamente;
4) adeguamento del personale;
5) calcolo delle ferie, malattie e riposi;
6) valutazione dell’incremento volumetrico dovuto all’interruzione del servizio di raccolta differenziata da parte del Consorzio dei Comuni Bacino Napoli 1.

La illegittimità del comportamento dell’Amministrazione sarebbe dimostrata anche dalla circostanza che, all’atto del subentro nel servizio di un’altra società, è stato riconosciuto un costo annuo pari a quello richiesto, che, a parità di condizioni, comporta il pagamento di un canone superiore a quello precedentemente corrisposto.

La appellante ha quindi quantificato le somme pretese, pari ad un importo complessivo di € 3.692.397,57 per i maggiori costi sostenuti per personale, automezzi, attrezzature, spese di smaltimento, spese generali e utile di impresa, ed ha asserito che va considerata altresì la perdita di avviamento dovuta al depauperamento di personale specializzato che ha preferito avvalersi del passaggio diretto ed immediato di cantiere.

Dette somme sarebbero dovute a titolo di revisione prezzi, ai sensi dell’art. 44 della l. n. 724/1994 (che ha modificato l’art. 6 della l. n. 537/1993), o, in subordine, ai sensi dell’art. 1664 del c.c..

Nell’ipotesi che non venga accolta detta domanda l’appellante ha dedotto che il Comune si sarebbe comunque illegittimamente arricchito ai danni dell’instante ed ha spiegato quindi domanda, ex art. 2041 del c.c., di indennizzo della diminuzione patrimoniale subita.

Con atto notificato il 2.1.2009 e depositato il 23.12.2008/9.1.2009 si è costituito in giudizio ed ha spiegato appello incidentale il Comune di Giugliano in Campania.

Esso ha preliminarmente eccepito la inammissibilità del gravame per aver già notificato la parte appellante un primo atto di appello al procuratore costituito in data 22.9.2008, mai depositato, con riguardo al quale si è costituito il Comune producendo appello incidentale, con consunzione del potere di proposizione di gravame avverso la sentenza.

In secondo luogo il Comune ha riproposto la eccezione di tardività di deposito del ricorso di primo grado, non esaminata e dichiarata assorbita dal Giudice di prime cure, deducendo che, se sussiste la giurisdizione in materia del G.A., il deposito del ricorso di primo grado, la cui notifica si era perfezionata il 2.7.2007, è stato tardivo perché effettuato in data 31.7.2007, oltre il termine dimezzato di 15 giorni previsto per l’adempimento per come disciplinato dall’art. 23 bis della l. n. 1034/1971, che dimezzava i termini processuali relativi alle procedure, tra l’altro, di affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, facendo salvo solo quello per la proposizione del ricorso. Se, quindi, come assunto da parte ricorrente, si controverte in merito a questione attinente alla giurisdizione esclusiva del G.A. e alla fase di esecuzione di servizio pubblico in affidamento, non potrebbe che trovare applicazione detta disposizione, con inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.

Nel merito il Comune ha dedotto che il servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti, in quanto tale definito dall’art. 1 del d.P.R. n. 915/1982, è svolto a fini di interesse generale e rientra nella nozione di servizio pubblico, sicché l’affidamento avviene in regime di concessione (ex art. 8 del d.P.R. n. 915/1982, ex art. 25 del r.d. n. 2578/1925 ed ex art. 22 della l. n. 142/1990) e deve escludersi che sia inquadrabile nell’appalto di servizi. Poiché il compenso revisionale è previsto per i contratti di appalto e non per i contratti accessivi ad una concessione di pubblico servizio, sarebbe escluso ogni meccanismo revisionale, in mancanza di esplicita e chiara clausola in deroga.

Ha aggiunto il Comune che, peraltro, l’affidamento alla appellante è avvenuto (come da deliberazione della G.M. n. 218/2001) in regime eccezionale e di proproga di una precedente assegnazione ad una ditta estromessa, agli stessi prezzi e condizioni che regolavano l’affidamento alla dante causa, tra cui l’art. 10 del capitolato preesistente per cui è inibito chiedere variazioni del canone se non dopo il terzo anno, ovvero dall’ottobre 2004;
inoltre che neppure potrebbe essere applicabile alla fattispecie l’art. 1664 del c.c., non essendo avvenuti eventi imprevedibili, e che, comunque, l’appellante ha solo dedotto che il sinallagma ha subito un incremento di prezzi oltre il 10%, senza adeguatamente provarlo.

Infondata, secondo la parte resistente, sarebbe anche la richiesta di ingiustificato arricchimento, perché l’Amministrazione non ha tratto alcuna utilità dalla dedotta maggiore attività;
inoltre la pretesa sarebbe inammissibile per le preclusioni di cui all’art. 194 del d. lgs. n. 267/2000 e comunque inaccoglibile perché nel giudizio amministrativo vige il principio che chi vuol far valer un diritto deve provare i fatti se tanto è nella sua disponibilità.

Il Comune ha anche proposto appello incidentale, con il quale ha chiesto la riforma parziale della sentenza di primo grado, nella parte in cui è stata respinta la eccezione di difetto di giurisdizione, nell’assunto che la delibazione del G.A. è limitata all’an debeatur (con impossibilità di effettuazione di operazioni di determinazione in senso quantitativo della revisione eventualmente riconosciuta ed inammissibilità di domande di ingiustificato arricchimento). Inammissibile per difetto di giurisdizione del G.A. sarebbe quindi la richiesta di condanna al pagamento di somme sia per revisione prezzi che a titolo di arricchimento senza causa.

Alla pubblica udienza del 16.10.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte resistente, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dalla Emambiente s.r.l., che ha espletato il servizio di igiene urbana sul territorio del Comune di Giugliano in Campania nel periodo dal 18.10.1001 al maggio del 2004, di annullamento o riforma della sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stato respinto il ricorso da essa proposto per l’accertamento del diritto alla revisione del corrispettivo dell’appalto nella misura richiesta e per la condanna del Comune al pagamento di € 3.692.397,57, ovvero alla somma accertata all’esito del giudizio, oltre ad interessi e rivalutazione;
in subordine, previo accertamento dell’ingiustificato arricchimento dell’Ente, per la condanna del Comune all’indennizzo della società della perdita patrimoniale subita, di pari entità rispetto a quella in precedenza indicata, o nella misura accertata all’esito del giudizio, oltre ad interessi e rivalutazione, e per il risarcimento dei danni, da specificare in corso di causa.

2.- Innanzi tutto la Sezione deve esaminare la eccezione, formulata dal Comune di Giugliano in Campania, di inammissibilità o di irricevibilità del gravame per avere la parte appellante già notificato un primo atto di appello al procuratore del Comune in data 22.9.2008 (mai depositato), riguardo al quale si era costituito il Comune producendo appello incidentale;
tanto avrebbe determinato la consumazione del potere di proposizione di gravame avverso la sentenza de qua, a causa della scadenza infruttuosa del termine per il deposito di detto appello (entro il quale non è stato nuovamente notificato “l’appello stesso”).

2.1.- La eccezione è, ad avviso del Collegio, insuscettibile di accoglimento, atteso che, ai fini della tempestività dell'appello ciò che rileva è la sua proposizione entro il prescritto termine di decadenza (Consiglio Stato, sez. IV, 18 marzo 2008, n. 1147), in quanto la mera notificazione del primo ricorso non comporta la consumazione del potere d’impugnazione, nè all’ammissibilità del secondo ricorso osta nemmeno la costituzione dell’appellato (arg. ex Cass., 26 maggio 2010, n. 12898).

3.- In secondo luogo la Sezione, stante la infondatezza dell’appello, può prescindere dal verificare la fondatezza della eccezione di tardività di deposito del ricorso di primo grado non esaminata e dichiarata assorbita dal Giudice di prime cure (reiterata in appello dalla difesa del resistente Comune).

4.- In terzo luogo la infondatezza dell’appello esclude la necessità di verifica della fondatezza dell’appello incidentale del Comune (che ha chiesto la riforma parziale della sentenza di primo grado nella parte in cui è stata respinta la eccezione di difetto di giurisdizione, che aveva in tale sede formulata), non sussistendo in ragione della reiezione alcun interesse all’accoglimento di detto gravame evidentemente proposto in via condizionata.

5.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che il T.A.R. ha asserito che, anche se il giudizio rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 244, comma 3, del d. lgs. n. 163/2006, la controversia va comunque definita secondo una indagine di tipo bifasico, diretta una prima volta all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso, ed una seconda volta alla verifica del “quantum debeatur” secondo meccanismi propri del diritto soggettivo. Ha quindi ritenuto che, potendosi il contraente avvalere, ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della spettanza della revisione prezzi, solo dei rimedi e delle forme di tutela dell’interesse legittimo, la società ricorrente avrebbe dovuto previamente attivare, ad istanza di parte, un procedimento amministrativo in cui svolgere attività istruttoria volta all’accertamento di detti presupposti, non demandabile al Giudice (che non può sostituirsi all’Amministrazione).

Dette argomentazioni sarebbero erronee perché l’azione della attuale appellante è in sintonia con quanto implicitamente riconosciuto con la l. n. 537/1993, con la quale il legislatore ha superato il precedente criterio di riparto di giurisdizione in materia de qua, fondato sulla distinzione tra le controversie sull’an (di competenza del GA.) e sul quantum (di competenza del G.O.), prevedendo la giurisdizione esclusiva del G.A. al fine di concentrare le controversie in un unico giudizio, come confermato dal tenore dell’art. 244 del d. lgs. n. 163/2006.

In particolare l’art. 6, comma 4, della l n. 537/1993 (che stabilisce che tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo, che viene operata sulla base di una istruttoria condotta da dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base di dati di cui al comma 6, che indica gli elenchi dei prezzi che allo scopo l’ISTAT è deputata a compilare) ha natura speciale e derogatoria rispetto a quella del contratto di appalto, disciplinata dall’art. 1664 del c.c., e prevale su clausole difformi mediante sostituzione automatica ex art. 1419, comma 2, e art. 1339 del c.c., sicché sarebbe applicabile anche al caso di specie, anche se il contratto stipulato nulla prevede al riguardo, avendo natura di norma imperativa, che sostituisce di diritto eventuali pattuizioni contrarie.

Dalla natura imperativa di detto art. 6, comma 4, della l. n. 537/1993 deriverebbe la sottrazione della sua applicazione al vaglio discrezionale della Amministrazione (che non potrebbe che svolgere attività ricognitiva e dichiarativa in ordine alla normativa applicabile) e scaturirebbe direttamente il diritto al compenso revisionale, salva la sua liquidazione mediante istruttoria di orientamento prescritta dal comma 6 dell’articolo stesso;
pertanto correttamente è stata svolta una azione di accertamento del diritto prescindente dagli atti dell’Amministrazione, ai quali, tenuto conto della natura del giudizio, non potrebbe attribuirsi natura provvedimentale.

Diversamente opinando verrebbe ad essere travolta la stessa “ratio” della diposizione suddetta e si riconoscerebbe all’Amministrazione quella discrezionalità che la norma ha invece inteso eliminare.

Sarebbe in conclusione errata la sentenza in base alla quale il pacifico diritto al compenso revisionale della società appellante sarebbe rimesso ad una attività istruttoria invece prevista dalla legge solo per la liquidazione del compenso.

5.1.- Osserva la Sezione che scopo primario della disposizione di cui all’art. 6, comma 4, della l. n. 537 del 1993, come modificato dall'art. 44 della l. n. 724 del 1994, confermata dall'art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, è quello di tutelare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle Amministrazioni Pubbliche non subiscano con il tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell'offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni. Il riferimento normativo alla clausola revisionale, avente carattere di norma imperativa cui si applicano gli artt. 1339 e 1419 c.c., non attribuisce alle parti ampi margini di libertà negoziale, ma impone di tradurre sul piano contrattuale l'obbligo legale, definendo anche i criteri e gli essenziali momenti procedimentali per il corretto adeguamento del corrispettivo.

Il relativo giudizio è tuttavia devoluto alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, attenendo a situazioni soggettive che si collocano in un'area in cui la P.A. agisce esercitando il suo potere autoritativo (Cassazione civile, sez. un., 15 marzo 2011, n. 6016).

La giurisprudenza in tema di revisione prezzi dell'appalto ha costantemente ritenuto che la posizione dell'appaltatore sia di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuare la revisione, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l'interesse dell'appaltatore alla revisione e l'interesse pubblico connesso al risparmio di spesa da un lato, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato, dall'altro.

L'operazione costituisce un tipico esercizio di discrezionalità, dovendosi comparare interesse privato e pubblico per il raggiungimento di un ragionevole componimento.

La decisione di effettuare la revisione prezzi e la determinazione dei parametri a tal fine sono quindi espressione di facoltà discrezionale, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato nel termine decadenziale di legge. La posizione dell'appaltatore assume carattere di diritto soggettivo solo dopo che l'Amministrazione abbia riconosciuto la sua pretesa e si verte in materia di “quantum” del compenso revisionale.

Sia per l'abrogato art. 6, comma 4, della legge 23 dicembre 1993 n. 537 (come modificato dall'art. 44 della legge 24 dicembre 1994 n. 724), che per il vigente art. 115 del d.lgs. n. 163/2006 la revisione prezzi è, invero, demandata ad una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi, sulla base di dati che sono ora forniti dalla sezione centrale dell'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e dall'ISTAT (art. 7, comma 4, lett. c), e comma 5, del d.lgs. n. 163/2006).

Una volta avviato con istanza di parte, tale procedimento deve essere concluso mediante l'adozione di un provvedimento espresso, di contenuto positivo o negativo.

In tal sede, in cui conserva un indubbio margine di potere discrezionale nelle valutazioni, il Comune può alternativamente riconoscere la revisione o negarla, motivando in base agli esiti dell'istruttoria e alle eventuali eccezioni impeditive o estintive che dovesse ritenere dirimenti.

Le considerazioni in precedenza svolte consentono di condividere la tesi del Giudice di primo grado, che la qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della spettanza della revisione prezzi comporta la necessità di avvalersi dei rimedi previsti a tutela dell’interesse legittimo anche nella forma del silenzio rifiuto conseguente ad istanza formale, che (è asserito in sentenza e non è contestato dalla parte appellante) nel caso di specie non è stato dimostrato che sia stata formulata.

Aggiungasi che negli appalti pubblici la revisione dei prezzi prevista dall'art. 6 della l. n. 537/1993, sostituito dall'art. 44 della l. n. 724/1994, si applica solo alle proroghe contrattuali e non anche agli atti successivi al contratto originario, con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto analogo a quello originario.

Nel caso che occupa non è stata posta in essere una vera e propria proroga contrattuale, ma è stato affidato alla attuale appellante l’espletamento del servizio di igiene urbana sul territorio della città di Giugliano in Campania, per il lotto 2, dal 18.10.2001 al mese di maggio 2004 in sostituzione della SATES, precedente unica appaltatrice.

1.2.- La conferma della impugnata sentenza comporta la impossibilità di esaminare sia la pretesa a veder riconosciuta la revisione prezzi ai sensi dell’art. 44 della l. n. 724/1994 o, in subordine, ai sensi dell’art. 1664 del c.c., sia la richiesta, nell’ipotesi che non venga accolta detta domanda, di declaratoria dell’illegittimo arricchimento del Comune ai danni dell’instante e sia la domanda, ex art. 2041 del c.c., di indennizzo della diminuzione patrimoniale subita.

7.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

8.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.

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